Fumetti/Cartoni americani > Pucca
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Autore: Shainareth    11/11/2013    3 recensioni
Quinto capitolo della saga Amnesia.
Fece scorrere per l’ultima volta lo sguardo sui volti dei tre ragazzi che vi erano ritratti e che sorridevano alla vita, inconsapevoli del triste destino che li avrebbe travolti e annientati.
Genere: Commedia, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Garu, Pucca, Tobe
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Amnesia'
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AMNESIA - FOTOGRAFIE




«Cos’è questo?»
   Garu si volse a fissarla e notò che aveva un’espressione stizzita in volto, la fronte corrugata e la linea della bocca all’ingiù. Quando si accorse di ciò che gli stava mostrando, sollevò un sopracciglio e rispose: «Un fazzoletto.»
   «Lo vedo, grazie», ribatté piccata la ragazza, quasi sbattendoglielo sul naso. «Ma da dove salta fuori? Non è certo un fazzoletto maschile!»
   No, di certo non lo era, con quel merletto sui bordi e il disegno di un coniglietto in un angolo. Garu poteva capire che la cosa potesse risultare fraintendibile, soprattutto considerato il fatto che Pucca lo aveva trovato in uno dei suoi cassetti. Tuttavia, avendo la coscienza pulita, si limitò a scrollare le spalle. «Era tuo.»
   Di colpo la gelosia si volatilizzò dal cuore della fanciulla, che rimase senza parole. Il suo viso tornò a rilassarsi, mostrando questa volta una certa sorpresa. «Oh», balbettò poco dopo, rigirandosi il fazzoletto fra le mani e non riuscendo affatto a ricordarsene. Sicuramente la sua memoria continuava a giocarle brutti scherzi. Dannata amnesia.
   «Fu l’ultimo regalo che mi facesti», le spiegò il ninja, tornando a prestare attenzione a ciò che stava cercando fra i propri effetti personali. Dal momento che Pucca aveva espresso il desiderio di vedere delle foto di Garu da bambino, i due si erano messi alla ricerca di qualche album che riguardasse anche altri momenti della vita del ragazzo. «Anzi, non fu proprio un regalo», ammise lui. «Solo che me lo desti subito prima dell’incidente e non ho mai avuto modo di restituirtelo.» Quel fazzoletto, infatti, era lo stesso con cui Pucca gli aveva fasciato il braccio ferito durante l’ultimo scontro con Tobe.
   «E lo hai tenuto per tutti questi anni?» Quella della fanciulla non fu una domanda, quanto una constatazione che la indusse a sorridere quando si rese conto che Garu, che in quel momento le dava le spalle, era arrossito. Poteva capirlo dal colore che aveva assunto la punta delle sue orecchie. Provando un’enorme tenerezza per il suo lato romantico e timido, camminò carponi sul tatami fino ad arrivargli vicino e circondargli il collo con le braccia, appiccicandosi alla sua schiena come una seconda pelle e sbaciucchiandogli uno dei padiglioni auricolari.
   Fu un colpo basso, che indusse Garu ad avvampare più di prima e a tentare di divincolarsi dal suo abbraccio. Tutto inutile. «Per favore, per favore, smettila!»
   «Soffri il solletico sulle orecchie?» lo prese in giro Pucca, lasciandolo in pace; ma rimanendo comunque avvinghiata a lui. Ma proprio quando il giovane fu sul punto di ribattere con aria imbarazzata e accigliata a un tempo, lo sguardo della sua innamorata cadde su una foto che lui aveva messo da parte. «È questa?» chiese, sciogliendo l’abbraccio e accucciandosi al suo fianco.
   Lasciandosi distrarre dalla sua domanda, Garu annuì. Si trattava della fotografia che ritraeva suo padre e sua madre insieme al padre di Tobe. Era piuttosto malridotta a causa dell’incendio che aveva rischiato di distruggerla insieme a moltissime altre, perciò il ninja si era preoccupato di tenerla da parte per evitare che finisse per rovinarsi del tutto.
   «Era davvero una bella donna», fu il complimento sincero che Pucca fece alla ragazza della foto.
   Lui sorrise senza allegria. «Lo era», confermò con un sospiro. Chissà quanto aveva sofferto, sua madre, pensando che suo marito e suo figlio erano morti nell’incendio… Inoltre si era spesso interrogato sullo stato d’animo con cui aveva detto addio alla vita, lasciando un altro marito e un altro figlio a loro stessi. Nessuno dei suoi due bambini era riuscito a conoscere l’amore che lei avrebbe potuto e voluto dargli.
   Ispirando profondamente, Garu prese la fotografia e si alzò in piedi. «Dove vai?» chiese Pucca, seguendo con gli occhi i suoi movimenti attraverso la stanza.
   «Devo fare una cosa», rispose lui con fare vago. «Torno fra poco, scusa.»
   «Ti aspetto qui», gli assicurò la ragazza, senza indagare oltre. Ormai aveva capito che certi atteggiamenti apparentemente enigmatici da parte di Garu non erano altro che il risultato del lungo voto del silenzio a cui si era sottoposto volontariamente fino a quasi un anno prima. Benché stesse lentamente facendo progressi in proposito, il giovane non era ancora abituato ad esternare i propri pensieri e i propri stati d’animo. Con Pucca gli veniva più semplice parlare, ma accadeva comunque solo dopo qualche tempo e con l’ausilio di un piccolo sforzo. E quando riusciva a confidarsi, si sentiva meglio. Anche perché ad ascoltarlo c’era una persona sempre disposta a sorridergli, a consigliarlo e a rassicurarlo. Sicuramente Garu non sarebbe mai stato un chiacchierone, pensò Pucca tornando a volgere lo sguardo alle altre foto lasciate alla rinfusa sul tatami; ma andava bene così, visto che poi lui le raccontava comunque ogni cosa, sia pure con i suoi tempi. Ci voleva solo un po’ di pazienza.
   Prese fra le dita un’istantanea in cui Garu bambino, alle prese con i primi passi, guardava verso l’obiettivo con lo stesso, identico sguardo accigliato che poteva scorgersi anche adesso sul suo viso ormai adulto. La fanciulla sorrise e non poté fare a meno di abbandonarsi alla fantasia, immaginando come sarebbe stato un figlio nato da loro due e stabilendo che sarebbe stato senz’altro un maschietto identico al suo bel papà.

Ignaro di tutte le fantasie della sua innamorata, Garu si era diretto verso la radura in cui Tobe aveva finalmente finito di rimettere a nuovo la capanna da lui abbandonata anni prima. Quando giunse davanti alla porta d’ingresso, tentennò per qualche attimo, fissando ancora gli occhi sulla fotografia di oltre vent’anni prima che aveva portato con sé. Fece scorrere per l’ultima volta lo sguardo sui volti dei tre ragazzi che vi erano ritratti e che sorridevano alla vita, inconsapevoli del triste destino che li avrebbe travolti e annientati. Ma se anche avevano avuto la sfortuna di morire prima di diventare anziani, avevano lasciato al mondo la loro eredità: Tobe e Garu, due fratelli che dovevano ancora prendere del tutto confidenza con la nuova situazione che si era venuta a creare fra loro.
   «Sei venuto a controllare che faccia il bravo?» Quella domanda fece sussultare Garu, inducendolo a voltarsi verso il punto in cui si stava avvicinando Tobe che, a quanto pareva, stava rientrando a casa proprio in quel momento. «Tranquillo», tornò a parlare, rassicurandolo con un mezzo sorriso. «Ero solo andato a cercare lavoro.» La faccia che fece suo fratello lo stizzì. «Guarda che ho davvero intenzioni oneste, stavolta», precisò allora, mentre apriva la porta di casa e la lasciava aperta per farlo entrare. Ma vedendolo ancora fermo sulla soglia, aggiunse: «Muoviti, ché fa freddo.»
   Garu obbedì e si richiuse l’uscio alle spalle. «Trovato qualcosa?» domandò allora, decidendo che, in effetti, poteva concedergli la propria fiducia anche stavolta. Dopotutto, da che era tornato a Sooga, Tobe non aveva mai dato prova di mentire o di tramare qualcosa alle spalle di qualcuno.
   «Forse», rispose distrattamente lui, togliendosi il giaccone. «Tè caldo?»
   L’altro esitò. «Sì… grazie», mormorò poi, sentendosi in qualche modo strano. Era appena stato investito dall’assurda consapevolezza di essere in procinto di fare una chiacchierata a tu per tu con il proprio fratello. Ne aveva già fatte diverse, nell’ultimo mese, e non solo durante il viaggio che li aveva portati lontano dal villaggio, ma anche durante i lavori di ristrutturazione della casa in cui adesso si trovavano entrambi – Pucca era infatti riuscita a convincere Garu a dare una mano a Tobe. Tuttavia, soltanto adesso che erano stati nuovamente assorbiti da una vaga quotidianità, il ninja si rendeva conto che le cose stavano realmente così, che quel giovane uomo che si stava adoperando a preparargli una tisana calda era suo fratello maggiore. Ne osservò la figura e i movimenti con aria smarrita, non riuscendo a decifrare l’emozione che aveva iniziato a riempirgli il cuore. Era una sensazione positiva, forse. Di sicuro, era strana.
   «Dovevi dirmi qualcosa?» si sentì chiedere d’un tratto.
   Garu si riscosse dal torpore psicologico ed emotivo in cui era caduto e si umettò le labbra con la punta della lingua. «Più che altro», cominciò a dire, avanzando nella direzione di Tobe, «volevo restituirti questa», concluse, porgendogli la foto.
   Il maggiore la guardò, ma non la prese, anche perché aveva già le mani occupate. «Non la vuoi?» si ritrovò a chiedere con voce atona. Non avrebbe dovuto meravigliarsi, si disse, poiché in quella foto era ritratto anche l’assassino del padre di Garu. Era logico che lui non volesse un suo ricordo.
   «Quando me l’hai data, mi hai detto che è una delle poche cose che ti sono rimaste della mamma», prese invece a spiegargli il ragazzo. «È giusto che la tenga tu.»
   Tobe avvertì un insolito sussulto al cuore. Davvero Garu si stava preoccupando per una cosa del genere? Sorrise, evitando tuttavia di guardarlo negli occhi. «Grazie», balbettò, facendogli cenno di lasciarla sul tavolo accostato alla parete vicina all’angolo cucina del monolocale. Si schiarì la gola. «Hai… altre foto della mamma?» domandò dopo qualche istante, mostrando una certa insicurezza nel tono della voce.
   Anche Garu abbassò gli occhi. «Sì», ammise. «Di lei da sola e con mio padre.» Ma, come Tobe, anche lui non aveva alcuna fotografia che lo raffigurasse con entrambi i suoi genitori. Tirò su col naso e affondò le mani in tasca. «Se ti va di vederle, puoi venire da me», gli propose, stabilendo che, se il destino aveva deciso di renderli fratelli e di chiudere definitivamente ogni rivalità fra loro, era anche giusto venirgli incontro e provare a costruire un rapporto che potesse essere, se non di amicizia, quanto meno di correttezza reciproca.
   «E il tè?» domandò Tobe, decisamente allettato da quella proposta.
   «Possiamo prenderlo a casa mia», rispose con più serenità Garu, poiché era chiaro che anche suo fratello aveva voglia di lasciarsi tutto alle spalle. «C’è Pucca, però. Le avevo detto che sarei tornato presto.»
   «Ormai sono abituato ad averla fra i piedi. È sempre stato così», scherzò l’altro, spegnendo il fuoco che aveva acceso e tornando finalmente ad alzare lo sguardo verso il ragazzo. In realtà entrambi erano grati alla fanciulla per l’essere sempre stata presente, dopo il viaggio che avevano affrontato insieme; se avessero dovuto approcciarsi l’uno all’altro da soli, una volta messo ogni rancore da parte, sarebbe stato tutto molto più complicato. Invece, grazie a lei, il ghiaccio era stato rotto e adesso, sia pure ancora con qualche imbarazzo, i giovani stavano iniziando a sentire davvero il desiderio di conoscersi meglio, non più come nemici.
   «Piuttosto», iniziò poi a dire Tobe, prendendo il giaccone e mettendoselo nuovamente addosso mentre si dirigevano insieme fuori dalla capanna, «visto che state sempre appiccicati, cosa aspetti a chiederle di vivere con te?»
   Per nulla preparato ad una domanda del genere, Garu strabuzzò gli occhi e avvampò. «Non…» cominciò a ribattere, imbarazzato. Ma poi, sentendolo ridere, sbuffò e ritorse: «Prima di dare consigli agli altri, pensa a trovartela tu, una ragazza.»
   «Sei pazzo?» sghignazzò ancora Tobe, chiudendo la porta d’ingresso e stringendosi nelle spalle per il freddo, prima di cominciare ad incamminarsi con lui verso la foresta di bambù. «A differenza di te, io ci tengo alla mia libertà.»
   A quel punto, anche Garu si lasciò scappare un sorriso. «Illuso…» fu tutto ciò che commentò, lanciandogli uno sguardo eloquente; come a dirgli che, prima o poi, anche lui si sarebbe dovuto arrendere all’ineluttabilità del destino e dell’amore. Ce l’avevano nel sangue.












La saga si conclude qui. Almeno per il momento, visto che sono talmente impegnata, in questi giorni, da non avere neanche un attimo di respiro per me stessa. Dalla settimana prossima potrei tornare attiva almeno per le altre fanfiction, ma tutto sta a capire se il mio neurone avrà voglia di collaborare. Staremo a vedere.
Bacini a tutti e a presto, spero! :)
Shainareth





  
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