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Autore: Walking_Disaster    13/11/2013    6 recensioni
One-shot ispirata a Exit Song - Sum 41 che racconta in prima persona i pensieri di Sherlock Holmes durante il matrimonio di Watson con Mary, in Sherlock Holmes - Game of shadows, di Guy Ritchie.
Holmes potrebbe risultare un po' OOC, ma diciamo che queste sensazioni che prova avvengono durante i suoi sprazzi d'"umanità", che lo rendono per qualche momento un comune mortale.
Dal testo:
« Tutt'oggi voglio illudermi che mi abbia stretto non perché malfermo sulle gambe, data l'ubriacatura non indifferente della sera precedente, piuttosto perché mi voleva con sé. Davanti alla sua futura moglie, a parenti, amici e conoscenti, Watson sceglieva me.
Sotto la comune decenza, sotto il volere della sincerità della funzione, sotto lo sguardo brillante di Mary, egoisticamente voleva sentirmi vicino.
E io ci sarei stato. »
Genere: Introspettivo, Song-fic, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Bow out of the game





There's nothing left to say
'cause You don't want to try
and I don't want the pain






Non potevo fare niente.
E neanche dovevo.

Ogni cosa che avremmo potuto aver condiviso nei nostri ultimi tredici anni di vita gomito a gomito, quel giorno si è concluso nello stesso momento in cui la fede aveva avvolto l'anulare sinistro del dottor John Hamish Watson.
Avevamo provato, volevamo. Vogliamo. Ma non possiamo.
Non posso illudermi che quanto successo non abbia ferito anche lui, eppure troppe volte mi sono sentito dire che avrei voluto sabotare la relazione che ha con la signori-- signora Mary Watson.
Non posso dare a lei la colpa di niente.
Entrambi sapevamo che il pensiero comune non avrebbe mai visto di buon occhio due uomini assieme.
Neanche accarezzarci va più bene.
È sconveniente.

Questa consapevolezza non mi rende e non mi ha reso le cose meno difficili.

Farlo scendere dalla mia carretta, al suono di quelle cornamuse, è stato l'ultimo momento che avrei potuto considerare nostro.
Gli ho aggiustato ciò che restava della sua camicia militare, gli ho stretto la mano e poi l'ho condotto in chiesa.
Mano nella mano.
Solo Dio – o forse Satana – sa quanto il mio petto abbia tremato per quello sguardo che ci siamo scambiati.
Tutt'oggi voglio illudermi che mi abbia stretto non perché malfermo sulle gambe, data l'ubriacatura non indifferente della sera precedente, piuttosto perché mi voleva con sé. Davanti alla sua futura moglie, a parenti, amici e conoscenti, Watson sceglieva me.
Sotto la comune decenza, sotto il volere della sincerità della funzione, sotto lo sguardo brillante di Mary, egoisticamente voleva sentirmi vicino.
E io ci sarei stato.

Debbo ammettere, comunque, che il fatto di essere i peggiori messi in arnese di tutto il matrimonio mi aveva fatto sentire più vicino a quell'uomo che avrei voluto e vorrei per me. Tutti gli invitati impomatati, eleganti, puliti e profumati per quel patto da stringere davanti ad un Signore che sta in cielo tramite un uomo in tunica, erano l'apoteosi dell'apparenza.
La mia giacca era lacera e sporca come ciò che mi tamburellava nel petto.
Eravamo seduti davanti all'officiante, sulla prima panca. Dietro di noi tutte quelle persone fintamente felici – fintamente perché finta era quell'unione, io lo so – per i coniugi commossi.
Possono dire di me quel che vogliono, ma io conosco John Watson e lui conosce me.
Ed io ho visto la tiratura del suo sorriso all'entrata di Mary.


Nonostante tutto trovai opportuno rimanere fedele al mio personaggio, e mi assopii sulla seduta, intanto che aspettavamo la sposa.
Quando partì la marcia nuziale e Mary fece il suo ingresso, tutti si sollevarono in piedi e la cara, cara tata Hudson – seduta dietro Watson – mi picchiettò sulla spalla, avvertendomi con tutto il disappunto del caso data la mia grave mancanza di rispetto, che avrei dovuto adempire ai miei doveri di testimone.
Mi riscossi e sbattei un paio di volte le palpebre, prima di posizionarmi davanti al mio amico e guardarlo in viso; solo io e lui, un'ultima volta, come a Baker Street.
Avevo perso, ma lui aveva trovato. Sarebbe stato felice.
Gli sistemai il bavero sudicio alla meno peggio, insieme alle rose bianche che adornavano il taschino. E una nuova volta mi incatenò ai suoi occhi, e io gli sussurrai mutamente quanto stavo provando in quel momento. Ci capimmo, ci annuimmo.
Holmes e Watson, ancora.
Prima che me lo strappassero via dalle mani.






It's time to let You go
and bow out of the game
and maybe We will find
the answers throught the blame





Mary Morstan era radiosa, sotto il velo bianco che lasciava intravedere il suo viso delicato.
Watson era rigido e non poteva ingannare me, Sherlock Holmes, come invece avrebbe potuto fare con la sua consorte e i partecipanti che osservavano estasiati la nuova coppia.
Le sue spalle ampie erano tese, le labbra piegate in un'unica linea, le sue mani tremavano impercettibilmente.
Non era emozione. Io lo vedevo.

La futura signora Watson scrutò il mio dottore, probabilmente interdetta dall'abbigliamento ben poco curato e pulito, o dall'aspetto che rendeva chiaro il fatto che non aveva passato la notte a prepararsi.
Neanche io, ad onor del vero.
Avevamo girato tutta Londra sul mio chiassoso marchingegno, trascorrendo le ore a parlare sotto lo sguardo magnanimo ma vigile della Luna. E per quanto Watson fosse ubriaco, quella notte era stato per me.
Feci l'occhiolino a quella donna che avrebbe preso un posto che mai mi era spettato, annuendole impercettibilmente e voltando il viso davanti a me, lasciando che il mio sguardo divenisse vitreo. E se Watson mi avesse visto, sapevo che avrebbe capito che stavo speculando – d'altro canto, non è sempre stata la mia specialità?
Ma Watson non poteva vedermi: mi dava le spalle. E se anche fossimo stati occhi negli occhi, non era più nostro diritto chiederci troppo.

John fece scivolare l'anello d'oro all'anulare sinistro disadorno di May, suggellando quella loro unione sotto i miei occhi, che automaticamente si distolsero.
Ero debole, troppo. Avrei dovuto applaudirli, essere felice per loro, ma mi stavano togliendo definitivamente Watson; lui che era stato mio compagno di vita, coinquilino, amico, fratello... Watson era la metà di me. E per quanto mi sforzassi, le mie doti recitative in quel frangente venivano crudelmente subissate dai sentimenti.

La funzione si concluse, e tutti ci spostammo nel curato giardino sul retro della chiesa, dove i due neo-sposi sfilarono tra le due ali di persone che avevano assistito a quel loro patto eterno.
La gente si complimentava battendo allegramente le mani, ed i commilitoni del mio amico incrociarono le spade sopra le teste di John e Mary Watson, che ringraziavano con sorrisi e cenni della testa quegli invitati che avevano presenziato. Vennero lanciati petali di fiori rosa, che fluttuarono placidamente nell'aria, andando a sfiorare i corpi di quella nuova coppia e cadendo poi sul prato, finendo per essere calpestati.
Forse ero anch'io uno di quei petali.

Io rimanevo in disparte, ad osservare la folla che lasciava che i due sposi si trovassero al centro dell'attenzione, sotto ad un albero i cui rami mi sfioravano i capelli, mossi dal leggero venticello alzatosi.
Sorrisi appena, e lo feci per lui, che accompagnava a braccetto Mary, con l'immancabile zoppia che gli faceva prendere il passo ciondolando.
Battei due sole volte le mani: una per Watson e una per me.
Per lui, che avrebbe trovato una coppia accettata e stabile.
E per me, perché ero rimasto solo come non lo ero dal 1878.





It's time for me to go





Voltai le spalle a tutti, perché quello non era il mio posto.
Non ero fatto per assistere impotente.
Non ero fatto per fingermi felice.
Semplicemente, per quella volta avevo lasciato che John Watson mi vincesse.
E non me ne sarei pentito.



It's time for me to go, oh





Uscii dal giardino e lasciai il matrimonio.
E sapevo che gli occhi limpidi di Watson a cui appartenevo mi stavano osservando.





Walking_Disaster's corner:

La canzone che accompagna la one-shot è Exit Song, dei Sum 41.
Eccovi il link, nel caso vogliate ascoltarla:
http://www.youtube.com/watch?v=R5gAoq9p-Ww

Dunque... che dire?
Era già da un po' che mi ronzava in testa la possibilità di scrivere i pensieri di Holmes durante il matrimonio, dato che si guardano, si annuiscono... insomma, lasciano intendere così tanto. E io ho provato ad immaginarmi Holmes, cosa gli passa per la testa quando il suo amico, compagno ed amante si trova legato a Mary.
Come scritto nell'introduzione, Holmes potrebbe risultare un po' OOC – temo risulti un OOC, in effetti. In ogni caso non dico che sia voluto, perché non lo è, ma ho provato ad interpretarlo in modo un po' più umano, perché per quanto sia così analitico e razionale, ha dei sentimenti che raramente escono allo scoperto, ma nel film, il matrimonio li sottolinea abbondantemente tutti (per gli standard di Holmes) ed io ho provato ad interpretarli.

Detto questo-

ho un altro progetto in cantiere e spero di poter pubblicare il primo capitolo tra poco.
Vi anticipo solamente che sarà moooolto sentimentale, ed Irene Adler avrà la sua bella parte.
Detto ciò, mi zittisco uwu

Ebbene, se avete uno spicchio di tempo, fatemi sapere cosa ne pensate con una piccola recensione! Intanto ringrazio tutti quelli che leggeranno o anche solo cliccheranno il titolo della storia <3

WD

OH, quasi dimenticavo: https://www.facebook.com/WalkingDisasterEFP nel caso qualcuno volesse aggiungermi per domande, aggiornamenti, spoilers, chiacchiere e chi più ne ha, più ne metta!
Solo vi chiedo di dirmi chi siete con un mp, almeno so dove mi avete trovato xD

   
 
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