Anime & Manga > Altro - anime/manga mecha/su robots
Ricorda la storia  |      
Autore: Francine    11/11/2013    2 recensioni
[[Kagaku Ninjatai Gatchaman]]
È pericoloso, lo sai; c'è qualcosa che non quadra, lo sai; c'è odore di sangue nell'aria, lo sai. Eppure… eppure stasera vuoi essere un pesce e vedere fin quanto vicino alla luce riesci ad arrivare prima che la fiocina del pescatore ti passi da parte a parte. Lui non sa che quella luce proviene da una lampara; tu sì. Ed è questo che rende tutto ancora più eccitante.
Genere: Dark | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Otherverse | Avvertimenti: Violenza
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Lucciole e Lampare

ad Atlantis Lux,
 perché senza di lei Jo sarebbe rimasto un ricordo d'infanzia o poco più.


 
 
«PALLA tre in buca d'angolo.»
La punta della stecca bacia veloce il gessetto e si distende sulle due dita sottili. Avanti e indietro un paio di volte e poi via, a colpire la palla bianca con un movimento dolce.
Rotola, rotola, rotola e la palla numero tre, come predetto, s'insacca all'angolo, proprio sotto i tuoi occhi.
È brava, non c'è che dire. Forse anche troppo, almeno per questi quattro disgraziati che affollano di solito il biliardo male in arnese vicino al porto. 
Che ci fa qui una come te?, vorresti chiederle, prendendole il mento delicato tra le dita.
S'è fatta grande, Hiromi. Una volta piagnucolava al minimo colpo di vento che le scompigliava i capelli o le sollevava un po' l'orlo della gonna, e se ne stava sempre attaccata alle braghe del fratello; e adesso? 
Adesso eccola qua, con un paio di jeans così attillati da chiedersi se non le facciano male, i capelli legati e un maglione rosa confetto taglia extralarge fermato da una cintura e l'immancabile gomma americana in bocca che si gonfia e sgonfia in un palloncino rosa ad intervalli regolari.
Un maschiaccio che ha scoperto di essere una ragazza.
«Allora?», ti chiede quando s'accorge che i tuoi occhi sono fermi da troppo tempo su di lei. Stai guardando la linea delle spalle, così piccole e spioventi nonostante quelle spalline imbottite che dovrebbero farne una specie di armadio a muro; dieci a uno, starà credendo che le fissi il seno.
«Tocca ancora a te...», rispondi. Incrociando le braccia e la stecca con indifferenza.
Sorride. «Oh, oh... Qualcuno non ama perdere, vero?»
Ragazzina... È in momenti come questo che comprendi di essere cresciuto. Di essere diventato un uomo. E sinceramente, vedendo lei… così... non ti dispiace affatto.
«Scusami...», e ti sfiora l'inguine con un leggero colpo dei fianchi. 
Un passo indietro. Facciamo due. La signorina vuole essere guardata; e chi sei, tu,  per non accontentarla? Eh, sì... S'è fatta grande lo scricciolo pelle e ossa. Grande e con le curve giuste al posto giusto.
«Che stai guardando, Jo?»
«Scusami, ero sovrappensiero.» Che guardo, Hiromi? Come se non lo sapessi da te.
«Ah no, così non c'è gusto a batterti!», replica fissando il tappeto verde e allungando la mano verso il gessetto, ancora una volta. «Non crederai di prendermi sottogamba perché sono una ragazza, vero?»
Strofina la punta della stecca veloce e poi soffia via decisa i residui. Non c'è niente di erotico, niente di malizioso in quei gesti; ti dici che non alludono a nulla, che non li ha compiuti fissandoti dritto negli occhi, ma è inutile: ne resti catturato. C'è qualcosa in lei che ti incatena gli occhi alle sue labbra rosa acceso. E lei lo sa.
«Assolutamente no.» Menti. Sapendo di mentire. Sapendo che lei sa.
«Problemi con il lavoro?», ti chiede tornando a studiare le possibili traiettorie sul tappeto verde. Vuol mettere in buca la palla numero cinque, glielo leggi in faccia, ma per farlo senza buttare dentro anche la otto sarà costretta a far carambolare la palla bianca con una precisione più che matematica.
«Diciamo di sì...»
Non ti ascolta più. Si abbassa con lo sguardo a filo del bordo del biliardo e i suoi occhi s'illuminano. Ha trovato la soluzione.
«Mmm... E di che genere?»
«Personali.»
«Cose tipo litigo sempre con i miei colleghi e loro non mi capiscono
Non sai quanto ci sei andata vicino, ragazzina. «Più o meno.»
«Fammi indovinare», dice posizionandosi dall'altra parte della buca. «Loro agiscono da bravi soldatini precisi, mentre tu ti ostini a fare di testa tua, vero? Palla cinque in buca d'angolo.»
La stecca colpisce la palla battente e rimbalza disegnando una stella sul tappeto verde, finendo per dare un leggero colpetto alla numero otto che spinge la cinque dove aveva dichiarato lei. «Ho ragione, Jo?»
«Diciamo che fatico a collaborare con i miei colleghi, tutto lì.»
«Capisco», risponde girando intorno al biliardo con passi lenti. Come quelli di un predatore che vuole giocare con la sua preda. «Ma ricordami un po': che tipo di lavoro fai adesso?»
«Quante domande, ragazzina... È una partita di biliardo o un interrogatorio?»
«Primo, non sono più una ragazzina.»
«Ah no?» Senti il vecchio Yukio, seduto davanti alla stufa a leggere il giornale, ridacchiare nella tosse secca di chi ha respirato solo petrolio e iodio in vita sua. «E cosa saresti?»
«Una donna?», chiede lei allargando le braccia. «Non ne hai mai vista una?»
«Non lo sfidare, signorina...», s'intromette Yukio. «Il nostro campione cambia le donne più in fretta delle mutande...»
E torni a fissarla dritto negli occhi. 
A che gioco stiamo giocando, Hiromi? Non ha mai messo piede in bettole come queste fin quando Hito non è partito per Hokkaido, tre mesi fa, ed è affondato con la baleniera al largo delle Sahalin, e adesso si atteggia a donna vissuta.
Perché, Hiromi? Cosa vuoi in realtà? Affogare il dolore? Una notte di sesso? Soldi? 
Se non la prendi per un orecchio e non la riporti da sua madre è solo perché sai quello che combina avendola accanto a te. E perché, sotto sotto, sei un uomo. Un uomo attratto da un metro e sessantacinque di carne fresca e giovane.
«Davvero, Jo?», ti chiede, come se Yukio le avesse spifferato che Babbo Natale non esiste. «Guarda che la sfida con mio fratello è annullata.»
«E tu che ne sai?», le chiedi. È più forte di te. 
Fa spallucce, come quando suo fratello la scopriva a pedinarvi, nonostante le aveste proibito di seguirvi. Una sgridata, Hito che pestava il piede a terra e lei che alzava le spalle, come a dire: ora sono qui, non vorrete certo mandarmi via...
«Lo so e basta», risponde serafica. «So che tu e Hito avevate scommesso qualcosa sul portarsi a letto il maggior numero di donne possibile, ma non so quali fossero i termini precisi del vostro accordo. Palla nove in buca. Dritto per dritto.»
«Sicura, bimba?»
Ti guarda come se l'avessi presa a secchiate d'acqua ghiacciata. Fissa il tavolo, poi te. Sbatte le ciglia. Hiromi, Hiromi, ho scoperto il tuo bluff. Non hai visto abbastanza volte il film con Tom Cruise, vero? Avanti, Hiromi. Chiedimi «Perché?» con quella tua voce da fringuello...
«Oh, scusami. hai ragione. Ho letto male il numero.»
«Tipico dei principianti...», ribatti stiracchiandoti collo e spalle.
«Attento, Jo. La principiante sta per vincere la partita.»
Piccola vipera! Avresti dovuto lasciare che mettessi via quella palla che sarebbe spettata a te, così l'avresti scalata dal suo punteggio e avresti avuto un tiro in meno da mettere a segno. «Hiromi, la palla sei è verde, la palla nove è bianca con una fascia di colore giallo...»
«Mi stai distraendo, Jo...»
Ed è vero. Sì, lo stai facendo apposta. Perché ti stai annoiando. Perché se continua così sarai costretto ad offrirle da bere per obbligo, e non perché lo vuoi tu. E perché voglio che mi guardi, Hiromi. Vuoi rivedere sul suo viso quello stesso sguardo che le scoprivi quando la beccavi a scrutare un po' troppo a fondo la marca dei tuoi jeans. Vuoi dimostrarle che è diventata una donna, quella bambina che ti stava alle calcagna. Vuoi farla scoppiare a piangere d'imbarazzo e toglierle quella ridicola mise da femme fatale che le stona addosso come un LP mandato a 45 giri. Ridatemi Hiromi. Ridatemi quella ragazzina.
La palla finisce in buca; manca solo la otto.
«Oh, oh, oh...», ridacchia lei arcuando le sopracciglia all'insù. «La principiante sta per metterti in mutande, campione...»
«Non mi sembra di aver scommesso nulla, signorina
«Siamo ancora in tempo», sorride. Maliziosa.
«Mi sembra poco leale, arrivati a questo punto, non credi anche tu, Yukio?»
«Storie!», ribatte lei mentre lui ridacchia, tossisce e sputa catarro nero. «Hai paura di perdere? Che razza di uomo sei?»
Uno che se non la smetti ti porta fuori e ti sbatte contro il muro, pensi; ma stringi forte la stecca di legno tra le mani. «Ok. Ok. Se sei così convinta di quello che stai facendo, scommettiamo.»
«Bene!», risponde sorridendo. «Se vinco, mi porti fuori a cena. Ristorante in riva al mare di quelli buoni, con vista sulla baia illuminata e tutto il resto. Ci stai?»
Annuisci. «E se vinco io?»
Socchiude gli occhi. «Scegli tu la posta, mi sembra giusto così, visto che stai per perdere...»
«Ok. Ti dispiace se ci penso su?»
«Pensaci pure quanto vuoi. Ma pensa anche ad un ristorante con tutti i crismi», risponde posizionandosi di fronte alla palla nera. «Palla otto in buca laterale.»
«Devo pensare anche all'albergo?» E lei s'irrigidisce.
«Silenzio!», ti riprende, la voce che le trema leggermente. «Palla otto in buca laterale.»
Taci. Sai di essere uno stronzo, sai di stare giocando sporco, ma… Chi dei due ha iniziato, Hiromi? Io no di certo.
La palla battente si muove, come se la stecca l'avesse buttata giù dal letto con le cattive maniere, ed infatti manca la numero otto di mezzo chilometro.
«Merda!», sputa fuori pestando il pavimento con la punta dei suoi stivali, stizzita come una bambina a cui è caduto il gelato.
«Signorina, ti dovrei lavare la bocca col sapone...» La sfotti dando un'occhiata alla situazione. Pazzesco, ha fatto piazza pulita di tutti gli ostacoli. Hiromi, Hiromi, se il tuo scopo era quello di farti portare a cena dal sottoscritto, hai sbagliato i tuoi conti. O no?
«Palla quindici in buca laterale», e la stecca scatta a colpire la palla battente.
«Palla dieci in buca d'angolo», e la palla bianca e azzurro s'insacca nella retina.
«Facile vincere così...» commenta lei per distrarti.
No, Hiromi, non ci siamo. È sin troppo scontato il suo gioco, adesso.
«Palle undici e tredici in buca d'angolo.»
La tua stecca giustizia una ad una tutte le sfere bianche con un cerchio colorato, mentre lei si morde le labbra. Paura, eh?
«Palla otto. In buca laterale», e con un colpo secco la biglia nera rotola fino a che non si sente solo il rumore della retina che si gonfia.
Lei resta in silenzio. Appende la stecca di Hito alla rastrelliera e ti guarda. 
«Ok. Cosa vuoi?»
Te, vorresti rispondere per poi prenderla e sbatterla sul tappeto verde e vedere coi tuoi occhi se è ancora la piccola Hiromi o se è già troppo tardi. Invece sorridi, metti a posto la tua stecca, col nome inciso sopra intagliando il legno con un coltellino mezzo spuntato, e fai per andartene.
«Sto parlando con te, Asakura!», ti grida dietro, perdendo parte della sicurezza che ha ostentato per tutta la partita. «Guarda che i debiti di gioco si pagano!»
«Ha ragione lei, ragazzo…», s'intromette Yukio riprendendo a bere una birra che ormai sarà diventata un brodo.
«Sciocchezze!», ribatti. Infilandoti la giacca. «Le scommesse si stabiliscono prima d'iniziare a giocare, non alla fine.»
«Vale a dire che non avresti pagato pegno se a vincere fossi stata io?»
«Sì, che l'avrei pagato!», rispondi con le mani che torturano il bavero dello Schott. Sì, Hiromi. Ti avrei portata nel ristorante più bello della baia, ti avrei fatto rimpilzare di gamberi e ubriacare di birra, proprio come volevi tu. Ma è meglio così, credimi.
Esci, la sera che sta diventando notte sopra i capannoni del porto in fondo alla strada.
«Aspettami!», grida lei raggiungendoti all'esterno. «Anche io ho diritto a pagare il mio pegno», ribatte mani sui fianchi, come quando da ragazzina pretendeva che la metteste a parte dei vostri segreti. «Guarda che ho capito a che gioco stai giocando, Jo.»
«Sarebbe?»
«Vuoi farmi capire che devo stare attenta con gli uomini, vero? Vuoi farmi capire che non devo scherzare troppo con il fuoco, vero Jo?», ti chiede avanzando come un panzer verso di te. «Ma se adesso mi lasci andare, sarò tentata di riprovarci la prossima volta. Se qualcuno deve darmi una lezione, tanto vale che sia tu, no? Fai conto di agire al posto di Hito…»
Hito. Questo è un colpo basso, e lo sai ragazzina, vero? I suoi occhi sono dannatamente seri. E qualcosa, dal profondo, ti spinge ad assecondarla, a cedere all'attrazione che senti spingerti verso di lei. 
È pericoloso, lo sai; c'è qualcosa che non quadra, lo sai; c'è odore di sangue nell'aria, lo sai. Eppure… eppure stasera vuoi essere un pesce e vedere fin quanto vicino alla luce riesci ad arrivare prima che la fiocina del pescatore ti passi da parte a parte. Lui non sa che quella luce proviene da una lampara; tu sì. Ed è questo che rende tutto ancora più eccitante.
«Cosa vuoi, Jo?», ti domanda ancora una volta, gli occhi seri e determinati.
«Voglio che tu passi la notte con me.»
Sorride. «Tutto qui?»


La sabbia è fredda. Arriva una tale umidità dalla porta che è un miracolo che non vi spuntino le pinne ed iniziate ad annaspare sul pavimento della cabina. 
È tardi. Sai già che domani avrai le ossa a pezzi, e che se non ti sbrighi a rientrare Ken ti farà il solito cazziatone. Effettivamente, data l'ora te lo farà comunque, quindi tanto varrebbe tirare il più possibile la corda; però domani è un giorno importante. Forse il vostro contatto dimostrerà di valere quella cifra irragionevole che la Fondazione ha pagato con i soldi che i contribuenti hanno sborsato con le ultime tasse.
Sono sei settimane che aspetti.
Rispetta la procedura, Jo. Niente azioni personali.
Quando Nambu fa così lo strozzeresti con le tue stesse mani. Potevi infiltrarti, no? Sarebbe bastato dotarti di una di quelle maschere al silicone, un paio di lenti a contatto nere e via. E invece no.
Fanculo, lui e tutti quei burocrati dei miei stivali!
«Mmm…»
Hiromi dorme ancora, accoccolata su un vecchio materassino sgonfio.
Non ce la fai a svegliarla. Sei un vigliacco, lo sai da te; ma non hai le palle per dirle addio, non dopo che l'hai fatta diventare donna.
Hito, ho vinto io la scommessa. Mi sono portato a letto l'unica donna che tu non ti saresti mai fatto. 
«Mmm…»
Ok, Jo: se devi andare, questo è il momento più adatto. Fallo ora, prima che lei si svegli, prima che ti chiami con la voce impastata dal sonno e tu ti ritrovi adorante ai suoi piedi e rincoglionito dal suo profumo. Vattene. La notte odora di sangue.
«Jo.»
Non l'hai sentita arrivare. La mano sul tuo fianco, il suo seno nudo contro la schiena e le sue labbra alla base del collo.
«Hiromi, devo andare», e ti trema la voce. Perché? Perché, cazzo? Non potevo andarmene prima, invece di starmene a guardare il mare nero? 
«E dove?»
«Devo alzarmi presto domattina. Parto per lavoro.»
«Lavoro?», e la sua mano ti solletica gli addominali. «Ancora non mi hai detto che genere di lavoro fai, Jo…»
«Trasporti eccezionali.»
«Ah sì? Beh, Hito lo diceva sempre che eri un asso al volante. Ma lui mi aveva detto che facevi il collaudatore di moto.»
«Fatico a restare sempre in uno stesso posto, lo sai. Adesso mi diverto a guidare grossi bestioni articolati su e giù per il Giappone.»
La senti ridere contro la tua spalla. «La mamma non ti ha insegnato che non si dicono le bugie, Jo?»
Clic.
«Hiromi…»
«Sta' zitto, lurido porco.»
«Hiromi che ti salta in testa?!» Dove la teneva quella pistola?
«Che mi salta in testa, Jo? Ma è semplice, non ci arrivi? Voglio scannarti. Scannarti come il maiale che non sei altro! Ma prima… prima forse è il caso di spararti alle gambe per tenerti fermo.»
Ha commesso un errore: ha lasciato la sua mano sul tuo addome e non sarai così idiota da non approfittare della situazione. Le afferri il polso, di scatto, te ne infischi se glielo spezzi o cos'altro, e la sbilanci, mettendola al tappeto.
Le tue mani cercano la pistola, mentre blocchi con il corpo il suo per impedirle altri tiri mancini. Il colpo è in canna. Non deve premere quel grilletto. Per nessuna ragione al mondo.
«Che stai facendo, Hiromi?!», le urli per distrarla e portare la sua attenzione su di te. Sputa. Scalcia. Ti morde una spalla e urli, ma non molli l'arma. «Smettila!» La pistola!
«No! Lasciami, bastardo! Lasciami!»
«Ma sei impazzita?» La pistola!
«Voglio vendicare Hiro! Tu l'hai ammazzato. Tu e quei tuoi amici, bastardi come te!»
«Che stai dicendo? Hiro…» La pistola! La pistola! La pistola!
«Sei stato tu, lo so!»
Riesci a strapparle la rivoltella di mano. Ti alzo ansimando. «Io?», e la tieni sotto tiro. Lei resta a terra, nuda a metà, tra la sabbia e le assi sporche della cabina. «Chi ti ha raccontato quest'idiozia?»
Sorride, la bocca arcuata all'insù e la voce simile a un ringhio. «Degli amici; degli amici vestiti di verde…»
I Galactors!
«Hiromi, ascoltami. Ascoltami bene. Io non ho ucciso Hiro. Era il mio migliore amico, era come un fratello per me. Sono stati i Galactors a prendere in ostaggio la baleniera e …»
«Storie!», urla prima di avventarsi contro di te e prima che un ceffone ben piazzato la faccia tornare a terra.
«Non ho ucciso io Hiro. L'hanno ucciso i Galactors, così come hanno ucciso tanti innocenti, come hanno ammazzato i miei genitori sotto i miei stessi occhi.»
Ti fissa, una mano sulla guancia. Domani avrà un bel livido, temi, ma meglio quello che un buco nella tua testa. O nella sua.
«Come tua madre e come tuo padre…»
Il ricordo di quella scena. No, non devi pensarci. Non ora, non con Hiromi che vuole farti la pelle ed un colpo caricato in un'arma automatica. Devi togliere il caricatore e lanciarlo via, lontano. Prima che lei possa fare qualsiasi altra cosa.
«Tuo padre. Tu lo sai perché l'hanno ucciso, Jo?»
«No. Non lo so e non voglio saperlo. Mi basta solo che l'abbiano fatto; gente come quella non ha bisogno di motivazioni per…»
«Perché era un traditore, Jo. Era uno di loro che aveva deciso di cambiare bandiera, come si cambiano un paio di mutande. O una donna. Chissà, magari s'era fatto un'amichetta all'interno dei Galactors ed era tornato all'ovile…»
Non è vero. Io lo so. Io lo so!
Non è per questo che vuoi prendere per il collo Gelsadra e farle sputare fuori la verità a calci sul grugno?
No. Chissà quali bugie le avranno fatto credere… Meglio andarsene. Meglio rivederla solo quando avrai delle prove certe. Per lei. Per te.
«Cazzate, Hiromi. Cazzate», e te ne vai, la pistola in pugno e la giacca sulle spalle.
«Che c'è? Non mi ammazzi come hai fatto con mio fratello? Non mi riempi di calci e mi stacchi i denti uno per uno come hai fatto con lui? Hai in mente qualcosa di diverso?»
«Smettila, Hiromi!»
«Guarda che ho visto cosa gli hai fatto! Ogni santo minuto. Hiro… urlava. Urlava pietà, Jo. Urlava il tuo nome, ti urlava di smetterla, di lasciarlo in pace! E tu? Tu… ridevi. Tu. Ridevi!!»
«Hai visto quello che loro volevano tu vedessi, Hiromi! È facile camuffarsi. Una parrucca, due lenti a contatto e via. Usa il cervello! Avanti! Perché mai ti avrei rivista, allora?»
«Per portarmi a letto, Jo. E vincere così la scommessa.»
La guardi sbalordito. Giusto, la scommessa. Quel particolare che è rimasto latente, che non sei riuscito a mettere a fuoco prima, mentre tiravate di stecca sul biliardo consumato del bar di Yukio, e che ti atttirava in superficie come la luce di una lampara. Lei che ne sa?
«Tu che ne sai?»
«Sono sempre stata brava ad origliare, sai? Quando tu e Hito avete fatto quella scommessa, io ero dietro la porta della sua stanza. Ti ricordi? Casa mia aveva i fusuma molto sottili, e voi due avevate fatto due piccoli buchi a quelli della stanza di zia Michiko per vedere lei e le sue amiche mentre si spogliavano.»
«E tu?»
«Ho origliato, Jo. Mamma mi aveva mandato a portarvi due bicchieri di limonata mentre voi osservavate le lucciole in giardino, ma quando vi ho sentito parlare, mi sono accucciata, ho posato il vassoio sul tatami del corridoio e ho origliato. Dovevate portarvi a letto le stesse donne. Hiro era convinto che un mezzosangue come te non avrebbe mai tenuto il suo passo. E invece tu avevi una sola possibilità di fregarlo, portandoti a letto la sottoscritta. Per quanto maniaco, mio fratello non mi avrebbe mai toccata con un dito.»
Sbalordito. Questo sei. La tua espressione deve essere la stessa che vedevi sulle facce dei pesci quando tuo padre li arpionava e li tirava sulla barca. Ma come? E la luce dov'è?, sembravano dire quegli occhi sbarrati dal dolore, mentre i corpi si dimenavano in cerca d'aria.
E brava Hiromi. Da lucciola a lampara. Complimenti.
«Tu sei pazza…», riesci solo a dire. «Ti hanno fatto il lavaggio del cervello.»
«Non m'importa quello che pensi!», urla scattando in piedi. Poi non capisci più nulla di quello che dice. Le sue mani scattano alla pistola, afferrano le tue.
Le unghie che si piantano nella carne, tu che allarghi le dita e la pistola che cade.
Rimbalza sul pavimento.
Parte il colpo.
E adesso è Hiromi a guardarti con la faccia ammammaloccuta, come avrebbe detto tuo padre. Il proiettile le trapassa in parte la testa, il cervello sprizza sulla parete alle sue spalle tinteggiando tutto l'interno della cabina.
La luce della lucciola si è spenta per sempre.
E la notte, adesso, odora davvero di sangue.
 
   
 
Leggi le 2 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Anime & Manga > Altro - anime/manga mecha/su robots / Vai alla pagina dell'autore: Francine