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Autore: KH4    06/11/2013    2 recensioni
Estratto dal prologo:
"Io lo so…Tu non sei il tipo di persona che si lascia uccidere così facilmente. Non è nel tuo stile. Ti è sempre piaciuto essere teatrale in tutto ciò che fai, essere la svolta di una situazione prossima al fallimento. Ami essere egocentrico, vanitoso, arrogante, sai di esserlo, e non ti arrenderesti mai d’innanzi a una morte che non ti renderebbe il giusto onore. La sceglieresti solo dopo aver guardato a lungo una bella donna e averle sussurrato frasi che avrebbero fatto di te un ricordo prezioso e insostituibile. Soltanto allora, ne saresti soddisfatto." 
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Allen Walker, Lenalee Lee, Marian Cross, Nuovo personaggio | Coppie: Allen/Lenalee
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'I Santi Oscuri.'
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- Timcampi, sta buono, su. –

Lenalee Lee non sapeva più che fare. Nonostante il tono della sua voce fosse calmo ed equilibrato, il fine viso era leggermente corrucciato in un’espressione che galleggiava fra il pensieroso e lo spazientito; non era nella sua indole sbottare per una sciocchezza o una situazione che comunque poteva essere risolta con serenità e diplomazia, ma da più di mezz’ora i suoi splendenti occhi color ametista non facevano altro che zigzagare a destra e a sinistra senza mai sostare su di un punto per più di cinque secondi.
Il piccolo Timcampi era insolitamente irrequieto: sbatteva le sue alucce dorate agitatamente, alternando volteggi circolari con veloci perlustrazioni della piazzetta, incapace di aspettare più di quanto avesse già fatto. Sicché Allen non era lì, a prendersene cura era stata la bella cinese, ma in quel momento Lenalee non riusciva proprio a gestirlo, quel piccolo boccino tondo, e a ben riflettere sul perché di quell’insolito comportamento, la ragione poteva essere una soltanto.
La stazione ferroviaria di Guangzhou era vuota e desolata come fosse stata abbandonata da tempo, con la differenza che era pulita, senza muri crepati o consumati dall’umidità del tempo e baciata da caldi raggi soffusi. Una fra le tante, più esterna e piccola rispetto le principali, ma ancora funzionante e adoperata da treni merci di media portata; l’ultimo era arrivato da più di due ore, ma dei tre Esorcisti mancanti all’appello non vi era ancora traccia. L’appuntamento era per quel giorno, in quello spiazzo placido composto solo da un paio di panchine, una fontana vuota e una microscopica casupola di legno che includeva la biglietteria e l’entrata per la stazione, ma oltre alla sedicenne, non c’era nessun altro essere umano.

- Quasi mezzogiorno…Chissà se sono in dirittura d’arrivo? – Si domandò la suddetta.

Nel sentirla, Timcampi le si appoggiò in grembo, alzando la testolina in segno di conforto. Lenalee chinò il capo, esibendosi in uno di quei dolci sorrisi che meglio sapevano mettere in risalto la sua gentilezza e preoccupazione per i compagni.

- Non vedi l’ora di rincontrare Allen-kun, vero? – Gli domandò retoricamente – Anch’io, ma dobbiamo portare pazienza un altro po’ e…Tim, ma… ? –

Come accortosi di un qualche cambiamento che la cinese, al contrario, sembrava non aver percepito, il piccolo golem aveva sollevato appena il corpo tondeggiante, per poi librarsi in aria velocemente e volare con tutte le sue forze verso una stradina dissestata e nascosta dagli alberi.

- Timcampi, aspetta! – 




- Finalmente siamo arrivati. –

La rampa di scale di granito che separava il paese dalla stazione ferroviaria appariva quasi interminabile. Niente di esagerato come le montagne appena superate o di sfiancante come la missione appioppata da Komui - quasi il loro rincorrere il Generale Cross di paese in paese non fosse già estenuante -, ma abbastanza per ricordare agli esorcisti quanto un paio di ore di riposo in più non avrebbe fatto altro che bene al loro fisico tirato. Con un ultimo sforzo da parte delle sue gambe, Allen ne raggiunse la cima col viso leggermente arrossato, prendendosi un attimo per tirare con l’indice il colletto della camicia bianca. Il tepore trasportato dal vento era primaverile, frizzantino per la vicinanza con l’oceano assomigliante a una lunga e spessa striscia blu infinita, ma al tempo stesso cocente per via dell’assoluta limpidezza della giornata, priva di nubi che oscurassero lo splendore del sole. Tutt’altra cosa dall’aria ammuffita e pesantemente stantia che lo aveva costretto a trattenere il fiato per poter recuperare il frammento d’Innocence nascosto nell’Albero della Fortuna – alias, un irriconoscibile e annerito carillon -. Alla fine era toccato a lui l’ingrato compito.

- Qui io non vedo nessuno…Né Lenalee, né Ji-chan. - Lavi osservò i dintorni senza scorgere alcunché di familiare – Eppure il luogo dell’incontro è questo. –
- Mi sembra che qualcosa ci stia venendo incontro, invero -, notò Crowley, aguzzando la vista.
- Dov…? –

STOMP!

Allen ebbe giusto il tempo di girarsi e scorgere un luccichio sfrecciare verso di lui, prima che questo lo colpisse così forte in faccia da farlo cadere all’indietro. Timcampi gli era arrivato addosso a tutta velocità e al ragazzino inglese non era neppure occorso aprire gli occhi e verificare che si trattasse effettivamente del boccino dorato per capire che era proprio lui quel qualcosa che il rumeno aveva adocchiato in lontananza.

- Eh eh! Anch’io sono felice di rivederti, Tim -, ridacchiò il quindicenne, alzandosi in piedi e tenendo vicino alla guancia il piccolo compagno d’avventure – Hai fatto il bravo? –
- Se lui è qui, Lenalee e Ji-chan devono essere vicini -, ipotizzò il rosso, incrociando come di consuetudine le braccia dietro la testa.
- Sì, ma qui non vedo nessuno…Ehi, Tim! –

Da prima così restio da staccarsi da Allen, il tondo esserino si liberò della mano del padroncino e scappò via una seconda volta, sfrecciando alle sue spalle senza fermarsi. Nel seguirne i movimenti con gli occhi argentati, l’albino lo vide andare verso Amèlie e posarsi con leggerezza nel palmo della mano destra teso in avanti.

- Timcampi, quanto tempo -, gli sorrise soave la donna, portandoselo vicino e accarezzandogli la testolina con l’indice dell’altra mano – Ti sei rimpicciolito, vedo. –

Come gli diede un bacio, il golem diventò completamente rosso, per poi iniziare a svolazzarle energicamente attorno emanando sostanziosi sbuffi di vapore.

- Sembrano conoscersi da tempo, invero -, osservò stupito Crowley.
- Bè…Se Amèlie-san è stata allieva del maestro prima di me, è logico che Tim la conosca -, ragionò l’albino, senza però riuscire a nascondere la sorpresa: il suo piccolo amico era diventato completamente bordò!
- Sarà, ma io sono un po’ invidioso -, bofonchiò mogio Lavi, osservando mestamente come quella pallina che manco sapeva spiccicare una parola venisse amorevolmente coccolata.
- Allen-kun! Lavi! Finalmente! – Dal fondo della strada, una figura umana li chiamò ad alta voce. Lenalee correva nella loro direzione col viso raggiante e un lungo soprabito nero che le copriva la divisa da esorcista.
- Lenalee! – Allen fu il primo a salutarla – Che bello rivederti! –
- Sono contenta che siate arrivati: cominciavo ad essere in pensiero -, disse la cinese.
- Abbiamo avuto qualche contrattempo non previsto, niente di grave -, la informò Lavi – Ma Ji-chan dov’è? Non lo vedo. – Si stava guardando parecchio attorno, ma dell’anziano mentore non c’era traccia.
- E’ qui nei paraggi, non preoccuparti. Allora… - I vivaci occhi ametista si spostarono sulla figura pallida e alta del Barone Aleister Crowley III – Tu devi essere… -
- …Uh? Lenalee? Qualcosa non va? –

L’albino le si avvicinò di poco per guardarle il viso, fattosi silenzioso in un sol colpo. L’improvvisa comparsa di quell’espressione paralizzata sul da farsi e la bocca semichiusa non nascondevano lo sconcerto che lui, Lavi e Crowley – spaventato all’idea che potesse essere stato proprio quel suo vampiresco aspetto ad ammutolire la ragazza – colsero immediatamente. Qualcosa alle loro spalle l’aveva ipnotizzata, costretta a mettere da parte tutto ciò che ne aveva promosso il sollievo nel vedere i suoi compagni e concentrarsi unicamente su di essa.
Il nome che seguì quel silenzio calato senza preavviso, pronunciato in un flebile sussurro, rievocò ricordi assopiti che servirono solo a isolare i presenti  e a ingigantire quell’inaspettata sorpresa.

- Amèlie-san…? - 




Anf…Pant…! –

Il respiro mozzato e affaticato di una bambina di sei anni si mischiava ai suoi passi frettolosi e impauriti. Tra scale buie e corridoi stretti, Lenalee Lee correva senza fermarsi o guardarsi indietro, per paura di vedere qualcosa che l’avrebbe sicuramente pietrificata dalla paura. Correva senza sosta, con tutte le forze di cui disponevano le sue gambe, nascoste dallo stropicciato vestitino nero fattole su misura insieme a molti altri. Avrebbe dovuto essere a letto, sotto le coperte, rannicchiata e con le mani strette in due pugnetti per farsi coraggio oppure con i grandi e tristi occhi viola a fissare la luna piena che illuminava il pavimento della sua stanza. Di tutti i posti che quel castello labirintico disponeva, il suo alloggio era quello che meno le creava disagio. Forse perché aveva la possibilità di chiuderlo a chiave….

No…
Se Lenalee ci rifletteva bene….Niente che appartenesse a quel posto avrebbe mai asciugato le sue lacrime o le avrebbe regalato anche un brevissimo barlume di felicità, ma ciò le sarebbe apparso chiaro anche se avesse avuto la forza di ragionarci sopra. Ecco perché stava scappando.
La destra e la sinistra si confondevano a vicenda, seguite da ogni singolo angolo dell’Ordine Oscuro che, dopo la mezzanotte, diventava pressappoco irriconoscibile. Col cuore in gola e le lacrime agli occhi, la mente della bambina era dominata da un panico irrazionale, fuori misura, che non aveva fatto altro che procurarle violenti attacchi d’ansia sin da quando aveva messo piede lì dentro. Nessuna spiegazione, nessuna risposta: solo tanta fredda indifferenza a guardarla, visi estranei che parlavano di cose a lei sconosciute e la terribile sensazione di oppressione che le comprimeva la minuta gabbia toracica e cresceva di secondo in secondo.
Un incubo continuo, pieno di ombre, luci incolori e nessun volto amico: pretendevano che comprendesse quanto fosse importante essere chiamata al cospetto di Dio ed essere investita del suo potere, ma Lenalee Lee era una bambina troppo piccola e impaurita per abbracciare il volere di un essere che non conosceva e una causa che l’aveva strappata su due piedi da tutto quello che le era caro. 
Voleva solo andare a casa, dal suo Nii-san, che sicuramente era preoccupatissimo per lei.

- Eccovi qua, onorevole Esorcista. –

Stavolta era giunta molto più lontano delle volte precedenti. La piazza circolare aperta alla luna era pervasa da una lieve brezza che le scompigliava i lunghi e lisci capelli corvini; un infinito cielo stellato si espandeva in ogni direzione, di un blu così scuro che soltanto l’osservarne le sfumature riversatesi lì attorno impediva di crederlo tinto di nero. Lenalee si pietrificò all’istante nel vedere due figure fare capolino dalle grandi ombre circolari e pararsi fulmineamente davanti a lei. Quelle eleganti tonache rosse svolazzanti e quelle maschere bianche dai geometrici disegni gialli che la fecero cadere all’indietro per lo spavento aveva già avuto modo di conoscerle, così come aveva già avuto modo di sperimentare sulla sua stessa pelle l’incredibile facilità con la quale riuscivano a riportarla indietro, dove doveva stare.

Dove c’era lui….

- Ancora cerchi di fuggire, Lenalee Lee? -

Lì, al sentire pronunciare il suo nome completo, la bambina prese coscienza dell’errore commesso e del suo effettivo peso.
Quell’uomo alto, dallo sguardo austero e affilato, le braccia sempre incrociate dietro le spalle, era di nuovo davanti a lei, così grande da farla sentire impotente e piccola come una formica.

Malcolm C. Lvellie era un nome auto marchiatosi prepotentemente nella sua giovane memoria fin dal primo giorno trascorso all’interno dell’Ordine Oscuro. Una voce glaciale, di finta gentilezza e disgustosamente ferrea che si trasformava in un sibilo malvagio quando metteva in mostra i denti immacolati per calcare la veridicità di quella realtà da cui puntualmente lei cercava di prendere le distanze.

- C’è del lodevole nella tua perseveranza, lo ammetto, eppure dovresti aver capito che non puoi tornare a casa -, parlò pacatamente l’uomo, avanzando di due passi e lasciando che la luna ne illuminasse l’austero profilo – Perché è questo che vuoi? Andare a casa, giusto? – Si fermò a tre metri esatti da lei, scuotendo debolmente la testa per poi sospirare – Proprio una bambina testarda… - 

Una strana morsa attanagliò il cuoricino scalpitante della cinese, i cui occhi colmi di lacrime ne appannarono la vista. Non riusciva a distogliere lo sguardo o a pensare a qualcosa di confortevole: ogni qualvolta che quell’uomo apriva bocca, la sua testa si appesantiva e vorticava incessantemente, rendendole ancor più impossibile il semplice respirare.


- Stai abusando della mia pazienza, Lenalee -, riprese quello, sempre squadrandola con le scure pupille pericolosamente assomiglianti a due aghi neri - Questi tuoi tentativi di fuga dalla Home non porteranno a niente, se non a un inutile spreco di tempo. Posso capire le tue ragioni, ma… – Lì, per quanto impensabile, le ombre che ne coloravano la retta figura si inspessirono ancor di più - Penso che una punizione un po’ più severa possa aiutarti a capire finalmente i tuoi errori. -  

I Corvi dai volti celati dalle maschere inespressive inclinarono la testa verso il Sovraintendente, per poi tornare fissi su di lei dopo aver colto da parte del superiore un appena visibile cenno fatto con la testa. Di ordini espliciti non ce ne era mai stato alcun bisogno: gente come quella imparava fin dalla nascita a intuire e a scattare al più flebile dei movimenti, a interpretare e a scovare in minimi gesti, volontà e compiti specifici che chiedevano sempre la massima attenzione, ma tutto quel che Lenalee riuscì a scorgere prima di appallottolarsi a terra per la paura, furono dei fluenti movimenti di tessuto rosso circondarla e avvicinarsi pericolosamente a lei.
Al seguito di ciò, accadde qualcosa di indefinito: un’ esplosione contenuta, l’odore dell’aria fredda mista a del fumo e il sordo tonfo di qualcosa respinto brutalmente…Ma nessun dolore. Nessun bruciore, nessun taglio o botta che la esortasse a singhiozzare ancora. Rannicchiata su se stessa, la piccola cercò di rimpicciolirsi più di quanto il suo corpicino già non le avesse concesso, imprigionata dalla mentale convinzione che quelle persone non avessero ancora infierito su di lei, che il tempo fattosi inspiegabilmente più lungo fosse un’illusione dettata dall’ansia che premeva per concederle qualche secondo in più d’attesa. Eppure il tempo passò ancora e lei  era ancora lì, tremolante, ma straordinariamente illesa.

- Per l’amor del cielo…Si potrà fare tanto chiasso a quest’ora indecente? – Sbottò stanca una voce del tutto sconosciuta.

Accartocciata come una pallina di carta, la piccina dischiuse le ciglia imperlate di lacrime e provò ad andare oltre la coltre dei suoi capelli per spiare l’esterno. Faticosamente, distinse a poco più di due passi da lei, una persona mai vista, ai cui piedi giaceva uno dei Corvi presenti, mentre l’altro era in posizione di difesa, con le carte mistiche pronto all’utilizzo. Tale fu lo sgomento da farle dimenticare di riempire i polmoni d’ossigeno: nessuno era in grado di ferire quelle persone, nessuno. Non li conosceva bene, ma dai precedenti tentativi di fuga aveva avuto modo di saggiare un briciolo del loro sinistro potere, giacché aveva provato stupidamente a usare contro di loro quella forza divina che l’aveva scelta senza saperne controllare le smisurate potenzialità.

Lenalee socchiuse gli occhi, per poi riaprirli rapidamente nel cogliere il radicale cambiamento avvenuto sul volto del Sovraintendente Malcom C. Lvellie. Quel che riuscì a intravvedere oltre la patina acquosa che le inumidiva la vista, strizzò il suo cuore fibrillante a tal punto da prosciugarne il sangue contenuto: aveva già constatato quanto l’affilatezza del suo volto potesse inspessirsi, ma mai aveva visto qualcosa di così inquietantemente intenso. Per quanto quell’uomo orribile apparisse imperturbabile e troppo saldo ai suoi principi per mostrare emozioni che richiamassero la simpatia, il suo viso tendeva ad acuminarsi oltre il limite umano consentito quando l’autorità della sua persona veniva apertamente sfidata da un’altra che non era ben disposta a essere sottomessa. Con le sue fughe, Lenalee Lee lo aveva provocato, permettendole di avvicinarsi impercettibilmente a quel suo aspetto senza però incrinarne la perfetta e decorosa maschera di pelle spigolosa votata al più ossessivo dei decori e dei rispetti etici, ma chiunque adesso il Sovraintendente - che tanto le faceva paura - stesse osservando, doveva essere davvero speciale per rendere così visibile tale sdegno.

- Amèlie Chevalier -, lo sentì poi pronunciare a denti stretti, sibilante e  vibrante di ribrezzo, i pugni dietro la schiena sicuramente stretti fino all’inverosimile – La tua predisposizione a comparire nei momenti meno opportuni sta cominciando ad essere piuttosto seccante. –
- Dipende da che cosa intende con momenti inopportuni, signor Sovraintendente: c’è modo e modo per considerare una data faccenda -, replicò spavalda la nuova arrivata, per nulla intimorita da come l’uomo le si fosse rivolto – Per come la vedo io, questa è più che altro una casuale coincidenza -, proseguì tranquillamente lei – D’altro canto, io ero scesa solamente a prendere un bicchiere d’acqua, come mai avrei potuto immaginare che, passando di qui, avrei trovato i vostri Corvi intenti a fare i bulli? Atto piuttosto deplorevole per la loro immagine, oltretutto. –
Un lieve movimento della mascella di Lvellie irrigidì il sorriso forzato che ne seguì – Vedo che hai sempre una spiegazione per tutto…Esattamente come il tuo maestro -, osservò.
- Chissà perché non riesco a sentirlo come un complimento -, fece la finta ignorante lei, sorridente e con gli occhi rivoltati all’insù.

Lenalee non capiva più nulla, dove fosse o con chi. A fatica riusciva a rimanere lì con la mente, a non isolarsi in una bolla dove vigesse la sicurezza più totale e a seguire quella successione di eventi indefinibili. Successe qualcosa, di nuovo. Un che di una rapidità così lesta da non permetterle di proteggersi con le braccia, ma che la scosse a tal punto da rammentarle di essere sveglia e non partecipe di un altro brutto sogno. Basita, vide il secondo Corvo vicino a quella persona postasi a sua difesa, in procinto di utilizzare le carte mistiche sfoderate, ma con qualcosa di affilato e lucente puntato alla gola. Nonostante la discreta vicinanza, la bambina non riuscì a distinguere cosa fosse di preciso quel bagliore grigio lucente guizzato dal nulla e mossosi così repentinamente da assomigliare alla scia di una stella cometa.

- Abbassa quella mano, se non vuoi che te la tagli. O preferisci forse che ti decapiti all’istante? –

Cosa ne seguì, non le fu ben chiaro: udì parole di consistenza contrastante scagliarsi l’una contro l’altra con presuntuoso astio gelido, fruscii rapidi  e il tipico suono secco di suole dure che si allontanano a passi regolari fino a dissolversi completamente. Un susseguirsi di piccolezze aventi un loro ordine specifico che lei prese e ammucchiò con trasandatezza per via delle fitte alla testa che il troppo piangere le stava procurando. La confusione la spintonava da una parte all’altra, vorticava e si divertiva a farla respirare male: era tutto un echeggiare distorto, interamente svuotato di ogni senso possibile a cui si era inconsciamente aggrappata, per poi cadere in chissà quale altra buca nera
Affondò le dita nei capelli, tirandoseli a più non posso e strizzando le palpebre con tutta la sua forza.

Inutile. Tutto quanto era palesemente inutile.
Lenalee Lee non faceva che affogare in continuazione, andava sempre più giù, senza che i suoi tentativi sortissero un qualche effetto concreto in quella risalita disperata la cui cima neppure era visibile. Ci aveva provato, ma arrivata a quel punto, perfino l’ombra della ragione che l’aveva tenuta in piedi sino all’ultimo si era dispersa di sua spontanea volontà e rivolgersi al proprio riflesso sciupato sarebbe stato altrettanto sciocco.


No…Così era troppo…Non poteva farcela più…

- Dove credi di andare? –

Lenalee cacciò l’urlo più acuto che la sua gola poté permettersi quando prese atto della stretta di un paio di mani attorno alla sua esile vita, che la tirarono indietro senza alcuno sforzo. Era scattata senza motivo, a occhi chiusi, unicamente guidata dall’incontrollabile battito impaurito del suo cuore rinsavito, che non faceva altro che urlarle di fuggire vie il più lontano possibile.

- Calmati, va tutto bene! Non ti voglio fare del male! – La sentiva ripetere con voce calma – Guarda che se continui così, va a finire che Lvellie torna qua. -

Ma Lenalee non ascoltava. Graffiava le braccia sostituitesi alle mani che le serravano il bacino con morbida stretta non spezzabile, si dimenava senza controllo, persa nel desiderio di scappare via da quel posto angusto e buio che non assomigliava per nulla alla casa che oramai viveva solo nei suoi ricordi. Di punto in bianco, era stata catapultata in un mondo estraneo al suo, che pretendeva qualcosa che lei nemmeno riusciva a concepire; anche lì ci aveva provato, a capire, perché convinta che così facendo sarebbe potuta tornare a casa, ma realizzare che non c’era nessun’altra casa in cui tornare e stare, se non quella da cui stava cercando di fuggire, era equivalso alla totale disfatta di tutte le sue innocenti speranze.
Un sentimento trasformatosi in incubo vivo che la spingeva a rifiutare la razionalità, a comportarsi come una perfetta marionetta nelle mani del suo stesso subconscio pronto anche a mordere a sangue le braccia che la tenevano ferma e a urlare fino ad accartocciare i polmoni. Se ne lasciò guidare finché non fu il suo stesso fisico a imporle di fermarsi; smise di darle forza e l’abbandonò inerme, col torace che si alzava e abbassava ritmicamente per lo sforzo, la gola arrossata e bruciante per l’aver espanso troppo la sua voce andata ad esaurirsi e quelle due braccia che la cingevano ancora, nonostante vi si fosse accanita contro con le unghie.
Braccia ferite che finalmente cominciarono ad apparirle meno aggressive di come le avesse figurate pochi attimi prima. L’avvolgevano senza essere brutali, calde, facendo aderire la sua schiena a un torace più grande del suo, che la nascondeva dalla luce della luna. Piccole perle scarlatte e lucenti ne macchiavano la pelle rovinata dai rosei graffi e dai morsi inflitti, congiungendosi in scie che si schiantavano al suolo con suono muto, inesistente. Fu la vista del suo stesso operato e l’eco di una ninna nanna priva di parole che fece rinsavire Lenalee, calmatasi e rilassatasi quanto bastava perché quel morbido e gentile suono le donasse un senso di protezione così rassicurante da farla riappropriare del senso della realtà perduto.  

Ci siamo sfogate per bene? –

Un sussulto da parte sua, ed ecco che i suoi tondi occhi color ametista incontrarono quelli neri e tenebrosi della prima persona che le avesse mai sorriso da quand’era stata condotta all’Ordine Oscuro. Lenalee Lee vi si perse dentro automaticamente, la bocchina dischiusa e stregata dall’oscura brillantezza d’ossidiana incorniciata da lunghe ed altrettanto eleganti ciglia. Il cuoricino non scalpitò per la profondità inquietante di quel colore ormai divenuto predominante nella sua vita, al contrario: le tonde iridi violacee passarono ai contorni delle labbra, piegate in un sorriso, le guance nivee, i capelli così scuri da confondersi con la notte, tutto quello che riuscì a cogliere avidamente…Fino ad arrivare a quello stemma che riconobbe unicamente per la decorosa complessità.

Era in braccio a un’Esorcista, così si chiamavano le persone che lo portavano.

- Mi stavo giustappunto chiedendo chi fosse a sfidare la pazienza di Lvellie così apertamente e in piena notte, ma non avrei mai sospettato che si trattasse di un uccellino tanto piccolo –, ridacchiò quella, estraendo dalla tasca della gonna un fazzoletto – Adesso vediamo di darci una ripulita, ti va? –

Lenalee Lee non rispose. Aveva serrato le labbra pallide e stretto i pugni al petto a più non posso, scombussolata dalla presenza e dall’influenza ipnotica che quella ragazza – oltretutto di una bellezza non ignorabile - stava esercitando su di lei con il solo intento di farla sentire al sicuro. Sarebbe bastato un semplice cenno di testa per risponderle, ma deglutire il groppo di saliva accumulatosi in bocca fu il massimo che la bambina poté permettersi; chiunque fosse quella persona venuta in suo aiuto, le impedì di parlare e di reagire con il solo reggerla fra le braccia, permettendole così di scostarle i capelli dal viso e pulirlo dalla polvere finitaci sopra.

- E chi immaginava che sotto tutti questi capelli ci fosse una bambina? E bellina, anche -, sorrise dolcemente quella – Io sono Amèlie, piacere di conoscerti. – 




- Amèlie-san! – 

Lenalee si lanciò verso la più grande con un tale slancio, che quando riuscì ad abbracciarla quasi caddero entrambe all’indietro.
Di tutte le sorprese che quel lungo viaggio avrebbe potuto loro riservare, rivedere una persona cara come Amèlie Chevalier rappresentava per Lenalee Lee una gioia incommensurabile, grande quanto il tornare alla Home e riabbracciare il suo Nii-san ancora una volta. Uno strano calore invase il petto di Allen nel vedere quella scena così carica di emozione; era troppo lontano per scorgere i volti di entrambe, ma nutriva la certezza indiscutibile che quello della sua amica cinese fosse velato di una felicità tanto sincera e pura, da facilitare la venuta di quelle lacrime trattenute unicamente per non apparire debole. Lo riuscì a immaginare fin troppo bene, quel sentimento già sperimentato tanto tempo addietro, a percepirlo sulla sua pelle e sulle ossa soltanto guardando come Lenalee abbracciava la francese e veniva ricambiata. Ci sorrise sopra con il ricordo affettivo di Mana a scaldargli piacevolmente i contorni rossastri del pentacolo maledetto recato sulla parte sinistra del suo volto.




La Casa del Piacere di Anita era una delle più rinomate e ricercate di tutto il Canton. Un locale appariscente, con luci sgargianti e colori sfarzosi che neppure l’arcobaleno e l’aurora boreale potevano eguagliare e, non meno importanti, schiere di affascinanti donne pronte a regalare piacere agli uomini che chiedevano giusto quelle attenzioni che a casa non ricevevano. Pareti, tende, quadri, soprammobili…L’intero arredamento richiamava quello stile tipicamente orientale, velato dal dolce profumo d’incenso floreale e organizzato in un ordine che conteneva l’apparente eccesso in una raffinata sobrietà di cui mai nessun cliente aveva osato lamentarsi. Al pari della Rosa Nera, forniva spettacoli, prestazioni e personale che valeva tutti i costosi prezzi del listino base: la qualità del Dragone Imperiale non era certo paragonabile a quella di una bettola lercia e Anita era una donna fin troppo bella ed elegante perché qualcuno avesse il coraggio di criticare la sua magione.
Gli Esorcisti erano stati condotti al suo cospetto ancor prima che avessero il tempo di spiegare la loro presenza lì, venendo ragguagliati sulle novità inerenti al Generale Cross: il furbastro era già diretto a Edo, come già aveva sospettato Amèlie, ma ciò che aveva sorpreso tutti quanti, era stato l’apprendere che la nave su cui l’uomo viaggiava era stata attaccata nel pieno dell’attraversata.

- Figurarsi se il maestro si lascia mettere i piedi in testa da un paio di Akuma -, borbottò Allen, al solo ripensarci – Quello non muore neppure se lo si ammazza. –
- Lo dici come se la cosa ti scocciasse… -, gli fece notare Lavi, ricordandosi del lato oscuro e sinistro che l’inglesino nascondeva sotto quel viso apparentemente angelico.

L’albino non diede spiegazioni, appoggiando sopra la testa una pezza d’acqua fresca e immergendo il corpo nell’acqua calda fino alle spalle. Lui, Lavi, Crowley e Bookman si stavano godendo un lungo e rilassante bagno termale che Anita aveva offerto sia a loro che alle ragazze, nel mentre si ultimavano i preparativi per il viaggio. La partenza era fissata per quella sera stessa e le poche ore a loro disposizione per rilassarsi sarebbero state le ultime, molto probabilmente. Godere dei benefici di quell’acqua pura e profumata seppe quasi d’obbligo nei confronti del suo fisico, per non parlare del suo umore particolarmente provato. Pensare a Marian Cross lo faceva quasi sempre cadere in uno stato che oscillava fra la disperazione e la rassegnazione e la possibilità effettiva di incontrarlo in Cina – sfumata in meno di ventiquattro ore – aveva messo a dura prova la sua resistenza emotiva: gli incubi scaturiti da determinati momenti dell’apprendistato appestavano i suoi sogni e lo perseguitavano con la stessa efficacia di una maledizione millenaria, un tormento che negli ultimi giorni ne aveva depresso lo spirito sino ad appiattirlo.
Ma credere che si fosse fatto uccidere dagli Akuma…No, non esisteva, era follia allo stato puro. Allen conosceva il maestro sufficientemente da saperne elencare ogni singolo e mostruoso difetto, ma di una cosa era indubbiamente sicuro: Marian Cross non era una persona che si poteva sconfiggere con qualche proiettile andato a segno.

Poco ma sicuro, lì attendeva a Edo.




E’ accaduto all’incirca otto giorni fa: la nave su cui viaggiava Cross-sama è stata assalita dagli Akuma. Non si hanno più sue notizie da allora. –

Ridicolo. Assolutamente ridicolo.
Amèlie Chevalier era restia a trovare altri aggettivi che potessero meglio definire la presunta scomparsa del generale. L’intera faccenda rasentava la più totale delle assurdità, sebbene l’attacco di un gruppo di Akuma fosse sempre qualcosa da non prendere sottogamba. Le Bambole del Conte del Millennio, si sapeva, erano insidiose, ma l’Esorcista in questione non era un novellino alle prime armi, bensì un uomo armato di revolver capace di sparare sei colpi in uno alla velocità della luce e riluttante a morire in un posto che non fosse il letto di una bella donna.
Neppure tutte le macchine al servizio di quella palla di lardo ambulante sarebbero riuscite a mettere in ginocchio un cane arrogante e orgoglioso come l’ex-maestro, figurarsi ucciderlo! E poi, per dirla tutta, se anche si fosse fatto veramente ammazzare – cosa già di per sé impensabile -, la sola persona che avrebbe potuto reclamare lo stramaledetto e sacrosanto diritto di scendere giù negli inferi, massacrare di botte e trascinare il suddetto per i capelli in superficie fino a decapitarlo nuovamente per l’essersi fatto ammazzare come un’idiota, era solo lei!

- Tsk! -
- Di cattivo umore, Amèlie-chan? –

La voce di Anita raggiunse le sue orecchie con suono dolce e tranquillo, accompagnato da un leggero movimento d’acqua calda. Il bagno riservato alle donne era un’enorme sala con piastrelle lucide e perlacee, decorato con statue orientali raffiguranti dragoni e pesci di giada bianca dalle cui bocche uscivano getti d’acqua bollente. La Maitresse della Rosa Nera aveva sempre apprezzato il buon gusto della collega del Dragone Imperiale e la sua scelta di materiali cesellati d’alto valore estetico. Anita era più grande di lei di qualche anno, una collaboratrice dell’Ordine Oscuro che, esattamente come lei, vantava una copertura dalle entrate cospicue sempre necessitanti di attenzioni costanti. La differenza che si frapponeva fra un volgare bordello di bassa lega e una Casa del Piacere non stava unicamente nell’offrire su un piatto d’argento un paio di prostitute, qualche camera con il letto ancora sfatto e un bagno più sudicio delle fogne: lì si trattava di offrire un servizio, di osare.

Il perché la Rosa Nera vantasse una lista di clienti piuttosto influenti nella società era dovuto alla sua capacità di accontentare desideri che la mente umana negava di avere fino a che non era del tutto sicura che nessuno ne sarebbe mai venuto a conoscenza, di offrire il godimento nelle sue forme più appaganti e costose…Uno stile di vita capriccioso e temporaneo dove non c’erano problemi che tenessero. Una volta varcato il grande cancello di ferro, tutto diveniva possibile grazie al semplice denaro contante.
C’era chi, non del tutto soddisfatto dell’esibizione pubblica delle ballerine, ne richiedeva una privata e pagava un ingente extra per servizi di maggiore lusso che comprendevano – fra le molte cose - il farsi imboccare con del filetto di pesce affumicato con fantasia caviale da una delle ragazze, mentre le altre ballavano.
C’era chi, nel soggiornare più di una settimana, chiedeva di essere servito unicamente da una cameriera scelta o richiedesse l’esclusiva compagnia di un’intrattenitrice che lo accompagnasse nel suo giro d’affari.
C’era chi preferiva le attenzioni di un ragazzo anziché di una ragazza nel proprio letto.
C’era chi desiderava che la propria figlia fosse ben preparata per il grande debutto aristocratico e dunque a quel mondo dove un buon partito e una posizione benestante incidevano sul resto della propria vita. E c’era chi, desideroso di godere di privilegi speciali, ambiva alle personali premure della padrona di casa, la cui presenza ai party più in voga e pittoreschi della città era motivo di chiacchiere.
Le esigenze erano molte, ambigue, tutte vincolate dal segreto professionale che quelle mura avevano il saldo compito di tenere per sé; bisognava trattarle con la massima delle attenzioni, ma senza perdere la propria integrità. Una cosa che univa Anita e Amèlie – oltre quel legame d’amicizia fraterna e l’essere diventate donne precocemente -, era l’opinione che nessuno dei loro dipendenti si lasciasse trascinare dalla stupida convinzione che chi vende il proprio corpo sia da rimproverare. A volte era necessario mettere da parte una fetta del proprio orgoglio per proteggere il restante, entrambe lo avevano imparato, essendo loro le leader, ma il rispetto per se stesse…Il rispetto in generale che una persona nutriva per se stessa…

Se un uomo o una donna lo perdeva era come andare alla deriva e rifiutarsi di lottare contro il mare in tempesta. Un comportamento che Amèlie non era mai stata disposta ad accettare nel suo ambiente, così come Anita. Quanto a quegli esempi elencati…Non erano che alcuni dei molteplici desideri che la Rosa Nera trasformava in realtà quando la notte calava e le sue luci scintillavano nella notte. Esempi che anche il Dragone Imperiale provvedeva a concretizzare con servizi esotici e qualità pressoché impeccabili. Tuttavia, Anita non era così sciocca da scordare l’evidenza, quell’abissale differenza che la divideva dalla francese molto più di quanto facessero gli oceani con i continenti.

Lei era una semplice Supporter dell’Ordine Oscuro, Amèlie un’Esorcista.
Lei raccoglieva informazioni e dava rifugio ai membri dell’organizzazione, se necessario; Amèlie invece si era aperta una finestra sulla perversione, la crudeltà e la totale mancanza di scrupoli che inquinava l’essere umano suo artefice, a volte sporcandosi le mani di sangue e silenzi che inghiottiva in notti insonni, osservando con occhi tenebrosi l’ipocrisia della Santa Chiesa dietro cui avrebbe potuto benissimo nascondersi e da cui invece preferiva tenersi distante con altezzosi comportamenti che meglio esprimevano l’indole nobile e battagliera che molti le invidiavano e le criticavano. La caccia ai Broker equivaleva al più innominabile dei tabù e Anita ne evitò l’intavolazione per timore di commettere qualche stupido errore, giacché la contrarietà espressiva della francese pareva volerla pungere per una qualche colpa.
Dischiudendo lei iridi nere, la suddetta incontrò le sue amichevoli e zaffirine, che l’avevano osservata a lungo e in silenzio, ben immaginando quale potesse essere la ragione di tanti sbuffi trattenuti a stento. Anche Lenalee, prima di congedarsi, aveva avuto modo di notare come l’amica avesse perso qualche grammo della sua naturale compostezza; non occorreva essere un luminare per capire che nella mente di Amèlie si erano annidati pensieri omicidi, irritanti ed esasperati, il cui unico punto in comune aveva preso il largo solo per evitare la castrazione.

- Suvvia, non prendertela come qualcosa di personale: sapevi che Cross-sama fosse partito da molto prima che tu e gli altri Esorcisti arrivaste -, cercò di rabbonirla lei.
Un luccichio stizzito guizzò nello sguardo nero della ventiseienne, che si concesse un secondo per sorseggiare il bicchiere di Château d'Yquem, arricciando le labbra all’interno della bocca - Mi credi così sciocca da prendermela per una cosa del genere? Sapevo perfettamente che non avrei trovato quella faina nemmeno pregando -, le rispose, osservando il liquido ambrato ondeggiare nel bicchiere di cristallo. Neppure il sublime contrasto fra acidità e dolcezza di quel vino francese tanto pregiato appianò la sua disapprovazione – Quello che non mi va tanto giù e che non mi sarei mai aspettata, è essere stata pugnalata alle spalle da te –, aggiunse poi.
- Immaginavo che l’avresti detto -, sospirò sorridente la cinese, come se il cruccio torvo di Amèlie non l’avesse colpita – Ma come tu hai le tue buone ragioni per arrabbiarti con me, io ho avuto le mie per non dirti nulla, Chibi-chan. –
Lì mancò poco che il bicchiere scivolasse via dalle mani dell’Esorcista - Je ne sais pas…Qu'est-ce que l'enfer!* – La si sentì sbottare con le guance arrossate per il calore - Ti sarei tanto grata se non mi chiamassi con quello stupido appellativo –, sibilò irritata la corvina, dopo essersi presa una decina di secondi per respirare e al tempo stesso far roteare le pupille nere e assassine sull’amica, fulminandola.
- Eh eh! Scusami: dimentico sempre che non ti piace essere chiamata così -, ridacchiò la più grande – Forse avresti preferito discutere dell’argomento bevendo della tequila, ma ho pensato che un vino costoso del tuo paese natale avrebbe addolcito meglio la pillola. –

 Amèlie non rispose, preferendo non esternare ulteriormente il proprio umore provato e godere dell’intenso aroma del vino offerto. Anita dovette coprirsi con un pugno la bocca per non dare a vedere quanto divertimento avesse suscitato la reazione a stento contenuta della collega. La deliziosa semplicità di quel nomignolo affibbiatole dal Generale aveva ancora il potere di mandare in bestia la francese, nonostante fossero trascorsi diversi anni dall’ultima volta che era stata chiamata a tale modo.

- Te lo ha chiesto lui? Di tacere e tutto il resto? – Le domandò quest’ultima, riprendendo in mano il discorso di prima. Appoggiò il bicchiere sul bordo vasca per evitare di fare danni.
Un altro risolino scappò fuori dalle labbra della cinese involontariamente – Se anche non me lo avesse chiesto, la questione sarebbe rimasta la stessa e lo sai meglio di me. –
- Certo che lo so… -, borbottò l’Esorcista, appoggiando la schiena contro il muro nel tentativo di rilassarsi – Volevo solo verificare di persona il tuo stato d’animo. -
- Cosa? -

Amèlie la ignorò sulle prime, passandosi lungo le braccia, il torace e le spalle l’essenza alla menta mescolata all’acqua calda. In qualità di donna con la testa sulle spalle, sapeva riconoscere il momento della resa e quella conversazione non le avrebbe detto nulla che già non conoscesse, non con Anita che la fronteggiava con quel sorriso. Aveva imparato a conoscerlo in tutto il suo graduale ampliamento, a coglierne le particolarità a seconda delle situazioni: era una sfida persa in partenza, colma di sentimenti che comprendeva e rispettava più di chiunque altro e che facevano risplendere il volto dell’amica di luce incorruttibile.
Ma questa volta non era lei a essere svantaggiata, in stallo o con le spalle al muro, almeno per il momento. Aveva scorto dell’altro, in Anita, di così lampantemente visibile da rendere superfluo qualsiasi rimprovero per cotanta noncuranza. Altro che aveva cercato di nascondere palesemente dietro la dolce cortesia orientale e che invece i suoi occhi blu-zaffiro avevano lasciato trapelare con velo malinconico.

- Mahoja me lo ha detto prima di entrare, ma ho notato subito che avevi qualcosa di strano –, continuò placidamente la francese – Prima che Allen-kun ti rassicurasse sul fatto che Cross non è il tipo d’uomo capace di morire per mano degli Akuma, avevi creduto per davvero che ci avesse rimesso la pelle in quell’attacco, non è vero? –

Non ci fu modo per la Maitresse del Dragone Imperiale di negare l’evidenza. Amèlie conosceva la sua storia e quella di sua madre, entrata a far parte dell’Ordine Oscuro come collaboratrice perché innamoratasi a prima vista del Generale Marian Cross, così come conosceva i suoi sentimenti verso l’uomo, quindi tergiversare o, peggio ancora mentire, sarebbe stato sciocco e insensato. Il suo cuore era spoglio di complessità come lo era stato quello della parente e il rendersi conto di amare quella persona, non le aveva neppure dato il tempo di comprendere razionalmente come fosse stato possibile. Da un giorno all’altro aveva raccolto un’eredità, si era lasciata prendere e trascinare al largo esattamente come era capitato a sua madre, stranamente consenziente e incurante di quello che sarebbe potuto capitarle.

- Non mi è sembrato vero, quando ho ricevuto quella segnalazione -, confessò la più grande, raccogliendo le gambe al petto – Mi aveva detto che il viaggio a Edo avrebbe potuto essere difficoltoso, ma quando ho visto le registrazioni di tutte quelle carcasse di Akuma e i resti della nave…Non so…Ho creduto di morire. Invece, tu e Allen... –, si ritrovò a dire, abbozzando un flebile ed amaro sorriso – Voi due non avete avuto la benché minima esitazione a sostenere che lui fosse vivo, lo conoscete così bene da non avere dubbi sul suo riguardo. La fiducia che nutrite nei suoi confronti mi ha fatto capire quanto fossi stata stupida ad arrendermi così, alle prime armi. Mi sono sentita un po’ immeritevole di tutti i momenti che ho passato insieme a lui, per questo ho deciso che avrei accompagnato tutti quanti voi a Edo personalmente. -

Amèlie la ascoltò in silenzio, cogliendo la determinazione e la sincerità di ogni sua singola parola. Una donna forte e indipendente come Anita, morbida e al tempo stesso armata di una refrattarietà dura come l’acciaio, difficilmente concedeva a occhi estranei di spiare ciò che serbava nel suo animo nascosto da lunghi e raffinati furisode* di seta colorata. Lasciare che il proprio cuore venisse condizionato da un essere di dubbia moralità e di carattere sfiorante la più esasperante delle enigmaticità era stata una sorpresa anche per lei stessa, perfettamente conscia inoltre di quell’attinenza ad amare le donne da cui avrebbe dovuto stare ben lontana. Aveva visto sua madre invaghirsi ingenuamente, ma soltanto covando sentimenti ed emozioni identiche alle sue, calde e pulsanti come il muscolo che le batteva in petto, era giunta a realizzare quanto il suo riflettere su come mantenersi lontana da una simile trappola, in realtà, ce l’avesse fatta finire dentro con più rapidità del previsto.

- Preferirei che non lo facessi -, le consigliò mesta Amèlie - Laggiù c’è l’Inferno e certamente non è posto per gli umani. -
Un flebile sorriso comparve sulla bocca della Supporter – Anche Cross-sama me lo ha detto. –
- Ma tu lo partirai ugualmente -, mormorò l’amica.

Lo avrebbe fatto, ne era sicura, anche se si fosse messa a stilarle tutte le buone ragioni di quel mondo per non cimentarsi in una simile impresa. Un cuore innamorato è cento volte più cocciuto di una testa calda e Amèlie Chevalier ne era pienamente cosciente quanto Anita stessa.

- Quando qui si parlava di Amèlie-chan, la faccia di Cross-sama cambiava sempre: diventava molto strana e ammetto che un pochino ero invidiosa. – Anita confessò quel minuscolo segreto col sorriso sulle labbra  – Io non sono un Esorcista e non posso scendere in prima fila come fai tu, ma mia madre è entrata nell’Ordine Oscuro perché si era innamorata del Generale e voleva essergli d’aiuto, e anch’io desidero tutt’ora fare qualcosa per lui -, proseguì con voce sicura e al tempo stesso gentile - Il credere che fosse morto…Perdere la voglia di vivere…Arrendendomi, ho offeso la fiducia che lui mi ha regalato con quelle parole e mancato di rispetto alla figura di mia madre. Per questa ragione devo partire: sento che devo farlo, soprattutto per me stessa, altrimenti mi porterò questo grosso rimpianto fino alla fine dei miei giorni. Voglio essere forte. – 




Note di fine capitolo:
1*: Non mi…Che accidenti!
2*: Furisode: è un tipo di kimono decorato indossato prevalentemente dalle ragazze fino al loro venticinquesimo anno di età, durante le cerimonia di passaggio di maggiore età di queste ultime o da donne di famiglia non sposate.
Eccomi! Finalmente ho fatto arrivare il gruppo da Anita! Personalmente amo questo personaggio, benché abbia fatto una fugace comparsa nel manga e devo dire che questo capitolo ha visto un mucchio di correzioni e aggiunte proprio per darle una rappresentazione degna del suo nome. Il nome del suo bordello l’ho inventato, ho cercato l’originale, ma non l’ho trovato (non so se sia menzionato o meno da qualche parte), ma sono orgogliosa comunque del nome che ho scelto. Su Lvellie c’è tanto da dire e tutte cose ben poco lusinghiere: sappiate solo che Amèlie e questo tizio alla Hitler si odiano, e più avanti lì farò “scontrare”: d’altro canto, Amèlie, come si definirà più avanti, è una persona che se le si toccano le cose care, può diventare molto cattiva e non essendo addomesticabile riscontra non poche critiche. Qui ho giusto dato un assaggino per spianare il terreno. Sul francese, se qualcuno lo conosce e trova delle incongruenze, chiedo umilmente scusa, ma la mia sapienza si rifà al traduttore, in quanto io non l’ho mai studiato in vita mia! Alla prossima! Spero di non dovervi far attendere molto!

Un ringraziamento speciale a MBCharcoal, autrice di “Unwritten Bonds”, che è stata così carina da farmi un disegno di Amèlie ^^: http://ciril09.deviantart.com/art/Amelie-408206050
E un secondo ringraziamento speciale alla Strega di Ilse, per aver apprezzato la mia One-shot sulla sua vecchia coppia KandaxYuki di Broken Mask ^^.
 
 
  
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