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Autore: Katekat    21/11/2013    3 recensioni
Dove vuoi andare, così solo?
[TillxRichard, Angst!]
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Disclaimer (perché non si sa mai):
Quanto narrato in questa storia non è realmente accaduto (ovviamente); tutto quello che leggerete è esclusivamente frutto della mia (discutibile) fantasia. Ispirata all'omonima canzone da cui prende il titolo e alcune frasi, inserite qua e là. Frammenti non necessariamente in ordine cronologico, pensieri sconnessi, flusso di coscienza, boh.   

 
 
 
Seemann
 

 
 
 
 
 
 
– Ci ho pensato, Till. Credo che questa sia la cosa migliore.
– Non dici sul serio, Richard. Ti prego...
– Sono serissimo. Mi conosci.
– Richard, ti sto supplicando...
– Ho preso la mia decisione. Non tornerò indietro.
– ………
– Mi dispiace.
 
 
 
 
Anche a me.
 
 
---
 
 
Richard è nella penombra vicino alla finestra, guarda assente la pioggia che batte sui vetri.
La nuvola di fumo della sigaretta svanisce verso il soffitto come un monito silenzioso.
Till lo guarda dal divano in cui è sprofondato quando le ginocchia hanno iniziato a tremargli, la sua bellissima voce è un rauco singulto. Si alza facendo leva sulle cosce, fa qualche passo verso Richard – si ferma.
Il silenzio trattiene il respiro.
Finalmente Richard alza lo sguardo – i suoi occhi di ghiaccio si sollevano come uno stormo di gabbiani in volo, si conficcano come pugnali dritto dritto nel suo cuore aperto. Spaccato e sanguinante.
Nessun senso di colpa in fondo alle sue pupille.
Vuote.
 
 
 
 
Perché mi stai facendo questo?
 
 
---
 
 
Un paio di pesanti valigie trascinate sull’assito di legno dell’ingresso. 
Il tonfo definitivo di una porta sbattuta alle spalle.
Silenzio.
La pioggia grigio ferro ticchetta contro i vetri, sul tetto, sulla terra bagnata. Le assi del pavimento gemono a bassa voce.
Richard se n’è andato.
(Tic tic) 
fanno le gocce sui vetri.
 (Tic tic)
fa il cuore nel petto.
 
– Richard! – Urla il suo nome nella pioggia, bevendo il cielo che piange insieme a lui. – Richard!
Ma lui non lo sente.
È troppo lontano per sentirlo.
È sempre stato troppo lontano.
 
---
 
È in piedi nella cornice della porta, i pugni serrati contro i fianchi. Trema la sua grossa sagoma dalle spalle imponenti, come un bambino percosso e abbandonato.
Ha la pioggia davanti – gli sferza il viso, gli inzuppa la camicia, gli cola negli occhi dalle ciocche incollate sulla fronte. Dietro, il buio della casa vuota gli si posa sulle spalle. Gli sussurra cattive tentazioni all’orecchio.
«Corda», gli bisbiglia.
C’è una corda nel garage. È appesa al chiodo sopra la cassetta degli attrezzi. La tiene da parte in caso di necessità…
(può essere questa, la Necessità?)
Chiude gli occhi, trattiene il respiro. Inizia a contare.
(Uno, due, tre…)
Il tempo si stira come un lenzuolo di luce. I suoni si arrotondano. Gli angoli si smussano.
È così facile morire? Basta semplicemente decidere di smettere di respirare?
(…diciotto, diciannove, venti…)
La pioggia è fredda, le lacrime bollenti. Il suo presente, il suo futuro… sono appena annegati nella pioggia. Non sono mai esistiti. Gli occhi rivolti verso l’interno non vedono se non il passato. Si aggrappa ad esso, perché è tutto ciò che rimane…
Ricordi – istantanee che gli trafiggono la mente come aghi.
 
Richard e la sua chitarra – chino su di essa, assorto; la avvolge come carne della sua carne – il mondo intorno smette improvvisamente di esistere
 
Richard e la sua sigaretta tenuta tra la punta delle dita, e i suoi occhi che vagano sempre troppo lontano – Gran bella veduta da qui, vero? – Hmm-hmm. – Ma guardava lui, mentre lo diceva
 
Richard nel suo letto, avvolto sotto le lenzuola come una farfalla addormentata – solo in quei momenti sembrava vero. Nessun trucco, nessuna finzione. Ma anche troppo bello per essere vero
 
(…trentadue, trentatre, trentaquattro…)
Cerca di pensare ad altro per distrarsi dal dolore. Non ha molto a cui pensare.
Il proprio corpo si fa sentire. Forte.
Bruciore in gola e cuore che batte lento, sempre più lento. Bruciore sotto le palpebre e formicolio su per il naso. Viscere arrotolate e strizzate come stracci dopo il bucato.
Brividi serpeggiano su per la pelle fredda, intorpidita. Pugni chiusi e unghie che affondano nei palmi – scavano pallide mezzelune di rimorso.
Cerca il dolore – la pelle che si spacca, il sangue che cola a stille –, insegue l’oblio.
Se fosse stato più semplice… 
ma non lo è mai stato. Non tra voi due.
Lo amavi. Lo ami.
«Corda » 
(ancora la voce nel buio)
E lui ti amava? Ti ha mai amato?
(…centoventi, centoventuno, centoventidue…)
Ha senso chiederselo adesso?
Non sei contento dei tuoi polmoni di ex-nuotatore. Non in questo momento.
Ti sembra che potrebbero resistere all’infinito. E tu vuoi morire subito.
 

 
I polmoni si riespandono con un ronzio meccanico. Tutta l’aria fuoriesce di botto come da un palloncino bucato. Ci mettono un po’ a riprendere il ritmo di sempre.
Dentro. 
Pausa.
Fuori.
Pausa.
Non ricorda di aver mai odiato l’acqua così tanto.
 
Corda.»)
 
 
 
 
Perché resistere, poi?
 
 
 
---
 
 
 
La maniglia del garage è scivolosa di pioggia sotto le sue dita, gelida come la morte.
Il lamento della saracinesca che si solleva gli strazia i timpani. Sembra invocare pietà, ma lui non ne ha più – nemmeno per se stesso.
Passi solidi sulla terra battuta. Non accende la luce, sa esattamente dove si trova la cassetta degli attrezzi.
Il rotolo di corda è duro e spesso come un pitone addormentato placidamente nel buio. Freddo, flessibile, ruvido. Lo saggia sui palmi delle mani, lo piega da un lato e dall’altro come a testarne la forza, la duttilità.
Sì, fa proprio al caso suo.
Sai, Richard
(… cosa?)
niente. Sono uno stupido. Non è per te che lo sto facendo.
Non è per lui che lo sta facendo, non è perché lo ha appena lasciato. Per sempre.
(Per sempre?)
Che significa per sempre? Quanto dura un per sempre?
Sai, questo avresti dovuto spiegarmelo, Richard.
Avresti dovuto fermarti un minuto in più per spiegarmelo.
Ti sei dimenticato di dirmi quanto è lungo un per sempre.
Quanto? Fin dove arriva?
Puoi mostrarmelo con le dita? Da qui a lì o cosa? Più in là?

Ancora più in là?
 

 
 
Dev’essere un per sempre davvero lungo, quello che hai in mente.
 
 
 
 
Il tempo non ha significato se non quello che gli diamo noi.
Se ora il pitone argentato si mette comodo sulle sue spalle, come una brava bestia da compagnia, e poi gli scivola intorno al collo stringendo senza far male, il tempo cesserà di avere un significato. Quel “per sempre” finirà di colpo, reciso.
C’è una bella trave invitante che sporge dal soffitto.
La pioggia continua a scorrere. Fiumi di pioggia.
Il suo corpo è intirizzito, i vestiti fradici.
Stringe e rilassa ritmicamente i palmi contro il rotolo di fune. Aspetta che gli dica qualcosa? L’unica voce che parla è quella del suo buio, nella sua testa.
Ma anche quella, ora, sembra essersi esaurita.
Tende l’orecchio. Lo scroscio fuori, il silenzio dentro.
Enormi caverne desolate riecheggiano vuote nel suo petto.
Strano, giurerebbe che fino a poco tempo fa c’era una voce che gli diceva:
«Corda».
Sì, proprio così. Corda.
E basta.
Buffo

…no?
 
 
 
 
Non basta decidere di morire per morire davvero.
Non è la prima volta che desidera morire. È la prima volta che desidera non essere mai nato.
Non aver mai conosciuto Richard.
L’amore.
Il dolore.
Il sesso che fa male.
Che annienta.
Che fa rinascere.
La rabbia.
La gelosia.
L’amore.
 
Richard.
 
 
--- 
 
 
La solitudine non ti fa bene, dice Paul. Dovresti uscire, Till. Dovresti sforzarti. Provare almeno a divertirti. Anche se non ci riesci.
Paulchen, mein Freund… è tutto inutile, non ci riesco.
Vuoi che resti con te stanotte? chiede Paul.
La sua premura gli graffia il cuore a sangue. Non può sapere che quelle sono le stesse parole che ha usato Richard, la prima volta che si è fermato a dormire da lui, la loro prima volta – perché gli ha detto di sì?
Avrebbe dovuto mandarlo via, avrebbe dovuto scrollarsi le sue mani avide di dosso, dimenticare la sua bocca umida e i sussurri osceni all’orecchio. Il corpo caldo che sfregava in agonia contro il suo. Avrebbe dovuto essere forte. Essere uomo.
Invece quella notte aveva lasciato che Richard lo prendesse come una donna.
E molte notti appresso.
Va’ via, Paul. Non venire più. Lasciami in pace.
… Bitte.

 
 
Paul se ne va con un sospiro e la rassegnazione nella voce. Le mani nelle tasche. Le spalle un po’ curve.
Gli lascia un pacchetto di Marlboro rosse nel cestino delle chiavi. Chiude la porta senza fare rumore, esce dalla sua casa in punta di piedi – una cosa che Richard non si è mai curato di fare.
Paul è sempre stato il più chiassoso di loro sei.
Richard il meno sensibile.

 
Il giorno dopo Paul gli spedisce una bottiglia di vodka liscia.
Se vuoi ucciderti, fallo alla tedesca, dice il biglietto.
Solo a Paul ha raccontato della corda. Il pitone d’acciaio.

Vielen Dank, mein Freund.
 
 
---
 
 
– Questa è la cosa migliore.
(… Quando l’amicizia ha smesso di essere tale?...O forse non siete mai stati amici, fin dal principio.
Mai 
solo amici… 
Bugiardi… tutti e due)
 
Questa è la cosa migliore, ha detto.
Migliore per chi, Richard?
 
 
---
 
 
Piove. Perfino la pioggia sussurra il suo nome.
Il caffè si raffredda nella tazza bianca; il sottile filo di fumo è svanito. Il salone è immerso nel buio, ma la portafinestra è azzurra di pioggia alla luce dei lampioni.
I fiori sul balcone chinano il capo sotto la tempesta. Fanno di no – no, no – mentre il cielo li sferza senza pietà.
Non è necessario aver peccato per essere puniti.
 
No, no.
 
 
---
 
 
Il secondo giorno è Ollie a bussare alla porta, la sagoma allampanata distorta dal vetro smerigliato. Batte il pugno con forza. Si interrompe per qualche secondo. Riprende ostinato.
Till non apre. Non si alza dalla poltrona. Non ha intenzione di vedere nessuno, oggi.
I colpi si susseguono sempre più arrabbiati.
– Till, apri la porta! – urla Ollie. È strano sentir sbraitare un tipo laconico e riservato come lui. – Till! Lo so che ci sei. Apri la porta, ti prego!... Till, mein Gott!
Till, perché devi sempre essere così odioso?
 (La sua voce)
Till sorride, sprofondato nella poltrona a fiori. Ha il volto pesto, la barba sfatta; la frangia gli ricade sugli occhi annebbiati dall’alcol. Stappa con i denti la vodka che Paul gli ha inviato quella mattina. Manda giù le ultime due dita che vi restano. Quando la bottiglia vuota si schianta contro la porta, i colpi cessano bruscamente.
Sorride.
Sì, è odioso. Aveva ragione anche su questo, lui.
– Perché non mi accetti così come sono? Perché vuoi sempre cambiarmi? Non sono abbastanza per te, Richard? Non sono alla tua altezza, vero?
– Till, per favore, non rendere tutto più complicato. È già abbastanza deprimente così.
– Deprimente...
(Capisco…
Devi stare più attento con quelle parole, Richard.
Per te non significano niente, per me tutto.)
È le tue parole che non riesco a dimenticare.
 
 
--- 
 
 
Alza le spalle con indifferenza. Si accende una sigaretta – un’altra.
L’accendino scatta rabbioso nelle sue mani; le sue dita tremano. Deve provare più volte – alla terza, finalmente, la sigaretta prende vita.
Gli volta le spalle. Il suo riflesso lampeggia nel vetro della finestra.
Espira il fumo storcendo la bocca di lato. La sua gola è bianca quando solleva il mento e soffia uno sbuffo verso il soffitto.
Si passa una mano tra i capelli – cautamente, per non rovinare l’impalcatura solida di lacca e gel.
– I tuoi fiori stanno morendo – dice, guardando fuori dal balcone. I vasi quasi spogli. I fiori abbandonati a se stessi.
La brace della sua sigaretta è un puntino rosso luminoso che arde nel buio.
Till non dice niente. Fissa la sua schiena. Si chiede se non sia troppo tardi.
(– E’ troppo tardi – dice la voce. – Idiota.)
Till non gli dice che sa.
Sa delle sigarette spente nei suoi fiori. Della cenere che soffoca gli steli. Dei petali bruciacchiati.
Il rosa tenue si accartoccia intorno all’orlo annerito. Brandelli impalpabili di cenere si staccano e si sollevano; mulinano nell’aria in un pulviscolo sottile.
I suoi fiori non stanno morendo – Richard li sta uccidendo, lo sta uccidendo.
Eppure…
… non fa niente, va bene così, pensa Till.
Si alza e si avvicina a Richard, guarda da sopra la sua spalla il massacro dei fiori sotto il temporale. Gli lascia scivolare le braccia intorno alla vita, lo attira contro di sé, gli preme il proprio battito contro la scapola. Richard si rigira fra le sua braccia e affonda il naso contro la base della sua gola, inspirando nello scollo della sua maglietta. Gli strofina il viso sulla pelle come un gattino arruffato. La mano di Till gli accarezza meccanicamente la nuca. Le labbra gli cercano la tempia. Un’arteria batte sotto la pelle sottile, tra i suoi capelli.
Come può restare arrabbiato con lui quando è così tenero, così indifeso?
Non fa niente, Richard. Va bene così, dice in silenzio.
 
 
--- 
 
 
Hai deciso di chiuderti in casa a morire? Il messaggio di Flake scorre sullo schermo luminoso del cellulare. Nemmeno il suo sarcasmo riesce a scuoterlo.
Bip.
……..
Morire.
……..
Bip.
……..
Magari.
Il telefono vola attraverso la stanza. Lo schermo si fracassa con uno schianto contro la parete.
Smette di fare bip.
Gesù…
 
Finalmente.
 
 
---
 
 
Ultimamente sei diventato violento, gli oggetti sembrano darti fastidio, scherza Paul. Raccoglie uno per uno i vetri rotti. È l’unico che, di questi tempi, non viene cacciato fuori a calci dalla sua casa. Vuoi lanciare contro il muro anche me? O preferisci prendermi a pugni? Avanti, fatti sotto, sono il tuo punching-ball! Colpiscimi!
Till lo guarda dalla poltrona, un mezzo sorriso sulle labbra e le palpebre pesanti semichiuse.
– La prossima volta portami un’altra vodka, Paul. Altrimenti non venire.
Nessuno di voi può capire.
 
Nessuno.
 
 
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– Io posso salvarti.
Vieni sulla mia barca.
– Salvarmi? Salvarmi da cosa?
Richard rideva con la bocca – urlava aiuto con gli occhi.
Till infilava tacite suppliche tra le frasi – Richard non leggeva tra le righe.
Non aveva orecchio per ascoltare le sue parole, figurarsi i suoi silenzi.
 

Forse aveva creduto a una favola – era troppo cresciuto per fingere di ignorare che fine facesse Cappuccetto Rosso.
Forse si era sbagliato fin dal principio, forse si era sopravvalutato.
Non tutti possono essere salvati – non tutti vogliono essere salvati.
E lui non aveva abbastanza forza da deviare l’asse del mondo – il destino suo e di Richard era già scritto. Non sulla stessa pagina, evidentemente.
 
Non era così altruista da lasciarlo andare. Lo voleva, e lo voleva per sé.
(l’aveva sempre voluto)
Invece l’aveva guardato dalla cornice della porta, metà dentro, metà fuori. Metà vivo, metà morto. La sua bocca si era riempita della pioggia e del suo nome.
(– Richard!)
Ingoiava a vuoto, saliva e bile. Ma quel sapore amaro non se ne andava. Richard era vestito di nero, sottile e pieno di grazia. Un ombrello nero lo riparava dalla pioggia mentre saliva su un taxi giallo. L’anima gli era colata fuori da ogni poro della pelle; era scivolata via insieme all’acqua, lasciando niente. Il buio era entrato a riempire quel niente. Cominciava a farsi notte nel vuoto.
Richard era stato inghiottito dalla tempesta. Il cielo si era annerito, lampi l’avevano rigato come lacrime tristi.
La notte era calata. Richard era sparito.
 
--- 
 
Siamo tutti preoccupati per te, dice Schneider. Si passa una mano fra i capelli.
Il cuore gli si stringe di nuovo. Non è proprio lo stesso gesto che faceva lui, ma glielo ricorda da vicino. Molto da vicino. Richard era più teatrale, più disinvolto. Più sicuro di sé, del proprio corpo. Dell’effetto che aveva su di lui.
Richard era arte. È stato la sua musa ispiratrice per tanto tempo.
E ora ha perso l’amore. Ha perso le parole.
Anche la sua poesia, alla fine, l’ha tradito. Proprio come tutti.
– Till, mi stai ascoltando? Ormai sono passati sei mesi. Sei mesi.
Perché ogni cosa mi riporta a te, Richard?
– Tu non stai bene. Non stai affatto bene.
Piantala di dirmi le stesse cose che dicono tutti.
– Till, è ora di scuoterti. Non puoi andare avanti così.
No? Perché no? Chi lo dice che non posso? 
Anzi no. Non voglio andare avanti.
– Till, ma che cazzo stai dicendo? Tirati su, dai. Stai tutto il giorno su quella poltrona a sbavarti sulla camicia e a bere fino a stordirti.
Nessuno sa che quella è la poltrona che aveva comprato per Richard quando aveva preso l’appartamento. Se si concentra, sente ancora il suo odore su di essa. Da quando ha strappato e gettato via le loro lenzuola, non riesce più a dormire nel letto. Si sente troppo solo.
(Non riusciva a dormire neppure con quelle lenzuola, con quell’odore, con le immagini che mai lo lasciavano)
Ora che lui non c’è più, la poltrona di Richard è sempre lì ad accoglierlo a braccia spalancate.
Come lui, Richard, non ha fatto mai.
 
 
Spesso l’avevano fatto anche su quella poltrona. Gli torna in mente una volta in particolare.
Richard con i polsi legati dietro la schiena, i suoi fianchi che facevano su e giù senza sosta su di lui. Till era rimasto a fissare ipnotizzato lo smalto sulle sue dita, i segni rossi del laccio intorno ai polsi. Lo teneva per i fianchi, cautamente, senza stringere, lasciandogli dettare il ritmo. Era così scioccato e rimescolato dentro che l’unica cosa che riusciva a fare era lasciarlo fare. Adeguarsi a lui, andargli incontro come la spiaggia che aspetta le onde.
Richard era frenetico, appassionato, avido e insaziabile. Sembrava cercare più il dolore che il piacere.
O forse tutti e due.
In quel momento gli era sembrato uguale a lui.
 
Spezzato.
 
 
---
 
Per tutto il tempo aveva aspettato che si girasse.
Che lo guardasse, almeno.
Che gli corresse di nuovo incontro dicendo che era stato uno scherzo.
Che si sollevasse sulla punta dei piedi per baciarlo, morderlo, quello che gli pareva. Per dirgli che era fuggito per paura di perderlo, ma che ora non se ne sarebbe andato mai più, perché non poteva vivere senza di lui.
Ma la pioggia aveva continuato a scorrere.
(Tic tic)
Richard se n’era andato.
(Tic tic)
 
--- 
 
Dove vuoi andare, così solo?
– Non mi fa paura la solitudine, Till. Lo sai.
A me sì. Ma non te lo dico. A me spaventa un solo tipo di solitudine: quella senza di te. Come faccio a dirtelo?
Eppure anche con te sono solo – anche senza di te.
 
 
---
 
Sta arrivando una tempesta, Richard.
La senti ringhiare nel cielo? Lo senti il rombo del tuono?
Vedi la luce spegnersi dietro le nuvole?
Sei ancora in tempo. Mettiti in salvo.
Komm in mein Boot.
 
--- 
 
Trentatré chiamate senza risposta.
Voglio essere lasciato in pace.
– Ti stai distruggendo con le tue mani, ma non lo capisci?
Oh, lo capisco fin troppo bene. Siete voi a non capire. 
È proprio questo che voglio. Distruggermi. 
Con le mie mani. 
Mettermele intorno al collo, soffocarmi.
(Ma non può andare avanti così, lo sa anche lui – una parte di lui)
Anche Emu è in pensiero, dicono. Anche Gert è passato, dice che tu eri in casa e non hai aperto.
– Fino a quando continuerai così?
Fin quando sarà necessario.
– Non resisterai a lungo.
Achspero proprio di no.
 
--- 
 
Chi ti terrà la mano quando l’onda ti tirerà giù?
– Nessuno. Andrò giù con essa.
Non voglio che tu vada giù. Bitte.
Il suo sguardo è fiamma sprezzante, orgoglio di un cuore indurito.
– Non puoi proteggermi per sempre, Till. Smettila di fare l’eroe.
Una volta ero il tuo eroe, ricordi? – A nessuno è mai importato tanto di me – dicevi. – Sei il mio eroe.
Una volta
 
Quando hai cominciato a guardarmi con occhi diversi, Richard?
 
 
---
 
 
Lo vedi questo mare così sconfinato – ti chiedi mai dove finisca? Lo senti questo mare com’è freddo – non senti freddo, Richard? Non lo senti il gelo dentro?
– No, perché ci sei tu a riscaldarmi.
Eppure io ho freddo. Ho freddo perché tutto il mio calore lo sto dando a te.
– Abbracciami, Till.
Vuoi tutto, Richard. Non ho mai saputo dirti di no. D’altronde, tu ne hai bisogno più di me.
Te ne sei andato e ti sei portato via tutto. 
 
Chi sono io adesso?
 
 
---
 
 
– Till?
– Hmm?
Mi volto verso di lui. Mi guarda semisdraiato, i gomiti puntati sul materasso. I suoi occhi socchiusi brillano nella penombra come quelli di un gatto.
– Chiudi la finestra, entra la pioggia.
Mi piace la pioggia. Le gocce fredde mi schizzano le dita. Si allargano in lacrime silenziose sul davanzale gelido. Le tende sbattono al vento. Trattengo un brivido. Fa molto freddo e io sono in piedi immobile da troppo tempo. Colgo un movimento con la coda dell’occhio. Richard si tira su contro la testata del letto. Si infila una delle mie sigarette in bocca, la avvicina all’accendino socchiudendo gli occhi. Quando si sporge verso il comodino per posarlo, il lenzuolo gli scivola basso sui fianchi. La stoffa si incunea tra le sue cosce. I miei occhi restano intrappolati dalle ombre disegnate in quei misteriosi anfratti tra le sue ginocchia piegate.
– Che guardi?– I suoi occhi scintillano maliziosi.
Piega la testa di lato. Le sue labbra si chiudono morbide intorno alla sigaretta. Aspira. Mi fissa.
Lascia andare il fumo lentamente, senza togliermi gli occhi di dosso.
– Sei il solito esibizionista. – La mia regina del palcoscenico.
Sorride. – Vieni qui. –  Batte con la mano sul materasso accanto a sé.
Come posso resistere al richiamo?
(Forse potrei. Ma non voglio)
Scivolo sotto le lenzuola al suo fianco. Invece di farmi spazio, invade il mio. Mi si sdraia addosso, di traverso sul letto. Appoggia la nuca sul mio petto e fuma fissando il soffitto. Sento le ciocche ispide pungermi la pelle. Sollevo una mano e la adagio piano sulla sommità della sua testa. Sento la consistenza morbida dei suoi capelli piegarsi docili sotto le mie dita. Richard chiude gli occhi mentre lo accarezzo, come un gatto rilassato sotto i pigri raggi di un sole pomeridiano.
– Non dovresti fumare così tanto – gli dico.
– Non sono affari tuoi – ribatte tranquillo.
– Ho a cuore la tua salute, Richard. Come farei se ti succedesse qualcosa?
– Andresti avanti senza di me, semplice.
Come se fosse facile.
Non ho la tua leggerezza; non riesco, come te, a far finta che le cose non siano mai esistite. 
O le persone. 
Non ribatto; sospiro profondamente. Richard muove di lato la testa, appoggia un orecchio sul mio sterno. Aggrotta le lunghe sopracciglia. – Sento il tuo respiro – dice. – Fallo di nuovo.
Inspiro quanta più aria posso, la trattengo per un attimo nel torace, poi la lascio andare lentamente. Osservo l’espressione assorta di Richard, la barba invisibile sulla sua guancia mi fa il solletico. Rimane in silenzio così per un po’, ad ascoltare il mio respiro. A un certo punto chiude gli occhi. Si addormenta ancor prima che la sigaretta sia finita. Gliela sfilo delicatamente di bocca prima che possa darsi fuoco. Per un attimo sento il suo respiro caldo sulle dita. Sono così vicino alla morbidezza delle sue labbra, potrei accarezzargliele. Mi allungo con cautela verso il comodino, mi muovo il meno possibile per non svegliarlo. Schiaccio la cicca sul fondo del posacenere e torno ad accoccolarmi sotto le lenzuola, le braccia avvolte protettivamente intorno a lui, che dorme immobile sul mio petto. L’espressione seria, la fronte leggermente aggrottata.
Non aver paura di fare brutti sogni, Richard. 
Veglio io su di te.
 

Senti il vento come smuove le vele? Le senti urlare schioccando nell’aria?
Questa è la stagione più bella – la stagione del riposo e del silenzio.
Vieni qui, Richard, vieni a riposarti tra le mie braccia – ci addormenteremo e ci risveglieremo insieme in primavera.
Komm hier. Stammi vicino. Non lasciarmi mai.
Il vento autunnale ci porterà lontano, e non dovremo preoccuparci di nulla.


Sta scendendo la notte. Il buio spietato mi nasconde il tuo viso.
Al suo posto, una maschera d’inchiostro lambita d’argento.
Sei ancora tu, Richard? O è solo il tuo ricordo?
Mi sveglio e stringo nient’altro che ombra.
Dove sei, Richard?
 
 
---
 
Perché piangi, Richard? Sono lacrime, quelle sul tuo viso?
O sono gocce di cielo indifferente?
– Credevo di non saper più piangere
Eri solo un bambino, lo so. Come hai fatto a sopravvivere nel tuo mondo atroce? Sei dovuto diventare duro fuori, per proteggere il vuoto dentro. Perché ti senti così vuoto, Richard?
– Tu mi hai riempito, Till.
Forse non ti ho riempito abbastanza. Non ti ho dato abbastanza.
Altrimenti, perché mi staresti lasciando?
Perché?
 
 
Perché.
 
 
 
Dove ho sbagliato?
– Non andare, Richard.
Davvero vuoi lasciarmi?
Abbassi gli occhi. Le ciglia tremano, le labbra si schiudono in un sospiro. Metà della tua faccia è alla luce, l’altra metà è nell’ombra.
Di cosa hai paura, Richard, a restare qui? Pensi che io non ti amerò più?
– Verrà un giorno in cui non mi amerai più, Till.
No, non verrà. Non accadrà mai. Non può.
– Cosa ne sarà di me, quel giorno? Sarò niente.
Tu sei tutto per me. Fidati di me, Richard. Credimi.
– E’ di me che non mi fido.
Una sola lacrima ti riga silenziosamente la guancia. La luce vacilla su metà del tuo viso, poi si spegne.
Ora sei solo ombra, Richard. Ora sei svanito nell’ombra.
Prima eri un corpo caldo; ora, al tuo posto, lo spiffero di una corrente gelida.
Torna qui, Richard. Torna da me.
Non lasciarmi morire di freddo.
 
 
---
 
 
Mi hai lasciato con un bacio feroce e lacrime disperate.
– Till. Till…– gemevi nella mia bocca. Le tue mani erano dappertutto sul mio corpo.
– Un’ultima volta, ti prego…
Mi imploravi. Mi davi il tuo corpo per farmi dimenticare che mi stavi uccidendo.
Ti perdono, Richard.
Oh, .
Ti avrei perdonato tutto, mentre ero dentro di te.
 
---
 
È tutto così vuoto senza di te, è tutto così privo di senso se non ci sei tu.
Cammino per ore per le strade solitarie. Il tempo sbiadisce in una memoria di carta.
Mi sento così desolato, alla ricerca di qualcosa che non c’è, che è fuggito via.
Il sole tramonta sopra i tetti, la sera scende silenziosa. Il buio si posa come una piuma.
Cammino per le strade spazzate dal vento. Non un suono tra le mura.
Mi sembra di udire la pioggia
(Tic tic)
ma il cielo è sereno.
È il mio cuore che piange.
L’hai spezzato, quando te ne sei andato via.
 
– Tornerai?
Dimmi almeno questo.
Il tempo sembra fermarsi quando mi vieni vicino. Vedo le tue ciglia bagnate di lacrime.
Stai piangendo, Richard? Sono lacrime, quelle? Sanno di sale… sa di sale la tua bocca.
Tremi sotto le mie dita. Smettila di tremare, Richard. Ci sono io con te. Non devi aver paura di lasciarti andare. Si chiama “desiderio”, non è una brutta cosa. Sarà lui a guidarci, sarà il nostro timoniere.
Prendi in mano la tua candela, Richard, e vieni con me. Questa notte non durerà in eterno. Guarderemo l’alba spuntare tra cielo e mare. Una terra promessa ci aspetta dietro di essa. La cercheremo, dietro la luce.
– Non… non penso che tornerò.
(Tic, tic)
fa il cuore che si rompe nel petto.
 
Guardami negli occhi. 
Mi stai uccidendo.
 
 
---
 
 
Piangevi mentre godevi, un’ultima volta.
Mi hai avuto tutto, fino alla fine, Richard.
E non ti è bastato – non sei rimasto.
Eri bellissimo, ma non eri mio.
– Più forte. 
Più forte… D’accordo.
Come vuoi.
Ti accontento e tu godi. Chiudi gli occhi, smetti di respirare.
Perché vuoi così tanto che ti faccia male?
Questo non ti rende meno colpevole, mio Richard, lo sai.
– Più veloce.
Ach, Richard… sarai la mia morte.
Smettila di muoverti. Smettila di gemere. Non toccarmi.
Ti inchiodo le mani sopra la testa. Sorridi.
Fanculo, Richard.
– Di più. Voglio di più.
Perché quello che ti do non ti basta mai?
– Avanti, puoi fare meglio di così, Till.
Non – provocarmi.
Non
farlo.
Ti sento. Sei un fremito caldo nel buio.
Muscoli duri e pelle morbida. Respiro spezzato da una gola contratta.
Le tue labbra gonfie bruciano; non hai più voce, ormai.
Ottimo, così non devo più sentire le cazzate che dici.
(Solo le tue grida)
– Più a fondo. Spingi più a fondo.
Sei mio, Richard. Il tuo cuore batte così forte… Non sento più niente, solo il suo suono.
Non mi guardi. Mi dai la schiena.
Hai voluto farlo così, la terza volta.
(O la quarta?)
Hmm… ho perso il conto.
Ti mordo il collo, le orecchie, le spalle. Il mio corpo avvolge completamente il tuo.
Ti ho tra le gambe, Richard. Tremi e ansimi. I tuoi capelli non sono più così perfetti. Hai la voce roca dal troppo gridare. Sei spezzato, Richard. Io ti ho spezzato. Io ti ho. Io.
Mio. Sei mio.
Sarai per sempre mio. Per quanto lontano potrai andare.
Nessuno ti avrà mai come ti ho avuto io. Nessuno ti vedrà così rotto e ansante come sei adesso sotto di me. Nessuno saprà quanto sono deliziose le tue suppliche mentre ti contorci e vuoi di più.
Non ti basta mai. Non ne hai mai abbastanza.
Pulsi nella mia mano allo stesso ritmo del tuo cuore. Ma quando ti tocco smetti di respirare. Pieghi lentamente la testa, appoggi la fronte alle braccia abbandonate sul letto. Singhiozzi.
Sei umido di sudore su tutta la pelle, umido di me dentro.
Il mio corpo e la mia mano si muovono allo stesso ritmo. E tu sei nel mezzo, intrappolato. Hai la bocca aperta, sei al limite.
Ti stringo forte alla base, per impedirti di venire.
– Non ancora – sussurro al tuo orecchio. Spingo con forza dentro di te, rubandoti il respiro. – Non ancora.
Le tue nocche sono bianche. Il tuo corpo vibra di aspettativa.
Esco, poi rientro.
Di nuovo.
Ancora una volta.
(Rein...
...raus)
Ho scritto quella canzone pensando a te. Ora penso che questa è la nostra ultima volta. Penso che dovrei dirti “ti amo”.
– Ti amo, Richard.
Mi risponde il tuo gemito sordo. Tremi e ti accasci. Sei morto sotto di me tante di quelle volte, Richard. Ma tu… tu mi hai ucciso ancora più spesso.
Uccidimi quanto vuoi, non morirò.
– Ancora.
Non ne hai avuto abbastanza, Richard?
– Ancora.
Sarai la mia fine.
 
---
 
Se n’è andato. Piove da quando se n’è andato.
La vecchia poltrona ha smesso di essere scomoda. Ci sono libri dappertutto. C’è una pendola appesa al muro. Non funziona.
Eppure…
(Tic, tic)
…lo sento ancora.
(Tic, tic)
 
---
 
 
– Ma sei capace di mantenere la parola, tu?
– Mettimi alla prova.
Richard non ha mai mantenuto la sua parola, tranne questa volta.
Stavolta non tornerà.
 
Credevo di conoscerti.
 
---
 
Dove sei, Richard? Ti sei perduto nella tempesta? L’oceano mare ti ha inghiottito?
Dove sei?
Vieni nella mia barca. 
Il miglior marinaio… ero io.
Ma non ho potuto salvarti.
Mi perdonerai per questo, Richard? Per non averti salvato?
 
 
Sono rimasto solo. Sento freddo.
Nel camino non c’è fuoco. Il vento ha spento tutte le candele.
Smuove le tende bianche come nuvole. Lo sento urlare fuori. Dentro, invece, è tutto silenzioso.
(Tic, tic)
Il tempo passa; si ferma.
Ti ricordi quando mi parlasti per la prima volta di tua madre? Ti amai da quella volta, Richard.
Eri un ragazzino. Ora sei un uomo. Dove sei?
(Wo bist du?)
Torna da me, Richard. Possiamo ancora essere felici, se vuoi.
Torna da me, mein Lieber.
 
---
 
Ogni tanto credo ancora alle favole.
Ogni tanto scelgo di illudermi.
 
 
Magari tornerà.
 
 
 


 

End
  
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