18 gennaio 2016
Dalle tenebre di quella che ormai era diventata casa mia, vidi entrare prepotente una luce abbagliante, che mi costrinse a coprire gli occhi con il braccio destro, ricoperto da graffi, morsi e da sangue. Il mio sangue.
-“Presto alzati!” Urlò una voce maschile.
Non capii, non era Lui.
Lo vidi guardarsi alle spalle, per poi tendermi la sua mano. Non reagii.
Si avvicinò, quasi come se fosse arrabbiato, mi prese violentemente per un polso.
Nonostante riconobbi la presa possente e dolorosa che mi premeva sulla pelle, non sentii la Sua presa. Era diversa.
Quell’uomo mi trasmetteva paura, timore, ma soprattutto fretta.
-“Alzati, forza, voglio portarti via di qui!” Nonostante continuasse ad urlarmi contro di correre via, io non riuscii ad alzarmi.
D’un tratto lo vidi fissare un punto alle mie spalle. Lo vidi irrigidirsi.
Mi lasciò il polso, mi diede le spalle e se ne andò di corsa, chiudendo la porta blindata che riportò con sé le tenebre.
Poco dopo, sentii dei passi. Erano i Suoi passi.
Lo sentii girare la chiave, lentamente, come faceva ogni volta, per tormentarmi.
Poi sentii lo scatto finale della serratura, e vidi una sottile scia di luce entrare.
Ogni volta che veniva da me era attento nel non lasciare entrare troppa luce. Troppa speranza.
Si chiuse la porta alle spalle mentre continuava a fissarmi.
Si avvicinò. Mi afferrò per un polso e in un secondo il sangue smise di circolarmi nella mano.
La Sua morsa trasmetteva possesso.
Mi strattonò, in modo che il mio viso fosse a due centimetri dal Suo.
-“Allora, mia piccola Gea, dove eravamo rimasti l’ultima volta?”