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Autore: Lala_ao    07/11/2013    3 recensioni
“Nessuno può farti più male di quello che fai tu a te stesso"
-Mamma e papà ieri hanno chiamato e mi hanno mandato dei messaggi- dissi guardandolo. Distolse lo sguardo dalla strada e guardò me per una manciata di secondi.
-E tu cosa hai fatto Alyssa?- chiese fermandosi al semaforo ormai rosso.
Mi grattai il braccio dal nervoso e mi morsicai il labbro inferiore. Stavo cercando una risposta che in realtà non c'era. Lo guardai sperando capisse.
-Ti prego Alyssa, avevi detto che avevi smesso. Che non capitava più da mesi e mesi. Perché continuai a farti del male?-
Genere: Comico, Drammatico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Chaz, Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: Lemon | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Cara madre, 
Ci sono molte cose che vorrei dirti,ma purtroppo non me ne hai mai dato modo.
Vorrei raccontarti le mie giornate, i miei umori, le mie gioie e i miei dissapori, ma non sei mai riuscita a  vedere al di là del tuo naso.
Eri cosi presa a pensare al mio futuro che ti sei scordata di vivermi nel presente.
Hai deciso di farmi intraprendere una scuola che non mi appartiene solo per la soddisfazione di avere una figlia laureata in psicologia clinica.                                                                                           Non ti sei neanche accorta che sono dimagrita e che molto spesso non mangio o che vomito subito appena finito di mangiare. Non ti sei accorta che stavo male e che avevo bisogno di qualcuno, di te.
Io solo 18 anni!
Il mondo è cosi variopinto, non puoi pretendere che io sappia già quale sia la mia strada.
Ancora non so cosa farne della mia vita.
Tutte queste pressioni continuano ad opprimermi e tu non te ne rendi conto.
Sognavi la tua vita perfetta da segretaria nello studio medico di papà e quando lui ti ha lasciato per una donna più giovane e in carriera non ci hai visto più.
Ti sei trasformata, lo sai?
Sei diventata una perfezionista cinica e hai improntato tutto sul mio futuro.
Non sei riuscita a laurearti e a diventare la donna “di mondo” e per ovviare a questa tua mancanza, hai deciso di proiettare tutte quelle che avrebbero dovuto essere le tue ambizioni future … Su di me.
Non ti sei mai chiesta se davvero era quello che volevo?
Nonostante tu abbia deciso di dominare ogni mia possibile decisione, io cerco di capirti e di impegnarmi per farti essere fiera di tua figlia.
Il vero problema, però, si verifica ad ogni mio piccolo sbaglio.
Non accetti errori o imprecisioni e, se questo accade, ricorri alle maniere forti, picchiandomi fino a farmi sanguinare ed infine perdere i sensi.
Non importano le mie suppliche o le mie lacrime, la tua mente è completamente offuscata dallo spettro di mio padre e forse, mentre mi picchi, pensi proprio a lui.
Sai, con il tempo ho imparato a domare, quanto più possibile, il dolore e a farlo mio amico.
Perché non riesci a metterti mai nei miei panni?
Papà è sparito dalla circolazione, tu non rendi le cose facili dentro le mura domestiche e a scuola non ho amici.
Tutti gli adolescenti del mondo amano la ricreazione, mentre per me è la parte della mattinata che odio di più perché io non ho nessuno con cui stare, nessuno che vuole un po’ della mia compagnia.
I compagni di classe mi accusano di vivere in un “mondo grigio”, come se fossi coperta da un velo di depressione che lentamente mi uccide.
Loro non possono sapere e continuano a parlare.
Io preferisco rimanere nel mio silenzio solenne poiché, anche raccontando, loro non mi crederebbero.
Il mio ragionamento è: Se tu, mia madre, in primis, non mi hai mai ascoltata e non ti sei mai presa cura veramente di me, tua figlia, come possono dei semplici coetanei, effettivamente estranei, preoccuparsi per una come me?
Una volta tornati a casa avranno l’amore della loro famiglia, ciò che a me manca.
Il mio “Io” si sta dissolvendo sempre di più, tanto da non riuscire più a percepirmi come essere.
Mi guardo allo specchio e non mi riconosco, forse per i lividi sapientemente nascosti o per i tagli che continuo a farmi.
Ebbene sì, hai letto bene.
Mi sono imbattuta in un qualcosa molto più grande di me: L’autolesionismo.
Non auguro a nessuno, neanche al mio peggior nemico, di passare quello che sto passando io.
Forse tu non lo sai, ma essere autolesionisti non è come combattere contro un male “esterno”.
Io combatto contro me stessa, contro i miei stessi demoni e le mie paure create da te nel corso degli anni.
Per mesi cercavo di auto convincermi, dicendo che avevo smesso del tutto, che finalmente ne ero uscita.
Adesso, invece, ho avuto una ricaduta.
Nella mia testa sento delle voci e cerco di zittirle.
Sono le stesse che, mesi prima, mi dicevano: “Andrà tutto bene, vedrai”.
E’ incredibile quanto il dolore, ora, sia la fonte del mio sollievo, ma è grazie a te se ho scoperto tutto ciò.
Come se il mio corpo avesse trovato un equilibro tutto suo, proprio come il mio mondo: dovevo solo ferirmi e l’ansia sarebbe sparita insieme ai miei problemi, ma poi, inevitabilmente, sarebbe tornato tutto come prima e da lì sarebbe iniziato un nuovo ciclo di “dolore-sollievo”.
Per quanto non riesca più a percepirmi, riconosco che in quelle cicatrici trovo il mio conforto, anche se non saprei dirti di quale conforto ha realmente bisogno il mio corpo.
Forse si tratta solo di una “liberazione”.
Sì, perché con te vivo in trappola.
Alcuni dicono che l’autolesionismo sia una psicopatologia, ma io non mi sento malata anche se in ogni taglio vedo la fine della mia dolorosa vita.
Quando mi faccio del male, non so mai come andrà a finire.
Sarebbe stato il mio ultimo taglio o una serie di tanti altri?
Questa mattina, quella stessa cicatrice mi ha fatto, stranamente, paura.
Mi ha spaventato!
Ricordo di aver rotto il vetro, di essermi alzata le maniche e di aver fatto un lungo e profondo taglio davanti allo specchio, ormai a pezzi.
Volevo vedere il mio sangue.
Stupidamente, pensavo che avrebbe lavato via tutto.
Infilai il pezzetto di vetro ancor più nella carne, superando qualsiasi soglia del dolore per poi venir pervasa da un’intensa sensazione di benessere.
Chiusi gli occhi e lasciai che quella strana emozione prendesse il sopravvento tanto da farmi perdere i sensi.
Risvegliandomi ebbi orrore di me stessa.
Ero completamente sporca, dentro una pozza di sangue, eppure ero “viva” e tu non eri accorsa a salvarmi.
Ripensandoci adesso, usare il termine “viva” in queste circostanze mi sembra stupido.
Io non vivo, io sopravvivo.
Riposi il vetro nel mio nascondiglio segreto e promisi a me stessa che non avrei mai più fatto una cosa simile.
Io non voglio morire.
Mi sono lavata, eliminando qualsiasi traccia sul mio corpo e sulla camera, per poi sedermi sulla mia scrivania, prendere un foglio ed iniziare a scriverti.
La situazione sta precipitando e forse avevo bisogno di toccare il fondo per risalire in superficie a prendere la mia boccata d’ossigeno.
Lo farò, madre.
Anche senza di te.
Ascolta le mie parole.
Ascolta il mio grido.
Non voglio sopravvivere.
Io voglio vivere.
Queste parole, questi pensieri che affollano la mia testa e che ho tentato di riversare in queste righe, non le ascolterai mai.
Non capiresti e forse non capirei neanch’io a cosa possa servire adesso renderti partecipe di un problema nel quale sono caduta perché tu non c’eri.
Voglio solo che tu mi prometta una cosa. Adesso che io non ci sono più per favore non ricadere. Vai avanti con la tua vita, vivi la tua di vita.                                                                                          
Sii felice come lo eri un tempo.                                                                                                      
Mi farò sentire promesso. Un bacio.

Tua figlia.

Lasciai la lettere sul mio letto con affianco una rosa bianca presa dal nostro giardino.                    
Mi girai un'altra volta verso la mia casa e uscii con la valigia e la borsa contenenti tutta la mia roba.   
Il taxi era arrivato stava aspettando solo me.                                                                                
Con l'aiuto del taxista mettemmo la valigia nel bagagliaio e salimmo in macchina.                                                     
-All'aeroporto grazie-  

Mi appoggiai al finestrino mentre pensavo che non avrei piu visto per un pò la mia città,i miei compagni, la mia casa ma soprattutto mia madre.                                                                   
Misi le cuffie nelle orecchie e ascoltai Same Love di Macklemore. Ogni volta che sono giù di morale ascolta questa canzone che non mi fa crollare, mi tiene appesa a un filo.                                 
Non mi resi neanche conto che eravamo arrivati all'aeroporto. Il taxi era fermo e il signore mi guardava dallo specchietto con un sorriso debole. Gli diedi i soldi e mi aiutò a prendere la valigia.       
Entrai e andai subito a fare il biglietto.Dovevo aspettare due ore prima che ci facessero imbarcare per il Canada. Avrei fatto 12 ore di aereo.                                                                                    
Sarei andata da mio fratello James.                                                                                              
Lui appena compiuti 18 anni se n'era andato lasciandomi qua con mamma,sapeva che se fosse restato li non sarebbe sopravvisuto e ha deciso che se ne sarebbe andato. Le poche volte che veniva a trovarci litigavamo sempre per come la mamma mi trattava, per tutti i lividi che avevo in corpo e ogni volta, quando lui se ne andava lei ricominciava e se James chiamava dovevo fingere che andava tutto bene,ma avrei voluto urlargli "PORTAMI CON TE. SALVAMI!" e invece fingevo come ho sempre fatto da 4 anni. Ieri l'ho chiamato,gli ho detto che non riuscivo piu a vivere con la mamma e che volevo andare via. E subito mi ha prenotato un viaggio per il Canada. Ho provato a non piangere quando ero al telefono con lui, ma non ha funzionato sono scoppiata tanto che mi sono sentita male.

-L'aereo per il Canada sta atterrando,preghiamo i gentili passeggeri di avviarsi all'imbarco- 

Spostai gli occhi dal cellulare e guardai davanti a me, la vetrata da dove si poteva vedere tutta Londra. Mi è sempre piaciuta Londra ma non credo sia il mio paese.                                              
Credo che quando una persona prende l'aereo e va in un altro stato o paese e lo visita per la prima volta e ne rimane ammagliato vuol dire che quello è il suo paese, quello dove dovrebbe vivere e stare, farsi una famiglia, trovarsi un lavoro. Mi incamminai verso l'areo e quando notai il mio posto subito mi ci sedetti.                                                                                                             

-Preghiamo i gentili clienti di allacciare le cinture di sicurezza, l'aereo sta per decollare- 

La stessa voce di prima,chissà se è cosi bello come dicono volare da uno stato all'altro, viaggiare,lavorare come hostess o come pilota.                                                                              
Mi allacciai la cintura e guardai fuori dal finestrino,tante persone muovevano le mani al pilota, sorrisi nel vedere la mia città natale per l'ultima volta. Sono sicura che ci ritornerò un giorno, forse per salutare la mamma,o forse per papà, ne sono sicura, ma desso il mio obbiettivo è cambiare aria, cambiare vita. Cambiare me stessa dalle mie abitudini.                                                                              

Mando un messaggio a mio fratello:                                                                                                                                   

-Stiamo decollando sono 12 ore quando scendo ti chiamo. Buonanotte xx-

Mancavano 15 minuti e sarei arrivata in Canada. Mi addormentai per tutto il viaggio, si vedeva che ero stanca. Mandai un messaggio a mio fratello per dirgli che mancava poco e lui mi rispose subito che era arrivato e che mi stava aspettando. 

-Potete slacciare le cinture di sicurezza e vi ringraziamo di aver scelto la nostra linea aerea.-

Sospirai, presi la mia borsa. Mi girai e presi a camminare dietro alla lunga fila di persone che scendevano dalla scaletta.                                                                                                            
Dopo vari colpi nella schiena riuscii ad arrivare a prendere la mia valigia. La potevo riconoscere subito, era nera lucida con dei luccichini al centro e formavano un cuore. Appena la vidi sul nastro trasportatore la presi e mi incamminai verso l'uscita dove tutti si stavano dirigendo. 

Notai una figura alta venirmi in contro, portava le blazer nero hai piedi e un jeans con una maglietta verde con scolla a v e una giacchetta nera in pelle. Appena alzai lo sguardo trovai quegli occhi che tanto mi mancavano, simile al colore della mamma quel verde smeraldo che avevo lasciato dove ero nata. Mi rivolse un sorriso e io subito mi gettai fra le sue braccia. Mi fece girare su me stessa e sentivo tutti gli occhi puntati su di me, alzai di poco la testa dal suo collo e una famiglia mi stava guardando sorridendo. Sorrisi anche io e dopo aver dato un bacio sulla guancia a mio fratello,scesi e insieme ci allontanammo verso la sua macchina.

-Mi sei mancata cosi tanto Alyssa- disse mentre metteva nel bagagliaio la valigia. sorrisi e mi buttai su di lui abbracciandolo.
  
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