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Autore: _browneyes    16/11/2013    3 recensioni
Sotto la pioggia l’aveva conosciuto.
Sotto la pioggia aveva capito di amarlo.
Sotto la pioggia era diventata la sua ragazza.
Sotto la pioggia l’aveva amato.
E sotto la pioggia Caitlyn l’aveva anche perso.
Genere: Drammatico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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-Under the rain-
 
 
Il cielo plumbeo di novembre prometteva la pioggia e, mentre per gli altri quello era il momento di rintanarsi in casa, per lei era il momento di andare.
Aveva sempre amato la pioggia. A differenza degli altri bambini, che si lasciavano intimidire da tuoni e lampi, lei rimaneva incantata dalle nubi. Gli altri detestavano la pioggia perché non potevano uscire a giocare, mentre lei si beava saltellando  tra le pozzanghere.
Sembrava che tutta la sua vita si incentrasse sotto la pioggia; l’arrivo del temporale, per lei, segnava sempre una nuova era, un evento speciale che avrebbe cambiato per il resto della sua vita l’andare degli avvenimenti.
Prese un sospiro e uscì dalla macchina, mentre l’aria pungente le pizzicava la pelle come tanti piccoli aghi.
Il cielo si abbinava perfettamente al suo umore e al marciapiede su cui ticchettavano i tacchi dei suoi stivali; arrivò alla sua destinazione, che era del tutto deserta e forse era meglio così.
Si sedette a terra, incurante del fatto che le si sarebbero sporcati i pantaloni bianchi che portava, respirò profondamente e staccò gli occhi dal marciapiede, portandoli sul freddo marmo accanto a lei.
Sporse una mano e la poggiò sulla pietra, rabbrividendo per il gelo che emanava.
«Ciao, Austin. Scusa se non sono venuta prima, ma non ne avevo la forza; lo so che sono in un catastrofico ritardo di quattro mesi ma non avevo idea di come avrei reagito trovandomi qui. A dire la verità non so nemmeno ora come reagire, perché non riesco ad accettare questa cosa, Austin. Non riesco ad accettare che di te non mi rimanga che un ricordo» si interruppe, scossa da un brivido di freddo e da una lacrima che aveva preso a solcarle la guancia.
Qualcosa sopra di lei tuonò, la pioggia stava arrivando; come a trarne forza, la ragazza alzò lo sguardo verso le nuvole per poi riportarlo sul marmo accanto a sé.
«Sta per piovere Austin e non ho trovato momento migliore per venire qui, perché in fondo con la pioggia ti sento più vicino. Noi, la nostra storia, è stato tutto scaglionato sotto il temporale, non trovi anche tu?»
La sua domanda rimase sospesa nell’aria, mentre il vento si faceva più forte e lei era ferma lì,come ad aspettare una risposta che non sarebbe mai arrivata.
Si riavviò una ciocca dei capelli scuri dietro l’orecchio e accarezzò il marmo.
«Ti ricordi di quando ci siamo conosciuti Austin? Tu avevi undici anni e io ne avevo dieci e pioveva. Proprio forte, era uno di quegli acquazzoni così freddi e violenti che ti scrollano e ti congelano dentro, come quello che credo stia per arrivare.
Comunque è successo verso questo periodo ed eravamo appena usciti da scuola, io facevo la prima media e tu la seconda. Io non avevo l’ombrello e stavo correndo a casa per ripararmi e non prendermi una brutta influenza. E poi sono scivolata e qualche secondo dopo attorno a me aveva smesso di piovere e tu eri davanti a me che mi tendevi la mano per aiutarmi ad alzarmi. Non penso di avertelo mai detto Austin ma anche se in quella situazione, bagnata fradicia e con il sedere a terra, mi sono sentita davvero felice. »
Caitlyn abbozzò un sorriso tirato e si asciugò le lacrime con la manica del maglioncino di cachemire, facendo attenzione a non macchiare la giacca che portava. Se dei pantaloni non le importava nulla, la giacca aveva un valore inestimabile per lei, infatti era la giacca di pelle che il suo Austin era solito portare. Era ancora pregna del suo odore, visto che Caitlyn non aveva avuto il coraggio di lavarla e di mandar via quello che era rimasto di lui.
Continuò a fissare la pietra fredda, come nella speranza che questa potesse risponderle.
«tu mi chiedesti il mio nome e mi accompagnasti a casa e scoprimmo di abitare nello stesso palazzo. Non credo di averti mai detto neanche questo, ma da quel giorno credo di essermi fatta decine di film mentali nei quali ti incontravo sul pianerottolo, o sulle scale o in ascensore, e alla fine è successo, in un certo senso … Te lo ricordi?
Stavo aspettando l’ascensore mentre fuori diluviava e poco dopo sei arrivato tu e sei salito insieme a me;  l’ascensore si è fermato e mentre tu lo ipotizzasti come un malfunzionamento causato dal temporale, io in cuor mio lo considerai un segno del destino»
La ragazza prese un respiro e buttò via l’aria, per calmare la crisi isterica che stava rischiando di venirle. Non era una ragazza masochista ma avrebbe continuato ad imporsi quel tipo di dolore, perché semplicemente non riusciva ad alzarsi e andarsene. Era una ragazza forte, non spesso incline alle lacrime ma in quel momento non c’era nemmeno lo spazio per ricordare cosa fosse prima di quello che era successo mesi prima.
«scoppiammo entrambi a ridere e cominciammo a parlare nella speranza di far passare il tempo, prima che ci venissero a liberare. Abbiamo parlato di qualsiasi cosa, dai nostri film preferiti ai nostri passatempi e scoprimmo di avere più o meno gli stessi gusti. Non dimenticherò mai le decine di volte in cui mi hai costretta a guardare 17 again, adoravi quel film…
E quando ci vennero a liberare mi dicesti che ci saremmo rivisti presto e mi desti un bacio sulla guancia. Non credo di essere arrossita mai tanto come allora»
Un sorriso piccolo ma sincero, dopo mesi, spuntò sul viso chiaro della ragazza.
Il vento freddo che le schiaffeggiava il viso le fece diventare le guancie rosse, il che la portò a stringersi ancora di più nel giubbotto e a fissare la pietra accanto a lei.
«da quel momento qualcosa fra noi è cambiata e mi hai cercata veramente dopo quello che era successo in ascensore. E abbiamo cominciato a condividere tutto, i nostri segreti, le nostre vite.
La maggior parte delle mie amiche era convinta che avessi una cotta stratosferica per te. Io dicevo che tu eri solo il mio migliore amico, perché in fondo cosa potevo saperne io a dodici anni dell’amore?»
Caitlyn guardò il marmo, ormai consapevole che da esso non sarebbe giunta nessuna risposta, e sentì gli occhi appannarsi inevitabilmente.
«sai quand’è che ho capito di provare qualcosa più della semplice amicizia, Austin?
Avevo quattordici anni ma ancora non riuscivo a definirlo amore perché non avevo idea di cosa fosse l’amore. Ma mi sentivo così irritata quando parlavi con una ragazza che non fossi io e mi sentivo così strana quando mi stavi vicino o mi sfioravi.
Quando avevo quindici anni ho capito che stavo cominciando ad innamorarmi di te Austin. Non volevo rovinare niente di quello che c’era fra noi e ogni giorno provavo a farmi piacere qualcun altro, ma nessuno era alla tua altezza»
Sospirò, asciugandosi quelle lacrime ribelli che le stavano scendendo lungo le guancie e riprese a parlare, volgendo stavolta lo sguardo al cielo. Mancava poco per la pioggia.
«E sai Austin quando ho veramente capito di amarti?
Io avevo da poco fatto sedici anni e ti stavo aspettando, solito parco, solita panchina, solita ora. Ma tu non arrivavi e io continuavo ad inviarti un messaggio dopo l’altro, ai quali tu non rispondevi. Cominciai a pensare al peggio e quando voltai la testa capii che il peggio era davanti a me.
Eri ad una trentina di metri da me, ma non eri da solo. Tenevi per mano una ragazza e ad un certo punto i vostri visi si avvicinarono, quasi al rallentatore, quasi per impedirmi di perdermi un singolo dettaglio. Ho distolto lo sguardo e sono andata via mentre la pioggia cominciava a scendere»
Caitlyn riportò lo sguardo sul marmo accanto a sé, con gli occhi lucidi e lo accarezzò teneramente.
«ed è stato in quel momento Austin, il momento in cui mi sono vista da messa parte per una stupida cheerleader, il momento in cui voi vi siete sfiorati e io mi sono sentita frantumata dentro, è stato quello il momento in cui ho capito di amarti Austin.
Non ti ho mai detto quello che avevo visto e non so con che coraggio te lo sto rivelando adesso.
È stato sempre quello il giorno in cui ho cominciato a uscire con Tyler … ti ricordi di lui?»
La sua voce era spezzata dai singhiozzi e lei si fermò, buttando fuori l’aria. Stava parlando troppo velocemente, e ne era consapevole, così come era consapevole che se non avesse parlato con quella velocità avrebbe perso il coraggio che la stava spingendo a continuare.
Era sempre stata una ragazza coraggiosa e forte, ma da quando Austin se ne era andato si sentiva sempre nuda e terribilmente debole; le mancava il senso di protezione che emanavano le sue braccia forti, sempre pronte a stringerla per non lasciarla mai andare.
Le mancava il suo senso dell’umorismo, il suo disordine per la casa che ora era sempre troppo ordinata e il suo sorriso, che era inevitabilmente capace di far sorridere anche lei per quanto le cose andassero male.
Tutto questo le venne in mente mentre affondava il viso fra le mani, interrompendo il discorso e tentando disperatamente ed invano di frenare le lacrime.
Portò le ginocchia all’altezza del petto e le strinse poggiandovi sopra il viso; si strinse ancora nella giacca respirando il suo profumo e chiuse gli occhi.
In un attimo sentì quasi le sue braccia stringerla, non aprì gli occhi perché se l’avesse fatto si sarebbe trovata contro l’ennesima illusione dolorosa.
Una goccia di pioggia le accarezzò dolcemente la guancia, mescolandosi con le lacrime e lei aprì piano gli occhi, forse speranzosa di non vedere la sua illusione svanire. Ma questa svanì lo stesso, lasciandola a stringere una giacca profumata contro una pietra fredda e senza vita.
Se ne avesse avuto la forza, Caitlyn se ne sarebbe andata, ma una parte di lei continuava a ripeterle come un mantra che doveva continuare, che doveva buttare fuori il dolore e condividerlo con la persona che amava di più al mondo.
Alzò debolmente il viso, tenendo ancora il mento poggiato contro le ginocchia, decisa a continuare il suo racconto. In realtà non era pronta, ma doveva farlo, sentiva quasi una forza bruta e raschiante nel petto che voleva spingere le parole fuori dal suo corpo.
«dove ero rimasta? » domandò con un filo di voce, rivolta alla pietra davanti a se, pur sapendo che non avrebbe udito alcuna risposta.
«Ah … già … Tyler. Una distrazione e il più stupido errore che abbia mai commesso. Ci uscivo solo per cercare di dimenticare te, visto che mi sembravi una battaglia persa in partenza.
Ho odiato Tyler in ogni secondo che ho passato con lui, non che avesse qualcosa che non andasse, aveva un unico difetto: non era te.
Ma, infondo, forse gli devo tutto  … p-perché se n-non avesse dato quella festa e non fosse successo quello che è successo forse, non ci sarebbe mai stato un “noi”» continuò, incerta e balbettando appena. Perché si stava avvicinando ad uno dei punti che l’avrebbero spezzata di più.
Un’altra goccia di pioggia le scese lungo il profilo del naso.
Lei guardò il cielo, con aria famelica, quasi per dire che aveva bisogno di un’alleata accanto a sé, di quella spettatrice silenziosa che aveva assistito a tutti gli avvenimenti importanti della sua vita. E la pregò mentalmente di scendere rapidamente.
«perché se non mi avesse fatta ubriacare quella sera, e se non fossi caduta dal quel cubo per questo finendo all’ospedale non sarebbe successo nient’altro.
Ero uscita un attimo a prendere aria e per non vederti baciare quella, ma pioveva e sono tornata dentro.
Prima che potessi rendermene conto avevo in mano un bicchiere di vodka che lui continuava a riempirmi.
Sarà stato l’alcool, o la musica troppo alta o semplicemente la voglia di lasciarmi andare per una volta, ma non ricordo come mi sono trovata su quel cubo. Da cui sono caduta poco dopo»
Istintivamente Caitlyn portò la mano dietro i capelli, tra il collo e la spalla dove c’era ancora quella lieve linea quasi scomparsa; la sua cicatrice, l’unica cosa oltre ai ricordi che aveva in memoria della sera più bella della sua vita.
E quel gesto le fece male, perché le ricordò come Austin l’aveva sfiorata delicatamente i primi giorni, temendo che le facesse male; a come ogni tanto l’aveva sfiorata ancora e vi avesse poggiato dolcemente le labbra, come per dirle che non avrebbe permesso che le succedesse una cosa simile ancora o, se fosse successo, che si sarebbe preso cura di lei. Lei era la sua principessa e lui l’aveva protetta gelosamente da ogni minima cosa che avrebbe, anche leggermente, potuto scalfirla.
«ho battuto la testa e poi ho sentito delle voci ovattate, e una che spiccava su tutte: la tua. E poi ho sentito un paio di braccia che mi sollevavano e ho capito che erano le tue, quando mi sono sentita andare a fuoco.
Sinceramente non mi ricordo quasi nulla del “dopo”.
Perché è tutto offuscato dal ricordo che mi ha cambiato la vita, quando tu l’hai detto»
Il suo cuore prese un pugno e lei sentì l’aria mancarle; si sistemò una ciocca ribelle di capelli che era scivolata via dalla treccia per colpa del vento gelido di novembre. Si strinse ancora di più nella sua giacca e vi affondò il viso bagnato, prima di pronunciare le parole che l’avrebbero distrutta.
«poi hai detto … hai detto che mi amavi e io quasi non ci credevo. Sdraiata su quel lettino d’ospedale mi sembrava il migliore dei sogni. Ma tu ti sei avvicinato e mi hai baciata e ho capito che non era un sogno. Mi sono sentita esplodere dentro, andare a fuoco e mi sono sentita la persona più felice del mondo. Mi è quasi parso di toccare il cielo e rimanere impigliata nel paradiso, io … non riesco a spiegarlo.»
Le sue parole erano soffocate dal giubbotto in cui stava affondando tutto il suo dolore e dai tuoni che lasciarono cadere sotto di loro l’inizio gelato del temporale.
Alcune gocce lievi di pioggia avevano iniziato a bagnarle dolcemente il corpo e lei prese un sospiro, mentre tremava per il freddo.
Le lacrime le ardevano sulle guancie, non intenzionate a fermarsi.
«e poi ti sei allontanato e ti ho rivisto qualche giorno dopo. E tu hai detto che forse avevi sbagliato tutto, perché io non probabilmente non ti ricambiavo. Io ti ho detto che ti amavo, chiedendomi come avessi fatto ad essere così cieco e non accorgertene per anni.
Tu mi hai baciata ancora, ovviamente mentre pioveva, in quell’orribile parco dove ci fermavamo sempre. E io mi sono sentita presa e portata in un’altra dimensione, chiedendomi cosa avessi fatto di così buono perché venissi ricompensata così. E poi…»
Un sospiro la interruppe.
«poi mi hai chiesto di essere la tua ragazza»
Caitlyn si accasciò sul marmo gelido e si prese la testa fra le mani, senza nemmeno provare a far cessare i singhiozzi e le lacrime; intanto accennava un lieve sorriso, ricordandosi di quel giorno.
La pioggia cominciò a diventare più forte e il vento più impetuoso, lei si sentì lievemente sollevata, quasi portata a casa dall’acqua gelata che le cadeva dolcemente addosso.
Il suo respiro era affannato e spezzato dai singhiozzi. Si sentiva come se qualcuno la stesse soffocando, probabilmente quel qualcuno era il dolore bruciante che le pulsava all’altezza del cuore.
E in quel momento Caitlyn si sentiva terribilmente stupida, perché aveva creduto che andando li a buttare fuori il dolore poi si sarebbe sentita meglio, invece stava peggio. Rivedere tutte quelle scene davanti ai suoi occhi ogni volta che sbatteva le palpebre era già abbastanza triste, ma ora dire tutto ad alta voce stava rendendo la cosa molto più reale. Ogni parola era un ago che bruciava contro la sua pelle, ogni ricordo era una stilettata al cuore.
Era un dolore troppo profondo e bruciante perché lei riuscisse a sopravvivervi da sola, semplicemente perché non era abituata a sopportare nessun tipo di male da sola. Perché sapeva che aveva la sua ancora fissa in mezzo al mare in tempesta, il suo faro luminoso anche nella notte più buia: Austin.
Ora non si sentiva sicura di niente, sentiva di non avere più nulla. Anzi, sentiva di avere un involucro vuoto fatto di pelle, in cui rimaneva solo il suo cuore miseramente spezzato.
Alzò lievemente il viso, mentre le lacrime portavano via quel minimo di trucco che le era rimasto.
«poi è andato tutto bene, troppo. Era tutto troppo perfetto per durare..siamo durati quasi tre anni e poi basta. Poi è arrivata quella maledettissima telefonata.
Diluviava e tu stavi tornando dall’università e io ti aspettavo a casa preparando la cena, mentre già mi aspettavo una serata davanti al caminetto come al solito, stretta fra le tue braccia. Ma tu tardavi.»
Il suo corpo esile era scosso dai singhiozzi e dai brividi di freddo e soprattutto di terrore per il dolore che stava per infliggersi. Perché era sicura di non riuscire a sopportare di nuovo quel ricordo, di essere capace di non venire schiacciata da esso.
«poi mi hanno chiamata dall’ospedale e mi hanno detto che avevi avuto un incidente e che era grave allora sono corsa fuori così com’ero e ho preso il primo taxi che ho trovato»
Sospirò, mentre la pioggia scrosciava un po’ più forte. La ragazza si strinse nella giacca per farsi forza e poi pronunciò le parole della sua distruzione.
«sono rimasta lì non so per quanto e alla fine è uscito un uomo che ha detto … ha detto che non ce l’avevi fatta e io mi sono sentita morire»
La sua voce era un sussurro disperato appena udibile, nascosto cosi bene dalle lacrime.
Si accasciò sul marmo affondando nel suo dolore, tenendosi la testa fra le mani.
Era a pezzi, fisicamente e moralmente, si sentiva solo un accrocchio di lacrime e disperazione che si teneva in vita per miracolo. Aveva tenuto dentro tutto per troppo tempo. Non voleva finire davanti a quella maledettissima lapide col suo nome sopra, che ancora non aveva avuto il coraggio di guardare. Invece era proprio li, abbracciando un pezzo pietra fredda che la separava dal corpo immobile della persona che amava più di ogni cosa. Pensava di essere pronta, di saper sopportare quel dolore un po’ meglio della prima volta e invece era peggio. Perché era tutto come prima, perché ora sapeva cosa sarebbe successo dopo e che un giorno avrebbe creduto di essere pronta di nuovo ma ricordandolo sarebbe ricaduta dov’era ora, in un circolo vizioso che sarebbe stato la sua vita da allora in avanti.
Aveva desiderato così ardentemente riuscire a provare un pizzico di dolore in meno, che le lasciasse almeno un lieve spazio per permetterle di assaporare un po’ di felicità, ma non era ancora pronta.
Dopo aver affogato in un bel po’ di lacrime la manica del suo giacchetto profumato decise che ormai doveva finire di parlare.
«sai Austin, tutti mi dicono di andare avanti, di smettere di piangere e di vivere la mia vita e io gli dico che lo farò … ma non ci provo nemmeno, perché riesco a lasciarti andare. Perché lasciarti andare significa dimenticarti, e io non voglio» sembrava una bambina rannicchiata su quella pietra piangendo mentre si toccava leggermente i capelli, come faceva sempre quando era nervosa.
Non riusciva ad andare avanti semplicemente perché non voleva. La morte di Austin aveva irrimediabilmente bloccato la sua vita. Davanti agli altri fingeva che tutto andasse bene, che fosse andata avanti; nessuno le credeva ma la assecondavano tutti, per paura di spezzarla ancora di più. Ma la notte, sotterrata sotto il calore delle coperte, quando la luce non poteva più illuminarla e nessuno poteva più vederla, piangeva disperatamente. Le sue amiche la mattina entravano in casa sua per controllare che stesse bene, avevano una copia delle chiavi, e la trovavano sempre così. A letto con le guancie ancora bagnate dalle lacrime e il cuscino stretto fra le braccia.
Non usciva quasi mai di casa, cosa che giustificava il pallore delle sue guancie, dove ora risplendevano le lacrime alla fioca luce del sole coperto dalle nuvole.
Non usciva perché sapeva che se l’avesse fatto tutti avrebbero visto la sofferenza nei suoi occhi e l’avrebbero guardata con compassione, e non c’era cosa che Caitlyn odiasse di più.
La pioggia finalmente iniziò a diventare temporale, infradiciando quella figuretta minuta, appoggiata sul marmo presa ancora dai suoi ricordi, affogati dai singhiozzi.
Lei si fece forza e alzò il viso per permettere ai suoi occhi stanchi di leggere il nome inciso accanto a quella fotografia, fotografia che aveva scattato lei stessa.
I suoi capelli e i vestiti erano ormai intrisi di pioggia, come la strada che cominciava ad emanare quell’odore che amava tanto.
E lei decise che non ne poteva più e che era pronta a compiere quel gesto così estremo, a cui non aveva mai pensato di arrivare.
Frugò nella borsa e tirò fuori quelle pasticche che era riuscita a procurarsi senza avere un intento preciso, fino a quel momento.
«Non ha alcun senso vivere in un mondo dove tu non ci sei, dove non ho la tua protezione; un mondo dove non mi sveglio la mattina grazie ad un tuo bacio o all’odore dei tuoi tentativi di fare i pancakes. Non c’è nessun motivo per restare qui, se tu non sei con me»
Avvicinò la mano alla bocca, pronta a buttare giù le pasticche.
Accarezzò per l’ultima volta il marmo, mentre la pioggia continua a scendere impetuosa.
«Ti amo Austin, ti ho amato e ti amerò per sempre» sussurrò lei, con gli occhi rivolti a metà fra la lapide e il paradiso. E il paradiso tuonò, dando il via al temporale, se volete vederla così.
Lei semplicemente la vedeva come una risposta del suo angelo. Con questo pensiero incatenato nella mente chiuse gli occhi e si lasciò andare sotto la pioggia.








 

EHILAAAAAA'

scusatemi per la deprimentezza (?) di questa storia, ma ultimamente mi sento tanto giù e quindi l'ho scritta. in realtà l'idea mi è venuta qualche mese fa ma ho continuato a rivoluzionarla finchè non è venuta fuori questa...cosa.
mi scuso davvero perchè probabilmente sarà uno schifo.
mi scuso anche perchè dovrei aggiornare la mia ff ma il mio computer ha deciso di cancellarla quindi devo trovare un'altra idea perchè non mi va di riscrivere il capitolo che avevo già preparato.
detto questo vi lascio, grazie per aver letto fin qui
un bacio,
mars


P.S su twitter sono @niallsstory (se volete il follow back basta chiedere)
 

 


 
  
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