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Autore: tagliarsi_con_gli_origami    07/11/2013    10 recensioni
Harry Styles vive in una villetta a schiera di Richmond con sua sorella Gemma.
Louis Tomlinson è un ex calciatore dalla carriera stroncata da un infortunio, e si muove a malapena nel disordine cronico del suo attico in centro a Londra.
Harry e Louis si incontrano in un bagno a Covent Garden.
Potrebbe essere l'inizio di qualcosa, se Harry non fosse già legato all'unica donna della sua vita, Darcy, la sua bambina di sei mesi.
Harry e Louis si incontrano in un bagno. Forse finirà così, perchè Louis di bambini non vuole nemmeno sentir parlare.
Harry e Louis si incontrano in un bagno, in un vialetto, ad un barbecue, nel mezzo di due vite che forse non dovevano nemmeno scontrarsi.
Impronte di mani diverse sulla parete bianca di una cameretta per bambini.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Alle conclusioni, che invece
sono solo finali aperti,
e oguno può farne ciò che vuole.
A Harry.

 



Epilogo, neve e orsi di peluche.

 


“Ci sono piccole cose 
che sono una cometa
e quando si cambia loro il posto
lasciano tutto bagnato”
(Salvador Dalì)


Sa solo che se non arriva in tempo lo uccide.
Lentamente, con un sacco di accessori e fantasia sadica. Lo uccide e impedisce al mondo di ricordare il suo nome, a costo di setacciare la rete e gli archivi di tutti i giornali per dar fuoco agli articoli che parlano di lui.
Gemma continua a inventare nuove canzoni che obbliga Niall a suonare con la chitarra, e Darcy, forse, non si accorgerà che non c'è. Fino a cena, almeno.
Non con Liam e quell'orso a grandezza naturale vestito da calciatore che le ha regalato, non con Zayn e Perrie che la tengono impegnata a turno con i quiz sulle tremende canzoni che passano su MTV. Non con Harry che ha ancora qualcosa come dieci milioni di scuse da inventare per giustificare l'assenza di Louis.
Ma lo ammazzo. Io giuro che lo ammazzo.
Darcy si muove tranquilla nella sua salopette dalla fantasia scozzese, i riccioli sempre più lunghi da quando Lou gli ha impedito di tagliarglieli, e un nastro rosso attorno alla testa. Un dettaglio che Gemma si è personalmente assicurata portasse.
Sua figlia ha provato a toglierselo in dieci modi diversi, ma la tenacia di Gemma gliel'ha riannodato ogni sacrosanta volta, sorridendo sempre meno e ridendo sempre di più, lei e Niall, con la sua chitarra acustica ricoperta di adesivi di Hello Kitty e Pukka.
Darcy. Sempre Darcy. 
Sei anni di ragazzina urlante che mima le mosse di Iggy Pop, e ha imparato a memoria Like a Virgin solo perché Niall rideva ogni volta che la cantava.
Darcy.
E Louis è di nuovo, fottutamente, in ritardo.
Harry ha concluso un servizio fotografico natalizio per una catena di supermercati in centro, e si è fatto a malapena la doccia una volta tornato a casa.
Gemma era già appostata in salotto per le decorazioni e la cena, Darcy sul divano a gambe incrociate a commentare le repliche di X Factor con Perrie, e Zayn e Liam che discutevano di Premier League con una birra in mano e senza sottobicchieri.
Gli è mancato Lou, improvvisamente, come un posto vuoto sul divano fra la spalla di sua figlia e il bracciolo, ciabatte troppo ordinate, tutto troppo ordinato, senza il suo casino ovunque, fin sulle mensole e dietro le ante degli armadi. Capita sempre, ricordarsi di lui a caso, negli anfratti della giornata, in momenti assurdi, idioti, mentre si lava i denti o sistema la birra in frigo.
O riordina i vinili che lui lascia sparpagliati in camera.
Mentre canta sotto la doccia, ad alta voce, come i ragazzini, e non sente la voce di Louis in camera che risponde nei duetti.
Non è una cosa drammatica, è solo una mancanza familiare, che ha un sapore diverso ogni volta, e un colore opaco e sfumato, come le foto immerse nel liquido di sviluppo in quel passeggero momento di transizione, quando l'immagine ancora non si vede bene, ma si riesce a capire cosa ritrae.
Gli manca così, Louis Tomlinson, a metà, come uno che sta per tornare, ma che arriva sempre in ritardo.
“Papà” Darcy ha ottenuto una rotella di liquirizia da una Gemma sempre più nervosa, che fissa quasi epilettica l'orologio in cucina.
Sono passate due ore.
Niall ha finito il repertorio, Liam e Zayn le squadre di calcio, X Factor è rimasto a mimare le mosse dietro uno schermo muto, e Harry ha finito le scuse. 
Le scuse.
“Hei tu” indica con un cenno la liquirizia nera arrotolata attorno all'indice di lei “tua zia lo sa che hai sgarrato la regola numero uno del Galateo del Cenone della Vigilia?”
Darcy scrolla le spalle.
“Boo non viene?” Harry espira e si siede sui talloni, accanto a lei, accanto al frigo che ha lasciato aperto senza nemmeno ricordare cosa voleva prendere.
“Ma che dici? Ti pare che si perderebbe la cena di Natale e il suo compleanno insieme?” lei succhia seriamente la liquirizia
“Zia Gemma ha detto stronzo e testa di-” 
“Ok ok ok ok” sa che prenderla in braccio serve più a rassicurare se stesso che lei, ma c'è quel momento in cui Darcy gli concede di crederla ancora neonata, con i suoi gorgoglii incomprensibili e il suo adorabile vizio di chiamare Louis 'mamma', e gli appoggia di nuovo la testa sullo sterno, fra la spalla e il cuore, a lasciare che lui canti all'infinito Isn't She Lovely per calmarla.
Faceva bene anche a lui quella routine di vecchi classici e bava sulle magliette.
Fa sempre bene.
“Harry...” Zayn compare nell'arco fra la cucina e il salotto, con l'espressione un po' abbattuta di chi deve dare cattive notizie.
Odia essere lui a dover dare cattive notizie. 
Il telefono gli pende fra le dita magre e lunghe.
Harry smette di respirare per un attimo, come sempre quando squilla il telefono di casa anziché il cellulare. È il dramma insito nel suo essere il padre più o meno single di una bambina di sei anni. Il dramma di sapere Louis a tre ore di macchina o una di aereo da lì.
Il dramma di essere Harold Styles di Holmes Chapel precipitato nella grande metropoli cattiva.
“Sono io”
“L'aereo non parte” la voce di Lou, nasale e sottile all'altro capo del telefono.
È abbastanza.
Torna a respirare.
Respira per imprecare. Darcy distoglie l'attenzione dal viso di Zayn, che ha sempre la magnetica capacità di ipnotizzarla. Forse sono le ciglia, gli occhi, Harry non lo sa, ma sua figlia resta incantata come di fronte al più bel cartone animato mai prodotto nella storia del mondo.
“Boo” 
“Passamela” sussurra l'altro al telefono, il segnale disturbato e un vociare confuso in sottofondo ibridato con una musica natalizia in filodiffusione.
Harry non può sentire cosa le sta dicendo, ma l'espressione di Darcy si fa prima triste e poi calma, poi rassegnata, e malinconica.
Per Louis è sempre più difficile andar via, e sempre più complicato tornare a casa.
È sempre tutto un fottuto casino. Anche quando va tutto bene, e alla tv c'è un bel film, e Darcy si sveglia nel mezzo della notte per infilarsi in mezzo a loro a dare calci nella schiena a lui e nello stomaco a Lou. Anche quando è estate, e si vola da qualche parte, senza il Doncaster Rovers in trasferta, e matrimoni all'ultimo secondo.
È tutto sempre un po' strappato al caos. 
Harry a volte se lo chiede, se per tutte le famiglie è così quando uno dei genitori ha più punti di viaggio della compagnia aerea che giorni liberi.
“Va bene. Ciao Boo” Darcy restituisce il cordless a Zayn e sbatte le ciglia velocemente per non piangere e stringe più forte la maglietta di Harry.
Disarmanti disequilibri.
“Hei piccola...” la rimette a terra, giocando un po' con i suoi riccioli. Louis ha ragione, c'è qualcosa di follemente rassicurante nell'affondare le dita fra i capelli ricci degli Styles. Ora lo sa. 
“Non è colpa sua ok? La neve è...si insomma gli aerei” lei annuisce
“Lo so papà” gioca anche lei, nervosamente, con i capelli sottili “ma mi manca” 
E' semplice, ovvio e lineare. Per questo colpisce a fondo.
Gemma sporge la testa dalla cucina con espressione grave, e Harry scuote la testa.
Sua sorella mima un 'testa di cazzo', ma si vede che è dispiaciuta.
Da' la colpa a Lou per sport, ma si vede che lo vorrebbe lì anche lei.
Perrie riesce ad alzarsi miracolosamente dal divano nel suo pancione di otto mesi, e ridacchia mentre Zayn e Liam, contemporaneamente, si muovono per soccorrerla
“I miei eroi...” li prende in giro lasciandosi cadere sulla sedia di fronte a Darcy, con i suoi capelli biondissimi e il suo sorriso da ragazzina.
“Niente?” Niall si siede accanto a lui dopo aver abbandonato la chitarra su un cuscino a caso steso sul tappeto davanti alla tv.
Harry si schiarisce la voce, nervoso
“E' bloccato lì” 
Vorrebbe davvero non farne un dramma, essere capace di ridere della sfortuna di quella serata e di quelle vacanze di Natale. Vorrebbe aver lo spirito d'avventura di sei anni prima a quella festa assurda, quella birra nascosta in tasca e quella panchina gelida.
Vorrebbe avere ancora l'indescrivibile attrazione per il caos e l'incertezza di quella notte, e tutte quelle dopo, fra Doncaster e Londra, cinese da asporto mangiato nudi sul pavimento.
E invece gli manca e basta, il fottuto Louis Tomlinson.
Sempre.
Comunque.
Anche nella camera oscura, mentre sviluppa foto di persone che non sono loro, e sembrano riuscire a stare insieme senza dover riallineare costantemente l'asse terrestre.
Manca.
Il campanello trilla mentre Gemma appoggia sul tavolo il polpettone cucinato con la ricetta segreta di Anne.
Gli manca anche sua madre. 
Ma anche lei è bloccata a Holmes Chapel per il maltempo.
Forse domani o dopodomani, ha detto.
Forse.
Il campanello suona di nuovo, due volte. Vicine, impazienti, allegre.
Harry si alza scalzo e si trascina fino alla porta.
“Buon Natale!” sua madre non è mai stata una dai lunghi discorsi e le spiegazioni. Ma è lì, con il suo sorriso ampio e seducente, e la sua frangetta scura color mogano. 
Robin è fermo alle sue spalle con una grossa scatola piena di pacchi regalo
“Fare spese al Centro Commerciale a Natale dovrebbe essere dichiarato illegale” si lamenta da dietro i suoi occhiali da vista rotondi, le lenti appannate e il viso rosso e leggermente sudato.
Si fanno strada sbattendo gli stivali contro il battiscopa, piccoli spruzzi di neve che diventano acqua a contatto con il parquet.
L'urlo di Gemma è un suono veramente poco controllato per una che ha fatto dell'ordine e la compostezza un mantra irrinunciabile.
“MAMMA!” 
“ANNE!” a Niall non è mai interessato nemmeno lontanamente essere composto o vagamente adulto. Nemmeno dopo aver ascoltato la sua canzone di compleanno più di trenta volte.
“NONNIIIIII” Darcy è giustificata, lei ha sei anni.
“Harry, hai voglia di aiutarmi a scaricare gli altri regali dalla macchina?” lui annuisce, completamente assorbito dalla confusione di piatti che cozzano, bicchieri e posate che si scontrano sui tovaglioli lasciati cadere a terra.
Annuisce senza muovere un passo, in bilico fra l'ingresso e i gradi negativi che si percepiscono sulla veranda. Fra quello strano calore disadattato e il gelo del mondo esterno.
“Cazzo Harold, si congela qua fuori, datti una mossa!” una portiera sbatte, la nebbia si addensa attorno agli oggetti, alla lampada al neon della veranda.
Harry riesce solo a realizzare marginalmente che quella è davvero la sua voce.
Nessun altro sembra essersene accorto. 
Forse non è vero.
Louis percorre a passi frettolosi il vialetto, il prato, in realtà, perché è quel genere di abitudine che non vuole perdere.
Far incazzare Gemma e calpestare il prato falciato male con qualsiasi tipo di scarpa.
Sfrega i piedi sullo zerbino, scrollandosi la neve dai pesanti stivali imbottiti. Ha ancora la divisa della squadra sotto il cappotto pesante con il cappuccio, e il suo berretto di lana grigia, comodo, troppo largo per lui e vagamente stretto per Harry, quello che si scambiano senza nemmeno rendersene conto.
La barba che ormai lascia crescere senza badarci, quel tanto che basta per fargli il solletico quando si rivedono, e strappargli quel mugolio strano a labbra socchiuse.
Louis.
È davvero lì.

***

Lo scrosciare dell'acqua è il suono che Louis riesce ad incasellare fra i momenti migliori che la sua mente annebbiata da Vigilia di Natale e guida ininterrotta sull'autostrada innevata possano ricordare.
La prima, imbarazzantissima, doccia insieme ai compagni di squadra nei pulcini di Doncaster, e ogni doccia insieme, con le verruche, i funghi, le malattie della pelle e le eruzioni cutanee che ci si scambiava sulle piastrelle bianco sporco.
La doccia di casa, l'unico momento della giornata in cui Fizzie, Lottie, Phoebe e tutto il resto delle donne della sua famiglia non si sentivano tranquillamente libere di invadere ripetutamente ogni brandello di privacy e farlo a pezzi.
La doccia di Harry, e anche un po' sua, con l'acqua calda contata che Lou puntualmente finiva, facendo finta di niente, finché Harry non ha semplicemente capito che l'unica possibilità che ha di lavarsi la mattina è entrare con lui. 
Il rubinetto aperto che è sempre una specie di colonna sonora scrosciante ai suoi pensieri imballati contro le orecchie. Si rilassa un po', spalle, spina dorsale, ginocchia, le punte dei piedi. Come grandi respiri dalle pupille alle dita, sulla lingua.
Harry lo abbraccia affondando le ginocchia sul materasso alle sue spalle, gli anelli freddi al centro esatto del suo sterno, e gli mordicchia il lobo dell'orecchio, in un saluto sempre privato e sempre personale, un modo per essere di nuovo in un bagno a Covent Garden, a salutarsi impacciati e ancora inconsapevoli. Per tastare i contorni invece che dover spalancare gli occhi ed essere costretti a vederli.
Louis espira lentamente, l'odore del bagnoschiuma di Harry che gli formicola sulla pelle. Sempre lo stesso, sempre uguale. Sempre agrumi, e anice, e mora, a rotazione.
“Non perderlo”
Harry ride, non sguaiatamente come se si divertisse, ma a voce bassa, gorgogliante nel suo orecchio, come quando il silenzio si arriccia di un sottotesto condiviso. Un segreto bisbigliato quando solo lo schermo sclerotico della televisione accesa illumina malamente i lineamenti.
“Cosa?”
“Il vizio di fare queste cose” sorridono un po', comodi e accovacciati in quella pausa “Da vecchi, sai, quando ci trascineremo dietro la prostata infiammata e l'artrite, Darcy smetterà di venirci a trovare tutte le domeniche, e tu di deprimerai a morte perché non venderanno più stereo per ascoltare i dischi in vinile” stringe la sua mano, enorme rispetto alla sua, come i suoi piedi giganteschi da hobbit che prende sempre in giro. Disegna strani cerchi sul palmo, distratto dal mondo, focalizzato da quelle stupide parole che gli si incastrano nell'interno della guancia.
E Harry ride di nuovo, più forte, forte come lui lo ricorda, un suono che Louis riconosce a livello epidermico, musicale, una nota alta che riesce a imbroccare all'improvviso, uno scatto, un boato, la serratura che scatta al primo tentativo il sabato notte ubriachi.
Harry, sguaiato, sopra le righe, bizzarro.
Harry, surreale e ostinatamente vero.
Ride e si china a baciargli il collo, il punto esatto fra la spalla e la nuca
“Non te la infilo la lingua in un orecchio a settant'anni Tommo. Dimenticatelo proprio” rotola sul materasso per infilarsi di nuovo i jeans e i calzini, sempre ridendo, sempre del suo umorismo personale e intraducibile per orecchio umano “Magari solo fino ai sessantotto, sessantanove...” 
Anche Louis, alla fine, è riuscito ad armonizzare un po' con quel barcollante senso dell'umorismo.
È bello semplicemente lasciarsi cadere sul materasso con una tuta da ginnastica troppo grande e i calzini di spugna.
È bella Darcy che s'infila nello spiraglio di porta aperta e si arrampica sul letto con l'enorme orso di peluche vestito da calciatore che ha deciso di chiamare Boo. 
Boo Bear. L'orsetto Boo.
Quasi stritola il plesso solare di Lou con una ginocchiata.
Ma è bella lo stesso. Goffa e confusionaria come Harry.
“Papà”
“Mhn?”
“Eh” rispondono entrambi, e lei non si preoccupa nemmeno di specificare con chi stava parlando.
Non importa davvero a nessuno dei tre.
“Zia Gemma dice che devo andare a letto, e io non voglio andarci. Zio Niall mi ha promesso la canzone di-” sgrana gli occhi, e si copre la bocca con la zampa dell'orso, con tanto di calzini e scarpe con i tacchetti.
Lou e Harry si guardano da dietro i ricci ribelli di Darcy, un vago, strano, complice e infantile sorriso cospiratore.
Tutti gli anni da sei anni.
Si alzano, lamentandosi un po' e lasciandosi stiracchiare per gioco, Darcy da una mano e l'orso dall'altra, le sue zampe senza dita, il pelo morbido.
Louis pensa vagamente che non dovrebbero vendere orsi di peluche così grandi per bambini così piccoli.
E chi lo sa se non si possono soffocare con quegli animaletti tanto carini? Chi lo sa che non si scuce un'ascella ed esce l'ovatta, e non la ingoiano fra atroci sofferenze?
Harry ha la stessa espressione, ma espira, chiude gli occhi, e smette di fissare quel pupazzo come se fosse un'arma di distruzione di massa.
La scala che porta al piano di sotto è buia, l'ingresso, il salotto. Solo sulla veranda il neon lattiginoso sopravvive imperterrito ad illuminare i banchi di nebbia che s'infiltrano negli spifferi delle porte.
Il neon è un alone di luce arancione che si riflette negli sportelli della cucina. Un silenzio che è in realtà un brusio, risate, pacche, 'shh' ridacchianti e sussurrati a bassa voce. Gemma che sgrida Niall, Perrie che si lamenta di essere una 'montagna in movimento' e Liam che canticchia la canzone di compleanno per essere sicuro di imbroccare la nota giusta. 
Puntualmente, ogni 24 dicembre, alla fine tutti vanno per gli affari loro. Fuori tempo, stonati e urlanti, cercano solo di fare più rumore possibile, ma Liam ci prova lo stesso a trasformarli in un coro decente. Lo fa stare bene, e nessuno si azzarda a fargli notare che il risultato è quantomeno deludente. Lo fa stare bene e basta. Chissenefrega del resto.
Louis prende in braccio Darcy, perché soffiare sulle candeline fa stare bene lei. 
E anche lui, e Harry, e tutti quanti.
Zayn accende le luci, come ogni anno, iniziano la canzone, come ogni anno, tutti stonano, come ogni anno, e come ogni anno la melodiosa e pacata voce di Liam tenta inutilmente di ammorbidire quel casino un po' schizzato di urla e risate.
Harry si avvicina, e canta nel suo orecchio, come ogni anno.
“Buon Compleanno Boo Bear...Buon Compleanno a te!” gli fa pizzicare lo stomaco, come ogni anno. Come sempre.
E Lou non si sente a disagio nel pensarlo. Al sempre, al futuro, alla possibilità di arrivare davvero ai settantanni in quella casa di folli, con il Natale nel casino di amici e parenti con figli a carico, uno strano diorama di voci e il volume della tv troppo alto, Harry che si avvicina al giradischi e tenta vanamente di imporre la musica che vuole lui, le repliche di qualche programma demenziale per ragazzine arrapate da guardare, un reality su MTV, una sfida adolescenziale a GTA con Zayn, una canna smezzata con Harry sulla veranda, quando Darcy dorme, il walkie talkie appoggiato accanto ad una birra, ad ascoltarla biascicare parole assurdo nel sonno, e dirsi qualcosa a bassa voce, nascosti dietro una Corona, ma che vuol dire tutto, ed è come urlare.
Darcy quasi si addormenta nel piatto, Perrie e Zayn devono andare dall'altra parte della città con la strada invasa dalla neve, e Liam è uno che, anche se non lo ammetterebbe mai, fa una capatina alla messa di Natale. Niall e Gemma devono solo percorrere cinque metri di prato e un muretto di pietre, ma sanno fiutare il momento meglio di chiunque altro. 
Anne e Robin hanno prenotato una stanza in albergo, ma Louis sa che non li lasceranno mai andare via. Harry ha sistemato le loro cose nella vecchia camera di Gemma, che ancora le concede asilo quando sbatte la porta in faccia a Niall urlando per una delle solite cavolate per cui litigano. Alla fine sgattaiola via nel mezzo della notte per tornare indietro, ma suo fratello non ha mai nemmeno voluto indietro le sue chiavi.
C'è sempre la stessa energia casinista che anima il loro salotto, il prato tagliato male e le sdraio.
Un senso di festa del college, anche se non vanno più a scuola da un bel po'. Rimangono tutti lì, alla fine.
E anche Louis.
Rimane anche lui, alla fine.
Harry solleva Darcy dal divano, accoccolata nella coperta di lana rossa ripiegata sullo schienale, il video musicale di una boy band sculettante che si agita sullo schermo muto, e il respiro pesante della fase REM.
Non apre gli occhi nemmeno quando la sistemano sul materasso, il copriletto con i quadrifogli e le lenzuola rosse con i Babbo Natale. Impronte che si rincorrono sulle pareti, di tutti i colori. Di Darcy, di Harry, di Louis. Le pareti che erano bianche, ed ora sono gocciolanti di mani e piedi, lilla, viola, verdi, azzurre, ogni colore, ogni angolazione. 
Impronte dove prima c'erano solo vuoti. 
Louis che ha trovato il suo spazio sul muro, accanto a loro.
Harry gli fa il solletico sotto il naso con uno spinello sottile, accurato, che sicuramente non ha preparato lui, sempre distratto e grossolano.
La veranda è gelida, ma almeno non c'è la neve. Due sedie sdraio rivestite di plastica. Lasciarsi cadere ad occhi chiusi, il fumo che quasi si ghiaccia sotto il portico.
Harry gli passa l'accendino
“E' la tua canna di compleanno Tommo, devi accenderla tu...” Louis obbedisce in silenzio, aspirando una boccata esagerata, finendo a tossire con le lacrime agli occhi.
Harry lo osserva ridacchiando, ma alla fine diventa serio.
“Che hai fatto?” rabbrividisce sfregandosi le mani nude “Con mia madre e-”
“Ho preso la macchina, ho guidato fino a Holmes Chapel, e poi fino qui” il secondo tiro è più controllato, e scivola fino alle tempie “E' Natale Harold, non potevo mica starmene bloccato a Doncaster a soffiare in una trombetta e cantarmi da solo Buon Compleanno!” sorride passandogli lo spinello.
L'altro lo afferra con il pollice e l'indice, e rovescia indietro la testa
“Quanto tempo abbiamo? Una settimana, dieci giorni? Quanta aria ti ha lasciato il guinzaglio di Simon Cowell?” sembra rilassato, ma la sua voce bassa nel silenzio della Vigilia di Natale a Richmond trema di qualcosa che somiglia alla paura. All'ansia anche, e una manciata di attesa.
Louis scrolla le spalle, raccogliendo le ginocchia al petto.
“Non torno”
Harry non fa nemmeno finta di dispiacersi. Ma resta interdetto, come se fosse convinto di aver capito male
“Cosa?”
Aspira una lunga boccata e sistema lo spinello fra le labbra di Lou. Gli ultimi due tiri, piccoli e pungenti, i più amari sul palato.
Si prende tutto il tempo del mondo per rispondere, assaporare l'attesa, il suo sguardo, la sua postura, Harold Styles di Holmes Chapel che lo fissa barcollando nell'attesa.
“A Doncaster. Non torno più. Il mio contratto scade il 31 dicembre, e non lo rinnoverò. Hanno già trovato un sostituto” 
“Ma cosa...ma che cazzo...perché?” si stringe nelle spalle, l'ultimo tiro di spinello che si perde fra la gola e le narici.
E lo guarda aspettare, con quella sua bocca enorme spalancata e gli occhi offuscati dalla marijuana, pensando che non lo terrorizza più per davvero l'idea di cosa farà domani. Cosa faranno, insieme, tutto l'anno, tutti gli anni, a giostrarsi fra l'acqua calda della doccia che finisce troppo presto, e la noia, ogni tanto, di non sapere cosa dire.
Ma non è che la gente si diverta tutto il giorno, no?
E Harry Styles sa essere incredibilmente stimolante anche quando abbassa la voce e scaglia gli oggetti per la stanza, incazzato nero.
“Mi mancate...e direi che chiamare per nome ogni assistente di volo, receptionist, autista di pullman e benzinaio da qui a Doncaster è una situazione che grida a gran voce di darmi una mossa...” 
“Ma la squadra, i ragazzi. Ti piaceva...” sembra che voglia testardamente, in qualche modo, contraddirlo. Se domani, dopodomani, fra dieci anni, Louis avrà un rimpianto, non sarà perché Harry non ha cercato in ogni modo di convincerlo a ripensarci.
Forse amare qualcuno è anche questo: tenergli testa anche quando quello che dice è esattamente quello che vorremmo sentire.
“Mi piace, cazzo. Certo che mi piace. Ma io voglio allenare una squadra di calcio, e anche i pulcini della scuola materna all'incrocio sono una squadra di calcio” ride piano, e ride anche Harry, in quel suo modo sfrigolante di rompere la quiete.
Ride e parla. Piano, con la voce ancora gorgogliante di quella risata svolazzante
“Lou”
“Lo so. La disperazione di non sentirmi più affibbiare finte fidanzate ti ucciderà...” ironia per spezzare una domanda a metà.
Tu vuoi che io sia qui? Vuoi il caos di vivere insieme davvero, e dimenticare di andare a prendere Darcy, e tua madre, e Gemma, e la noia, la frustrazione, gli anni, e vederci invecchiare e raggrinzire, e diventare noiosi e polemici davanti al telegiornale delle sette? 
Lo vuoi davvero?
“Lou-” Harry porta la tazza di the alle labbra, fissandolo ad occhi socchiusi.
Sembra serio dietro i riccioli tagliati da poco.
“Cosa?”
I suoi ricci.
Sembra serio, ma sorride dietro la ceramica un po' sbeccata, un disegno consumato che non si riconosce più, grattato via dalla lavastoviglie.
Si alza e lo bacia lentamente, Lou lecca via il sapore del the dal suo labbro superiore.
Il suo preferito. Troppo dolce, perché l'altro è ossessionato dallo zucchero.
Si siede a cavalcioni su di lui, anche se è troppo alto e goffo, e quasi la sdraio si rompe in due. 
Profuma di Harry. I capelli, i vestiti, la pelle.
Di Darcy.
Di casa.
Lo bacia di nuovo, a lungo e lentamente, come se avessero tutto il tempo del mondo.
Forse è così.
“Bentornato” 
Un'altra impronta di vernice sul muro.













Addi (che sono sempre Arrivederci): e così è finito. 
Io non so come vi sentite voi, ma io son triste. Ma anche soddisfatto, perchè finire una long, anche se di soli 10 capitoli, è una soddisfazione incredibile per me.
Ve lo assicuro, io non finisco mai niente :)
Non sono molto bravo con i ringraziamenti, anzi sono negato, possiamo dire.
Ma ci tengo davvero a ringraziarvi tutti, dal primo all'ultimo, per essere stati con me, i Larry e Darcy, in questo viaggio.
Ringrazio Eva per il plottaggio notturno folle, per gli scleri e tutti i deliri annessi e connessi, anche in chat multiple ahahah
A Dreamwriter e Mhartina per l'entusiasmo in ogni cosa, e per i divertentissimi tentativi di scoprire la mia identità, che sono sempre una gioia :D
E voi, uno per uno, che avete recensito, letto, piaciuto e ricordato, insomma, qualsiasi cosa, a chi ha lasciato un parere ad ogni capitolo, a chi non lo farà, a chi ha deciso di farlo malgrado tutto. A tutti.
Cerco di trovare il modo di farvi capire quanto siete preziosi, ma a volte non ci riesco.
Grazie.
   
 
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