Film > The Phantom of the Opera
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Autore: StarFighter    06/11/2013    2 recensioni
In un momento così solenne non riusciva a far altro se non pensare a quell’uomo,a lui, a colui che l’aveva scottata con la fiamma della sua violenta passione, l’ombra che l’aveva amata fino a morire: Erik.
Cosa è accaduto dopo che Christine è scappata dall'opera con Raoul? Che fine ha fatto Erik? E Christine sarà proprio convinta della scelta che ha fatto? -Ecco quello che ha partorito la mia mente in risposta a queste domande!- Buona lettura ;)
Genere: Introspettivo, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Christine Daaé, Erik/The Phantom, Madame Giry, Raoul De Chagny, Un po' tutti
Note: Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: Spoiler!
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You choose to turn the page and I make choices too…

Quando, nel bel mezzo della notte, il maggiordomo lo venne a svegliare, mentre riposava sotto una coltre di coperte e fumo di sigari, sobbalzò per la sorpresa: “Chi diavolo è a quest'ora?!"- biascicò con la bocca impastata, con lo strano accento che si portava dietro da un bel po' e che non era riuscito a far sparire nonostante vivesse a Parigi da più di dieci anni. 
-"è un uomo signore...dice che è importante. La aspetta nello studio."- disse con calma l'inserviente, che come il suo padrone non vedeva l'ora di tornare nel suo agognato letto.

 -"Non ha detto il suo nome? Insomma vengo svegliato nel cuore della notte...vorrei almeno sapere chi attenta al mio riposo!"- il daroga stava perdendo la pazienza, mentre si infilava la vestaglia e le pantofole.

-"è un uomo strano... Non ha voluto nemmeno darmi il soprabito. É coperto da capo a piedi da un mantello nero e..."- l'uomo venne interrotto.
-"non c'è bisogno che tu aggiunga altro... Anzi, torna a dormire. Me la caverò anche senza i tuoi servigi."- sbuffò e recuperando la pipa dal comò uscì dalla camera da letto seguito dal maggiordomo, che tornò di buona voglia a dormire.

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Erik si guardò attorno mentre aspettava con impazienza che il daroga lo ricevesse: lo studio in cui l'inserviente l'aveva fatto accomodare, era abbastanza grande con una grande finestra alle spalle del tavolo dov'era seduto e due grandi scaffali di legno scuro pieni di libri dalle coste variopinte e impolverate, che occupavano due lati della stanza. Lo stile parigino imperava, ma ad un occhio più attento, non potevano di certo sfuggire i particolari orientali: i tappeti persiani, le sciabole appese sul camino e un copricapo di foggia indi poggiato sul capo di un busto marmoreo.
Certo, il lusso di quella stanza o di quella casa, non potevano di certo essere paragonati alla magnificenza della corte dello scià, dove i pasti venivano consumati in piatti d'oro e si vestiva con seta e gemme preziose, ma in fin dei conti il daroga non se la passava tanto male.

Lo sentì aprire la porta e venire verso di lui: non gli piaceva che gli si arrivasse alle spalle, così si alzò in piedi e si voltò verso il suo ospite. 
-"Le cattive maniere sono dure a morire a quanto vedo... Chi ti ha insegnato a svegliare la gente nel bel mezzo della notte? Cosa c'è di tanto urgente da non poter attendere domattina?"- mise la pipa in bocca e premette il tabacco dentro, in attesa di una risposta ed infine si accomodò sulla sedia difronte a lui.

 -"Me ne sto andando. "- lasciò quella frase in sospeso, aspettando che Nadir la raccogliesse e ne capisse il significato.

-"Cosa vuol dire me ne sto andando? O meglio che significa?"-
-"Significa che metterò quanta più distanza possibile tra me e Parigi, tra me e l'Operá, tra me e Christine..."- l'ultima parte fu quasi un sussurro. 
-"Non avevi già chiuso con madamoiselle Daee?!"- chiese l'altro curioso. 
-"Credevo fosse così ma...c'è stata una svolta inattesa, non pensavo potesse finire così!"- la voce gli tremava e il daroga cominciò a preoccuparsi.
-"Così come?"- si mosse veloce sulla sedia, tenendosi ai braccioli si sporse verso Erik.

-“È  tornata da me stanotte. Ho cercato di mandarla via, ma lei mi ha supplicato di farla restare e alla fine ho ceduto... L'ho fatta mia."
-"Erik! Come hai potuto? Hai oltraggiato la virtù di quella povera ragazza!"- Erik rise fra se a quell'affermazione: povera ragazza? Ma se era stata lei a convincerlo a fare quello che avevano fatto!

-"Hai capito male. L'ha voluto lei!"- lo disse con calma, ma l'affermazione successiva del daroga lo seccò.

-"Non avresti dovuto permetterle di compiere un tale gesto..."
-"Sotto questa maschera si nasconde un uomo come tutti gli altri, Nadir, schiavo delle passioni e con l'orecchio affilato, pronto ad accogliere il richiamo della carne! Come pensi che avrei potuto tirarmi indietro dopo tutto quello che è successo, dopo tutto quello che ho passato per lei? Era lì, così bella e giovane davanti ai miei occhi, ed era consenziente, non l'ho trascinata io laggiù; mi sorrideva e non piangeva come l'ultima volta che l'ho vista! Nemmeno nei miei sogni più sfrenati ho immaginato quello che è successo poi..."- lasciò il discorso in sospeso, senza aggiungere altro: sapeva che, da uomo di mondo qual era, il daroga avrebbe capito. 

Infatti Nadir non disse nulla in proposito e si limitò a fissarlo, assorto, mentre aspirava dalla pipa. Preferiva di gran lunga i sigari, ma sapeva che l’odore dolciastro infastidiva oltre ogni dire Erik.

Dopo un paio di minuti di silenzio, scandito solo dalla pendola nel salotto dietro la porta, il daroga si affrettò a parlare: “Beh alla fine hai avuto quello che volevi... Lei ormai è tua."

-"No, ho avuto solo un assaggio del tormento infinito che mi sarà inflitto.”- rise cinico, sapendo che d’ora in avanti avrebbe sofferto ancora di più per la separazione; ma cosa poteva farci, l’aveva voluto lui, da perfetto masochista qual era.

-“Insomma non riesco a capire! Perché mai te ne stai andando? Lei vuole stare con te, non è quello che hai sempre voluto?”- chiese interrogativo il daroga, alzando un sopracciglio folto e nero.

-“Si, ma come avrei mai potuto tenerla con me nei sotterranei dell’opera? Che futuro avrebbe avuto al mio fianco? Non posso permettere che viva in quell’ambiente malsano, a contatto con i topi. Perirebbe in poco tempo e io mi ritroverei più sventurato e distrutto di come sono ora!”- il suo sembrava quasi un lamento di frustrazione.

-“Quindi? Cosa intendi fare?”-

-“Sono disposto a lasciarla andare, a lasciare che sposi il visconte: so che ama me, ma lo faccio solo per lei. Nadir, devo chiederti un favore. Questa è l’ultima volta che mi vedrai: con quest’ultima azione pagherai il tuo debito nei miei confronti!”-

-“Di cosa stai parlando?”-

-“Hai forse dimenticato di esser stato tu a condurre il visconte giù nel mio nascondiglio? Hai avuto salva la vita solo perché una volta fosti tu a salvare la mia…”- per un attimo il suo tono di voce s’incupì tornando quello di sempre.

- “D’accordo. Dimmi pure.” - Nadir non aveva scelta.

-“Chrisitne è ancora lì. Crede che al suo risveglio mi troverà ad attenderla per condurla ovunque io voglia, ma non sarà così. Devi dirle che me ne sono andato e che non tornerò mai più a rovinarle la vita. Riaccompagnala a casa, dai De Chagny, prima dell’alba: oggi si celebreranno le nozze e se quei nobili dovessero venire a conoscenza della sua fuga notturna, la getterebbero in mezzo alla strada, senza preoccuparsi più di tanto della sua sorte.”- prese fiato –“Fallo per me Nadir, poiché non ho la forza di farlo da solo.”- dicendo questo si alzò, avviandosi alla porta e Nadir lo seguì fin sull’uscio di casa.

-“Buona fortuna Erik.”- disse mentre il fantasma dell’opera si inoltrava nell’aria fresca della notte.

Erik si voltò a guardarlo e sorridendogli mestamente, scomparve nell’ombra.

Quella fu l’ultima volta che il daroga lo vide.

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Un senso di beatitudine ed appagamento, cullavano Christine, che riposava nell’enorme letto della stanza Luigi Filippo. Nella sua mente si affollavano centinai di domande: come avrebbe dovuto comportarsi al suo risveglio? Cosa avrebbe dovuto dire? Erik sarebbe ancora stato d’accordo a farla rimanere?

Quei pensieri erano così insistenti che la costrinsero a svegliarsi, per renderli certezze. Nella stanza, regnava un inspiegabile silenzio e nemmeno dal resto della dimora sul lago provenivano suoni o rumori; una sola candela bruciava e spandeva la sua tenue luce sui contorni sfocati del mobilio. Provò a chiamarlo, ma nessuno rispose.

Si alzò preoccupata dal letto e avvolgendosi nelle lenzuola scure, prese la candela e cominciò ad ispezionare la dimora. Niente. Nessun segno. Stava per cadere preda dell’inevitabile sconforto, quando, tornando nella stanza Luigi Filippo, notò sul piccolo comodino dove era poggiata la candela, una busta da lettere bianca, con un sigillo di ceralacca rosso.

La prese: sul dorso c’era scritto il suo nome, vergato nella fluente ed elegante grafia di Erik.

Tremando, si accomodò sulla sponda del letto e alla luce della candela, l’aprì e cominciò a leggere.

Amata Christine, ti starai chiedendo dove sono e perché non sono al tuo fianco a dirti che andrà tutto bene. Beh la risposta è che non ce l’ho fatta, sono andato via. Non avrei potuto lasciare che tu sprecassi la tua giovane vita per me, con me. Ti lascio perché ti amo troppo e sapere che avrai una vita felice al fianco del visconte, alla luce del sole, mi rende allo stesso tempo felice e disperato. Vivrai più a lungo lontano da me e dalle tenebre che mi porto dietro, all’ombra della mia follia saresti perita in un battito di ciglia e io mi sarei ritrovato più sofferente di prima, sapendo che la tua infelicità era causa mia.

Ti starai anche chiedendo come ho potuto abbandonarti dopo quello che è successo e non posso fare a meno di pensare che crederai che io sia un bieco usurpatore, che si è approfittato impunemente di te. Sappi che quello che è avvenuto tra noi è stato dettato semplicemente dall’amore, non dalla lussuria o dalla passione, ma solamente dal profondo sentimento che nutro per te e che sempre nutrirò. Rimarrai sempre nei miei pensieri mio piccolo angelo, non dimenticherò mai la voce e il volto della donna che mi ha accompagnato verso la luce.

Spero tu comprenda il mio punto di vista e che non mi maledica per le mie azioni.

Addio Christine, abbi cura di te.

                                               Per sempre tuo, Erik.

 

Continuò a leggere e rileggere quella lettera per comprenderne il senso, finché le lacrime non le riempirono gli occhi e le offuscarono la vista. Il lamento di disperazione si trasformò lentamente in un pianto incontenibile: violenti spasmi la scuotevano e il respiro le usciva irregolare, con piccoli rantoli. Si accasciò sull’enorme letto meditando sul da fare, mentre brividi e convulsioni febbrili la sconquassavano come un vento tempestoso che si abbatte su un albero già mezzo sradicato. 

Si calmò solo molto dopo e alzandosi come un marionetta mossa da fili invisibili, si avviò verso il lago, decisa a farla finita con quella vita così dolorosa e complicata, che non le lasciava nemmeno il tempo di respirare che le si avventava contro.

A piedi nudi sulla terra battuta e polverosa dei sotterranei, si accostò all’acqua paludosa con occhi vacui, persi lontano, nei ricordi felici della sua infanzia: il padre la salutava dalla spiaggia di Perros e il vento trasportava la voce dolce della madre, che le cantava una dolce ninnananna.

Non si accorse nemmeno che un passo dietro l’altro era entrata fino al busto nel liquido scuro del lago: solo un altro passo, sarebbe sprofondata e non si sarebbe sottratta alla stretta letale della morte che le succhiava via l’aria dai polmoni.

-“Madaoiselle Daee!”- una voce la riscosse dai suoi pensieri fatali.

 

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Dieci anni erano passati da quella maledetta notte buia e senza luna. Il daroga, Nadir, l’uomo che l’aveva fatta desistere dal togliersi la vita e che in seguito l’aveva riportata a villa De Chagny, le aveva confermato ulteriormente le decisioni di Erik e le aveva augurato ogni bene, sparendo nella bruma delle prime luci dell’alba. Da quel lontano giorno non aveva rivisto né lui né il suo maestro.

Alla fine aveva sposato Raoul, ignaro del suo tradimento, e la loro vita matrimoniale era trascorsa tranquilla, allietata dalla nascita di un figlio nove mesi precisi dopo il giorno delle nozze, instillando in Christine il dubbio sulla paternità del bambino. 

Gli ultimi due anni però, erano stati terribili: la famiglia De Chagny aveva perso gran parte del suo patrimonio e le attività familiari non fruttavano più quanto si sperava. Raoul era diventato sempre più dispotico e nervoso; la vecchia contessa De Cagny deperiva a vista d’occhio a causa di quella situazione e Gustave, il piccolo erede, viveva in quel luogo desolato, assorbendo il peggio dei familiari.

Un giorno, qualche mese prima, era giunta l’occasione per rimpolpare il conto che i De Cagny tenevano sotto chiave alla Banca Centrale: un imprenditore americano, aveva appena fatto costruire il nuovo teatro dell’opera di New York e voleva che Christine, insieme ad altre stelle della lirica mondiale, inaugurasse l’immensa sala con la sua voce.

Raoul aveva accettato per lei e poi aveva fatto pervenire un telegramma all’imprenditore, che da parte sua aveva inviato i biglietti per il viaggio transatlantico.

Mancava un giorno alla partenza: quella stessa sera avrebbero preso un treno alla Garde du Nord per raggiungere la costa atlantica e da lì avrebbero preso poi la nave che li avrebbe portati a New York.

Christine era intenta a sistemare i bagagli per il lungo viaggio e il piccolo Gustave, girava entusiasta in biblioteca alla ricerca di un libro da portare con se per passare il tempo, quando Raoul giunse trafelato a richiamarli: “Insomma Christine, sei pronta? La carrozza è pronta e non possiamo tardare più…Gustave!”- chiamò il bambino che, spaventato dalle reazioni paterne, accorse subito.

-“Sei pronto tesoro?”- gli chiese la madre amorevolmente.

-“Si, maman.”-

-“Allora possiamo andare. Va a salutare la nonna e poi scendi giù.” - il bambino obbedì celere ed uscì dalla stanza, mentre il maggiordomo entrava per raccogliere le valigie e portarle nella carrozza.

Raoul, dopo tanto tempo, prese sotto braccio la moglie e l’accompagnò giù per lo scalone centrale e poi alla carrozza. Gustave arrivò di corsa e saltò su, sotto lo sguardo severo del padre: “Non vedo l’ora di salpare!” - sorrise svelto alla madre e abbassò veloce lo sguardo quando il padre gli rivolse un’occhiata in tralice.

-“Si tesoro, anch’io.”- Christine sorrise al figlio e si voltò un’ultima volta a guardare la grande villa bianca alle sue spalle con la strana sensazione che non l’avrebbe più rivista.

 

                                                                              THE END

 

AngolinodiFarah: no comment su questo capitolo che arriva dopo tipo quattro mesi di silenzio stampa; avevo promesso che sarebbe finita entro febbraio 2013 ed invece me la sono trascinata dietro quasi un anno questa ff…comunque avevo detto che non l’avrei lasciata incompiuta e così è stato. Grazie a tutti quelli che hanno letto e recensito, anche quelli che ho perso per la strada, e a quelli che amo definire lettori silenziosi. Alla prossima storia! ;)

   
 
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