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Autore: FinnAndTera    10/11/2013    6 recensioni
Federico, come tutti quelli che non sono belli nell’insieme, non sapeva di essere particolare. Cercava di nascondersi il più possibile, camminava a testa bassa per non dover vedere l’insieme e forse nell’insieme, lui, non ci voleva neanche stare.
La prima ad accorgersi della particolarità di Federico fu Chiara, che ne rimase a dir poco affascinata. [...]
[...] Samuele, al contrario di Federico, era davvero bello nell’insieme. Aveva gli occhi azzurri e i capelli neri, ma forse quei suoi occhi azzurri non sarebbero stati tanto belli se non avesse avuto quei capelli neri e viceversa. Chiara l’aveva trovato intento a contare gli spiccioli guadagnati improvvisando un valzer accompagnato dal suono delle onde.
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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Il singolo e l'insieme
(per una foto mai esposta in galleria)

Federico non era bello visto nell’insieme, ma le sue parti del corpo prese singolarmente rasentavano il divino. Aveva il naso greco e delle belle labbra sottili dalla forma perfetta, il collo lungo e bianco col pomo d’Adamo pronunciato, le clavicole leggermente sporgenti e la curva dei fianchi accennata, ma così bella da far venir voglia di passare il resto della vita ad accarezzarla.
Federico, come tutti quelli che non sono belli nell’insieme, non sapeva di essere particolare. Cercava di nascondersi il più possibile, camminava a testa bassa per non dover vedere l’insieme e forse nell’insieme, lui, non ci voleva neanche stare. Federico era uno di quei ragazzi particolari anche nei modi di fare; era ambidestro ma preferiva scrivere con la sinistra, portava gli occhiali un po’ storti sul naso e metteva in ordine tutto ciò che lo circondava, tranne se stesso. Aveva una libreria immensa nella sua stanza e quei soldi che guadagnava facendo il cameriere nella pizzeria sul lungomare di Via Caracciolo li spendeva un po’ per vivere e un po’ per vivere in un altro mondo. Imparava sempre l’incipit di ogni libro che leggeva, ma il suo preferito era quello di “Le avventure di Sherlock Holmes”: «Il mio amico Watson ha poche idee limitate, ma estremamente tenaci». Per Federico era quello l’importante, avere idee tenaci. Potevano anche non essere brillanti, ma se si avevano idee tenaci nella vita si andava sicuramente avanti.
Federico si esprimeva quasi sempre al negativo, il positivo non lo convinceva mai del tutto. La cioccolata per lui non era buona, ma per niente disgustosa, una persona non era brutta, ma non bella, la vita non era un male, ma di certo non era un bene.
La prima ad accorgersi della particolarità di Federico fu Chiara, che ne rimase a dir poco affascinata. Si erano incontrati senza un motivo preciso ad una festa organizzata in un piccolo e squallido locale di Pomigliano d’Arco, dopo aver goduto della bella musica del Pomigliano Jazz Festival. Federico non beveva per principio, mentre Chiara beveva fin troppo.
Sul divanetto nell’angolo nord-est del locale, Federico aveva passato la serata ad osservare il drink offerto dalla casa. Chiara era arrivata un’ora e mezza dopo, già ubriaca, ma estremamente ispirata. Le prime parole che Chiara rivolse a Federico furono: «Oh, cazzo!»
Chiara era una fotografa e di soggetti così rari come Federico ne aveva incontrati solo due: il suo ex fidanzato partito per il servizio militare e suo figlio, che però non aveva avuto il tempo di fotografare.
«Senti, non è che mi faresti fare qualche foto?»
Federico a quel punto aveva annuito annoiato, chiedendosi cosa ci fosse da fotografare in uno come lui.
Mentre salivano le scale dell’appartamento di Chiara, proprio vicino al locale squallido, Federico rimuginava sull’atto di scattare foto, e allora glielo chiese a Chiara, perché fotografasse.
«È opinione comune che le foto catturino i momenti e li conservino all’interno di esse» rispose lei salendo due scalini alla volta.
«E invece?»
«Questa è una bella definizione, ma in realtà per ognuno il senso della fotografia cambia».
«Per me le foto non sono felici». Federico ripensava alla foto di classe del suo liceo, quella in cui lui chiuse apposta gli occhi, e sì, la sua definizione calzava meglio di quella comune.
«Neanche per me, ma non credo che la tristezza o la malinconia siano peggio della felicità».
Chiara aveva idee tenaci, per questo Federico decise che gli piaceva.
 
**
 
«Dovresti posare nudo».
Federico inclinò la testa di lato, ma non fece storie. Per lui il concetto di nudità non esisteva, coi vestiti o senza vestiti Federico restava Federico. Non che non avesse il senso del pudore - il pudore era un diritto dell’uomo -, ma il suo senso del pudore era diverso; non era né vergogna né riserbo, ma perplessità. La nudità non era un problema, il problema era il perché della nudità e perché quando si era non nudi ci si sentiva persone migliori.
«No, aspetta» lo fermò tutto ad un tratto Chiara. «Ti voglio spogliare io».
Federico non fece resistenza e si fece spogliare lentamente. Chiara gli tolse prima gli occhiali, poi la camicia, sbottonandola tutta in un solo strattone e facendo saltare due bottoni. Federico non si mosse, neanche per raccogliere i bottoni. Gli sbottonò la cintura e poi gli disse «Metti le mani qui», così Federico si ritrovò a petto nudo con i pantaloni aperti e la cintura fra le mani. Chiara scattò una prima foto, non a Federico, ma alle mani di Federico.
«Hai delle mani incredibili, anche se non molto curate».
«Lavoro come cameriere, a Via Caracciolo».
Chiara lo guardò per un attimo come per dirgli che non le interessava dove lavorasse e dopo decise di alzare ancora di più la persiana della finestra. La luce artificiale rovinava le sue aspettative, ma quella sera per fortuna  la luna era piena. Tolse il resto dei vestiti di Federico e poi restò a contemplarlo, seria: gli girò intorno per studiarlo meglio, gli occhi che vagavano dappertutto. Chiara non aveva mai visto nulla del genere, neanche nel suo stupido ex fidanzato: Federico aveva tutto ma non nella maniera giusta e questo lo rendeva assurdamente splendido.
«Mettiti gli occhiali».
Quando si ritrovò completamente nudo con indosso solo gli occhiali, Federico si sentì come Sabina e la sua coppola[1]. I suoi occhiali erano storti sul naso e Chiara era completamente vestita, intenta a scattare foto ad ogni parte del suo corpo. Uscirono fuori al balcone, ma Federico non sentiva freddo. Chiara catturò il suo profilo, col suo naso greco e le labbra leggermente socchiuse, prese la spalla e il braccio sinistro con il triangolo che formavano i suoi nei, prese il collo dritto e il pomo d’Adamo in movimento, bagnò le clavicole con dell’acqua e poi scattò una dozzina di foto. Poi fu il turno dei capezzoli e dell’ombelico, i fianchi presi da ogni prospettiva, le natiche contratte e le gambe accavallate.
Alla fine, scattò anche una foto agli occhiali, perché gli chiese di chiudere gli occhi, proprio come nella foto di classe, solo che all’epoca sembrava più importante.
«Vorrei usare queste foto per un lavoro che sto facendo» gli disse, mentre lui si rivestiva.
«Fai pure, tanto quelle foto sono solo le mie parti».
«Ti sbagli. Queste parti sono te, solo che tu non te ne sei mai accorto».
Quella sera c’era la luna piena e Federico prese coscienza del suo corpo, della sua particolarità, e si disse che aveva ragione, lui nell’insieme non ci voleva proprio stare.
 
 **
 
«Sai Samu, l’altro giorno ho fotografato un ragazzo che è proprio il tuo opposto».
Chiara beveva il caffè con la cannella e profumava sempre di buono. Samuele apprezzava il suo profumo, ma a volte avrebbe preferito non sentire proprio niente. Sua madre ogni mattina mischiava il Dior Hypnotic Poison e lo Chanel n° 5 e andava in giro in cerca di attenzioni; Samuele non odiava sua madre – non odiava suo padre che se n’era andato all’improvviso, non vedeva come potesse farlo con quella infelice donna -, ma il suo profumo sì. Samuele odiava i profumi in generale, soprattutto quei profumi che sfociano nella puzza, perché la odiava ancor più del profumo. Un mondo inodore sarebbe stato perfetto, tuttavia in quel mondo il senso dell’olfatto avrebbe perso di significato.
Un po’ come fece il suo senso della vista quando si trovò davanti le foto di Federico.
«È bellissimo» soffiò piano, mentre scorreva avanti e indietro le fotografie sulla Canon di Chiara.
«In realtà non lo è, anzi. Però le sue parti del corpo sono belle, è vero».
Samuele la guardò interrogativo, non capendo a cosa si riferisse la ragazza. Com’era possibile avere parti belle ma non essere belli a sua volta? La sua domanda rimase muta, perché Samuele non parlava se non per dire il necessario, non si esprimeva quasi mai. Gli piaceva annullarsi, nei suoi sensi come nella sua intera persona, anche se non riusciva mai ad annullarsi come soggetto pensante. “Tu pensi troppo”, gli diceva sempre Chiara, che invece beveva sempre troppo e pensava troppo poco.
«Tu non puoi capire la bellezza sotto questo punto di vista, perché tu sei bello nell’insieme».
Ecco, era questo che Chiara voleva indicare con “tuo opposto”.
Samuele, al contrario di Federico, era davvero bello nell’insieme. Aveva gli occhi azzurri e i capelli neri, ma forse quei suoi occhi azzurri non sarebbero stati tanto belli se non avesse avuto quei capelli neri e viceversa. Il suo corpo emanava un’armonia tale che un suo solo passo equiparava la bellezza di un brisé[2]. Samuele era sciolto nei movimenti e nello stare al mondo, eppure lui vedeva la vita come un male, non come un non bene.
Studiava Filosofia alla Federico II, ma la sua vera passione era il violino. Spesso lo si vedeva suonare vicino Castel dell’Ovo, così elegante e incantevole che di sera faceva innamorare le persone. Era così, infatti, che Chiara l’aveva trovato, intento a contare gli spiccioli guadagnati improvvisando un valzer accompagnato dal suono delle onde.
«Posso vederlo?» le chiese a bassa voce, scandendo bene ogni sillaba. La sua bocca aveva la forma di un cuore, ma era circondata dalla barba che ne deformava il disegno.
«Non so dove viva, in realtà non so neanche il suo nome. Però so che fa il cameriere in una pizzeria di Via Caracciolo, quindi con un po’ di fortuna lo trovi. E raditi, così sembri il fratello gay della Bestia».
Di pizzerie a Via Caracciolo e dintorni ce n’erano parecchie, ma trovare l’ago nel pagliaio per Samuele non era mai stata una preoccupazione.
«Okk» disse, alzandosi dal suo posto al tavolino. «Però la barba me la tengo lo stesso».
 
**
 
Dopo qualche settimana Samuele, che non aveva mai avuto fretta, anzi, prendeva sempre tutto con un’estenuante leggerezza, riuscì a trovare Federico, ma non in pizzeria. Lo trovò sugli scogli, mentre beveva un’aranciata e leggeva “L’uccello che attraversava le viti del mondo” di Murakami. L’aveva riconosciuto grazie al suo profilo, col naso greco e le labbra dischiuse, la foto che più in assoluto l’aveva colpito. Quando gli si sedette accanto incrociando le mani perché non sapeva esattamente che fare, capì che cosa Chiara intendesse per “non è bello, anzi, ma le sue parti del corpo sono belle, è vero”. Federico indossava una camicia a cui mancavano due bottoni e aveva gli occhiali un po’ storti sul naso e senza che Samuele gli disse niente, Federico iniziò a parlare.
«Se davvero avete voglia di sentire questa storia, magari vorrete sapere prima di tutto dove sono nato e com'è stata la mia infanzia schifa e che cosa facevano i miei genitori e compagnia bella prima che arrivassi io, e tutte quelle baggianate alla David Copperfield, ma a me non mi va proprio di parlarne».
Samuele restò ad ascoltare e riconobbe le parole del libro Il giovane Holden.
«Non sono uno a cui piace far vedere che leggo e quelle stronzate lì, però capiscimi, non capita tutti i giorni di poter recitare l’incipit del giovane Holden. Ora che l’ho fatto, invece, sono felice, perché vuol dire che alla fine la mia passione serve a qualcosa».
Federico bevve il resto dell’aranciata e guardò per la prima volta Samuele negli occhi.
«Neanche a me va di parlare». Samuele continuò a fissare Federico negli occhi e decise che il fatto che non odorasse di niente in particolare rendeva le sue parti del corpo ancora più affascinanti.
«Allora che ne dici se parlo solo io?»
Federico gli sorrise e senza aspettare una risposta sproloquiò praticamente da solo.
«Il mio fratello Karamazov preferito è Dmitrij, ho abbandonato gli studi dopo il diploma all’alberghiero di Vico Equense – cinque anni davvero terribili, facevo le foto di classe con gli occhi chiusi – e ora lavoro come cameriere in quel localino vicino all’hotel Royal. In realtà il locale non è per niente vicino all’hotel Royal, però il proprietario è depresso perché tutti i suoi progetti di vita sono falliti e allora dice al mondo che il suo locale è a Via Caracciolo, così tutti possono dire che wow!, lui ha il locale a Mergellina. Che cretino, avessi io un locale mio in quella zona di Napoli, vivrei per sempre felice e contento».
Samuele si ritrovò tempestato da parole senza alcun nesso logico e si sentì benissimo. Federico annullava i fili convenzionali che univano le conversazioni e dunque i rapporti fra persone: ascoltarlo era davvero un piacere.
«Anche a me piace Dmitrij, perché è riuscito a fare quello che io non ho mai avuto il coraggio di fare». Non era esattamente il modo migliore per rispondere o per iniziare a parlare, ma Federico sembrava essere tutt’altro che puntiglioso sotto quell’aspetto. Aveva voglia di dirlo a qualcuno, Dmitrij era il suo preferito. Chiara gli diceva sempre che il migliore era Ivan e che lui non capiva niente di come fare conversazione.
«Sai che non lo avrei mai detto? Uno con gli occhi azzurri e i capelli neri mi sa tanto di persona a cui piace Ivan».
«No, lui piace a Chiara».
«La tua fidanzata?»
«No, una ragazza che ho conosciuto mentre suonavo con le onde. Quella che ha fatto la foto del tuo profilo».
Sugli scogli le onde si infrangevano sempre in modo violento, quasi in contraddizione con  la brezza di fine settembre che scompigliava i capelli neri di Samuele ed entrava nella camicia senza due bottoni di Federico.
«Ah, quella. Ha fotografato anche te? E ti piace più il mio naso del mio culo o il mio culo non te l’ha fatto vedere?» chiese lanciando una pietruzza il più lontano possibile. «E come fai a suonare con le onde?»
«A me ha fatto una sola foto, dice che sono bello nell’insieme. Anche il tuo culo è bello, però di culi belli ce ne sono tanti, di nasi belli molti di meno».
«Forse hai ragione».
«E non te lo so spiegare come faccio a suonare con le onde, lo faccio e basta».
In realtà erano le onde a suonare con lui, ma a Samuele quel pensiero sembrava troppo da egocentrico, quindi preferì stare zitto e non continuare la frase.
«Non lo so perché, ma questo “Lo faccio e basta”» replicò Federico imitando la voce sottile di Samuele ridacchiando sotto i baffi «mi ricorda tantissimo l’incipit de Il barone rampante».
«Come fa?»
«”Fu il 15 di giugno del 1767 che Cosimo Piovasco di Rondò, mio fratello, sedette per l'ultima volta in mezzo a noi. Ricordo come fosse oggi”. So che non c’entra niente, però boh, mi sembrava di sì».
Samuele strinse gli occhi, a lungo andare il vento glieli faceva lacrimare. Sua madre diceva sempre che gli occhi chiari lacrimavano di più perché avevano più acqua da smaltire. Da piccolo Samuele ci credeva e infatti non si spaventava quando la vedeva piangere vicina al balcone, in fondo doveva solo smaltire la sua acqua. Ora che però Samuele aveva capito tutto, non riusciva lo stesso ad odiare suo padre e per di più contraddiceva sua madre, visto che non piangeva da anni e le lacrime gli scendevano solo col vento.
«Senti, mi puoi dire come ti chiami?»
«Federico Bellapesca».
«Samuele Giovinco».
«In realtà io non te l’ho chiesto».
«Mi sembrava giusto dirtelo, ecco».
Federico restò in silenzio per qualche istante e Samuele ebbe l’impressione che stesse pensando a qualcosa di profondamente sbagliato che lui avrebbe accettato. Sarebbe potuta essere l’occasione giusta per annullarsi definitivamente.
«Hai qualcosa da fare, non so, tipo ora?» chiese infatti Federico, tirandosi su in piedi e aggiustandosi la camicia alla meno peggio, bottoni mancanti compresi. Buttò il resto dell’aranciata in un cestino lì vicino e mise il libro di Murakami in quella specie di zaino che si portava dietro.
«No, niente».
«Bene, allora adesso la hai».
 
**
 
Federico adorava camminare sul lungomare e forse era per questo che si era trasferito in centro, lontano da San Vitaliano. Quel posto era più morto che vivo, l’unico centro di ricreazione era il cimitero, e davvero non ne poteva più. La mattina per andare a scuola doveva partire due ore prima, ma Vico Equense l’aveva scelto apposta proprio per avere l’illusione di andare via per un po’: la scuola non la sopportava e infatti la marinava due volte su tre, ma alla fine era riempirsi gli occhi di schiuma e di mare che gli interessava, non la scuola. Al contrario di suo fratello, che era l’orgoglio di famiglia coi suoi ventinove anni e i suoi studi in Medicina, aveva preso la decisione di lasciare casa a vent’anni, appena preso il diploma – se non fosse stato per quel dannato anno perso si sarebbe trasferito anche prima. Federico amava la sua famiglia, ma San Vitaliano era un posto troppo piccolo per un’anima come la sua, così suo padre, che era operaio della Fiat, ogni mese gli dava una parte del suo stipendio per pagarsi l’affitto che tuttavia non bastava, e allora entravano in gioco i soldi da cameriere. Federico si sentiva in colpa a non essere un figlio ambizioso, ma i suoi gli volevano bene e si dicevano che, prima o poi, avrebbe trovato la sua strada.
«Sai, ho un appartamento piccolissimo e meraviglioso a Via Medina, non è che ti va di venire con me?»
Samuele, che per un quarto d’ora aveva camminato con le mani in tasca e le labbra serrate, ora si trovava davanti ad una scelta.
«Perché?»
«Sarò sincero con te: vorrei capire in cosa diamine noi siamo opposti, come dice la tua amica stramba».
«In effetti vorrei capirlo bene anche io».
«Allora seguimi. Giù da me c’è anche un tizio che fa delle pizze fritte assolutamente non male».
 
**
 
Samuele aveva ragione, il corpo di Federico non aveva nessun odore.
Nessun profumo di cannella, nessuno Chanel n° 5, solo un accenno di deodorante, ma anche quello era minimo. Si erano spogliati e posizionati davanti allo specchio antico che Federico aveva trovato ad un prezzo stracciato al mercatino dell’usato, accanto alla sua libreria che occupava due pareti.
«Cazzo, ora capisco cosa intendesse la tua amica».
Tuttavia Samuele non aveva il coraggio di guardare nello specchio: lui era uno di quei tipi a cui il senso del pudore impediva di godersi i Federichi nudi.
«Come aveva detto che eravamo?»
«Tu bello nelle parti ed io bello nell’insieme».
«Non mi sono mai sentito così non bello in vita mia e, oh, che cazzo, vuoi alzare quella testa? Non ti mangio mica, sai».
Federico continuò a guardare la loro immagine riflessa nello specchio e quel rossore sulle guance di Samuele gli fece ritornare in mente l’incipit di Lolita, un libro che gli aveva fatto anche tantissimo schifo, ma quello non voleva significare che anche Samuele gli facesse schifo.
«Posso abbracciarti?»
Samuele si pietrificò all’istante, ma a quanto pare la sua voce non rispose ai comandi. Gli disse di sì sospirando, annullando per un po’ quei pensieri che gli attanagliavano la mente.
«Lolita, luce della mia vita, fuoco dei miei lombi. Mio peccato, anima mia. Lo-li-ta: la punta della lingua compie un breve viaggio di tre passi sul palato per andare a bussare, al terzo, contro i denti. Lo-li-ta. Era Lo, null'altro che Lo, al mattino, diritta nella sua statura di un metro e cinquantotto, con un calzino soltanto. Era Lola in pantaloni. Era Dolly a scuola. Era Dolores sulla linea punteggiata dei documenti. Ma fra le mie braccia fu sempre Lolita».
Federico non si rendeva conto dell’effetto che faceva, ma Samuele restò a bocca aperta e gli occhi gli lacrimarono all’improvviso. Era bello sentirlo parlare, soprattutto quando se ne usciva con i suoi giochi di memoria, perché era veramente bravo.
Restarono così per un po’, fin quando Samuele non ce la fece più, e sorrise.
«Mi piace quando reciti i passi dei libri, credo che dovresti fare l’attore».
Un lampo di divertimento attraversò gli occhi di Federico. Non aveva mai pensato a quella strada per la sua vita, non c’era mai stato niente in grado di fargli alzare la testa e amalgamarsi all’insieme, ma ora quel Samuele, emblema di quell’insieme, gli aveva dato un’ambizione non grande, ma non per questo non utile.
«Guarda che è difficile entrare in quel giro».
«Niente è semplice nella vita, per questo suono insieme alle onde. Io dico che dovresti provare, almeno fai una cosa che ti piace, no?»
Samuele aveva idee tenaci, non brillanti, ma tenaci.
Fu per quel motivo che alla fine Federico lo baciò, in tutto il suo insieme.
 
**
 
Il tempo passava in fretta quando si viveva la vita, che poteva essere sia un non bene che un male, ma doveva essere vissuta in qualche modo.
Samuele si faceva largo fra la folla col suo violino stretto fra le mani, mentre Federico vestiva con una camicia bianca sistemata all’interno di pantaloni in stile vintage e per la prima volta sembrava un po’ ridicolo anche se aveva tutti i bottoni.
Quella notte di cinque mesi prima, Federico e Samuele avevano deciso di essere entrambi particolari nell’insieme. Samuele si convinse che la porta del Conservatorio di Napoli alla fine non era immensa, ma soltanto non piccola, cosa che poteva affrontare benissimo senza pensarci troppo, senza filosofare, perché alla fine filosofare lo portava sempre  e soltanto a sviolinare. Dall’altra parte Federico fu apprezzato dal mondo per la sua innata particolarità, ma la scuola di teatro gli aveva detto chiaro e tondo che la memoria e la particolarità non erano tutto, ma sarebbe stato il tutto, l’insieme a farlo debuttare, un giorno – sempre se avesse imparato a camminare a testa alta.
«Ti rendi conto che se non fosse stato per Chiara che desiderava fotografarmi le chiappe – perché alla fine sono state le mie chiappe ad essere esposte nella sua galleria, altro che particolarità – noi non ci saremmo mai incontrati?»
Federico camminava sempre due passi più avanti di Samuele, non perché non volesse stargli accanto, ma perché voleva avere l’illusione di condurre sempre lui l’altro all’avventura, alla scoperta del resto.
«Già, è vero. Dovremmo ringraziarla un giorno, non credi?»
«Mmh, a me non piace dire grazie alla gente, poi si montano sempre la testa».
«Chiara è già montata di suo, quindi non c’è pericolo, soprattutto da quando il suo ex fidanzato militare è tornato».
La prima volta che Giulio – era così che si chiamava l’ex ragazzo militare – era tornato dal servizio, Chiara casualmente si fece trovare nel pub che gestivano i genitori di lui. Si era portata dietro anche Federico e Samuele con la scusa di voler andare a bere qualcosa tutti insieme, come una famiglia, ma in realtà il suo scopo era gridare in faccia a quel ragazzo quanto fosse stato stronzo e scegliere un lavoro così di merda e quanto fosse stato cretino a pensare che lei non lo amasse più per quel motivo, o per quell’altro motivo, di cui i due ragazzi non sapevano niente. Samuele e Federico alla fine servivano solo da valvola di sfogo nel caso in cui Giulio non l’avesse baciata davanti a tutti per poi chiederle di tornare insieme, cosa che, naturalmente, successe.
«Quei due sono assurdi» disse Federico alzandosi i pantaloni con nonchalance.
«No, sono particolari. Un po’ come noi, solo che loro…»
«Shh, zitto un momento». Federico si fermò all’improvviso nel bel mezzo di Piazza Plebiscito e, arrampicandosi sulla statua di uno dei cavalli, cominciò ad attirare l’attenzione di tutti i passanti con la sua voce potente e fiera.
«Battuti dalle tempeste, stanchi come siamo, e pallidi ancora di terrore, lasciamo che la pace ci sorrida un istante, per avventarci poscia a nuove contese sopra sponde lontane!»
Forse Federico non si sarebbe mai completamente unito all’insieme, proprio come Samuele non avrebbe mai capito dove si trovassero le sue particolarità, ma fin quando un ragazzo recitava l’Enrico IV in Piazza Plebiscito e due occhi azzurri un po’ lucidi per il vento restavano lì ad ascoltarlo, l’insieme e il singolo non erano idee poi così distanti fra di loro, forse solo non lontane.
 
 
[1] Riferimento a L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera.
[2] Passo di danza classica. In pratica quello che tutti cerchiamo di fare per prendere in giro i ballerini classici e che ci fa sembrare tanti tonni spiaggiati.



Note d'autrice: romantico perché in teoria sarebbe dovuta essere una storia d'amore, ma in pratica sono un po' impedita in queste cose, e quindi l'aspetto romantico è andato leggermente in secondo piano. Mi sono affezzionata così tanto ai miei Federico e Samuele che probabilmente non ce la farò a lasciarli del tutto e forse prima o poi continuerò a parlare di loro. 
Questa shot è dedicata a L., che mi fa venir voglia di vivere anche se non sa manco perché, chi, e cosa.
Un bacio e alla prossima :)

Finn_the_raccoon

 
   
 
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