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Autore: ElaSmoakQueen    19/11/2013    9 recensioni
Salve a tutte/i!
Eccomi qui con una seconda one-shot, ma la prima su Oliver Queen e Felicity Smoak.
Parte dalla "fine" del terzo episodio della seconda stagione, è dopo aver visto quell'episodio che mi è venuta in mente questa one-shot. A parte il nominare il cattivo di turno e l'esito della missione, poi non è successo nulla di tutto ciò.. ahimè! T.T
E' stato difficile scrivere sotto i loro punti di vista e sicuramente "I've failed!". Ma essendo una fan dell'Olicity ed essendo in astinenza (per non parlare del mio stato d'animo dopo la puntata 2x06.. chi l'ha vista può capirmi), ho deciso comunque di buttarmi.
Ora, spero di non farvi rivoltare troppo lo stomaco xD ma vi auguro una buona lettura.. e che l'Olicity sia con tutti noi :D
Alla prossima! ;)
PS: commenti, consigli.. sono sempre ben accetti! :D
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, Oliver Queen
Note: Movieverse, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
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“BROKEN DOLLS, ANOTHER WAY”
 
Il leggero riverbero mattutino, che prima fa capolino attraverso le finestre e poi raggiunge prepotentemente i tuoi occhi, picchiettandoli e costringendoti inevitabilmente ad aprirli e a destarti dal sonno ristoratore in cui eri piombata. Avete presente la sensazione? Ecco io la odio!
Ecco perché, ogni sera, tiravo le tende azzurre e pesanti.. ma evidentemente, la sera prima non l’avevo fatto. Possibile? Io, Felicity Smoak, che dimenticavo di chiudere le tende?! Nah, doveva essere successo qualcosa di “grosso” per essermene dimenticata.
Fu il mio ultimo pensiero prima di aprire gli occhi e ritrovarmi a pochi millimetri da due pettorali mozzafiato e, soprattutto, nudi.
- E’ rimasto.. -. Non riuscii a finire la frase che mi accorsi delle forti e calde braccia che mi tenevano stretta e del respiro pesante che accompagnava i movimenti dei muscoli di fronte a me.
Alzai gli occhi e mi ritrovai davanti Oliver Queen, il mio capo e l’uomo di cui custodivo (e custodisco) il più grande segreto. Il suo viso era disteso e rilassato, non una ruga a rovinare la sua bella fronte. Non l’avevo mai visto così e restai qualche minuto, ferma a guardarlo, godendomi quello spettacolo che madre natura aveva voluto donare proprio a me.
Mi sistemai per contemplarlo meglio e, involontariamente, la mia mente vagò agli avvenimenti della sera precedente.

Eravamo alla ricerca di questo tizio, Barton Mathis, un assassino squilibrato – scappato con il terremoto nel Glades – che rapiva ragazze molto belle per tramutarle in bambole, attraverso un composto che faceva ingurgitare loro e che solidificandosi, le soffocava e le rendeva molto simili a delle bambole di porcellana.
Come sempre, mi ero offerta di fare da esca ma qualcosa andò storto e il caro psicopatico si  innervosì prendendo di mira Laurel e suo padre, che quando era ancora un detective l’aveva messo al fresco. Per fortuna, Oliver arrivò in tempo e ha salvato Lance e sua figlia, anche grazie all’aiuto di una bionda mascherata e che, no, non ero io.
Io ero già a casa; come ringraziamento per aver voluto essere coraggiosa ed aver voluto evitare che altre ragazze venissero prese di mira, durante la fuga ero andata a sbattere la testa contro un muretto di cemento.
Oliver e Diggle non avevano voluto saperne di tenermi operativa quella sera, visto che già ero riuscita a evitare una nottata al pronto soccorso.. ovviamente, dopo aver provato che fossi cosciente e che stessi realmente bene, e John mi aveva premurosamente accompagnato a casa, assicurandosi che ci restassi sul serio. Come? Con una delle sue occhiate da fratellone premuroso.
Dopo una bella tazza di the caldo, una doccia e un po’ di tv, per tenere in qualche modo sempre sotto controllo i miei due uomini, mi ero messa a letto. Poco dopo mezzanotte, dei colpi secchi ma leggeri sulla porta d’entrata, mi destarono e fui costretta ad alzarmi. Ma a quell’ora potevano essere solo Oliver o Diggle -  non che di solito durante il giorno avessi molte visite, senza contare che ero molto presa dal mio lavoro.. e non solo -  e non avevo la minima idea di restare col dubbio fino al giorno successivo. Avrebbero potuto avere bisogno di aiuto.

Mi ero avvicinata alla porta, pensando che fosse quasi sicuramente Diggle. Molte volte era capitato che mi facesse visita, magari dopo una missione pericolosa per assicurarsi che stessi bene. E dopo il disastro nel Glades, la scomparsa di Oliver e la fine della sua storia con Carly, le visite erano diventate sempre più frequenti. I colpi alla porta continuarono e l’ultimo sembrava quasi un avvertimento: “se non apri tra un secondo, butto giù la porta”. Strano comportamento da parte di John.
- Sto arrivando!  – dissi, a voce alta, mentre aprivo la porta.
Ma chi stava bussando alla mia porta non era chi mi aspettavo che fosse. O meglio, lo era ma le possibilità che potesse succede davvero – lui che bussava alla mia porta, in jeans, maglietta grigia e giubbotto di pelle – erano davvero remote, nella mia realtà. Nella mia mente quella scena non era poi così estranea.
- Ciao Felicity! Sono passato per assicurarmi che tu stia bene! –.

E dopo un attimo di silenzio: - Stai bene? -. Col suo tono autoritario, che in profondità nascondeva tanta preoccupazione.
- Ciao Oliver! Sì, sì.. sto bene! Ho saputo che l’avete acciuffato, dalla tv e dai vostri messaggi. Sono felice che sia definitivamente fuori uso! – dissi, cercando di non focalizzare troppo il mio sguardo sul suo fisico statuario a pochi centimetri da me.
Beh, sì, anch’io mi soffermavo sulla superficialità ogni tanto.
- Sì, fa piacere anche a me. – rispose lui, stando fermo sulla soglia di casa mia.
Sinceramente, ero convinta che dopo quella frase mi avrebbe dato la buonanotte e si sarebbe voltato per andare via. Non che lo volessi, ovvio. Avrei preferito che restasse a farmi compagnia, magari tutta la notte.. ma non era un comportamento da Oliver.
“A che gioco stai giocando, Queen? Perché resti impalato, sulla soglia di casa mia, con quello strano sguardo negli occhi?!”, pensai.
Non era davvero un comportamento da Oliver – quello dopo l’isola, almeno -  perché al di là delle notizie dei tabloid e dei notiziari, non conoscevo affatto l’Oliver-pre-isola.
Sì, aveva vissuto una vita poco in accordo con i miei principi, ma chi ero io per giudicare? Anch’io avevo passato la mia intera adolescenza con una maschera, cercando di sembrare ciò che non ero.. per fortuna, avevo aperto gli occhi e avevo accettato il mio essere per quello che era. Senza pensare troppo a quello che pensava la gente.

Ma il problema, in quel momento, non era pensare al fatto di poter giudicare o meno.. ma più che altro era meglio che mi sbrigavo a fare/dire qualcosa di sensato.
- Vu.. vuoi entrare? – chiesi, anche per buona educazione.

“Ma sì, fai entrare pure il tuo capo in casa tua!”, mi ammonii il mio cervello.
- Sì, grazie! – rispose, aspettando comunque che io mi facessi indietro per poter passare.
Era incredibile come quell’uomo, perché era quello – secondo me - l’aspetto principale di lui che l’isola aveva cambiato, potesse essere stato un ragazzo abbastanza donnaiolo e che aveva tradito la sua ragazza con la sorella di lei. Non riuscivo a concepirlo e mentre lasciavo che lui entrasse in casa mia, invadendo quell’unico spazio in cui niente mi ricordava di lui, pensai a come mi sarei sentita io se fossi stata nei panni di Laurel.
Forse, come lei, non sarei riuscita a dimenticarlo così facilmente e avrei nascosto l’amore che provavo per lui sotto un sentimento diverso, l’odio.
- Accomodati, fai come se fossi a casa tua! – dissi, sfoggiando il mio sorriso più sincero.
- Grazie! E.. scusa dell’intrusione! – mi sembrò volesse continuare, ma si lasciò solo cadere molto dolcemente sul divano che riempiva metà del mio modesto soggiorno.
- So che non è il divano di casa tua, nel soggiorno di casa tua.. ma è abbastanza comodo lo stesso! Ad ogni modo, vuoi qualcosa? – perché mi stavo giustificando con lui di non essere ricca e di non possedere una grande casa ammobiliata in ogni minimo dettaglio? “Oliver Queen, cosa mi stai facendo?”.
- Va benissimo così.. in questo momento, i soldi sono l’ultima cosa che mi interessa! – e alzò lo sguardo su di me. Solo in quel momento mi resi conto che nonostante la voce ferma, era leggermente ubriaco.
- Oliver? Sei ubriaco? – chiesi, avvicinandomi un po’ a lui e rendendomi anche conto che aveva un piccolo taglio sulla tempia destra già chiuso, ma che andava comunque disinfettato e pulito.
- E ti sei anche tagliato! Aspettami qui, vado di là a prendere il kit di pronto soccorso! –.
Ero praticamente corsa via, verso la mia camera da letto che comunicava col bagno. Non ero diventata ancora brava con le suture, anche se molto spesso avevo aiutato Diggle, ma un piccolo taglietto che andava solo disinfettato non poteva darmi troppo da fare. Lui no, almeno.
Recuperai la valigetta piccola e rossa, sperando che ci fosse tutto il necessario per la medicazione. Distratta da quei pensieri e da tutta la tensione che mi si era accumulata dentro, non mi accorsi che sulla soglia della mia camera c’era qualcuno e ci andai a sbattere praticamente contro.
- Oops, scusa Oliver, non.. non eri sul divano? – ma la domanda mi morii praticamente in gola, quando alzando lo sguardo.. incontrai il suo molto eloquente. E il suo viso troppo vicino al mio.

Ero sicura che se non avessi fatto qualcosa, nel giro di due secondi, sarebbe successo qualcosa della quale potevamo poi pentirci. E ad ogni modo, non avevo la minima intenzione che potesse  accadere qualsiasi cosa mentre lui era in quello stato.  Non sapevo quanto aveva bevuto e visto che la mia forza di volontà stava già sfumando in una nuvoletta di fumo, mi affrettai a dire:
- Dai, vieni qui, ti medico la ferita. -. Non credo avesse voluto parlare, non lo faceva mai quando si trattavano di cose personali. Ero convinta che col suo stato d’animo c’entrasse Laurel.

Non l’avrei costretto a confidarsi, non eravamo mai stati su quella lunghezza d’onda.. o forse non ne avevamo avuto l’opportunità. O forse, ancora meglio, non volevamo intraprendere quella strada.
Lo feci sedere sul bordo del letto, non era mia intenzione ma era il posto più vicino e volevo evitare un gran bel casino. Io ero in piedi e lui seduto, così che era più facile per me medicargli la ferita e tenerlo più in basso delle mie labbra.
..ok, c’erano altri posti che poteva raggiungere da quella posizione. Ma avevo bisogno di un diversivo e medicargli la ferita mi sembrava la cosa migliore per prendere tempo e capire un po’ la situazione.
- Allora, non hai ancora risposto alla mia domanda: hai bevuto? – chiesi, diretta come sempre.

- Sì, Felicity. Ma non sono ubriaco. – mi rispose. Che mi avesse letto nel pensiero?!
- Ah, ok.. Il taglio non è molto profondo, per fortuna! – dissi, mentre tamponavo con un qualche garza, imbevuta di acqua ossigenata, la ferita.
- Il Detective Lance sta bene? – chiesi ancora, per spezzare quel silenzio imbarazzante.
- Sì, e anche Laurel, Digg, Thea, mia madre, per quanto possibile, e anche Roy, credo. – mi rispose, alzando leggermente lo sguardo e puntando quei due pozzi d’acqua, che aveva al posto degli occhi, nei miei.
Ok, la cosa cominciava a puzzare.. perché stava esaurendo tutti i miei possibili argomenti? Perché si stava comportando così?
- Una ferita così superficiale richiede tutta questa attenzione? – sentii pronunciargli quelle parole e mi ridestai dai miei pensieri.
- Ehm.. no, ho finito! Ecco! Sei libero adesso! – dissi, poggiando il tutto sulla sedia vicino al letto.
Solo allora il mio cervello realizzò una cosa: non indossava più la giacca di pelle.
- Felicity, non ho la minima intenzione di vederti in pericolo ancora. – mi disse, spiazzandomi. Era venuto per farmi la predica?
- Niente prediche, Oliver. Stavolta, sono d’accordo con te.. niente più “agnello sacrificale”. La botta in testa mi è servita! – risposi.

- Stanotte è stata la missione più difficile che abbia mai affrontato. Neanche sull’isola mi sono mai sentito così.. esposto e fragile. Ero lì che combattevo per fermare quel pazzo, per cercare di salvare Laurel e suo padre, ma la mia mente era presa da un altro pensiero. – mi disse, fissandomi e avvicinandosi pian piano.
- Da cosa? – chiesi.

- Da te, Felicity. – rispose, avvicinandosi e prendendomi il viso tra le mani. – Sono tornato dall’isola ed ero tutto preso dalla lista e dalla voglia di vendicare mio padre e tutti quelli che lui, in qualche modo, aveva tradito. Ero qui, ma la mente vagava. Ero spietato, avevo solo voglia di farla pagare a tutti quelli che continuavano a far soffrire questa città. Chiedi a Digg, aveva paura che sull’isola mi avessero strappato anche il sorriso. Persino quelli che riservavo alla mia famiglia erano falsi. Ma un giorno, mi imbatto in un’informatica sveglia, bella, divertente, intelligente. Mi basta un solo sguardo per farmi fare un piccolo sorriso, ma il più vero e sincero che abbia mai fatto ,forse, in tutta la mia vita. -.
Avrei voluto ringraziarlo, dire qualsiasi cosa, ma non me diede il tempo.
- Io non l’ho ammesso prima, ma dopo stanotte.. dopo aver visto Mathis che ti portava via, dopo averti vista già come una delle sua vittime, spenta e senza quella scintilla che hai negli occhi e che riesce a tenermi testa, e dopo averti vista lì stesa per terra, è scattato qualcosa nella mia testa. Ho cercato di allontanarmi dai miei pensieri, ho cercato anche un modo per allontanarti definitivamente da me. Ma so che, forse, stare vicino a me ti è più sicuro. Mi hai reso diverso, l’uomo che mai avrei pensato di essere ma che, nel profondo, speravo di diventare. Per tutto questo, non voglio allontanarti più. – e concluse il suo discorso.
Ero senza parole, cosa potevo dire ad ogni modo? I suoi occhi lucidi e limpidi, le sue mani calde e forti che mi accarezzavano le guance, il suo corpo a pochi centimetri dal mio e quelle parole che erano entrate dentro di me, come una delle sue frecce ma senza portare dolore. Non l’avevo mai visto così fragile e sincero, circa i suoi sentimenti.
- Io ho sempre creduto in te. – dissi, portando una delle mie mani sul suo viso.
E senza che nemmeno me ne accorgessi, mi ritrovai tra il muro e il suo corpo, con le sue labbra sulle mie. All’inizio era un bacio dolce, le nostre labbra si accarezzavano dolcemente e le nostre mani rimasero ben salde sul viso dell’altro. Ma ben presto, il bacio si tramutò in qualcosa di più profondo; in qualcosa che entrambi ci eravamo negati. Le labbra si schiusero, cominciarono a prendere possesso di quelle dell’altro e ad esplorarsi. Poi sentii lei sue mani scendere lungo la vestaglia e sciogliere il nodo della cintura, per lasciarmi in biancheria intima.
Istintivamente mi bloccai: non sapevo come comportarmi, non ero mai stata molto impulsiva sotto quel punto di vista. La mia mente era un grande e grosso computer, che avrei dovuto spegnere ogni tanto.
Oliver se ne accorse.

- Ehi, va tutto bene? – mi disse, senza una sola volta lasciar scivolare lo sguardo sul mio corpo seminudo esposto alla sua vista.
- Io.. io non sono una da una notte e via. Non sono una da lasciare la mattina, o peggio ancora la notte mentre dormo. Non sono una da lasciare alla minima difficoltà per rifugiarti su quell’isola lontana chilometri. Non vo.. – ma non mi fece finire la frase.

- Io non ho intenzione di fare nulla di tutto ciò. Sei il mio “altro modo”, la mia luce, la mia guida.. e sei il presente e il mio futuro, non il mio passato. – disse, guardandomi sinceramente.
Così, mi alzai sulle punte dei piedi e posai delicatamente le labbra sulle sue, mentre le mie mani scendevano a sollevargli la maglietta.

Ben presto ci ritrovammo nudi, sotto le coperte. Era strano quanto era bello e quasi normale averlo nel mio letto, toccare il suo corpo, baciarlo e sentire il suo corpo su di me.
Non si allontanò un attimo da me, neanche quando ci addormentammo stretti tra le braccia l’uno dell’altra e così ci saremmo svegliati, la mattina seguente.

- Ehi, buongiorno! -.
Oliver, il mio Oliver, si era svegliato e non aveva la minima intenzione di liberarmi dalla sua stretta.
- Ciao! Dormito bene? – chiesi.
- Come non facevo da anni.. grazie! – mi disse, baciandomi.
Ma io continuavo a fissarlo con un sorriso stampato in faccia.
- Cosa c’è? – mi chiese divertito.
- Sei rimasto. Sei qui, accanto a me. – risposi. Non che non mi fidassi, ma quel lato di Oliver Queen/Arrow mi era totalmente nuovo. Anche se ero sicura che il suo vero se stesso, fosse sepolto sotto uno spesso strato di cicatrici, pelle verde, isole e dolore.
- Ho attraversato Inferno e Purgatorio. Ora, voglio il mio Paradiso e tu, Felicity, sei l’angelo che mi ha aperto le porte. Non ho la minima intenzione di lasciarti. Sei mia, e mia soltanto. – disse.
E in un batter d’occhio mi ritrovai sotto di lui, intrappolata dalle sue braccia e incatenata al suo sguardo che mi implorava di non lasciare quel letto, non quella mattina almeno. Ed io non avevo nessuna intenzione di farlo.

 
FINE.
   
 
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