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Autore: Nichigin    18/11/2013    2 recensioni
"Arthur stava iniziando a irritarsi seriamente. La camicia bagnata gli si era attaccata alla pelle e la voce assurda dell'americano gli faceva venire il mal di testa. Il pomeriggio non doveva andare così; erano previsti solo lui e il suo tea. Magari qualche unicorno di passaggio, al massimo, ma NON Alfred!" [UsUk]
Genere: Comico, Commedia, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo dieci
 
Alfred aveva indossato il completo che Kiku gli aveva dato - che era pochissimo nel suo stile e sembrava uscito dal guardaroba di Francis - e aveva seguito il giapponese fino alla sua macchina. Durante il tragitto in auto non avevano praticamente aperto bocca. Del resto, cos'altro si poteva dire? 
Alla fine Kiku aveva parcheggiato davanti a un locale parecchio alla moda in centro. Da quello che ne sapeva Alfred era un posto elegante. Inglese. Quel genere di cosa che sarebbe piaciuta ad Arthur. Ecco, stava pensando di nuovo a lui. Cosa diavolo saltava in testa a Kiku?! Se voleva distrarlo quella non era proprio una buona idea!
- Avanti, entriamo. - aveva detto Kiku con uno dei suoi soliti sorrisi educati. - C'è questa terrazza sul tetto che è davvero carina.
E Alfred si era ritrovato in un ascensore diretto verso quella maledetta terrazza prima di riuscire anche solo a dire "ah".
Non si aspettava però che appena le porte dell'ascensore si aprirono Kiku lo spingesse fuori e premesse il pulsante del piano terra, lasciandolo solo.
Ora sì che iniziava a preoccuparsi. Si diede un'occhiata intorno. La terrazza era deserta, non fosse per un tizio che se ne stava dalla parte opposta rispetto a lui e stava osservando con aria critica un vaso di rose gialle.
Alfred si stropicciò gli occhi. Li chiuse. Li riaprì. Il tizio era ancora lì, e o lui stava davvero impazzendo o quello era Arthur.
Alfred non riuscì a trattenere un'esclamazione, e sentendo la sua voce l'inglese si girò verso di lui. Arthur spalancò gli occhi e lo guardò come se avesse visto un alieno. Fece un passo avanti, poi sembrò ripensarci e si ritrasse. Sembrava agitato.
Quanto ad Alfred, non riusciva a sentire altro che il battito furioso del suo cuore nelle orecchie. Si passò la lingua sulle labbra, sentendo l'urgenza di dire qualcosa, qualsiasi cosa, e scoprendosi incapace di aprire bocca. Gli tremavano le mani.
- A-Arthur. - riuscì ad articolare con un grosso sforzo. - No, la regina d'Inghilterra. - borbottò l'inglese in risposta. - Che diavolo ci fai qui?
- Mi ci ha portato Kiku. - rispose Alfred, rendendosi conto improvvisamente che il giapponese aveva organizzato tutto per farli incontrare.
- Quel bastardo traditore! - sibilò Arthur. - Me ne vado.
- No, aspetta! - esclamò Alfred quasi senza rendersene conto, e si lanciò in avanti per afferrare Arthur per un braccio. - Io e te abbiamo bisogno di parlare.
- Cosa vuoi dirmi? Altri insulti come quelli che mi hai detto l'ultima volta che ci siamo visti? - il tono di Arthur era freddo, ma Alfred riuscì a cogliervi una sfumatura di tristezza che lo spinse a continuare.
- No. Mi dispiace per come ti ho trattato quella volta. Ma anche tu non sei stato clemente con me.
- Clemente?! Cosa dovevo dire?!
- Non lo so. Ma c'è modo e modo di rifiutare una dichiarazione. Il tuo è stato l'equivalente di buttare il mio cuore in un frullatore e selezionare l'opzione "high speed". - Alfred non sapeva perché stesse dicendo queste cose ad Arthur. Stava cercando un altro rifiuto? L'inglese era già stato sufficientemente chiaro. E lui era solo un povero idiota, se continuava a sperare.
- Era l'unico modo che mi è venuto in mente. - rispose Arthur. - Forse volevo farti male, ci hai pensato?
Un idiota, appunto. - Direi che è l'unica cosa a cui ho pensato. Quello che non capisco è perché volessi farlo. Sai essere un piccolo stronzo quando vuoi, ma non sei così.
Arthur si morse il labbro inferiore, a disagio. Sembrava che stesse valutando quanto potesse essere sincera la sua risposta. - Perché volevo che te ne andassi. - fece una pausa, poi aggiunse velocemente - È meglio così, Alfred, è meglio per te.
- Meglio per me?! Come può essere meglio se tutto ciò che chiedo è poter stare con te!
Arthur scosse la testa. - Non capisci…
- No, non capisco. Se mi avessi detto che mi odi, avrei capito. Ma così…
- Io non ti odio. Non è quello il punto.
- Invece è proprio quello. - Alfred fece un passo avanti, avvicinandosi all'altro. - Se non mi odi, cosa ti impedisce di amarmi?
Arthur aprì la bocca, ma non trovò le parole adatte per rispondere. Fissò per un attimo Alfred con aria persa, poi mormorò. - Nulla.
- Allora perché?
- Ho paura, va bene?! - sbottò Arthur, liberandosi con uno strattone dalla presa di Alfred.
L'americano sembrava confuso. - …di cosa?
- Che vada male. Come tutte le altre volte. - Arthur distolse lo sguardo. - Mi dispiace. Io non posso rischiare, io…
Alfred non lo lasciò finire la frase. Gli prese il viso tra le mani e lo costrinse a guardarlo in faccia.
- Arthur, io ti amo. - l'altro si limitò a sbattere un paio di volte gli occhi, incredulo, quindi Alfred decise di ripeterlo. - Ti amo. E non mi interessa se puoi aver incontrato degli stronzi che ti hanno fatto del male, o ti hanno usato, io non sono così. E penso davvero che tra noi due possa funzionare, se solo tu mi lasciassi tentare. Dammi una possibilità di dimostrarti che tengo a te. So di aver sbagliato tutto finora, ma beh, questo significa che le cose possono solo migliorare, no?
Arthur fece un suono a metà tra un sospiro e un singhiozzo. - Alfred, non… non credo che…
- Adesso smettila con queste scuse inutili, per favore. Dimmi solo una cosa. - Alfred prese un respiro profondo e si buttò. - Mi ami? O pensi che potrai mai farlo?
Arthur si sentì arrossire fino alle orecchie. Cosa poteva dire…? "La verità", pensò, "del resto cos'altro ho da perdere?"
- Sì.
Un enorme sorriso apparve sul viso di Alfred. - Sì cosa, Artie?
- N-non dirò un'altra parola! Accontentati! - balbettò l'inglese, arrossendo ancora di più.
Alfred rise e gli diede un pizzicotto sulla guancia. - Perché non me l'hai detto subito, stupido inglese. 
- Mollami, mi fai male! - biascicò Arthur schiaffeggiandogli la mano.
- Allora, perché? - insistette Alfred.
- Perché volevo darti l'opportunità di capire che stavi facendo una cazzata. Ma a quanto pare sei convinto.
- Non sto facendo una cazzata. Perché dici così?
- Ti meriti qualcosa di meglio di me. - Arthur abbassò lo sguardo. Ah. Allora il problema era tutto lì.
- Non m'interessa cosa mi merito. M'interessa cosa voglio. E io voglio te.
Arthur lo guardò con aria piuttosto scettica. Alfred sbuffò. Alla fine doveva farglielo capire con i fatti, a quanto pareva. Gli si avvicinò lentamente, un millimetro alla volta, gli occhi bene aperti per godersi l'espressione stupefatta e imbarazzata di Arthur, le sue guance che si tingevano di rosa. All'ultimo istante l'inglese chiuse gli occhi. Poi le loro labbra si sfiorarono. Fu un soffio, una scintilla, un uragano, tutto insieme. E stavolta Arthur si strinse ad Alfred, lasciò che assaporasse lentamente le sue labbra per poi approfondire il bacio. Era una sensazione dolce, totalmente diversa da quel bacio rubato nel bagno di una discoteca. Non c'era nessuna fretta, stavolta, nessun ripensamento. Solo un desiderio di scoprire che forse, solo forse, loro due erano davvero fatti per stare insieme. Forse erano la persona che l'altro stava cercando.
- Ti amo. - ripetè un'ultima volta Alfred all'orecchio di Arthur, sfiorandogli appena la pelle con le labbra. Avrebbe dovuto dirlo ancora molte volte prima che l'inglese gli credesse davvero, lo sapeva. Ma quello era un compito che non gli pesava affatto.
Arthur non pronunciò quelle due fondamentali parole. Semplicemente, non sentiva ancora di potersi fidare del tutto, non voleva mettersi in gioco fino a quel punto. Ma poteva lasciare che Alfred lo convincesse a farlo. Posò la fronte contro il petto dell'americano, aspettando che i battiti del suo cuore si calmassero. Alfred gli circondò la vita con le braccia, stringendolo a sé. E per un volta, non ci fu davvero bisogno di dire altro.
 
- E quindi, mon ami Kiku, che ne dici? Siamo stati bravi? - chiese Francis, mentre osservava con un binocolo tutto quello che accadeva sulla terrazza.
- Direi che i risultati sono più che soddisfacenti, Francis-san. - rispose il giapponese, abbassando la sua macchina fotografica per controllare se le foto che aveva scattato ai due piccioncini fossero abbastanza a fuoco. Lo erano.
- Missione compiuta, quindi.
- Missione compiuta. - confermò Kiku, e alzò una mano per battere il cinque a Francis.
Un attimo dopo i due videro Arthur e Alfred uscire dall'edificio e dirigersi verso la casa dell'inglese.
- Ah-ah, prima volta in vista~ - gongolò il francese. - Seguiamoli!
- Francis-san!! Non è per nulla appropriato---- Francis-san! Fermati!
 
 
 
NdA
Vi ho risparmiato le note per ben otto capitoli, potevo trattenermi proprio ora? Ovviamente no! :'D
Ok, sarò breve. *srotola foglio lungo un metro* Scherzavo u.u
Intanto ringrazio tantissimo tutti quelli che hanno letto fin qui, vi adoro, anzi, adoro anche quelli che hanno solo dato un'occhiata e hanno chiuso schifati (spero non siate tantissimi, eh :'D)
Un ringraziamento speciale va ai miei mitici diciassette lettori, siete fantastici <3
E poi come potrei dimenticare le mie virgi_chan_12 e Tay66, che con le loro recensioni adorabili mi hanno illuminato le giornate? Grazie :3
E beh, last but not least, un abbraccio alla mia Hollyhock (anche se lei li odia). Non avrei mai pubblicato senza di te, cherie <3 Grazie di supportarmi - e sopportarmi - ogni giorno :D
Bene, ora ho proprio finito, spero che quest'ultimo capitolo vi sia piaciuto nonostante la quantità di fluff da diabete e...
arrivederci alla prossima fic XD
 


 
 
  
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