Anime & Manga > Lupin III
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Autore: Fujikofran    07/11/2013    4 recensioni
Avete presente "Episodio 0", bellissimo special in cui si narra come si sarebbero conosciuti Lupin e co? Bene, questa fanfiction è una sorta di variante, con qualche colpo di scena in più. Una storia realizzata a quattro mani. I fan di Jigen saranno particolarmente contenti
Genere: Azione, Sentimentale, Suspence | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Jigen Daisuke, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Storia ideata e illustrata da Monicasuke
Scritta da Fujikofran
 
-Mi scusi…-

-Sì? Ah…lei è la signora Lea Lewis, vero?-

-Proprio io…Buonasera, signor Daisuke Jigen. Mi fa piacere che abbia accettato di farsi intervistare-

-Perché non ha cercato Arsene Lupin III per il suo libro sulla nostra banda?-

-Perché è un personaggio per così dire…troppo in vista!-

-Ehi, barman, portami un altro bourbon e alla signora un…-

-Caffè macchiato, grazie. Mi basta questo. Ecco qui il mio registratore... Allora, vogliamo iniziare con il racconto, signor Jigen?-

-Uhm…ok…Dunque…Ci sono un americano, un francese e due giapponesi, ma questa non è una barzelletta, è la mia banda, ossia la mia attuale ragione di vita. Tutto iniziò diversi anni fa, da quando ero sfuggito a una sparatoria, una delle tante in cui venivo coinvolto, nella mia “carriera” di killer mercenario e di guardia del corpo di diversi boss qui in Usa. Scappato da New Orleans -dove sono cresciuto- e poi da Chicago, in tutta la mia esistenza non ho fatto altro che vagare per il mondo intero, cambiando nome e ritrovandomi poi complice del ladro più famoso del mondo e di un tipo represso che gioca a fare il samurai vecchio stampo, con la costante presenza di una bellissima donna che un giorno ci tradisce e l’altro…pure! Ma è meglio non correre troppo con la storia. La sparatoria dalla quale ero fuggito in realtà era frutto di una menzogna bella e buona: la mia ex donna, Sophie Yeux, franco-canadese e spogliarellista nei peggiori bar di Brooklyn, mi aveva accusato di tradimento nei confronti di uno dei miei complici di allora, un certo Joe Warp, che poi avevo scoperto essere anche il suo amante…bella stronza, eh? Del resto me l’ero cercata io, non potevo pensare che una donnaccia come quella potesse essere la mia compagna a vita-

-E lei però credeva nell’amore di quella donna?-

-Beh, quando le mie storie durano più di una notte, allora inizio a crederci. Lo so, sono un po’ fesso da questo punto di vista, ma sfido chiunque a ritenere che la propria testa possa vincere sempre contro il cuore. Però, in fondo, a pensarci bene, Sophie a qualcosa mi era servita: a farmi perdere calorie quando ne assimilavo troppe. Credo che lei abbia ben compreso il significato di questa mia espressione. Non mi piace parlare in maniera troppo volgare davanti a una signora, ma ammetto senza alcun problema di essermi dato parecchio da fare con donne di un certo tipo, specie in gioventù. Tornando al racconto, Sophie non solo mi aveva calunniato, ma stava meditando con Joe di uccidermi. Ma perché? Il perché non lo avevo mai capito o, meglio, qualcosa avevo intuito e non saprei spiegarlo a lei. Le logiche della malavita non sono semplici da illustrare a donne per bene o a chiunque non faccia parte del mondo in cui vivo io. Ero fuggito da Brooklyn e arrivato a Manhattan, rifugiandomi al “K-Bar”, il locale di un amico di vecchia data, Sonny Keller, che, a soli vent’anni, era riuscito a portarmi via da un orfanotrofio dove avevo vissuto per un po', aiutandomi a vivere in maniera serena, almeno per un breve periodo. Devo molto a lui, sinceramente. Non c’è più, purtroppo, un cancro se l’è portato via tre anni fa. Sonny mi aiutò a trovare una sistemazione e iniziavo a sentirmi bene. Avevo il timore che quella coppia di bastardi mi trovasse, ma in quel momento potevo definirmi al sicuro. Ero contento di aver ritrovato quel mio amico e mi piaceva fargli compagnia nel suo locale, che lui aveva rimesso a nuovo-

-E lei non poteva iniziare a lavorare in questo locale e magari provare a cambiare vita?-

-Ma mi ha guardato bene? Può avvicinarsi, se vuole, non ho alcuna intenzione di farle del male. Mi tolgo il cappello e la giacca, così può notare meglio ciò che sto per mostrarle: la vede questa cicatrice, qua, tra l’orecchio e la barba? Bene, non averla equivarrebbe essere morto da 12 anni. Allora ero meno bravo a sparare, nonché a schivare colpi e per poco una pallottola non mi si conficcò in faccia. Non so come riuscii a evitarla… Questa cicatrice è piccola, ma quando rimasi ferito sentì un male incredibile, come se la mia carne prendesse fuoco-

-Che fa, perché si sta sbottonando la camicia? E perché mi sorride in quel modo?-


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-Tranquilla, non ho intenzione di improvvisare uno striptease davanti a lei. Sto cercando di farle vedere altre cicatrici, la nota questa vicino alla spalla? Un mitra stava per far di me una bistecca alla griglia. Ma questa è solo una delle tante che ho sparse per tutto il corpo. Allora, è ancora convinta che io avessi potuto cambiare vita? Avevo meno segni di pallottole rispetto a ora, ma ero uno dei malviventi più pericolosi della città, in quel periodo. E poi…il “K-Bar”, seppur bello e fresco di ristrutturazione, era troppo piccolo per aver tanti lavoranti. Quello che, secondo lei, doveva essere il mio posto di lavoro fu preso da una ragazza, Eva, che conobbi la prima volta in cui mise piede nel locale. Quando lei entrò e salutò Sonny, io ero al banco del bar e le davo le spalle. Quando mi girai, scattò in me ciò che viene comunemente chiamato “colpo di fulmine” e non riuscii a togliere lo sguardo da quella ragazza che, per l’imbarazzo, scivolò, facendosi male a una caviglia. Nulla di grave, ma le dava fastidio stare in piedi. Niente lavoro per lei, quella sera, e decisi di accompagnarla a casa, ma non voleva, era come se non si fidasse di me. Beh, non ho mai avuto un aspetto rassicurante, a prima vista. Così la portai in un posto da cui si vedevano il mare e i grattacieli di New York, un luogo che non rivelo mai a nessuno e dove spesso mi ritiro a guardare il panorama per rilassarmi e non riflettere troppo. Volevo tranquillizzarla, in quell’atmosfera ovattata, e ci riuscii, dato che Eva mi parlò un po’ di più di sé, dicendomi di essere un’italiana in cerca di fortuna negli Usa. Non aveva nessuno, qui, se non il suo coraggio e la sua forza, nascosti dietro un volto delicato e i capelli rossi naturali. Parlammo soprattutto di Sonny, veniva facile nominarlo: a me aveva sempre salvato la vita e a lei dato il lavoro. Qualche attimo dopo, la magia del posto ci travolse e ci baciammo. Lì per lì eravamo felici, ma io, tornato a casa mia dopo averla accompagnata alla sua, mi pentii amaramente, perché non sapevo la sua età e mi sembrava poco più che adolescente. Per essere emigrata da sola a New York non poteva essere di certo minorenne, ma l’aria dolce e il volto da bambina me la facevano sembrare vulnerabile e, dato che i nostri non furono affatto baci casti, temevo di essere stato un po’ troppo precipitoso. Seduto sul divano iniziai a bere –allora bevevo più di oggi- e mi ubriacai, addormentandomi lì-

 

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-Ma lei, in fondo, non era pentito per quei baci…dico bene? Mi scusi l’indiscrezione, ma visto che me ne sta parlando…-

-Brava, lei ha colto nel segno: dopo quella sera non feci altro che desiderare quella ragazza, di giorno e di notte, anche se stavo decidendo di non volerla rivedere. -

-Andando quindi contro se stesso?-

-Proprio così. Ma poi ci risentimmo e lei mi convinse a invitarla a cena. Avevo capito di piacerle non poco e che voleva approfondire la mia conoscenza. Mi meravigliava l'audacia che mostrava, che non si confaceva al suo aspetto delicato, e questi suoi due lati antitetici accrescevano il mio desiderio nei suoi confronti. Fu una serata meravigliosa e, appena seppi che era più giovane di me di poco, beh, cominciai ad avere meno remore ed ero pronto a farmi avanti con lei. Cenare insieme fu davvero piacevole, nonché emozionante e, dato che la serata proseguiva in maniera interessante…insomma, finimmo a letto e il mio desiderio di averla stava per realizzarsi. Ero talmente eccitato che nella foga le strappai la biancheria intima. Sia chiaro, non sono il tipo che non ama i preliminari, tutt’altro, ma in quel momento non capivo niente, fino a quando Eva non mi bloccò, confessandomi di essere vergine e chiedendomi di fare piano, perché comunque mi voleva. Non che non sapessi come agire, non sono quel genere di uomo che se non si trova davanti l’espertona di arti amatorie si tira indietro -rivelando una vigliaccheria che rasenta l’impotenza- però mi domandavo perché stesse scegliendo me, lei che, in effetti, era una brava ragazza, a differenza di Sophie, forse più adatta a un tipaccio come me. Avevo un compito ben preciso, in quell’istante: far sì che Eva vivesse una prima volta non traumatica e, perché no, bella. Avevo un leggero timore di poterle far male, invece tutto andò per il meglio, rimanendo sorpreso della mia inaspettata dolcezza. Non entro nella descrizione dei particolari, non credo sia opportuno davanti a una signora, ma non mi vergogno a dire che fu una notte intensa, di quelle romantiche e, allo stesso tempo, molto passionali, di quelle in cui...si raggiunge il culmine insieme; ci siamo capiti. Purtroppo, non ricordo come, Eva e io poi litigammo, lei mi accusò di averla presa in giro e se ne andò sbattendo la porta d’ingresso, come in certi film sentimentali assurdi in cui tutti danno di matto e si mollano dopo una meravigliosa notte d’amore. Non la rividi per un po’ e nel frattempo Joe e Sophie mi avevano ritrovato. Scampai a un altro loro agguato…ho più vite dei gatti, sa? Venni a sapere che lui aveva ucciso un boss a cui spesso facevamo riferimento e ne aveva preso il posto. Nella fuga fui aiutato da un giovane scaltro, dall’aria scanzonata e dall’espressione che ricordava quella di una scimmia-



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-Lupin III?-

-Esatto…fu lui a iniziarmi alla “carriera” vera e propria di ladro. Mi coinvolse nel progetto di rapinare la Federal Reserve, perché voleva sfidare quel Joe lì, intenzionato a far la stessa cosa. Accettai di aiutarlo, senza esitazione: volevo vendicarmi di quel maledetto. Nel frattempo rividi Eva, finimmo nuovamente a letto insieme e, col passare dei giorni, diventò la mia ragazza, anche se spesso litigavamo, poichè non era contenta del mio passato. Malediva questo mio lato, mentre amava tutto il resto, convinta che avremmo vissuto il resto della nostra vita insieme. Lupin, invece, correva appresso a una donna, ladra pure lei…sì…credo che stia immaginando bene, cara signora Lewis: sto parlando di Fujiko Mine. All’inizio mi sembrava una svitata, ma poi mi resi conto che era in gamba, soprattutto a ingannarci. E aveva anche stretto amicizia con Eva, tanto che una volta vidi arrivare le due donne cariche di buste e sorridenti come non mai. Avevano fatto shopping insieme e Fujiko aveva consigliato a Eva un regalo per me: un completo nero, jeans, camicia e giacca. Le ringraziai entrambe, tanto era l’affiatamento tra le due. E a giorni come questi si alternavano i litigi, tra me e la mia donna, sempre legati al mio passato di killer e al mio stile di vita. Io diventavo scontroso, lei isterica da morire, arrivando a definirmi egoista, scorbutico, arrogante e permaloso. Inoltre, era gelosissima del fatto che Sophie fosse la mia ex, oltre ad odiarla per essere parte della banda di Joe. Un giorno mi sentii davvero depresso, più di come di solito ero (e sono tuttora, lo ammetto) e mi recai da Lupin, che con il suo modo di essere sempre così positivo, riuscì a calmarmi. Sì, perché ero anche scoppiato a piangere; era l’unica via di uscita per sfogarmi, in quel momento. Ma torniamo alla mia banda. Lupin era intenzionato a far quel colpo alla Federal Reserve e, quindi, a sfidare Joe e compagni. Due piccioni con una fava, come si suol dire, perché per me sarebbe stata l’occasione per vendicarmi di lui e di Sophie nonché per spartirmi il bottino col ladro più in gamba del mondo. Questo colpo lo aveva architettato in una maniera geniale che non sto qui a spiegarle, ma mi preme confessarle che davanti alla sua genialità ero totalmente senza parole. Sarà anche per questo che non riesco a dire altro su come il tutto era stato organizzato? Avevo davvero a che fare con il migliore ladro del mondo e non avevo dubbi. Una settimana dopo, un tizio sconosciuto venne a scoprire dove Lupin e io ci nascondevamo e ci comunicò che Eva era stata rapita da Joe. Ci rendemmo conto che era un suo scagnozzo e così, oltre al colpo, ci toccava anche salvare la mia ragazza-
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-Bella seccatura, eh?-

 -Già…E sa qual era precisamente il piano di Joe? Noi dovevamo farci da parte se volevamo vedere Eva viva, che, tradotto in parole povere, significava rinunciare al colpo. Uno come Lupin non si sarebbe affatto tirato indietro, io invece un pensiero ce l’avevo fatto, perché per me valeva più la vita della mia donna che il denaro. I soldi non vengono prima di tutto, al contrario di come la pensa Fujiko; almeno per me…-
-E come andò, quindi?-

-Ci trovammo tutti in un luogo non lontano dalla Federal Reserve, per fare lo scambio, ossia per riavere Eva e andarcene senza aver fatto il colpo, ma…-

-Ma…Non mi tenga troppo sulle spine, signor Jigen!-

-Eva si avvicinò a noi, spinta da Joe e, appena feci per abbracciarla, Sophie mi sparò, ferendomi gravemente. Io, nello stesso tempo, reagii di riflesso e riuscii a ucciderla con la mia Magnum. Si chiama legittima difesa, no? Lupin sparò a Joe, che riuscì a fuggire e si precipitò per vedere come stessi. In quel momento vidi un giovane raggiungere come un razzo il nostro nemico e notai che, oltre a essere vestito in modo strano, aveva una spada, che trafisse quel delinquente. Arrivò la polizia, ma noi facemmo in tempo a scappare. Eva decise di venire con noi e, nel rifugio di Lupin, quest’ultimo riuscì a curarmi, anche perché la pallottola non mi aveva colpito parti vitali, sebbene avessi perso molto sangue-
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-Il giovane che vi aiutò era Goemon Ishikawa?-

-Esatto…lui conosceva da poco Lupin ed era fidanzato con Fujiko. Fu una manna dal cielo, quel ragazzo!-


-E quindi il colpo…-

-Non ci fu, ovviamente-

-Ed Eva?-

-Per un periodo decise di seguirci, poi ci lasciammo e fu meglio così. Per lei, ovviamente, che meritava un uomo “normale”. La nostra banda, da allora, si consolidò e il resto è storia-

-La ringrazio…barista, scusi…io pago un caffè e…-

-No, no, ci penso io…Offro io, signora Lewis. Devo scomodarla per un caffè? Un criminale non è detto che sia per forza maleducato-

-Grazie, lei è molto gentile-

- Si figuri…-


[Una volta fuori dal locale…]


-Allora, signor Daisuke Jigen, mi autorizza a divulgare questa storia attraverso il libro che vorrei scrivere?-

-Sì sì, faccia pure, tanto non è vera!-

-Come, non è vera?-

-Certo che non lo è, ho improvvisato, come spesso si fa col jazz. Sono stato bravo? Secondo lei io parlo del mio, anzi, nostro, passato con la prima giornalista che mi capita a tiro? La prenda come una serata trascorsa con una nuova conoscenza e nulla più. Spero che, comunque, abbia gradito la mia compagnia-

-E lei crede davvero che io sia una giornalista? Mi chiamo Lea Mastrocola, sono dell’Interpol e mi manda l’Ispettore Zenigata-

-Ah…quindi è qui per arrestarmi?-

-Crede che io da sola potrei avere la meglio su di lei?-

-Chi ha detto che io creda a una cosa del genere? La mia era solo una curiosità-

-Veramente io sarei l’esca che dovrebbe attirarla nella trappola. Infatti, tra poco arriveranno i rinforzi per arrestarla. Tenga queste manette e, dopo che mi sarò buttata a terra, me le metta ai polsi. Dirò che ha fatto in tempo a scappare, dopo avermi legato o… va beh, una scusa la troverò-

-Perché? Non capisco-

-Perché voglio che lei si allontani subito. Avanti, faccia come le ho detto!-

-Continuo a non comprendere: perché non vuole arrestarmi? Tutta questa messinscena… -

-Perché…ecco… uno come lei mi piacerebbe incontrarlo altrove e non in carcere. Io…Su, si sbrighi, per favore!-

-D’accordo…ecco qui…io vado, allora!-

-No, un attimo, venga qui, si avvicini…-


[Jigen si china e lei lo bacia sulle labbra]


- Grazie, Daisuke…ora vattene, ti prego! Arrivederci-

-Addio, Lea-

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