NOME
(su EFP e forum, specificando quale volete nel banner): Sai Sama su Efp e Lindael sul forum (sul
banner vorrei Sai Sama)
Titolo: Stardust and Silver Hair
PACCHETTO: Bambola
di cera
CITAZIONI: Perché dal cielo non si può strappare via
una stella ( Da Laphroaig) Questo
mondo che fugge senza di me non sarà mai più lo stesso! (Da L’Elefante) Salvami dalla mia stessa esistenza, dalle
paure che non posso nascondere. (Da Save Me)
ALTRI GENERI (se presenti): //
RATING: Verde
AVVERTIMENTI: //
TIPOLOGIA (drabble, flash, one-shot...): One Shot
BETA-READING (se presente): No
INTRODUZIONE: C’era una volta, tanto tempo
fa, un castello sotto una collina, dove il sole non si vedeva mai e la luna non
osava mostrare il suo pallido volto.
Quel castello
incantato era cristallino senza essere di cristallo, con pareti sottili e
pavimenti trasparenti, ma era solo buio quello che lasciavano vedere.
NDA:
Comincio subito con il dire che questa è più una fiaba che una favola, ma,
visto che nel contest si parla di generi letterari ho pensato che intendeste il
genere favola nel più ampio senso del termine. Se non è così vi prego di non
perderci tempo sopraXD Come seconda nota vorrei dire che la prima citazione,
quella presa da Laphroaig, l’ho leggermente modificata, originariamente non è
una domanda. Poi vorrei dire che la citazione presa da Save me è una traduzione
fatta da me, so che le avevate linkate, ma per una deformazione professionale
(studio per diventare traduttrice) ho preferito tradurla da sola. Infine vorrei
spiegarvi che le frequenti ripetizioni nel testo sono tutte volute, è
idealmente una fiaba scritta e pensata per dei bambini, quindi le ripetizioni
aiutano la comprensione del testo e la memorizzazione. E…penso sia tutto,
enjoy^^
Stardust
and Silver Hair
C’era una volta,
tanto tempo fa, un castello sotto una collina, dove il sole non si vedeva mai e
la luna non osava mostrare il suo pallido volto.
Quel castello
incantato era cristallino senza essere di cristallo, con pareti sottili e
pavimenti trasparenti, ma era solo buio quello che lasciavano vedere.
Il signore del
castello, il Re di quella landa tanto scura e desolata ogni giorno e ogni notte
alzava il viso al cielo che non poteva vedere, malinconico e triste perché
avrebbe almeno voluto osservare la volta
stellata e avrebbe voluto sentire l’aria fresca sul viso.
Eppure ogni
volta tutto quello che otteneva era pesante, umida, oscurità.
Un’oscurità
tanto profonda e avvolgente da sembrare viva, senziente.
Persino la voce
dolce del Re si perdeva lì, soffocata dal nero in cui viveva.
-Perché dal cielo non si può strappare
via una stella?-
Chiedeva sempre
il Re dai capelli d’argento e gli occhi d’oro.
Nessuno
rispondeva.
Lui non voleva
il sole, perché sapeva che si sarebbe bruciato con tanta, dolorosa, luce.
Non voleva
neanche la luna, perché era troppo grande per il suo castello, ma una
stella…una stella sarebbe stata perfetta per lui.
Piccola e
luminosa, poteva quasi vedersi mentre la teneva in mano, cantando sommessamente
per lei, facendola risplendere in quell’oscurità opprimente.
Un desiderio
tanto piccolo meritava di essere realizzato, lui meritava di avere una piccola
stella da vezzeggiare e ammirare.
Così decise di
mandare uno dei suoi sudditi, un’ombra in mezzo ad altre mille ombre, a
prendere per lui una stella.
La collina che
conteneva il castello di cristallo non aveva uscite, quasi che i suoi abitanti
ne fossero prigionieri, ma la piccola ombra trovò un modo per uscire, passando
attraverso le crepe della fertile terra.
Al di fuori il
mondo scorreva veloce, troppo veloce per i suoi gusti.
-Questo mondo che fugge senza di me non
sarà mai più lo stesso!-
Disse in una
lingua che nessun umano avrebbe mai potuto comprendere, per poi alzare lo
sguardo verso il cielo, dove milioni, miliardi, di puntini luminosi sembravano
sorridergli.
Così la piccola
ombra si allungò e si allungò, fino a un’altezza impossibile, fino a
raggiungere quelle stelle.
E le stelle non
erano più puntini luminosi, no, erano piccole fatine che dai loro corpi
emanavano luce.
La piccola ombra
restò un po’ perplessa, ma gli ordini del suo Re erano legge, quindi racchiuse
nelle mani una di queste piccole fatine e, mentre le altre piangevano e la
chiamavano, tornò verso terra, fino a che non fu di nuovo di dimensioni
normali.
Vedeva il
chiarore uscire dai suoi palmi uniti, quindi sapeva che la piccolina era ancora
viva e con essa tornò sotto la collina e poi nel palazzo, fino a fermarsi
davanti al suo Re.
-Vi ho portato
la stella, mio signore.-
Disse l’ombra,
allungando le mani verso il sovrano e aprendole, a scoprire il tesoro contenuto
all’interno.
La fatina provò
a volare via, ma il Re la riacchiappò al volo.
Ora aveva quella
piccola stella e mai e poi mai se la sarebbe fatta scappare!
Con un elegante
canto modellò l’oscurità a creare un’elaborata gabbia da uccelli e dentro ci
richiuse la stella.
La sua luce era
forte abbastanza da far brillare tutte le pareti del castello come gioielli, ma
allo stesso tempo abbastanza debole da non ferire quegli esseri fatti di buio.
Il Re dai
capelli d’argento era così felice di quella piccola stella che passava il suo
tempo a cantare per lei, rinchiusa nella sua gabbia, e a guardarla.
Ma niente,
nessuna canzone, per quanto dolce o magica, cantata dal Re, pareva riuscire a
consolarla.
Lacrime su
lacrime bagnavano il fondo della sua piccola prigione scura, mentre lei
piangeva per la nostalgia delle sue sorelle.
Una notte, o
forse un giorno, il Re si addormentò, le palpebre si abbassarono sugli occhi
colore dell’oro, mentre il suo viso era illuminato dalla dolce luce della
stella.
Sola nella sua
gabbia e senza più neanche la struggente voce del Re a tenerle compagnia la
fatina si spaventò, l’oscurità di quel luogo così lontano dal suo cielo
sembrava quasi volerla mangiare.
Così prese una
decisione, avrebbe ballato.
E mai danza fu
altrettanto elegante, piena di grazia o bella quanto quella della stella, che,
leggiadra, si muoveva da una parte all’altra della sua piccola gabbietta,
volteggiando sulla punta di quei minuscoli piedini.
Non si accorse
fino a quando non ebbe finito il suo ballo che il Re si era svegliato e che la
stava guardando con i grandi occhi dorati pieni di lacrime dovute alla profonda
bellezza di quello spettacolo.
-Salvami dalla mia stessa esistenza,
dalle paure che non posso nascondere.-
Il Re pregò la piccola
stella, mettendoci tutto il suo dolore, tutte le sue paure in quelle parole.
La stellina fu
mossa a compassione, anche se quello era lo stesso essere che l’aveva
imprigionata, e allungò una manina verso il suo viso, accarezzandogli la pelle
della guancia.
-Piccolo Re
luminoso, ti prego lasciami andare e io ti prometto che ti salverò da questa
oscurità e ti donerò una luce che non svanirà mai.-
Gli disse, la
voce acuta che sembrava il rumore dei raggi di sole sul ghiaccio.
Il Re annuì e
fece scomparire la gabbia, lasciando la fatina a svolazzare nell’oscurità
davanti a lui.
-Ora che mi hai
liberato io ti darò una luce che resterà con te per sempre.-
Trillò ancora la
stella posandosi sulla mano del sovrano e prendendogli in mano una piccola
ciocca di lunghi capelli d’argento.
-Ma per farlo mi
servono i tuoi capelli, piccolo Re luminoso.-
Spiegò tirandoli
giocosamente.
Il signore del
castello non esitò un attimo, prese in mano i suoi lunghi capelli e li tagliò
con forbici fatte d’oscurità, per poi lasciarli cadere sulle proprie gambe
davanti alla piccola stella, che prese subito ad intrecciarli formando una
lunga treccia.
Quando ebbe
finito si alzò in volo sopra la sua opera e dalle sue ali scese una polverina
luminosa, che diede ai capelli una differente consistenza.
-Ecco piccolo Re
luminoso, questa candela brucerà per sempre illuminando il tuo castello della
luce che c’è nel tuo cuore, accendila.-
Disse con un
sorriso la stella, librandosi di nuovo in volo, all’altezza del viso del
sovrano mentre questo prendeva in mano quella candela argentata e la portava
davanti a se, confuso, chiedendosi come accenderla.
-Non so come
fare, stella. Cosa dovrei fare per accenderla?-
Domandò infatti,
guardando la piccola stella che rise volteggiando nell’aria, contenta della sua
nuova libertà.
-Desideralo mio
piccolo Re luminoso e si accenderà per te.-
Gli spiegò e
così fu, una fiammella argentata si accese alla cima della lunga candela,
facendo una luce addirittura più grande di quella della stella.
Il Re rise e la
sua risata cristallina fece crescere ancora di più la fiamma, come se fosse lui
stesso a dargli potenza.
-La cera di
questa candela è magica, perché è fatta con i tuoi capelli e con la polvere
delle mie ali, Re luminoso, essa reagirà alla tua luce interiore, più resterai
puro più essa brillerà con forza, abbine cura.-
Disse la
stellina facendo per andarsene.
-Aspetta stella,
ti prego.-
La richiamò il
Re, facendola voltare.
Con le lunghe
dita candide prese un pezzo cera dalla cima della candela, ammorbidita dal calore
della fiamma, e lo modellò fino ad ottenerne una piccola perla, facile per la
stella da portare in mano.
-Prendi questo
regalo in segno della mia gratitudine e per non dimenticarti di me, perché mai
io mi dimenticherò di te.-
La fatina tornò
indietro e prese la piccola perla stringendola al petto, per poi posare un
delicato bacio sulla guancia del sovrano.
Lo ringraziò e
scomparve, trovando la sua via d’uscita dalla collina e tornando dalle sue
sorelle nel cielo a raccontare loro della sua avventura e del piccolo Re
luminoso che ora non viveva più nell’oscurità.