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Autore: Ceci Princessofbooks    21/11/2013    1 recensioni
Isabella ha una mente luminosa, un cuore impavido e un'anima alla ricerca dell'amore; sarebbe perfetta, se non fosse per la sua condanna: infatti è un androide, una bambola di porcellana a cui il suo creatore, Mr. Silvergear, ha infuso la vita con i poteri dell'Alchimia perché fosse una compagna fedele per la sua fragile figlia Catherine. Bella vorrebbe vedere il mondo, ma non può scappare: la sua esistenza dipende dalla carica della chiave che porta sulla schiena, e che il suo Maestro, cosi chiama il suo artefice, custodisce gelosamente. Ma quando arriva Edward, il giovane allievo dello studioso, tutto cambia, e Bella non è più disposta ad accettare un destino da cosa. In una Londra alternativa in cui l'Alchimia è una scienza e i dirigibili solcano il cielo, i due giovane lotteranno per il loro amore, e perché, come ogni essere umano, anche a Bella sia concesso di scegliere la propria strada.
Genere: Dark, Romantico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Edward Cullen, Isabella Swan | Coppie: Bella/Edward
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Imbris fletus – Il pianto della pioggia

 

24 Settembre 1867

 

Oggi ha piovuto per gran parte della giornata; quando stamattina mi sono svegliata ho trovato la casa immersa nel mormorio della pioggia, le gocce che premevano contro le finestre come i capelli argentei di una fata. C'è qualcosa di confortante nei temporali; un'urgenza di compagnia e di unità che porta gli uomini a stringersi tra di loro, e che appiana i contrasti e le antipatie di fronte all'immensità indifferente della natura: allora anche gli Albi diventano dei veri compagni, e i nostri occhi e le nostre parole hanno il potere di portare conforto quanto quelli degli esseri umani.

Come ogni mattina mi sono recata in biblioteca per la mia lezione, dopo aver scelto un semplice abito di cotone color malva, il cammeo di Atena che mi brillava sulla gola. L'Astromante era al sicuro tra le pieghe della gonna.

Il Maestro era seduto nella sua poltrona di cuoio, la pipa accesa, sulle labbra il suo sorriso. Quel sorriso è l'arma più potente a sua disposizione, perché farà sempre tremare in me qualche corda profonda, sepolta dal tempo e dalla ragione: è stata la prima cosa che abbia vista quando ho aperto gli occhi, la prima tessera di mondo a me destinata. Di fronte a quel sorriso, ritorno ad essere la confusa bambola racchiusa nel guscio criogenico, ancora incapace di parlare, di sentire, di vivere; non c'è nulla che mi faccia sentire tanto protetta, e tanto vulnerabile ad un tempo.

Mi sono fermata di fronte a lui, sugli arabeschi d'oro e nero del tappeto persiano. -Buongiorno, Maestro- ho salutato, piegandomi in un rapido inchino -spero stiate bene questa mattina.-

Il mio creatore mi ha guardata a lungo, e un dettaglio, un'ombra sottile come carta, mi ha colpito in una goccia di ghiaccio. -Bene, grazie Isabella- ha risposto, la voce piatta -vieni pure qui vicino.-

Ho ubbidito, prendendo posto sul divanetto di velluto accanto a lui.

-Oh, che stupido- esclamò -stavo quasi per dimenticarmene. Volgimi la schiena, cara, per favore. È meglio occuparsi della carica, no?-

Serrai le labbra. Odiavo il rituale della carica: odiavo la sensazione di impotenza che in quei momenti mi sopraffaceva, e che mi ricordava amaramente che non avrei mai potuto partire per le terre selvagge di cui leggevo, senza quella chiave che mi dava la vita ogni settimana. Il Maestro la estrasse dal cassetto del tavolino, e rivelò il foro che porto sulla schiena. La chiave girò una, due, tre volte, mentre io sedevo immobile. Sebbene non volessi, una parte di me fu travolta dal piacere artificiale della magia che tornava a scorrere in me, dal sollievo di sentire tutti i meccanismi tornare a muoversi armoniosamente.

Aspettai finché non finì, e io potei dimenticarla di nuovo.

-Bene- decise il Maestro – direi che ora possiamo cominciare, no?-.

-Sicuramente.-Vedendo il massiccio volume rosso ormai familiare, lo sollevai, aprendomelo sulle ginocchia: -Allora, l'ultima volta siamo arrivati all'Evocazione delle Salamandre...-

-In realtà non continueremo.-

Alzai lo sguardo, stupefatta. -Come?-.

Di nuovo mi rivolse il suo sorriso; ma gli occhi rimasero freddi, polle di mercurio. -Oggi volevo affrontare con te un altro testo, se non ti dispiace.-

Annuii, cauta: la lettura, e una certa naturale intuizione, mi hanno portato ad essere abbastanza abile a decifrare le anime, e a seguirne i sentieri. E quello in cui mi stava conducendo il Maestro mi inquietava. -Certo, se lo ritenete opportuno...-

Battè le mani, voltandosi per stringere un libro dalla ruvida copertina di cuoio giallo; quando lo spalancò, scorsi il titolo: “Costituzione e analisi degli Albi”.

-Credo sia arrivato il momento di affrontare la questione della tua natura- cominciò -vedi, finora ti ho cresciuta come una figlia, istruendoti, vestendoti, offrendoti tutti i divertimenti che hai sempre condiviso con Catherine-.

“Mi avete cresciuta come un'ombra di Cathy” pensai “non come una figlia”.

-Ora, però, penso che sarebbe meglio se tu imparassi qualcosa su di te e sui tuoi simili.-

Quelle parole furono una stilettata nel petto: i tuoi simili. Avevo sempre saputo che il Maestro non mi aveva mai considerato una di loro, un vero individuo con propri sentimenti e propri pensieri; ironia della sorte, proprio colui che mi aveva creato non comprendeva gli universi che si celavano nella sua creatura. Ma sentirlo così palesemente fu comunque doloroso, come un marchio inciso nella mente. Ma obbedii, perché non ho altra casa, perché non conosco altro modo. -Certo, Maestro. Cosa volete che apprenda?-

-Mi interessa particolarmente questo capitolo.- battè il dito su una pagina ingiallita. -”Natura e bisogni dell'Albus”. Te ne leggerò uno stralcio.-

Inforcò i suoi tondi occhiali dalla montatura d'oro, e iniziò.

- “Gli Albi, come è comunemente riconosciuto, costituiscono il vertice tecnico della nostra epoca; animati da una sapiente commistione di Alchimia e Meccanica, sono adatti ad una molteplicità di occupazioni, calibrate secondo il materiale di cui vengono costituiti: cuoio per i lavori più pesanti, pezza per le bambinaie, porcellana per le dame da compagnia. Servizievoli, docili, pazienti, sono lavoratori indefessi e compagnie estremamente piacevoli, a cui si possono anche impartire insegnamenti di moltissimi argomenti. Tuttavia, nulla è più penoso del vedere un uomo od una donna instaurare un tale rapporto con un Albus da non discernerne più la vera natura e a crederlo capace dei sentimenti e dei pensieri di un essere umano. Ricordate, cari lettori: gli Albi sono utili e prodigiose invenzioni, ma nonostante la somiglianza, rimangono questo: invenzioni degli uomini, non uomini.”-

Rimasi immobile, le dita serrate. -Che cosa significa tutto questo, Maestro?-

Il mio creatore si tolse gli occhiali, e il suo sguardo sembrò penetrare la mia pelle, fino all'ultimo degli ingranaggi che le sue mani avevano costruito, fino al cuore meccanico di quella menzogna. -Significa imparare a conoscere il proprio ruolo, Isabella. Finora sei stata una compagna preziosa per Cathy, un' allieva eccezionale per me, e hai quindi svolto perfettamente i tuoi compiti: sei stata attenta, sollecita, ubbidiente, discreta. Ma temo che, con il mio comportamento tollerante, io ti abbia instillato idee che potrebbero mutare la tua condotta in modo...spiacevole.-

L'immagine di Edward mi lampeggiò nella mente. -Vi riferite a qualche evento particolare?-

Il Maestro unì le punta delle dita, la bella fronte spaziosa improvvisamente aggrottata. -Credo che parlarti di certi argomenti, come la mitologia o la letteratura, abbia eccitato eccessivamente la tua immaginazione. Credo che anche proporti tutti quei romanzi sia stato un errore.-

-Un errore? Non vedo perchè...-

-I romanzi e i miti non si basano sulla realtà, Isabella. I fatti che vi vengono narrati non potrebbero mai accadere.-

-Ma i sentimenti che li ispirano sì.-

Sospirò. -Come supponevo, quelle letture ti hanno terribilmente influenzata. E ti hanno distolto dal tuo dovere.-

Serrai le labbra; l'indignazione era un grumo oscuro nell'anima. Sapevo che cosa intendeva, ma dovevo sentirglielo dire. Dovevo. -Quei libri mi hanno semplicemente insegnato a comprendere ciò che sentivo, e a dargli un nome. Mi hanno insegnato ad amare il mondo, a soffrire per i suoi orrori, a gioire delle sue meraviglie. Mi hanno insegnato a vivere.-

-è proprio questo il problema- replicò con voce flautata -Isabella, Pigmalione è solo una storia: le statue non diventano esseri umani. Mai.-

Sussultai, sferzata da quella frase pacata. Pigmalione, il mitico scultore, consumato dall'amore per la sua creazione, e che ottiene per lei la vita dagli dei. Da quando lo avevo ascoltato per la prima volta, ogni sera immaginavo che Edward mi guardasse con la stessa passione, e che magicamente le mie dita divenissero di carne e la mia bocca potesse percepire il tocco della sua. Ora il mio creatore aveva insudiciato per sempre quel sogno, e bruciava.

Si alzò, gli occhi colmi di una gelida compassione. -Spero di non essere stato troppo duro. Voglio solo che tu non ti faccia idee sbagliate, Isabella. Per te, per me, per Cathy.-

Non poter piangere è una condanna orribile: impedisce al dolore di scivolare via, lascia che incancrenisca nella mente come un veleno. Ma accanto al dolore, brillava la rabbia.-Con che autorità decidete quali debbano essere le mie idee?-

Ma il Maestro non lo udì, o non volle udirlo. -Bene, direi che per oggi possiamo fermarci qui. Buona giornata, Isabella.-

Quando alzai lo sguardo, era scomparso.

 

Ritornai nel nostro salottino con un groviglio di rabbia e delusione, il cuore ferito dai cocci del mio sogno infranto. Catherine era lì, abbandonata sui cuscini del divanetto, i capelli ancora raccolti nella lenta treccia in cui li acconcio prima che vada a dormire. Portava una vestaglia amaranto sulla camicia da notte di mussola bianca, con la leggerezza eterea di un fantasma. Mi stupii di trovarla già sveglia: per qualche ragione, mi inquietò.

I suoi grandi occhi grigi, così simili a quelli del Maestro, si appuntarono su di me, scintillando:-Allora?- mi apostrofò prima che potessi salutarla -mio padre ti ha già parlato?-.

Sbattei le palpebre, confusa. -Come? A cosa ti riferisci?- chiesi, sovrappensiero.

Cathy fece un gesto impaziente, sollevandosi a sedere. -Non ti ha ripreso sul tuo... comportamento?-

Il tempo parve fermarsi. Alzai piano la testa. -Sei stata tu- mormorai, e non era una domanda. -Sei stata tu a chiedergli di dirmi quelle cose.-

La mia amica, la mia unica amica, annuì con la grazia rigida di un uccellino. -Bè, certo. Dovevo pur fare qualcosa. Negli ultimi tempi sei stata così...non saprei...strana. Così scostante. Così pensosa. Insomma, non è per macerarti nei tuoi pensieri che ti ha costruito, no?-

Dentro di me, il fuoco cominciò a crepitare; ma se ardeva, allo stesso tempo lo sentivo consumarmi. -Credevo che fossimo amiche. Credevo mi volessi bene.-

-Infatti- rispose subito -io ti voglio molto bene.- mi prese una mano tra le sue, e il calore del suo sguardo mi pugnalò. - Proprio per questo voglio che funzioni al meglio.-

La verità era lì, evidente e dura e nuda come ossa. Anche per Cathy, io ero un utile strumento, un giocattolo divertente e complesso. Ma nulla, né l'intelligenza, né il sentimento, né la passione potevano colmare l'abisso tra di noi, tra la sua pelle calda e la mia porcellana. Neanche questa fame selvaggia di vita che mi preme nel petto, e che grida per schiudersi.

Abbassai la testa, senza forze. -Non riesci proprio a capirlo, vero?- mormorai -Non riesci nemmeno ad immaginarlo, vero?-.

Parve sinceramente perplessa, e forse lo era. -Immaginare che cosa?-

-Quanto io desideri la vita, Cat. La vita che tu stai consumando rinchiusa tra queste pareti, la vita che pulsa nelle vene e si gonfia nel respiro, la vita fatta di calore e di gelo e di profumi e di gusti.-

La mia voce si spezzò. -La vita fatta di morte, e d'amore.-

Mi sorrise, imbarazzata. -Bella, cosa stai dicendo? Tu non sei fatta per queste cose, è semplice. E non dovresti rivolgerti a me con quel tono insolente.-

Mi rialzai, ignorando la sua mano posata sulla mia. -Arrivederci, Catherine.-

-Bella? Dove stai andando...?-

-Arrivederci, Catherine-.

Fu come muoversi nell'acqua, o nelle distanze ovattate di un sogno: senza rumore, mi avviai alla porta, la chiusi alle mie spalle, e cominciai a correre.

 

Il giardino era un turbine di vento e grigio, spazzato dalle raffiche rabbiose della pioggia. Lontano, i tuoni ruggivano come draghi infuriati. Sotto l'ombra del porticato, osservavo la tempesta, i lampi lontani e bianchi che crepavano il cielo, e per la prima volta mi sentii totalmente sola, sospesa tra due mondi a cui non appartenevo. Non sono una macchina, perché penso come una donna; non sono una donna, perché ho un cuore di macchina. Continuai a fissare i tremolii scintillanti delle gocce, e mi sembrò che il cielo piangesse anche per me.

-Signorina Isabella?-

Una voce mi fece sussultare. Mi voltai di scatto, e mi ritrovai di fronte ad Edward. -S-sì?-

-Mi chiedevo solo se steste bene. Ero venuto a cercarvi per chiedervi di suonare ancora, ma da ciò che ho intuito dalle parole della signorina Catherine siete rimasta molto turbata da qualcosa.-

-Oh, no- risposi, sperando che le mie parole non si spezzassero -non vi dovete preoccupare, signor Glowfable: sto perfettamente bene, adesso.-

Si avvicinò -Dai vostri occhi non si direbbe.-.

Abbassai lo sguardo, stringendomi nelle spalle. -I miei occhi non cambiano mai.-

-Questo non è vero- mormorò -credetemi, i vostri occhi dicono molte più cose di quelli della maggior parte delle persone che conosco.-

Quando alzai il volto, scoprii che si era avvicinato ancora: ormai mi sarebbe bastato un passo, meno di un passo, per raggiungerlo, per toccarlo. -Dite davvero?-

-Certamente- il suo viso si addolcì, e la maschera di giovane uomo di mondo si dischiuse di nuovo. -Cosa vi tormenta, Isabella?-

Senza sapere perché, la verità mi venne alle labbra. -Ciò che non sono. Ciò che dovrei, ma non posso più essere.-

Edward non mi chiese che cosa intendessi. Forse lo intuì; forse semplicemente si fidava di me. Con lentezza, con infinita dolcezza, tese le braccia intorno a me, lasciandomi il tempo di ritrarmi. Ma non lo feci.

Rimanemmo abbracciati a lungo, nel sussurro di echi e rimpianti della pioggia. E, per la prima volta, mi sentii protetta e indifesa come di fronte al sorriso del Maestro.

 

   
 
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