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Autore: SylverTrinity    30/04/2008    0 recensioni
Prima o poi tutti saliamo quelle scale, scale che dividono un mondo da un altro...è così facile trovarne l'inizio?
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La frase in corsivo è un incipit dell'autore Marco Vichi. E' un racconto a cui ho partecipato ad un concorso e mi par giusto riconoscere a chi di dovere le prime righe ^^ una delle poche storie che ambiento nel tempo odierno, non so perchè, ma raramente riesco a scrivere dei tempi correnti...

*°*°*

Uscì di casa fischiettando. Era contento che fosse finalmente tornato il sole. Voltò l’angolo e si bloccò. Sul marciapiede opposto stava camminando l’ultima persona che si sarebbe aspettato di vedere. Quanti anni erano passati? Stava per gettarsi sulle strisce pedonali quando dall’incrocio si sentì il rumore di una frenata e uno schianto. Fu uno dei tanti a voltarsi e a vedere una macchina che urtava un motorino buttandolo a terra. Evidentemente era passato col rosso e aveva causato quell’incidente. Si soffermò a lungo ad osservare il ragazzo che era caduto dal motorino e non accennava a rialzarsi. “Povero ragazzo” pensò sospirando. Osservò ancora qualche minuto la scena e la gente che accorreva in quel punto, poi attraversò la strada e raggiunse il marciapiede opposto.
Lo aveva appena intravisto, ma evidentemente non era tra coloro che si erano fermati per curiosare. Si maledisse per aver atteso e decise di provare a cercarlo, in fondo non poteva essere troppo distante. Svoltò l’angolo avanzando a passo spedito guardando tra la gente che camminava, infine lo intravide. Camminava tranquillo, era come lo ricordava. Spalle ampie, capelli brizzolati che si diradavano appena sopra la testa. Una giacca di pelle marrone e dei jeans, non era cambiato di una virgola. Prese a correre per raggiungerlo. Scansava persone di cui non guardava neanche il volto, non ne sentiva neanche le voci.
Era una mattina silenziosa e tiepida, la luce chiara del sole illuminava tutto uniformemente. Alzò una mano, schiuse le labbra per chiamarlo, ma si rese conto di non avere un nome da chiamare.
Rallentò la corsa e si rese conto che seppur quella figura gli fosse familiare, non si ricordava esattamente né il nome né chi fosse. Sentiva di conoscerlo, sentiva il desiderio incontenibile di volergli parlare, addirittura di volerlo abbracciare. Iniziò a camminare lentamente rimanendo con lo sguardo su quella figura che pareva spiccare su tutte le altre. Lo sforzo di ricordare gli era difficile, pareva che la sua memoria fosse inaccessibile. Si impose la calma e cominciò lentamente a vagliare i ricordi più recenti, gli ultimi risalivano solo all’incidente, prima non ricordava nulla. Continuò comunque a concentrarsi mentre camminava lungo il marciapiede del viale. Per un attimo lasciò vagare lo sguardo sui manifesti pubblicitari affissi ai muri. Si soffermò su di uno guardando la figura di un uomo che parlava con un bambino tenendolo per mano. Come se quelle due figure fossero vive e non immagini, le vide muoversi. Vide quell’uomo chinarsi davanti a quel bambino di circa dieci anni carezzandogli il capo “Non voglio che te ne vai” continuava a ripetere tra le lacrime quel bambino “Ma tornerò presto da te e dalla mamma” lo rassicurava il padre, ma il bambino non ne voleva sapere di rassegnarsi. Infine quell’uomo si allontanò salutando il bambino tenuto per mano dalla madre. L’aereo si alzò in volo e il bambino rimase a guardarlo e a salutarlo fin quando non fu troppo lontano.
Come nulla fosse si ritrovò a fissare quel manifesto, ma un nuovo ricordo era affiorato. Si mise a correre di nuovo dietro quella figura più veloce che poteva per raggiungerla “Papà!” urlò con quanto fiato aveva, ma l’uomo non parve accorgersi che quel richiamo era per lui e continuò a camminare. “Papà!” chiamò ancora senza risultati, più e più volte fin quando non raggiunse quella figura. Gli posò una mano sulla spalla “Papà?” domandò dubbioso verso quella figura di spalle.
L’uomo si voltò. I suoi occhi scuri erano come se li ricordava, sinceri e tranquilli dietro gli occhiali. Aveva lo stesso profumo, solo che adesso era alto quasi quanto lui. In fondo erano passati dieci anni.
”Ciao Marco” lo salutò con un sorriso abbracciandolo. Non pareva sorpreso “Papà! Perché sei tornato e non hai avvertito me e la mamma?” domandò osservando il padre “E’ stata una cosa improvvisa, avevo intenzione di venirvi a trovare dopo pranzo, non avevi scuola oggi?” Quella domanda parve metterlo in difficoltà. Non sapeva rispondere, ma si ricordò di quanto fosse diligente suo padre con gli impegni, così scosse il capo “No, oggi c’era assemblea dei professori” suo padre sorrise e riprese a camminare. “Dove vai adesso?” gli chiese seguendolo “Nel mio appartamento, puoi accompagnarmi” rimase stupito da quella risposta “Ma potevi stare da noi!” l’uomo continuò a sorridere tranquillamente “Ha prenotato tutto la mia segretaria, almeno non darò disturbo”
Per quanto si sforzasse non riusciva a ricordare che lavoro facesse suo padre. Parlarono a lungo del più e del meno, di come andasse la scuola e di come stesse la mamma. L’edificio dove alloggiava suo padre era abbastanza lontano, ci misero alcune ore per raggiungerlo, ma non si affaticò come quando era piccolo per seguire suo padre.
Si fermarono davanti a un edificio di tre piani abbastanza vecchio, ma ben tenuto “Sono arrivato” disse suo padre fermandosi davanti alla porta mentre cercava le chiavi “Posso accompagnarti?” chiese Marco ansioso di poter discutere ancora con lui “Va bene” rispose il padre con un sorriso. Aprì la porta ed entrò in un piccolo ingresso dal quale partivano delle scale che conducevano ai diversi piani.
Iniziarono a salirle tranquillamente. All’inizio il ragazzo non contò neanche gli scalini o i pianerottoli, intento a parlare col padre, ma dopo un po’ sentiva la stanchezza e cominciava a guardarsi intorno “Ma quanti piani ha questo posto?” chiese spazientito sentendo ormai i muscoli delle gambe iniziare a lamentarsi “Più di quanto sembra” rispose vagamente il padre “La tua segretaria poteva prenotare un posto con l’ascensore!” l’uomo rise divertito “Ma ti assicuro che è un condominio tranquillo, ci si sta molto bene e il vicinato e piuttosto paziente e cordiale”
Continuarono a salire, ormai Marco iniziava a sentire anche caldo, forse prima non vi aveva fatto troppo caso “Niente ascensore e niente condizionatore” sbuffò innervosito “E’ un palazzo vecchio, quando l’hanno fatto neanche sapevano cosa fosse l’ascensore e il condizionatore” era paziente come se lo ricordava, fin troppo forse. Le scale continuavano a salire, la luce aumentava senza che riuscisse a vedere dove si trovavano le finestre. Avevano passato i due pianerottoli, il terzo sembrava irraggiungibile.
Ormai il ragazzo saliva le scale a fatica appoggiandosi al corrimano. Non aveva più voglia di parlare, sperava solo di arrivare presto e prendersi un bicchiere d’acqua in casa del padre. Aveva perso il conto degli scalini quando alzò il piede senza trovare appoggio. Guardò innanzi a se e si accorse di essere sul pianerottolo del terzo piano. “Eccoci qua” l’uomo prese le chiavi e aprì la porta lentamente. Dall’interno si spandeva una luce intensa e un silenzio irreale “Che strano posto” borbottò il ragazzo facendo per seguirlo, ma suo padre sorridendo gli impediva di entrare “Dai papà! Non ho voglia di scherzare…ho una sete che muoio” fece per passare ma ancora gli fu impedito. “Non posso farti entrare” disse lui sciogliendo quel sorriso che lo aveva animato “Cosa nascondi?” chiese il ragazzo perplesso, poi si adombrò “Non è che ti sei fatto un’amante?” l’uomo rise appena “Ma figurati! Io ho amato e amo tua madre. Anche se credo dovrebbe rifarsi una vita dopo dieci anni che l’ho lasciata sola” sospirò e calò il silenzio.
Fissava senza comprendere il volto del padre poi in esso vide la figura di sua madre che piangeva inginocchiata davanti al telefono. “Cosa c’è mamma?” lei si voltò sforzando un sorriso. Lo aveva abbracciato e stretto forte a sé. Era rimasta a lungo in silenzio poi con le migliori parole che aveva trovato gli disse che suo padre era… “Morto” mormorò il ragazzo sgranando gli occhi “Tu sei morto! Quell’aereo precipitò” indietreggiò allarmato osservando quell’uomo identico a suo padre “Chi sei?” gli urlò contro “Ti pare uno scherzo divertente?” ma l’uomo rimase impassibile sulla soglia di quell’appartamento.
Sospirò cercando di sorridere “Sì Marco, io sono morto” prese a parlare con voce calma “Questa soglia non possono varcarla i vivi. A dirla tutta non possono entrare in questo palazzo” il sangue gelò nelle vene del ragazzo “I-io sono…” l’uomo scosse il capo “Non ancora” calò ancora il silenzio.
L’uomo avanzò per poi stringere a sé il figlio “Hai avuto un brutto incidente mentre andavi a scuola in motorino” mormorò appena. Nella mente del ragazzo riaffiorò il ricordo dell’incidente all’incrocio. Non lo vide come prima, vedeva innanzi a sé scorrere la strada e le macchine. Il semaforo verde. Poi all’improvviso sentì frenare una macchina e si volse. Non fece in tempo a vederla arrivargli addosso che era stato sbalzato dal motorino.
”Oddio” mormorò tremante stringendosi a suo padre “Già, un brutto incidente” l’uomo sospirò “Ma i medici si stanno adoperando per salvarti” lo scostò da sé guardandolo negli occhi “Torna indietro Marco, puoi farlo” il ragazzo osservò la soglia dell’appartamento. Aveva sete e si sentiva terribilmente stanco. “Resisti Marco” lo scosse suo padre “Non puoi abbandonare tua madre” fu il ricordare sua madre piangere a dargli la forza. Si lanciò sulle scale scendendo velocemente senza guardarsi indietro, senza salutare suo padre. Aveva la mente sgombra da qualsiasi pensiero. “Marco” un eco. Qualcuno chiamava insistentemente quel nome. Quando arrivò nell’ingresso spalancò la porta quasi senza più fiato, colto da una paura irrefrenabile: la paura di morire.

Aprì gli occhi. Una luce lo accecò qualche istante. Non riusciva a sollevare le braccia, erano troppo pesanti “Marco!” esclamò quella voce, la voce di sua madre “Nh?” non riusciva a parlare, aveva la bocca asciutta e non capiva nulla “Dottore!” sua madre corse a cercare i dottori. Chiuse gli occhi quasi si fosse appena svegliato e avesse ancora sonno. Rivide qualche istante il volto di suo padre “Salutami la mamma” sorrise sentendo quasi il bisogno di piangere “Certo papà”

  
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