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Autore: Amartema    19/11/2013    1 recensioni
Quella voce si mescola al profumo che lui porta con sé, un odore particolare che sembra nascondere in se animi differenti, una fragranza che raccoglie gli strascichi del mondo, un connubio di odori in grado di creare un qualcosa di perfetto e mai conosciuto prima.
Genere: Drammatico, Malinconico, Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Circolo Visioso





E’ l’oscurità a regnare in quella piccola stanza, chissà ormai da quanto tempo. Solo ogni tanto piccoli raggi di luce riescono ad oltrepassare le fessure di quella finestra chiusa, unico modo rimasto per distinguere la notte dal giorno. Il ticchettio debole e continuo di un orologio, un rumore così debole riuscito a trasformarsi in qualcosa di assordante, doloroso. L’agognato silenzio distrutto e la bramosia del nulla è offuscata da quello scandire del tempo perpetuo che inevitabilmente la lega alla realtà. E’ giorno e quei sottili fili di luce fendono l’oscurità, troppo deboli per emergere, troppo stanchi per combattere il buio ma così morbosamente attaccati alla vita da non arrendersi. Forme e linee emergono, figure che ricordano un mobilio pregiato ma abbandonato e dimenticato, privo ormai di ogni logica e utilizzo. E poi eccolo, un rantolo, un respiro lento e disperato, eterno e lei lo sente: doloroso alla pari di quel ticchettio se non addirittura di più.
Un letto dallo scheletro elaborato, fiori emersi dal ferro decorano la testiera, la loro bellezza appassita, offuscata da quella perenne oscurità in grado di divorare ogni cosa, ogni animo presente. E quel letto è ormai divenuto il suo prezioso trono mentre si innalza padrona e allo stesso tempo schiava di quella tenebra, così amata e così odiata. Le unghie grattano su di una pelle pallida, imperfetta, scorrendo su quelle forme non più morbide ma così maledettamente spigolose. Prima le scapole, poi le costole, terminando sul bacino, una sorta di gioco perverso di cui non può più farne a meno. Carezze prima leggere, poi premute ma sempre delicate. E potrebbe andare così per ore, spinta da quella morbosità che la lega al dolore proprio mentre lo maledice e lo ama, sua serva. Lo sguardo vaga per la stanza soffermandosi su ogni dettaglio ma non c’è vita in quei due occhi scuri che fanno specchio solo alla stanchezza. La schiena fa male, lo stomaco gorgoglia ma è il rifiuto sotto l’aspetto di una semplice nausea che l’assale. Le tempie pulsano, fanno male, sinonimo di un pianto protrattosi per troppo tempo. L’agitazione si mescola alla stanchezza sino al momento esatto in cui lo sguardo non incontra quei fili di luce che con difficoltà scavano tra le fessure della finestra, emergendo: deboli ma presenti.
Improvvisamente il respiro si fa più lento, il ticchettio di quelle lancette diviene sempre più debole, lontano sino a scomparire nel momento esatto in cui quelle due iridi nere vengono celate dalle palpebre. E lei ora non è più lì, lontano dalla sua stanza, lontana dall’oscurità, lontana dal mondo, rinchiusa in se stessa.
Attende, sa che arriverà e come sempre lui non si farà aspettare, in fin dei conti è un galantuomo. Attende ancora sino a quando la voce di lui giunge, bassa e calda, accogliente:
«Bambina, ti aspettavo…»






Quella voce si mescola al profumo che lui porta con sé, un odore particolare che sembra nascondere in se animi differenti, una fragranza che raccoglie gli strascichi del mondo, un connubio di odori in grado di creare un qualcosa di perfetto e mai conosciuto prima.
«Credo sia giunto il momento di mostrarmi quei due bellissimi frammenti d’onice che hai come occhi. »
Ma lei non li apre, non ancora, ogni parola udita ha il sapore di una complicità intensa eppure mai rivelata ufficialmente. E’ lì, le dita si muovono e ciò che i polpastrelli trovano è un pelo ispido corto, caldo, quelli di un tappeto, su cui si ritrova seduta. Sorride, sa dove si trova, avverte il calore del sole contro la sua pelle come il vento che trasporta piccoli granelli di sabbia che impattano contro il volto, carezzandolo. Pochi secondi e lentamente le palpebre risolleva, la voce scivola via, bassa e incerta, fragile.
«Perché…? Perché mi porti sempre qui? »
E dimenticatasi ormai della tenebra e del dolore,è così che lo saluta, con quella semplice domanda in grado di comunicare la sua serenità e il suo animo curioso. Si volta e lo sguardo non incontra la tenebra ma la luce che si fonde con l’oro di una distesa di sabbia che appare infinita, all’orizzonte il sole che già scivola lentamente verso il suo giaciglio, lasciando al luogo lo spettacolo del tramonto.
«E cosa vorresti? Un giardino immerso nei colori dei fiori che accoglie? Non lo trovi particolarmente scontato? »
«In realtà non mi dispiacerebbe. Magari uno di quei giardini vittoriani ormai dimenticati, dove ciò che vediamo è solo il frutto di una natura che ha preso il sopravvento e che è stata in grado di migliorare un qualcosa che già era bellissimo. Cancellate di ferro divorate dai rampicanti, un gazebo bianco che contrasta il verde che lo circonda e una casa abbandonata con finestra ricoperte dai disegni di mille ragnatele. »
«E’ il decadimento che cerchi? No. E’ il mistero quello che tu brami ma ormai sei così cieca da non riuscire più a vedere, divorata da quell’oscurità che ti ha intaccato l’animo e ora anche lo sguardo. Osserva, Lorianne, è il deserto e chi meglio di lui può offrirti quello che brami? Così antico da aver conosciuto tutti i segreti del mondo, così brutale e crudele poiché capace di inghiottire uomini, popolazioni, città. Lui è sempre esistito, Lui è Antico quanto il mondo stesso. »
Lei non può fare a meno di osservarlo e non si lascia sfuggire nulla, cogliendo ogni dettaglio di lui. Si sofferma su quel completo nero ed elegante sempre uguale e come sempre viene attratta dall’ascot rosso che gli avvolge il collo, l’unica nota di colore presente su quel vestiario, un accessorio in grado di far apparire il suo interlocutore come un essere proveniente da tempi passati. Quelle occhiate lente e attente sono ormai divenute una tradizione e come sempre terminano su quel volto che non dimostra più di trent’anni, su quella chioma folta ma portata indietro morbidamente e con un eccessivo riguardo. Ma gli occhi, è su questi che ogni volta si blocca, due smeraldi contornati da ciglia nere che sembrano celare i segreti più antichi e oscuri. E’ attratta da lui e non nasconde le sue occhiate ricolme di curiosità, sguardi lenti, morbosi, divoratori. Lui è lì, in piedi al suo fianco che la osserva dall’alto, apparendo come un dio, sicuro di se nei modi come negli sguardi.
« Forse è per questo che mi fa paura. Forse è un mistero sin troppo grande per me, forse non riesco a coglierne l’importanza o forse proprio perché ne sono in grado... che questo luogo non lo trovo adatto a me, ai miei desideri, al mio spirito. Tu pretendi troppo da me, ogni volta. O semplicemente è sin troppo luminoso. »
«Bimba mia. Continuerò a ripeterlo: quella tenebra ti sta divorando l’animo. Non comprendi che ogni mistero per essere svelato ha bisogno della luce, qualunque sia la sua “forma”? Ma se proprio lo desideri… »
E lui parla con quella voce particolarmente bassa, così calma da essere in grado di trasmetterle una serenità che la tocca interamente sino ad arrivare allo spirito. Le ultime parole vengono seguite da un semplice schiocco di dita, un semplice comando che viene accolto dal sole che velocizza la sua discesa, scivolando nel suo sonno e lasciando il posto alla sua sorella luna. E’ la notte che giunge e con essa è il freddo pungente che va a toccare la pelle di lei, il vento si alza e la sabbia contro il corpo sembra essere divenuta il tocco di innumerevoli spilli. E’ di nuovo l’oscurità a giungere, è di nuovo il dolore incrementato dalla delusione che si palesa sull’espressione di Lui. Non parla Lorianne, il suo corpo si chiude, le ginocchia toccano il petto e le mani vanno a nascondere il volto cercando di proteggerlo dal vento e dalla sabbia che questo trasporta. Tutto sembra inutile e quei finissimi spilli continuano a lacerarle la pelle, li avverte oltrepassare le mani e raggiungere il volto come se fossero pregni di un potere che permette loro di oltrepassare qualsiasi ostacolo, anche il corpo stesso, sino a giungere al suo spirito.
«Ricorda: anche il più piccolo e innocuo elemento può divenire letale e potente. La fragilità è una convinzione errata, solo un’illusione che l’uomo dona a tutto ciò che non reputa all’altezza, ma è prerogativa dell’uomo sottovalutare ogni cosa, non è vero, Lorianne? E tu lo fai meglio di chiunque altro. »
Quelle ultime parole risuonano assordanti, donate con una durezza che mette da parte la serenità ed è proprio la calma con cui vengono esposte che le rende così insopportabili, strazianti e che la riconducono alla realtà. La voce di lui scompare e al suo posto riemerge il perpetuo ticchettio delle lancette: atroce risveglio.E' di nuovo nella sua stanza, i fili di luce ormai scomparsi, è la più totale oscurità ad avvolgerla e a farle compagnia solo il suo stesso respiro, lento e trascinato, stanco e con esso un particolare e debole formicolio al volto, ricordo del suo sonno, ricordo della sua pace ormai abbandonata.




NOTA DELL'AUTRICE: Questa è una parte della mia primissima storia.
Forse un giorno continuerò anche questa ma farlo ora è
particolarmente "doloroso", quindi vi lascio con la
parte che preferisco, nella speranza che un giorno
ritorni la voglia per proseguirla. Oltretutto la scena
di questo sogno è ispirata ad un sogno che ogni tanto
si ripete nelle mie notti è.è

Vi lascio i miei contatti:
Pagina facebook : Contessa Amartema
Gruppo Facebook : Spoiler, foto, trame delle mie storie.
Ask : Inutile specificare, no?

Altra storia in corso : Animi Inversi

Inoltre, la mia mente malata e quella di Malaria, ricordano che:
   
 
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