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Quando,
nel bel mezzo della notte, il maggiordomo lo venne a
svegliare, mentre riposava sotto una coltre di coperte e fumo di
sigari,
sobbalzò per la sorpresa: “Chi diavolo
è a quest'ora?!"- biascicò con la
bocca impastata, con lo strano accento che si portava dietro da un bel
po' e
che non era riuscito a far sparire nonostante vivesse a Parigi da
più di dieci
anni.
-"è un uomo signore...dice che è importante. La
aspetta nello
studio."- disse con calma l'inserviente, che come il suo padrone non
vedeva l'ora di tornare nel suo agognato letto.
-"Non ha detto
il suo nome? Insomma vengo svegliato nel cuore della notte...vorrei
almeno
sapere chi attenta al mio riposo!"- il daroga stava perdendo la
pazienza,
mentre si infilava la vestaglia e le pantofole.
-"è
un uomo strano... Non ha voluto nemmeno darmi il
soprabito. É coperto da capo a piedi da un mantello nero
e..."- l'uomo
venne interrotto.
-"non c'è bisogno che tu aggiunga altro... Anzi, torna a
dormire. Me la
caverò anche senza i tuoi servigi."- sbuffò e
recuperando la pipa dal comò
uscì dalla camera da letto seguito dal maggiordomo, che
tornò di buona voglia a
dormire.
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Erik si guardò attorno mentre aspettava con impazienza che
il daroga lo
ricevesse: lo studio in cui l'inserviente l'aveva fatto accomodare, era
abbastanza grande con una grande finestra alle spalle del tavolo
dov'era seduto
e due grandi scaffali di legno scuro pieni di libri dalle coste
variopinte e
impolverate, che occupavano due lati della stanza. Lo stile parigino
imperava,
ma ad un occhio più attento, non potevano di certo sfuggire
i particolari
orientali: i tappeti persiani, le sciabole appese sul camino e un
copricapo di
foggia indi poggiato sul capo di un busto marmoreo.
Certo, il lusso di quella stanza o di quella casa, non potevano di
certo essere
paragonati alla magnificenza della corte dello scià, dove i
pasti venivano
consumati in piatti d'oro e si vestiva con seta e gemme preziose, ma in
fin dei
conti il daroga non se la passava tanto male.
Lo sentì aprire la porta e venire verso di lui: non
gli piaceva che gli
si arrivasse alle spalle, così si alzò in piedi e
si voltò verso il suo
ospite.
-"Le cattive maniere sono dure a morire a quanto vedo... Chi ti ha
insegnato a svegliare la gente nel bel mezzo della notte? Cosa
c'è di tanto
urgente da non poter attendere domattina?"- mise la pipa in bocca e
premette il tabacco dentro, in attesa di una risposta ed infine si
accomodò
sulla sedia difronte a lui.
-"Me ne sto
andando. "- lasciò quella frase in sospeso, aspettando che
Nadir la
raccogliesse e ne capisse il significato.
-"Cosa
vuol dire me ne sto andando? O meglio che
significa?"-
-"Significa che metterò quanta più distanza
possibile tra me e Parigi, tra
me e l'Operá, tra me e Christine..."- l'ultima parte fu
quasi un
sussurro.
-"Non avevi già chiuso con madamoiselle Daee?!"- chiese
l'altro
curioso.
-"Credevo fosse così ma...c'è stata una svolta
inattesa, non pensavo
potesse finire così!"- la voce gli tremava e il daroga
cominciò a
preoccuparsi.
-"Così come?"- si mosse veloce sulla sedia, tenendosi ai
braccioli si
sporse verso Erik.
-“È
tornata da me
stanotte. Ho cercato di mandarla via, ma lei mi ha supplicato di farla
restare
e alla fine ho ceduto... L'ho fatta mia."
-"Erik! Come hai potuto? Hai oltraggiato la virtù di quella
povera
ragazza!"- Erik rise fra se a quell'affermazione: povera ragazza? Ma se
era stata lei a convincerlo a fare quello che avevano fatto!
-"Hai
capito male. L'ha voluto lei!"- lo disse con
calma, ma l'affermazione successiva del daroga lo seccò.
-"Non
avresti dovuto permetterle di compiere un tale
gesto..."
-"Sotto questa maschera si nasconde un uomo come tutti gli altri,
Nadir,
schiavo delle passioni e con l'orecchio affilato, pronto ad accogliere
il
richiamo della carne! Come pensi che avrei potuto tirarmi indietro dopo
tutto
quello che è successo, dopo tutto quello che ho passato per
lei? Era lì, così
bella e giovane davanti ai miei occhi, ed era consenziente, non l'ho
trascinata
io laggiù; mi sorrideva e non piangeva come l'ultima volta
che l'ho vista!
Nemmeno nei miei sogni più sfrenati ho immaginato quello che
è successo
poi..."- lasciò il discorso in sospeso, senza aggiungere
altro: sapeva
che, da uomo di mondo qual era, il daroga avrebbe capito.
Infatti
Nadir non disse nulla in proposito e si limitò a
fissarlo, assorto, mentre aspirava dalla pipa. Preferiva di gran lunga
i
sigari, ma sapeva che l’odore dolciastro infastidiva oltre
ogni dire Erik.
Dopo
un paio di minuti di silenzio, scandito solo dalla
pendola nel salotto dietro la porta, il daroga si affrettò a
parlare: “Beh alla
fine hai avuto quello che volevi... Lei ormai è tua."
-"No,
ho avuto solo un assaggio del tormento infinito
che mi sarà inflitto.”- rise cinico, sapendo che
d’ora in avanti avrebbe
sofferto ancora di più per la separazione; ma cosa poteva
farci, l’aveva voluto
lui, da perfetto masochista qual era.
-“Insomma
non riesco a capire! Perché mai te ne stai
andando? Lei vuole stare con te, non è quello che hai sempre
voluto?”- chiese
interrogativo il daroga, alzando un sopracciglio folto e nero.
-“Si,
ma come avrei mai potuto tenerla con me nei
sotterranei dell’opera? Che futuro avrebbe avuto al mio
fianco? Non posso
permettere che viva in quell’ambiente malsano, a contatto con
i topi. Perirebbe
in poco tempo e io mi ritroverei più sventurato e distrutto
di come sono ora!”-
il suo sembrava quasi un lamento di frustrazione.
-“Quindi?
Cosa intendi fare?”-
-“Sono
disposto a lasciarla andare, a lasciare che sposi il
visconte: so che ama me, ma lo faccio solo per lei. Nadir, devo
chiederti un
favore. Questa è l’ultima volta che mi vedrai: con
quest’ultima azione pagherai
il tuo debito nei miei confronti!”-
-“Di
cosa stai parlando?”-
-“Hai
forse dimenticato di esser stato tu a condurre il
visconte giù nel mio nascondiglio? Hai avuto salva la vita
solo perché una
volta fosti tu a salvare la mia…”- per un attimo
il suo tono di voce s’incupì
tornando quello di sempre.
-
“D’accordo. Dimmi pure.” - Nadir non
aveva scelta.
-“Chrisitne
è ancora lì. Crede che al suo risveglio mi
troverà ad attenderla per condurla ovunque io voglia, ma non
sarà così. Devi
dirle che me ne sono andato e che non tornerò mai
più a rovinarle la vita.
Riaccompagnala a casa, dai De Chagny, prima dell’alba: oggi
si celebreranno le
nozze e se quei nobili dovessero venire a conoscenza della sua fuga
notturna,
la getterebbero in mezzo alla strada, senza preoccuparsi più
di tanto della sua
sorte.”- prese fiato –“Fallo per me
Nadir, poiché non ho la forza di farlo da solo.”-
dicendo questo si alzò, avviandosi alla porta e Nadir lo
seguì fin sull’uscio
di casa.
-“Buona
fortuna Erik.”- disse mentre il fantasma dell’opera
si inoltrava nell’aria fresca della notte.
Erik
si voltò a guardarlo e sorridendogli mestamente, scomparve
nell’ombra.
Quella
fu l’ultima volta che il daroga lo vide.
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Un
senso di beatitudine ed appagamento, cullavano Christine,
che riposava nell’enorme letto della stanza Luigi Filippo.
Nella sua mente si
affollavano centinai di domande: come avrebbe dovuto comportarsi al suo
risveglio? Cosa avrebbe dovuto dire? Erik sarebbe ancora stato
d’accordo a farla
rimanere?
Quei
pensieri erano così insistenti che la costrinsero a
svegliarsi, per renderli certezze. Nella stanza, regnava un
inspiegabile
silenzio e nemmeno dal resto della dimora sul lago provenivano suoni o
rumori;
una sola candela bruciava e spandeva la sua tenue luce sui contorni
sfocati del
mobilio. Provò a chiamarlo, ma nessuno rispose.
Si
alzò preoccupata dal letto e avvolgendosi nelle lenzuola
scure, prese la candela e cominciò ad ispezionare la dimora.
Niente. Nessun
segno. Stava per cadere preda dell’inevitabile sconforto,
quando, tornando
nella stanza Luigi Filippo, notò sul piccolo comodino dove
era poggiata la
candela, una busta da lettere bianca, con un sigillo di ceralacca rosso.
La
prese: sul dorso c’era scritto il suo nome, vergato nella
fluente ed elegante grafia di Erik.
Tremando, si accomodò sulla sponda del letto e alla luce della candela, l’aprì e cominciò a leggere.
Amata
Christine, ti starai chiedendo dove sono e perché non sono
al tuo fianco a
dirti che andrà tutto bene. Beh la risposta è che
non ce l’ho fatta, sono
andato via. Non avrei potuto lasciare che tu sprecassi la tua giovane
vita per
me, con me. Ti lascio perché ti amo troppo e sapere che
avrai una vita felice
al fianco del visconte, alla luce del sole, mi rende allo stesso tempo
felice e
disperato. Vivrai più a lungo lontano da me e dalle tenebre
che mi porto
dietro, all’ombra della mia follia saresti perita in un
battito di ciglia e io
mi sarei ritrovato più sofferente di prima, sapendo che la
tua infelicità era
causa mia.
Ti
starai anche chiedendo come ho potuto abbandonarti dopo quello che
è successo e
non posso fare a meno di pensare che crederai che io sia un bieco
usurpatore,
che si è approfittato impunemente di te. Sappi che quello
che è avvenuto tra
noi è stato dettato semplicemente dall’amore, non
dalla lussuria o dalla
passione, ma solamente dal profondo sentimento che nutro per te e che
sempre
nutrirò. Rimarrai sempre nei miei pensieri mio piccolo
angelo, non dimenticherò
mai la voce e il volto della donna che mi ha accompagnato verso la luce.
Spero
tu comprenda il mio punto di vista e che non mi maledica per le mie
azioni.
Addio
Christine, abbi cura di te.
Per
sempre tuo, Erik.
Continuò
a leggere e rileggere quella lettera per
comprenderne il senso, finché le lacrime non le riempirono
gli occhi e le
offuscarono la vista. Il lamento di disperazione si
trasformò lentamente in un
pianto incontenibile: violenti spasmi la scuotevano e il respiro le
usciva
irregolare, con piccoli rantoli. Si accasciò
sull’enorme letto meditando sul da
fare, mentre brividi e convulsioni febbrili la sconquassavano come un
vento
tempestoso che si abbatte su un albero già mezzo sradicato.
Si
calmò solo molto dopo e alzandosi come un marionetta
mossa da fili invisibili, si avviò verso il lago, decisa a
farla finita con
quella vita così dolorosa e complicata, che non le lasciava
nemmeno il tempo di
respirare che le si avventava contro.
A
piedi nudi sulla terra battuta e polverosa dei
sotterranei, si accostò all’acqua paludosa con
occhi vacui, persi lontano, nei
ricordi felici della sua infanzia: il padre la salutava dalla spiaggia
di
Perros e il vento trasportava la voce dolce della madre, che le cantava
una
dolce ninnananna.
Non
si accorse nemmeno che un passo dietro l’altro era entrata
fino al busto nel liquido scuro del lago: solo un altro passo, sarebbe
sprofondata e non si sarebbe sottratta alla stretta letale della morte
che le
succhiava via l’aria dai polmoni.
-“Madaoiselle
Daee!”- una voce la riscosse dai suoi pensieri
fatali.
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Dieci
anni erano passati da quella maledetta notte buia e
senza luna. Il daroga, Nadir, l’uomo che l’aveva
fatta desistere dal togliersi
la vita e che in seguito l’aveva riportata a villa De Chagny,
le aveva
confermato ulteriormente le decisioni di Erik e le aveva augurato ogni
bene,
sparendo nella bruma delle prime luci dell’alba. Da quel
lontano giorno non
aveva rivisto né lui né il suo maestro.
Alla
fine aveva sposato Raoul, ignaro del suo tradimento, e
la loro vita matrimoniale era trascorsa tranquilla, allietata dalla
nascita di
un figlio nove mesi precisi dopo il giorno delle nozze, instillando in
Christine
il dubbio sulla paternità del bambino.
Gli
ultimi due anni però, erano stati terribili: la famiglia
De Chagny aveva perso gran parte del suo patrimonio e le
attività familiari non
fruttavano più quanto si sperava. Raoul era diventato sempre
più dispotico e
nervoso; la vecchia contessa De Cagny deperiva a vista
d’occhio a causa di
quella situazione e Gustave, il piccolo erede, viveva in quel luogo
desolato,
assorbendo il peggio dei familiari.
Un
giorno, qualche mese prima, era giunta l’occasione per
rimpolpare il conto che i De Cagny tenevano sotto chiave alla Banca
Centrale:
un imprenditore americano, aveva appena fatto costruire il nuovo teatro
dell’opera di New York e voleva che Christine, insieme ad
altre stelle della
lirica mondiale, inaugurasse l’immensa sala con la sua voce.
Raoul
aveva accettato per lei e poi aveva fatto pervenire un
telegramma all’imprenditore, che da parte sua aveva inviato i
biglietti per il
viaggio transatlantico.
Mancava
un giorno alla partenza: quella stessa sera avrebbero
preso un treno alla Garde du Nord per raggiungere la costa atlantica e
da lì
avrebbero preso poi la nave che li avrebbe portati a New York.
Christine
era intenta a sistemare i bagagli per il lungo
viaggio e il piccolo Gustave, girava entusiasta in biblioteca alla
ricerca di
un libro da portare con se per passare il tempo, quando Raoul giunse
trafelato
a richiamarli: “Insomma Christine, sei pronta? La carrozza
è pronta e non
possiamo tardare più…Gustave!”-
chiamò il bambino che, spaventato dalle reazioni
paterne, accorse subito.
-“Sei
pronto tesoro?”- gli chiese la madre amorevolmente.
-“Si,
maman.”-
-“Allora
possiamo andare. Va a salutare la nonna e poi
scendi giù.” - il bambino obbedì celere
ed uscì dalla stanza, mentre il
maggiordomo entrava per raccogliere le valigie e portarle nella
carrozza.
Raoul,
dopo tanto tempo, prese sotto braccio la moglie e
l’accompagnò giù per lo scalone
centrale e poi alla carrozza. Gustave arrivò di
corsa e saltò su, sotto lo sguardo severo del padre:
“Non vedo l’ora di
salpare!” - sorrise svelto alla madre e abbassò
veloce lo sguardo quando il
padre gli rivolse un’occhiata in tralice.
-“Si tesoro,
anch’io.”- Christine sorrise al figlio e si
voltò un’ultima volta a guardare la grande villa
bianca alle sue spalle con la
strana sensazione che non l’avrebbe più rivista.
THE
END
AngolinodiFarah: no
comment su questo capitolo che arriva
dopo tipo quattro mesi di silenzio stampa; avevo promesso che sarebbe
finita
entro febbraio 2013 ed invece me la sono trascinata dietro quasi un
anno questa
ff…comunque avevo detto che non l’avrei lasciata
incompiuta e così è stato.
Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, anche quelli che ho
perso
per la strada, e a quelli che amo definire lettori silenziosi. Alla
prossima
storia! ;)