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Autore: vannagio    22/11/2013    11 recensioni
Bruce spense il registratore e si stropicciò gli occhi da sotto gli occhiali, sospirando pesantemente. Il soggetto 34 stava rosicchiando ignaro un seme di girasole dentro la gabbietta di vetro, facendo vibrare i baffi di tanto in tanto.
«Sai chi mi ricordi, in questo momento?».
Bruce si raddrizzò gli occhiali sul naso e sollevò lo sguardo, incontrando quello insolitamente serio di Tony, che sedeva a gambe ciondoli sul banco di lavoro tra una centrifuga per provette e un becco di Bunsen.
«Chi?».
«Me, prima dello scorso Natale. Da quanto tempo non fai una pausa?».
«Avrò tempo per riposare questo fine settimana. Ci siamo quasi, ormai. É solo questione di rimanere seri, calmi e concentrati».
«E tu sei un esperto in materia, non è vero?».

[Storia scritta a quattro mani con Dragana]
Genere: Azione | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Bruce Banner/Hulk, Nick Fury, Nuovo personaggio, Thor, Tony Stark/Iron Man
Note: nessuna | Avvertimenti: Violenza
- Questa storia fa parte della serie 'Elivelivolo e dintorni '
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Di Dragana e Vannagio

Il siero del supersoldato




Giovedì



Stark Tower
Ultimo piano del settore “Ricerche e Sviluppo”
11.03

«Giorno 221. La sperimentazione del prototipo 15.6 sul soggetto 33 ha avuto esito negativo. Il decesso si è verificato 1 minuto e 3,2 secondi dopo la somministrazione del siero per via intradermica. L’autopsia sul soggetto 33 ha permesso di constatare ipertrofia muscolare, ossea e cerebrale. A quest’ultima va addebitata la conseguente fuoriuscita del tessuto cerebrale dalle cavità nasali, dai meati uditivi esterni e dalle orbite oculari in seguito a un totale dislocamento dei bulbi oculari. Test più approfonditi hanno rilevato una concentrazione di epinefrina e somatotropina duecento volte superiore a quella ottimale. Causa ipotizzata: eccessiva esposizione del siero alle radiazioni gamma. Sulla base di questi dati, si è ritenuto necessario ridurre il tempo di esposizione del tre per cento. Il passo successivo sarà la sperimentazione del prototipo 15.7 sul soggetto 34».
Bruce spense il registratore e si stropicciò gli occhi da sotto gli occhiali, sospirando pesantemente. Il soggetto 34 stava rosicchiando ignaro un seme di girasole dentro la gabbietta di vetro, facendo vibrare i baffi di tanto in tanto.
«Sai chi mi ricordi, in questo momento?».
Bruce si raddrizzò gli occhiali sul naso e sollevò lo sguardo, incontrando quello insolitamente serio di Tony, che sedeva a gambe ciondoloni sul banco di lavoro tra una centrifuga per provette e un becco di Bunsen.
«Chi?».
«Me, prima dello scorso Natale. Da quanto tempo non fai una pausa?».
«Avrò tempo per riposare questo fine settimana. Ci siamo quasi, ormai. É solo questione di rimanere seri, calmi e concentrati».
«E tu sei un esperto in materia, non è vero?».
Bruce non rispose, ma gli passò il registratore.
«Annota tutto quello che faccio, mi raccomando».
«Signorsì, signore!». Tony accese il registratore e si schiarì la voce. «Il Dottor Maleficus apre la gabbia e afferra Soggetto 34. “Posso avere un altro semino?”, squittisce, ignaro del destino che lo attente. Soggetto 34, non il Dottor Maleficus. Che invece ha preso una siringa, infilza Soggetto 34 senza pietà e lo chiude nuovamente dentro la gabbia. Sono passati esattamente…», Tony diede un’occhiata all’orologio da polso, «tre secondi, ma ancora non si vede traccia di stelle o strisce rosse e blu sul manto candido di Soggetto 34. Che il Dottor Maleficus abbia commesso qualche imperdonabile errore di calcolo?».
Bruce non dormiva da troppe ore per uno che se non sta attento può esplodere e trasformarsi in un gigantesco bulldozer verde, perciò era troppo stanco per sopportare (figurarsi apprezzare) il sarcasmo made in Stark.
«Ti risulta così difficile prenderla sul serio?».
«Lavoriamo quasi ininterrottamente da giorni, sto solo cercando di vivacizzare un po’ l’atmosfera. Non ci vedo nulla di male».
«Le ultime due volte che qualcuno ha cercato di riprodurre il siero del supersoldato, l’atmosfera si è vivacizzata parecchio anche senza il tuo intervento. Credimi, ero presente in entrambi i casi».
Tony roteò gli occhi. «Non è la stessa cosa, dai».
«Sì, invece. È esattamente la stessa cosa, quando si parla di una situazione che potrebbe letteralmente sfuggirci di mano. E non mi riferisco solo ai mostri verdi che spaccano. Steve ci ha permesso di prelevare un campione del suo DNA con la promessa di essere sempre cauti, ricordi?».
«Alla Stark Tower siamo al sicuro dallo SHIELD. Non è vero, Jarvis?». Silenzio. Tony inclinò la testa di lato. «Jarvis, toc-toc?».
«Eccomi, signore».
«Che ti succede, J? Hai bisogno di un aggiornamento?».
«Finora non ho rilevato alcun tentativo di intrusione nel sistema, signore. Né da parte dello SHIELD, né da parte di un qualsiasi altro agente esterno».
Bruce non era sicuro che Jarvis fosse in grado di capire il sarcasmo. Ma se lo era, allora aveva glissato la frecciatina con gran classe. Tony intanto aveva indossato l’espressione da “Che ti avevo detto?”. Da dentro la sua gabbietta, il soggetto 34 squittì di approvazione.
Aspetta un attimo…
Bruce strabuzzò gli occhi.
Il soggetto 34 non stava solo squittendo, zampettava allegro lungo tutto il perimetro della sua gabbietta, molto più velocemente di quanto avrebbe fatto normalmente. La sua stazza era raddoppiata, tanto che adesso assomigliava più a un ratto bianco che a un piccolo topo da laboratorio. I suoi occhietti vispi non erano schizzati fuori come un tappo di champagne dalle orbite oculari e il suo cervello non si era spalmato sul fondo della gabbia come marmellata.
L’improvviso mutismo di Tony era piuttosto eloquente, mentre guardava l’orologio da polso e riaccendeva il registratore.
«Sono trascorsi esattamente 4 minuti e 56,3 secondi dalla somministrazione del prototipo 15.7 sul soggetto 34. Ancora nessun segno di effetti collaterali. Jarvis, hai qualcosa per noi?».
Il vetro della gabbietta brillò di una luce azzurrina.
«Parametri vitali nella norma, signore. Registro un incremento del cento per cento del tessuto muscolare e osseo, ma nessuna anomalia a livello cerebrale».
Bruce e Tony si scambiarono un’occhiata stupefatta, ma nessuno dei due osò pronunciare le parole che lampeggiavano come un’insegna al neon sulle loro facce.
Forse ci siamo.



Elivelivolo
Sala mensa
13:14

Questa è la volta buona che dimagrisco un po’.
Jade rimestò il cucchiaio nel piatto di polistirolo, con scarso interesse. I maccheroni al formaggio erano i suoi preferiti e quelli della mensa dello SHIELD erano anche fin troppo buoni, ma lei non aveva molto appetito. Il che era strano, di solito la lontananza di Bruce la spingeva a ingozzarsi di schifezze fino a scoppiare. Quel giorno, invece, no. Aveva lo stomaco chiuso.
«Sai con chi dovresti uscire, Greg? Con Larry Jones, del settore “Amministrazione e Ricerche”. Secondo me siete fatti l’uno per l’altro».
«Non dire scemenze, Bree. Jones è etero».
Se non fosse stata di malumore, si sarebbe divertita a dare manforte a Greg contro Bree. Non aveva la più pallida idea di chi fosse ‘sto Larry Jones, e per quanto ne sapeva lei poteva essere anche pansessuale, ma contraddire Bree era un piacere di cui raramente si privava. Quel giorno, invece, no. Non gliene fregava proprio un cazzo.
«Greg, caro. Jones è gay fino al midollo, fidati».
«E da cosa lo avresti capito? Sentiamo».
Jade intercettò distrattamente un’occhiata scandalizzata sul volto di Bree, che le sedeva di fronte.
«Il tuo gay-radar è ancora in garanzia, Greg? Perché secondo me è rotto: deve essere per questo motivo che ti innamori sempre delle persone sbagliate».
Bruce era via da più di due settimane, ormai. Sì, Jade sapeva esattamente dove e con chi era. Sì, si erano sentiti tutti i giorni via webcam. Sì, era un’incontentabile cretina che non faceva che lamentarsi, talmente cagacazzo che quando Bruce sarebbe tornato avrebbe ricominciato a lagnarsi del suo disordine disorganizzato. Sapeva tutte quelle cose e molte altre ancora, per questo di solito cercava di autocensurarsi. Quel giorno, invece, no. Non ci riusciva.
«Senti, Bree, questa volta sono sicuro di quello che dico. Jones è etero».
«Sicuro al punto da voler scommettere?».
«Assolutamente sì!».
«Allora se ho ragione io e Jones è gay, tu dovrai chiedergli un appuntamento».
«D’accordo, ma se ho ragione io, tu farai voto di castità per un mese intero».
Bree e Greg si diedero la mano.
«Ti consiglio di pensare a un buon metodo di rimorchio, Greg. Jones sembra un tipo difficile».
«Tu vedi di scopare finché sei in tempo, invece».
Stando a quello che Bruce le raccontava, lui e Tony erano sempre più vicini a trovare una cura per l’Altro. Era tremendamente infantile da parte sua, Jade se ne rendeva conto, ma la verità era che la Jade Bambina trovava l’Altro simpatico. Hulk era il loa di Bruce, e Bruce controllava piuttosto bene il suo loa. Qual era il problema? Quando pensava certe cose, di solito si sentiva terribilmente in colpa (come quando a tredici anni faceva pensieri proibiti sul ragazzo tatuato che consegnava la pizza e che a sua madre non piaceva per niente). Quel giorno, invece, no. Avrebbe voluto trovare un modo per salvare Hulk.
Greg, accanto a lei, le assestò una pacca sulla spalla.
«Ehi, Jade. Sei dei nostri?».
«Uhm?».
Bree sospirò melodrammaticamente.
«Dove sei stata fino ad ora? Ci serve un testimone per la scommessa».
Jade inarcò un sopracciglio.
«La scommessa che sicuramente Greg vincerà perché ha ragione lui, intendi? Testimonierò molto volentieri la tua sconfitta, Bree. Contaci».
Lui la liquidò con una linguaccia.



Venerdì



Elivelivolo
Alloggio privato del Dottor Bruce Banner
14:07

Bruce si coccolava Jade, rannicchiata come una gatta accanto a lui, ancora con la divisa del lavoro.
Aveva dormito tutta la mattina, l’aveva svegliato lei che invece di pranzare in mensa gli aveva portato hamburger e patatine a letto (“Chi se ne frega se si fanno le briciole, faccio la lavandaia, poi laviamo tutto”), e aveva davanti a sé un altro pomeriggio di sonno, appena lei fosse rientrata al lavoro. Intanto se la godeva l’ultimo quarto d’ora, cercando di rispondere esaustivamente alla domanda “Che avete fatto in quel laboratorio?”.
«E quindi, una volta sintetizzato il siero del supersoldato, potremmo lavorare finalmente a un antisiero per l’Altro, sfruttando la formula dell’Extremis. Insomma, non dico che d’ora in poi la strada sarà in discesa, ma… quasi!».
Lei lo scrutò con aria indagatrice.
«Lo sanno le associazioni animaliste che prendete dei sorci e gli fate esplodere il cervello?».
«Non sono sorci, sono cavie. E da quando ti interessa della sorte delle cavie, Miss “pensa che culo la famiglia del cacciatore che ha ucciso la madre di Bambi, sella di capriolo, braciole e costolette”?».
«Mmmh, sella di capriolo…».
Bruce rise. «Quando fai così sembri Homer Simpson. Se il siero funziona ti porto alla fiera del capriolo, promesso!».
«Sì, ma voglio dire… c’era davvero tutta questa fretta?».
«Cosa? In che senso?».
«Ma sì… giorni e giorni chiuso in quel laboratorio… E so cosa stai per dire e no, non mi dà fastidio, lo so che sei un ricercatore e quello è il tuo lavoro e se c’è bisogno di stare in laboratorio ci stai, non è un problema, quello che intendo è… stavolta c’era davvero bisogno?».
«Beh, sì… insomma, è dell’Altro che stiamo parlando».
Jade si puntellò sui gomiti per poi sedersi sul letto a braccia conserte.
«Ecco. Non… insomma, lo elimini, e niente più supereroe. Niente più dio gracile, niente più “Hulk spacca”, se succede qualcosa sei uno scienziato che non può fare nulla… non ti mancherà nemmeno un po’?».
«Jade». La sua espressione era serissima. «Non sarò un supereroe, ma finalmente tornerò a essere un uomo. A vivere serenamente. Potrò essere libero di fare la coda alla Posta, di innervosirmi quando la stampante si impalla, di andare ovunque e di fare qualunque cosa senza monitorare ogni attimo me stesso e i miei stati d’animo. Non dovrei aver paura che questo non sia sufficiente e di fare male alle persone che amo o a quelle che mi stanno sulle balle ma non si meritano di certo la morte. Se il prezzo da pagare sarà non poter più sbatacchiare Loki, sinceramente, lascio questo piacere a suo fratello o a chi per lui con tanti auguri e un mazzo di fiori. Sono stato chiaro?».
«Cristallino. Però, Bruce…».
«Niente però. Tu sottovaluti l’Altro, Jade, e non sai quanto questa cosa mi terrorizzi».
«Sì, ma l’hai sempre controllato, no? E poi insomma, nessuno vive senza rischi, ci sono gli incidenti d’auto, gli attacchi alieni, le cavallette…».
«Proprio non capisci».
«No, non capisco, si sa che sono stupida. Grazie, mi piace quando la gente me lo ricorda».
«Non volevo dire che… Volevo solo dire che sottovaluti il problema, ecco. Ma è inutile parlarne adesso, spero di averlo risolto presto, e allora ne parleremo quanto ti pare, va bene? Ma non adesso, per piacere».
Lei sbuffò. «Come vuoi. Ti faccio dormire, sei sfinito, se anche arrivo cinque minuti prima in lavanderia non muore nessuno».
«Jade…».
«Dormi bene, Bruce. A stasera».



Stark Tower
Ottavo piano del settore “Ricerca e Sviluppo”
16:31

«Ehi, Magda. A che punto sei con quell’equazione?».
«Mi sono bloccata su un passaggio, ma te la faccio avere entro domani mattina, promesso. Il mio cervello ha solo bisogno di un paio di minuti di tregua, altrimenti fonde».
«Ti capisco. Stavo giusto andando alla macchinetta. Ti porto un caffè?».
«No, grazie». Magda prese il bicchiere di carta fumante che aveva poggiato accanto al monitor del computer e bevve un sorso. «Ho già provveduto».
Miranda annuì, poi qualcosa nei suoi occhietti vispi guizzò, come un pesciolino che spicca un salto al di sopra del pelo dell’acqua.
«Sono bellissimi quegli orecchini, dove li hai presi?».
Magda sorrise. «Grazie. Sono un regalo di mio fratello».
Il guizzo si trasformò in un’ombra di invidia.
«Tuo fratello ha proprio buon gusto».
Il viso tondo di Miranda scomparve dietro il divisorio che divideva le loro postazioni di lavoro, e Magda sospirò di sollievo.
«Pensi abbia intuito qualcosa?», gracchiò una voce nel suo orecchio.
«Chi, Miranda Miller?», bisbigliò Magda, arricciando il naso. C’era una fastidiosa interferenza nel segnale: sfregò l’orecchino sinistro un paio di volte e l’irritante sgrrrrrrrrrrrrr cessò. «È già tanto che non l’abbiano licenziata, quell’incompetente. Deve avere qualche santo in paradiso, non capisco come sia possibile che un’idiota come lei sia arrivata tanto in alto alla Stark Tower».
«Non divagare e procedi. Posso infiltrarmi solo quando il server è in sovraccarico, come quando entri in una stanza affollata e nessuno ti nota».
«Lo so, me lo hai ripetuto solo centonovantanove volte in questi ultimi due minuti».
Sbuffando, Magda si sfilò l’orecchino destro. Lanciarsi un’occhiata furtiva alle spalle fu un gesto istintivo, in realtà il divisorio la teneva sufficientemente al sicuro da sguardi indiscreti, e inserì l’orecchino nell’ingresso USB del suo terminale.
«Non posso crederci: sgobbare nove mesi per arrivare all’ottavo piano del settore “Ricerche e Sviluppo” solo per ficcare una penna USB in un computer. Questa me la paghi!».
«Ti assicuro che la tua era la parte più facile».
Magda roteò gli occhi. «Certo, stare seduti davanti a un monitor è sicuramente più difficile che sgobbare da mattina a sera in un laboratorio e sorridere fino alla paresi facciale alle teste di cazzo dei colleghi. Come no!».
«Sta’ zitta, e lasciami lavorare».
«Siamo sicuri che sia il momento giusto?».
«Fury è stato chiaro. Le sue parole esatte sono state “Stark e il Dottore ci sono quasi”».
«Già, ma a che cosa?».
«Lo scopriremo a breve. Ma prima devo mettere a nanna Jarvis per qualche minuto».
Per ingannare il tempo, e soprattutto per non destare sospetti, Magda tornò alla fottuta equazione alla quale Miranda teneva tanto. Non vedeva l’ora di portare a termine la missione e mandare a ‘fanculo tutti quanti, ne aveva le palle gonfie di far finta di lavorare in quel posto. Quanto le sarebbe piaciuto essere una di quegli agenti che se ne fregano di regole e protocollo, sfondano porte a calci, malmenano gente senza un motivo ben preciso, imbracciano un fucile e fanno tabula rasa senza pensarci due volte. Essere una scienziata le era sempre piaciuto, ma sapere che, se fosse stata qualcun altro, la sua vita sarebbe stata completamente diversa non contribuiva a migliorare il suo umore.
«Trovato!».
Magda si tappò l’orecchio destro per sentire meglio. «Ti ascolto».
«Jarvis ha in memoria delle registrazioni di ieri. Pare che… oh, sì. Abbiamo fatto un bingo!».
«Questo significa che posso licenziarmi, finalmente?».
«Ahimè, no».
«COSA?». Magda si tappò la bocca, aspettò qualche secondo trattenendo il fiato, ma quando fu chiaro che nessuno aveva sentito il suo urlo di disperazione, riprese a respirare. «Cosa?», bisbigliò.
«Jarvis ha un sistema di immagazzinamento dati che potrebbe essere paragonato a una Matriosca. I dati che ci servono sono conservati nell’ultima Matriosca, quella più piccola, e non posso accedervi se prima non abbiamo aperto le altre. Il tuo terminale è situato… due Matriosche prima di quella che ci interessa, praticamente».
«Non mi dire che…».
«…devi intrufolarti nel laboratorio supersegreto di Stark, esatto».
A Magda venne voglia di spaccare qualcosa.



Stark Tower
Ottavo piano del settore “Ricerche e Sviluppo”
19:36

«Magda, mi ricevi?».
«Forte e chiaro».
«Ottimo. Allora procedi, la via è libera. Anche se sono sempre convinto che la gatta frettolosa faccia i gattini ciechi».
«Stark e il Dottore a miglia di distanza da qui. Quando ci ricapita un’occasione del genere? E poi ne ho abbastanza di questo posto, voglio farla finita una volta per tutte!».
«La tua impulsività ci è costata parecchio l’ultima volta».
Magda lo ignorò, raccolse una cartelletta a caso, si lisciò il camice, indossò gli occhiali e lasciò la sua postazione di lavoro a passo tranquillo. Quando Miranda le venne incontro sorridente, la salutò con un cenno del capo ma tirò dritto. Non aveva tempo da perdere con gli idioti, lei. L’orario di chiusura degli uffici era alle porte, la gente in giro era poca ma sufficiente affinché una scienziata a zonzo per la Stark Tower non destasse sospetti. Il segreto era non dare nell’occhio, era la prima cosa che le avevano insegnavano all’Accademia. Anche uno scienziato come lei era tenuto a superare i test per lavorare sul campo, lo SHIELD non sapeva cosa farsene della carne da macello. C’erano sempre i raccomandati, ovvio: individui che venivano assegnati a una squadra speciale senza neanche un minimo di preparazione, mentre lei…
«Magda, l’ascensore! L’hai appena oltrepassato!».
«Cazzo!».
Si voltò con nonchalance e tornò sui suoi passi. Posizionò il badge di riconoscimento davanti al sensore ottico e una sottile luce azzurrina lo scansionò lentamente dall’alto al basso. Un attimo più tardi, le porte dell’ascensore le si erano spalancate di fronte, Magda entrò e quelle si richiusero alle sue spalle. Quando però selezionò il piano, l’ascensore non si mosse. Calma e sangue freddo.
«Che succede? Non va!».
«Il tuo bagde ti permette di arrivare solo al piano successivo. Non hai l’autorizzazione per quello dopo. Dovrebbe esserci un pannello di controllo a muro sotto ai pulsanti, lo vedi?».
«Sì». Si sfilò una forcina dai capelli e la usò a mo’ di cacciavite per svitare le viti ad una a una. Tolto il coperchio, si ritrovò davanti a cinque colonne da venti ingressi ciascuna. Tutti uguali. «Ehm…».
«Seconda colonna, quarto ingresso partendo dal basso. Inserisci l’orecchino».
«Non credo che si tratti di un ingresso USB, però».
«L’orecchino funziona come una chiave universale. Avanti, fai come ti dico, non abbiamo tempo da perdere».
Magda obbedì. Mezzo minuto dopo, uno scossone improvviso la fece traballare sui tacchi e la informò che dall’altro lato dell’auricolare il suo socio aveva fatto “Abracadabra!”. L’ascensore saliva spedito, diretto all’ultimo dei dieci piani del settore “Ricerca e Sviluppo”.
«I dispositivi SHIELD sono una figata», commentò.
«Solo in mano a chi li sa usare», fu la risposta piccata che ricevette. «Non è finita, però. Fuori dall’ascensore Jarvis ti chiederà un test vocale e ottico».
«Questo è il momento in cui mi informi che devo cavare il bulbo oculare dall’orbita oculare di qualcuno?».
Una risata trillò nel suo orecchio. «Ti piacerebbe, di’ la verità! No, e mettere a nanna Jarvis per qualche minuto come ho fatto fino ad ora non servirà, ci serve più tempo. Sto introducendo un virus attraverso l’orecchino».
«Non c’è il rischio che si attivi qualche sistema di sicurezza che metta in allerta Stark?».
«Negativo. Sarà come un lieve arrossamento agli occhi per Jarvis. Andresti mai dal medico per un arrossamento? In realtà quella che gli sto impiantando è una cataratta in piena regola, che gli proietterà un’immagine registrata del laboratorio. La cataratta si deteriorerà nel giro di poche ore, ma a quel punto tu sarai già lontana. Jarvis non si accorgerà di nulla».
«Ti ho mai detto che trovo irritanti le tue metafore da saputello del cacchio?».
Le porte si aprirono con un din. Magda recuperò l’orecchino, mise a posto il coperchio del pannello di controllo e poi si preparò a muovere il primo passo. Poggiò il piede sul linoleum e attese col fiato sospeso. Dal momento che nessuna voce artificiale l’aveva ancora freddata con un “Altolà, chi va là!”, uscì dall’ascensore e si guardò intorno. Era appena entrata nel sancta sanctorum della Stark Tower, il sogno di ogni scienziato che si rispetti. Aveva il respiro affannato, il battito cardiaco accelerato e le mani le tremavano per l’emozione. Serrò i pugni, cercando di darsi un contegno.
«E adesso?».
«Siamo arrivati alla Matriosca più piccola. Trova un ingresso USB per inserirvi l’orecchino. Al resto penserò io».
Magda sbuffò. «Questa missione sta diventando ripetitiva».
Oltrepassò una gabbietta, nella quale un grosso topo bianco picchiava ripetutamente la testa contro il vetro, e raggiunse il terminale. USB. Orecchino. Fatto.
«Tocca a te».
«Due minuti, non mi serve nient’altro».
Magda ne approfittò per curiosare in giro. Quello era il paese delle meraviglie per una come lei. Peccato non potersene vantare con nessuno. Si fermò davanti a una piccola cella frigorifera e non resistette, aprì il vaso di Pandora. Una nuvola ghiacciata le investì il viso facendola rabbrividire, sbatté un paio di volte le palpebre, fin quando la nebbiolina non si fu diradata del tutto. All’interno vi erano parecchie fialette, ognuna con la sua etichetta, ognuna con la sua denominazione. Ne estrasse una a caso. Prototipo 12.4, c’era scritto.
«Com’è che si chiama il prototipo di cui stiamo rubando la formula?», chiese all’auricolare.
«Prototipo 15.7. Perché?».
Magda contò col dito indice ed estrasse un’altra fiala. Prototipo 15.7. Bingo!
«Credo di aver trovato il siero sintetizzato».
«Mettilo a posto. Subito!».
«E se invece rubassimo anche il siero, oltre che la formula?».
«Negativo. Si accorgerebbero subito che manca. A quel punto risalire a noi sarebbe uno scherzo».
Non dare nell’occhio, passare inosservati, agire nell’ombra. Le parole dell’Ufficiale Sovraintendente dell’Accademia riecheggiavano ancora nella mente di Magda come un’eco lontana, anche se erano trascorsi vent’anni. Il liquido opalescente dentro la fiala, però, cantava come una sirena. Non sarebbe stato meraviglioso essere qualcosa in più di una semplice scienziata?
«Ho la formula. Lascia perdere quella fiala e recupera l’orecchino!».
Magda sussultò, ma rientrò subito nei ranghi. Come un soldato. «Ricevuto».
Anzi, no. Come un supersoldato.



Sabato



New York
Tick Tock Diner
10:05

«Allora, tesoro. Portami un Club Sandwich e un Metropolitan. Grazie tante».
La penna si bloccò sul taccuino. Il cameriere lo squadrò con un sopracciglio inarcato.
«Un Metropolitan, signore?».
«Non guardarmi così, dolcezza. È stata una settimana stressante, non mi importa se è troppo presto, sono alcolizzato e ho bisogno di bere!». Bree agitò la mano in un gesto svolazzante. «Su, circolare!».
Il cameriere scosse la testa, appuntò l’ordinazione sul taccuino e sparì dietro il bancone.
Da dietro gli occhiali scuri, Bree sorrise e tornò a tenere d’occhio Larry Jones, che sedeva al tavolo più inculato del locale. La seconda attività in cui Bree eccelleva, subito dopo quella di centrare la fronte di un obbiettivo a cinquecento metri di distanza, era pedinare la gente. Passare tutta l’adolescenza a tampinare figoni muscolosi gli aveva dato un certo vantaggio, probabilmente. La prima cosa che gli avevano insegnato all’Accademia era quanto fosse importante non farsi notare durante una missione. Ma Bree sapeva anche per esperienza che non esisteva un modo solo per passare inosservati e che una persona appariscente e schiamazzante desta meno sospetti di una che si nasconde dietro al giornale. Soprattutto agli occhi allenati di un altro agente.
«Un Club Sandwich e un Metropolitan».
Il cameriere poggiò piattino e calice sul tavolo.
«Sei stato velocissimo, tesoro. Spero che tu non sia veloce anche in altre cose. Sarebbe un vero peccato, con quel bel faccino che ti ritrovi!».
Il cameriere sgranò gli occhi e si dileguò prima ancora che Bree potesse tirare fuori dalla tasca il portafogli per pagare il conto. Un signore anziano, seduto poco più in là, giornale spiegato davanti al naso e borsalino posato sul tavolo, lo stava fulminando con un’occhiataccia. Gli ricordava suo padre. Bree sollevò il calice a mo’ di brindisi nella sua direzione e bevve un sorso del cocktail.
«Ah, questi giovani d’oggi! Si scandalizzano per un nonnulla. Dico bene, signore?».
Non ottenne risposta, ovviamente. Bree fece spallucce e si concentrò nuovamente su Larry, che stava pulendo meticolosamente il bordo della tazzina con un tovagliolino prima di iniziare a sorseggiare il suo caffè.
Un’attività in cui Bree invece non eccelleva affatto era perdere. Guardava Larry, il suo mignolo alzato mentre portava la tazzina alla bocca, il suo cardigan fumo di Londra, il suo cravattino sottile e nero, i suoi pantaloni con piega e risvolto alla caviglia, i suoi mocassini neri, il suo bastone da passeggio appoggiato alla sedia, e sapeva di avere la vittoria in pugno. Greg aveva torto marcio, ma siccome era come San Tommaso, Bree doveva fornirgli una prova inconfutabile dell’omosessualità di Larry.
Proprio in quel momento, una donna entrò nel locale. Faccia insipida, taglio di capelli pessimo, molto alta e un paio di spalle da far invidia a Thor. Con grande sorpresa di Bree, si sedette proprio al tavolo di Larry.
Okay, non vuol dire mica che Greg abbia ragione. Sarà sua sorella.
Anche Larry sembrava parecchio sorpreso, a giudicare dagli occhi sbarrati. La donna invece sorrideva come Bree dopo uno dei super pompini di Grande Jack. I due parlarono per un po’. Il viso di Larry venne attraversato da una carrellata di emozioni non indifferente: gli occhi sgranati per lo stupore lasciarono il posto a labbra serrate per la rabbia, che alla fine si trasformarono in una ruga profonda di preoccupazione sulla fronte. Larry cercò la mano della donna (No, non vuol dire ancora che Greg abbia ragione), ma lei si divincolò quasi subito, come scottata, la sua faccia era contratta in un’espressione dura. Sembravano due innamorati nel bel mezzo di un litigio amoroso (Sembrano e basta, però. Perché non lo sono: Greg. Non. Ha. Ragione. NO!). La donna si alzò di scatto, facendo ribaltare la sedia dietro di lei e attirando qualche sguardo curioso su di sé. Disse qualcosa a Larry, parole sputate fuori come un boccone amaro, poi si girò sui tacchi e si diresse a passo marziale verso l’uscita. Bree fece finta di specchiarsi in un portacipria e quando la donna comparve all’interno dello specchio, schiacciò la spugnetta, riuscendo così a scattarle una foto prima che lei lasciasse il locale. Larry le era corso subito dietro, anche se la gamba rigida e il bastone lo rallentavano parecchio.
Bree non sapeva perdere. E doveva vederci chiaro in quella storia.



Stark Tower
Ultimo piano del settore “Ricerche e Sviluppo”
12:13

«A che ora è avvenuto il decesso, Jarvis?».
«Esattamente 53 minuti e 27 secondi fa, signore».
Le porte si spalancarono fluide davanti a Tony, che uscì dall’ascensore a passo svelto. Si bloccò quasi subito, però: quello che gli si parava di fronte era uno spettacolo alla Pet Sematary. Il vetro della gabbietta era stato tinteggiato di rosso e lineato in cerchi seghettati e concentrici, proprio sopra al cadavere del topo. Dalle orecchie, dalle narici e dalle orbite oculari del roditore era fuoriuscita una specie di marmellata marrone. Bleah.
«J, niente marmellata a colazione domani».
«Devo avvertire il Dottor Banner, signore?».
Tony sospirò e scosse la testa.
«No, J. Prima di rovinargli il fine settimana voglio capire bene cosa è successo. Quando si sono verificati i primi sintomi?». Jarvis esitò, prima di rispondere. Un campanello di allarme suonò nella testa di Tony. Jarvis non esitava mai. Due tentennamenti nel giro di pochi giorni erano troppi per un super cervello artificiale. «Jarvis, devo sostituirti con MAC, per caso?».
«Sono spiacente, signore. Non sono in grado di stabilire con certezza l’ora della comparsa del primo sintomo».
Tony strabuzzò gli occhi.
«Non sei in grado, Jarvis? Ti ho detto di monitorare il topo di proposito. Dimmi che stai scherzando, per favore».
«Il software del senso dell’umorismo non è ancora stato caricato in memoria, signore».
«Fammi vedere i dati che hai registrato ieri».
Mentre Tony tirava fuori da un cassetto la sua riserva d’emergenza di noccioline, un pannello trasparente sospeso a mezz’aria si retro-illuminava di azzurro. Altri due secondi, e di fronte al suo sguardo perplesso comparve un elenco infinito di dati. Tony si riempì la bocca di noccioline.
«Fammi un riaffunfo, J».
«Alle 19:30 si è verificato un incremento anomalo di epinefrina e somatotropina ma nessun effetto collaterale visibile. Il successivo monitoraggio è stato eseguito alle 20:00, dal quale emerge che il picco di epinefrina e somatotropina era tornato nella norma».
«E da quello che leggo le cose si sono mantenute tranquille fino al monitoraggio delle 22:30», commentò Tony con gli occhi puntati sul monitor.
«Corretto, signore. Ma alle 23:00 è stato registrato un nuovo picco di epinefrina e somatotropina. Da quel momento in poi, la concentrazione di epinefrina e somatotropina nel sangue del soggetto 34 è aumentata gradualmente e inesorabilmente fino alle 11:20 di questa mattina…».
«…quando il cervello del soggetto 34 ha fatto splat. Il punto è che quel ritorno ai livelli ottimali, tra le 20:00 e le 22:30, non ha alcun senso». Tony si avvicinò allo schermo, accarezzandosi il pizzetto. «Frena un attimo. Come mai i dati della fascia oraria 18:30-19:00 sono uguali a quelli della fascia oraria 20:00-22:30? Fammi un confronto, Jarvis».
«I dati registrati durante le due fasce orarie sono identici in tutto e per tutto».
Il campanello di allarme riprese a squillare più assordane di prima nella mente di Tony. Comparve anche una bella luce rossa lampeggiante.
«Jarvis, credo proprio che tu ti sia fatto abbindolare come un personal computer di prima generazione».
«Questo è semplicemente impossibile, signore».
«Lo pensavo anche io, fino a cinque secondi fa. Ci sono stati tentativi di intrusione nel sistema, recentemente?».
«Niente di rilevante».
«Da adesso in poi è tutto rilevante, J. Annulla il protocollo per le minacce di livello uno».
«C’è stato un attacco al sistema alle 19:46. Una minaccia di livello uno. Come previsto dal protocollo per le minacce di tale livello, ho provveduto a eliminare il virus senza chiederle autorizzazione. Il virus era innocuo, non ho riportato alcun danno».
Un brutto presentimento convinse Tony a guardare subito dentro la cella frigorifera.
«Oh, merda».
Una coincidenza era un caso, due erano un indizio, ma tre coincidenze erano una prova.
Tony si rimboccò le maniche, già calato nei panni del detective informatico.



Elivelivolo
Archivio
16:24

«Perché non ammetti di aver perso la scommessa e basta?».
«Neanche morto. Il mio gay-radar non sbaglia mai».
Greg alzò gli occhi al soffitto, frustrato.
«Chi altri potrebbe essere, se non la sua ragazza? Una ex-ragazza, al massimo. Hai detto che stavano litigando, no?».
Il fioco bagliore emesso dal monitor illuminava il viso di Bree, conferendogli un inquietante e folle colorito azzurrino.
«Sua sorella, ad esempio. Sua cugina. Sua cognata. Ci sono un milione di possibilità!».
Greg confrontò la foto identificativa dell’Agente Larry Jones, un biondino brizzolato dal sorriso placido, con la foto scattata di straforo alla donna misteriosa, una brunetta insipida ma ben piazzata. Non si somigliavano per niente. Ma era inutile farlo notare a Bree, avrebbe negato perfino l’evidenza pur di non ammettere di avere torto.
«Cosa speri di trovare nell’archivio SHIELD?», chiese invece.
«Esattamente tutto. Ogni agente viene schedato, dovresti saperlo».
«Sì, ma quando sono stato reclutato nessuno mi ha chiesto di spuntare la casella “Omosessuale” alla voce “Orientamento Sessuale”».
Bree ignorò la battuta, ma gli fece cenno di avvicinarsi. Greg obbedì contro voglia.
«Sapevi che Jones faceva parte di una squadra speciale?».
Greg aggrottò la fronte.
«Impossibile, lui non lavora sul campo. Come potrebbe? È zoppo!».
«Era l’esperto informatico. Secondo questo file, è stato ferito gravemente da un proiettile vagante a una gamba nel corso di una missione finita male, circa quindici anni fa. Dopo è stato trasferito nel regno della burocrazia, non era più in grado di lavorare sul campo. C’è scritto anche che… LO SAPEVO, CAZZO!».
«Non urlare, Bree!».
«Guarda la foto, guardala!».
Greg si sporse in avanti e non si limitò a guardare la foto, fece scorrere velocemente lo sguardo sul file. Bree aveva un sorriso che gli andava da un orecchio all’altro, come quello dello Stregatto.
«Ti basta come prova, San Tommaso?».
«Questo file prova soltanto che Larry Jones aveva una sorella, non che sia gay. Inoltre credo proprio che dovremmo parlare di questa storia a Fury».
Il sorriso abbacinante di Bree si spense all’improvviso.
«Che c’entra il grande capo, adesso?».
«Leggi bene. La sorella di Larry dovrebbe essere morta da quindici anni, non viva e vegeta per le strade di New York».
Il sopracciglio di Bree si inarcava ad ogni rigo di più.
«Cazzo», esclamò, conclusa la lettura del file. «Mi sento come se mi avessero ficcato a forza dentro una telenovela sud-americana!».



Elivelivolo
Alloggio privato del Dottor Bruce Banner
16:33

«Pro… pronto?».
Che ore erano? Presto, di sicuro. E lui stava dormendo così bene. Maledetto telefono.
«Dormivi?».
«Tony… no, figurati. Imparavo a ballare la salsa. Cosa c’è?».
«Bruce, ho una notizia cattiva e una cattiva. Quale vuoi sentire per prima?».
Bruce sospirò e si passò una mano sul volto. Poi inforcò gli occhiali.
«Cosa è andato storto?».
«Il soggetto 34 ha fatto pum. O splat, forse è un rumore più adatto. Solo che non so dirti esattamente come mai, dato che qualcuno, e se posso avanzare un’ipotesi direi lo SHIELD, ha manomesso Jarvis. Dulcis in fundo, il prototipo 15.7. è scomparso. Oh, erano tre cattive notizie, non due. Pronto…? Ci sei ancora, dottor Banner? Dimmi che riesci a parlare di te anche in prima persona e che non mi devo preoccupare».
«Ci sono, Tony».
«Ecco, magari è il caso di andare da quel figlio di puttana di Fury e fargli cagare fuori la fialetta, non sei d’accordo?».
«Cosa fai, lo copi? Più che altro, hai detto che la cavia è esplosa, quindi il siero non ha funzionato».
«Infatti».
«Infatti. E probabilmente Fury ha il siero… Sa che non ha funzionato?».
«…».
«…».
«Oh, cazzo».
«Vado subito a scambiare due parole con quel figlio di puttana. Tu però vieni qui subito».
«Sei sicuro che la mia presenza sia indispensabile? Perché Pepper…».
«Subito».
«Sono indispensabile. È duro, a volte, accettare che senza di me le persone… Hai riattaccato, maledetto!».



Elivelivolo
Ufficio del Direttore Nick Fury
16:41

«È una cosa veloce, Banner? Perché ho molto da fare, qui. Senza contare che al piano di sotto c’è un principe asgardiano biondo che mi deve un mucchio di spiegazioni sul casino di Londra».
Bruce sospirò. No, non ti stanno vorticando i coglioni a elica, come dice Jade. Sei calmo. Molto calmo.
«È una cosa importante. Se sarà veloce o meno dipende da lei».
Fury scartabellò dei fogli sulla scrivania, con l’aria di chi avrebbe preferito usarli come carta da culo.
«Avanti, sentiamo».
«Il prototipo 15.7. Che fine ha fatto? Non l’ha usato di già, vero?».
«Cosa? Ma che cazz… Banner, non ho idea di cosa sia questo prototipo. Forse vuoi spiegarmelo tu?».
Bruce si tolse gli occhiali. Sei calmo, sei calmo, la calma è la virtù dei forti.
«Il siero del supersoldato. Tony ed io sappiamo che ci state spiando. E Nick, prima che mi arrabbi, e lei non mi vuole vedere arrabbiato, mi dica cosa ne avete fatto».
Fury manteneva un aplomb notevole, non c’era che dire, ma un velo di sudore gli ricopriva la fronte.
Uomo senza occhio paura. Hulk sente odore di paura. Hulk spacca.
Zitto. No. Sono calmo. Il Gange scorre lento ed io sono calmo.

«Banner. Calma. Non abbiamo rubato il prototipo… qualunque fottuto numero abbia. Ammetto che vi stavamo tenendo d’occhio, è il nostro mestiere, ma non…».
Bruce sbatté le mani sulla scrivania. Fury fece un salto indietro.
«Non funziona! È instabile! La cavia è esplosa esattamente come le altre, quindi, per favore, mi dica che non l’avete ancora sperimentato su nessun essere…».
«Permesso, signori, scusate l’intrusione. Dottor Banner, è un grossissimo piacere vederla!».
Fury, con il suo unico occhio sano, fulminò l’uomo che aveva parlato e quello che lo accompagnava. Nella fattispecie Bree e Greg. Forse sto impazzendo, si disse Bruce.
«Agente McCallan, Agente Mason. C’è una spiegazione valida, e intendo fottutamente valida, per questo?».
«Ma naturalmente, Signor Fury, per chi ci ha preso? Stia attento, e anche lei, Dottor Banner». Bree mise in mostra la foto identificativa di un tizio, biondo e brizzolato. «Lo vedete questo bell’uomo, evidentemente gay?». E qui Bree scoccò un’occhiata a Greg, che gli diede un calcio in uno stinco.
«È l’Agente Jones», rispose Fury. «Lavora al settore “Amministrazione e Ricerche” dello SHIELD. Dove stai cercando di arrivare, McCallan?».
«Esatto», confermò Bree, che nel frattempo stava mostrando un’altra foto, un po’ più sfocata della precedente. Questa volta di una tizia bruna. «E la vedete invece questa meno bella donna, che, ve lo dico io dato che voi non potreste saperlo, attualmente lavora al settore “Sviluppo e Ricerca” della Stark Tower?».
Bruce si appoggiò alla scrivania. Le parole cazzo, cazzo, CAZZO gli risuonavano in testa.
«Lo direste mai che sono fratelli gemelli?».
«Che cazzo stai dicendo, McCallan?!». Fury sembrava sull’urlo di una crisi di nervi. «Quella è l’agente Magda Jones. Sì, è la sorella gemella di Larry Jones, ma l’unico lavoro che può svolgere attualmente è insegnare agli angeli la biologia molecolare, dato che è morta quindici anni fa nella stessa missione che ha reso zoppo suo fratello».
Bree scosse la testa, sfoderando un sorrisetto compiaciuto.
«Mi dispiace contraddirla, signore. Questa foto è stata scattata stamattina. Magda Jones è più viva che mai».
Fury gli strappò la foto dalle mani, per studiarla più da vicino. «Questa al massimo può essere la versione sotto steroidi di…». Quando l’unico occhio buono di Fury si posò su Bruce, aveva assunto le dimensioni di una palla da biliardo. Gli occhi di Bruce non dovevano essere da meno, però.
«Oh, cazzo», dissero contemporaneamente.
Bree e Greg invece parevano spaesati.
«Ci siamo persi qualche pezzo, mi sa».
«McCallan, Mason, andate a prelevare Larry Jones e portatemelo subito qui, ho proprio voglia di fare due chiacchiere con lui».
«Lo consideri già fatto».
Bree e Greg erano già sfrecciati fuori dall’ufficio, quando Bruce trovò una sedia sulla quale accasciarsi. Presto le sue gambe avrebbero ceduto ed era meglio correre ai ripari. Hulk scalpitava dentro la sua gabbia come un gorilla incazzoso. Le sbarre si assottigliavano sempre di più, ormai avevano lo spessore e la resistenza degli stuzzicadenti.
Calma, Bruce. Respira. Inspira, espira. Inspira, espira.
Hulk no respira. Hulk spacca.
Invece sì. Inspira, espira. Inspira. Espira.

Il telefono sulla scrivania squillò.
«Pronto?», abbaiò Fury. «Agente Davis, se quella che stai per darmi è una fottuta notizia cattiva, considerati licenziato». Pausa. Ennesima imprecazione di Fury. Cornetta del telefono riagganciata con rabbia. Sguardo serissimo puntato su Bruce. «Quanto tempo è passato prima che il cervello della cavia esplodesse?».
Bruce dovette massaggiarsi le tempie, prima di rispondere. Comprendere il significato delle parole stava diventando difficile, come tentare di afferrare l’acqua con le mani.
«Quarantotto ore».
«E vale anche per gli esseri umani?».
Scuotere la testa da destra a sinistra gli costò un grande sforzo di concentrazione.
«Non…». Respira. È facile, dai. «Non ne ho idea. Perché?».
«Magda Jones è qui, e vuole te».
Il primo stuzzicadenti della gabbia di Hulk si spezzò con un sonoro crack.



Elivelivolo
Settore “Amministrazione e Ricerche”
17:06

Quando Mason e McCallan gli erano apparsi davanti con le facce serie e l’affermazione “Fury vuole fare quattro chiacchiere con te”, Larry aveva capito di non avere più speranze. In realtà solo la faccia di Mason era seria. Su quella dell’Agente McCallan campeggiava un sorriso che, in un’altra situazione, avrebbe definito abbacinante, perfino attraente. Ma non era quel tipo di situazione. Quella era la situazione del “Sono nella merda fino al collo”.
Era riuscito a rimanere impassibile, però. Si era messo in piedi, aveva preso l’odiato bastone e, nel modo più dignitoso che la sua inutile gamba gli permetteva, aveva zoppicato in silenzio, lungo il corridoio, affiancato dai due agenti. Era pur sempre un agente SHIELD, in fondo. Anche se non lavorava più sul campo ed era stato costretto a fare un lavoro degradante e mal pagato per quindici fottutissimi anni.
«Agente Jones, vorrei cogliere l’occasione per chiederti…».
«Bree, per favore, non è il momento di fare la checca».
«Greg, sei noioso come un porno senza sesso».
Chissà cosa voleva chiedergli, l’Agente McCallan. Forse se era pentito di aver tradito lo SHIELD intercettando le conversazioni e i piani segreti di Fury? In realtà la domanda era un’altra. Come si poteva essere leali a un’organizzazione che ti aveva accantonato come un giocattolo rotto e che non aveva fatto una piega quando tua sorella era stata data per morta?
Quando Magda era tornata dal regno dei morti, appena un anno prima, quando Larry aveva scoperto del progetto segreto di Stark e del Dottore, quando entrambi avevano capito che quel progetto segreto avrebbe potuto fruttare milioni rivendendolo al miglior offerente, non avevano esitato nemmeno un secondo. Dopo tutto quello che avevano passato, Magda e Larry si meritavano di trascorrere il resto delle loro vite a sorseggiare cocktail colorati su una spiaggia caraibica. Quindi, no. Non era affatto pentito.
La ricetrasmittente dell’Agente Mason gracchiò.
«Sì?».
«Qualche problema?», chiese McCallan.
Mason annuì. La sua fronte si era aggrottata, mentre ascoltava ciò che dall’altra parte della ricetrasmittente qualcuno gli stava dicendo. «Cambio di programma, dobbiamo portarlo al laboratorio biochimico», disse infine. Poi si rivolse a Larry. «Tua sorella è qui. L’hai aiutata tu?».
Ormai negare non serviva più a nulla.
«Ho smanettato un po’ col computer e ho fatto comparire il suo nome tra i passeggeri del jet dei dipendenti delle 16:00».
«Ti rendi conto di quante persone hai messo in pericolo?».
«Mia sorella ha bisogno di cure».
«Tua sorella ha già ucciso cinque agenti».
Sua sorella era una stupida. Intelligentissima, certo. Ma anche irrimediabilmente stupida. Ecco, se c’era una cosa di cui Larry si pentiva era non essere riuscito a impedire a Magda di sottrarre la fiala dal laboratorio di Stark e di iniettarsi il siero del supersoldato in vena. Chi poteva sapere che quel maledetto siero non era ancora stabile?
«A nessuno è importato quando mia sorella è stata data per morta. Perché a me dovrebbe importare di quegli agenti? Mia sorella sta male, gli effetti collaterali sono apparsi all’improvviso. Banner deve trovarle un antidoto. È questa l’unica cosa che conta adesso».
Mason si mosse minaccioso verso di lui, ma McCallan lo trattenne per un braccio, sorridendo.
«Greg, per favore, non è il momento di fare il macho».



Elivelivolo
Laboratorio biochimico
17:07

Magda camminava a passo svelto lungo il perimetro del laboratorio biochimico.
Era la venticinquesima, forse la trentesima, volta che lo percorreva. Aveva smesso di contare al diciannovesimo giro, quando era arrivato il cretino col mitra. Stupido, col suo “Mani in alto!” le aveva fatto perdere il conto. E lei aveva bisogno di contare, perché doveva concentrarsi su qualcosa, o sarebbe stata la sua fine. Non sapeva come lo sapeva ma sapeva che era così. Perciò aveva punito il cretino col mitra, che l’aveva colpita con una raffica di pallottole. E adesso lui era insieme agli altri cinque. In un lago di sangue. Ciao ciao, cretino. Così impari. Diede un calcio alla testa, che spiccò il volo, colpì la cappa di areazione, disegnò un arco fino alla parete opposta della stanza, venne sbalzata di nuovo a terra e ruzzolò ancora per qualche metro.
Magda ridacchiò.
Aveva sparpagliato i cadaveri dei cinque agenti un po’ a caso, sul pavimento del laboratorio. Giacevano a terra, stropicciati e flosci come abiti smessi. I loro colli erano piegati in angolazioni sbagliate, grottesche. Anche un po’ buffe. Ce n’era uno sdraiato prono, ma con la faccia rivolta al soffitto. Era stato il primo a tentare di fermarla. Stupido, cretino anche lui. Magda non sapeva perché si fosse caricata i cinque cadaveri sulle spalle come sacchi di patate. Forse l’idea iniziale era di non lasciare tracce. Non dare nell’occhio, passare inosservati, agire nell’ombra. Non aveva pensato, però, che una donna alta due metri con cinque cadaveri sulle spalle era difficile da non notare.
Pensare era diventato complicato. Perdeva continuamente il filo.
Il suo cervello era come una cesta stracolma di panni. Appena provava a muoversi, perdeva un calzino. Se provava a raccoglierlo, ecco che perdeva una mutanda. E se prova a recuperare anche quella, cadeva un altro calzino. E via così all’infinito. Ad ogni passo, un pensiero cadeva fuori dal suo cervello. Però se si concentrava su qualcosa, tipo contare quante volte girava in tondo, riusciva a tenerli tutti dentro. A mala pena, ma ci riusciva.
Se n’era accorta così, che qualcosa non andava.
Era stato bello, le prime ore. Sollevare il divano dell’appartamento come se fosse fatto di gomma piuma. Prendersi la rivincita col padrone di casa che pretendeva l’affitto. Era rimasta sveglia tutta la notte, perché l’adrenalina scorreva come fuoco liquido nelle sue vene, e si sentiva addosso una vagonata di energia che non sapeva come consumare. Finalmente non era più solo una scienziata, era qualcos’altro, era forte, era invincibile. Nessuno avrebbe più potuto nuocerle. Le ore più belle della sua vita.
Poi, però, si era ritrovata a girare in tondo nel salotto, solo per concentrarsi sul numero di telefono di suo fratello, che all’improvviso non ricordava più. No, non era corretto. Lei sapeva di ricordarlo. Da qualche parte era lì, nel suo cervello. Solo che non riusciva ad accedere all’informazione. Cadeva fuori dalla sua portata come il calzino dalla cesta. Le ci erano voluti quarantadue giri per raccogliere il cazzo di calzino.
Si era definitivamente convinta che qualcosa non andava in quel locale. Con suo fratello.
Suo fratello. Che l’aveva rimproverata. Che l’aveva chiamata stupida. Davanti a tutti. Magda era scattata in piedi pronta a colpirlo. Pronta a staccargli la testa con le sue mani. Pronta a strappargli il cuore dal petto. Ma chissà come era tornata in sé, ed era scappata via. Larry l’aveva seguita, l’aveva convinta che dovevano trovare una cura. E che c’era solo un uomo, sulla faccia della terra, capace di sintetizzare l’antidoto di cui lei aveva bisogno.
«Magda? Magda Jones?».
Bruce Banner, proprio lui. Era lì, sul chi va là, incorniciato dalla porta d’ingresso del laboratorio. Magda lo scrutava attentamente, senza smettere di girare in tondo.
«Non hai una bella cera», gli disse.
«Nemmeno tu». Lui sorrise, mite. «Fury mi ha detto che volevi me. Perché non ti fermi un attimo, così parliamo?».
«Non posso, se mi fermo non riesco a pensare. E se non penso…». Magda lanciò un’occhiata alla testa del cretino col mitra. «Non succedono cose belle se smetto di pensare».
«Lo posso immaginare. So esattamente come ti senti».
«Perfetto, allora. Sintetizza quel cazzo di antidoto e siamo a cavallo!».
Bruce fece un passo in avanti, titubante. Con le mani alzate, in una sorta di resa. Mani che tremavano. Però Magda non fiutava l’odore della paura, come quando era arrivato il cretino col mitra. Fiutava un odore familiare, simile al suo.
«Ascoltami, Magda. Tu sei una scienziata, dico bene? Lo sai meglio di me che per fare quello che mi chiedi ho bisogno di tempo. E di tranquillità. Devi cercare di calmarti, innanzi tutto. Girare in tondo a quel modo non fa altro che stimolare il rilascio di adrenalina nel sangue».
A Magda non piaceva il modo in cui il Dottore le parlava. Scandiva le parole, lentamente. Come se fosse una ritardata mentale. Serrò i pugni e si fermò.
«Non trattarmi come una stupida!», ringhiò. «Odio quando mi trattano da stupida! Valgo almeno il doppio di qualsiasi idiota si trovi a bordo di questa latta!».
«Okay, va bene. Però, ti prego, adesso che ti sei fermata, respira. Respira profondamente. Ti aiuterà, te lo prometto. Mi senti, Magda?».
Magda avrebbe voluto urlargli “NO, COGLIONE!!”. Invece dalla sua bocca fuoriuscì una specie di ruggito. Che fece indietreggiare il Dottore. Che cercò di dire qualcosa. Ma venne spintonato di lato. Per lasciare il posto a…
«Okay, adesso basta con le chiacchiere da salotto!».
…un bazooka puntato contro di lei.
Magda ebbe appena il tempo di inquadrare l’unico occhio buono di Fury.
Poi lui premette il grilletto. In lontananza qualcuno urlò.
E l’ultimo calzino cadde fuori dalla cesta.


Nel momento esatto in cui Fury premette il grilletto, Bruce seppe che erano tutti fottutamente fottuti. Abbozzò un mezzo sorriso, aveva fatto il verso a Nick senza volerlo.
Magda ruggì una seconda volta e con una manata spedì il missile a schiantarsi contro la parete alla sua destra, che si sbriciolò come un biscotto molto friabile. Lei non si fermò a contemplare la sua opera, ma si lanciò a testa bassa verso di loro.
Fury si buttò di lato, in mezzo alle macerie, evitando per un soffio il treno in corsa. Bruce invece era ancora lì che sorrideva come uno scemo, e si beccò un calcio in pieno stomaco. L’impatto della schiena contro la parete gli mozzò il fiato. La colonna vertebrale fece crack. Il dolore che lo investì fu una secchiata di acqua ghiacciata sul volto di Hulk.
Che non servì a svegliarlo, perché era già sveglio.
Che non servì a farlo incazzare, perché era già parecchio incazzato.
Servì solo a convincerlo a spezzare gli stuzzicadenti superstiti che lo tenevano chiuso in gabbia e a uscire per giocare con la sua nuova amichetta.
L’ultima cosa che Bruce vide fu il pugno di Magda diretto contro la sua faccia.


Larry aveva raggiunto il laboratorio biochimico proprio quando Fury aveva fatto fuoco.
Mentre gridava fino a sentire il gusto ferroso del sangue in bocca, le immagini si erano susseguite velocissime come in un video accelerato: missile, Magda che ruggisce, manata, parete che si sbriciola. La sequenza di fotogrammi subì una brusca frenata solo quando il pugno di Magda, diretto contro la faccia del Dottore, venne bloccato da una grossa mano verde.
Magda fissò con aria stupita il suo pugno.
Poi Hulk ruggì, le intrappolò l’avambraccio in una morsa micidiale, fece leva sulle gambe, la sollevò da terra e la usò a mo’ di clava per demolire un’altra parete. Magda finì a terra, schiacciata e completamente ricoperta dalle macerie. Larry provò ad urlare di nuovo, ma l’Agente Mason fu più veloce e gli tappò la bocca.
«Idiota, così si accorgerà di noi!».
Le poderose spalle del gigante andavano su e giù, mentre riprendeva fiato e fissava il cumulo di massi ai suoi piedi. L’Agente McCallan approfittò di quell’attimo di tregua per soccorrere Fury, rimasto intrappolato tra i detriti. Se lo caricò sulla spalla e lo mise in salvo fuori dal laboratorio, o da quello che ne restava. Larry si sentì strattonare per un braccio, l’Agente Mason stava cercando di trascinarlo via.
«Dobbiamo andarcene da qui!».
Larry scosse la testa. «Non abbandonerò mia sorella!».
«Cazzo, Jones! Quella non è più tua sorella!».
Un boato, poi un’eruzione di calcinacci si abbatté su di loro.
Mason afferrò al volo quello che prima doveva essere stato lo sportello di un armadio e che adesso era solo una lamiera ammaccata, e lo sollevò sopra le loro teste, come un ombrello o uno scudo. Tontontontontonton. La pioggia di detriti non finiva più, ma il braccio di Mason sembrava di ferro e non cedeva. Nel frattempo Magda aveva placcato Hulk al pavimento e gli stava tempestando la faccia di pugni. Larry non riusciva a credere ai suoi occhi: la stazza di sua sorella era raddoppiata e adesso eguagliava quella dell’avversario. Hulk però non si arrendeva. Afferrò un macigno grande come un televisore e lo frantumò contro la testa di Magda. Lei si fermò soltanto per scrollarsi di dosso la polvere, ma fu sufficiente: Hulk ribaltò le posizioni, atterrò Magda e le restituì con gli interessi i pugni sulla faccia. L’ultimo colpo però non andò a segno, affondò nel pavimento come un coltello nel burro.
La terra ebbe un sussulto.
Mason e Larry si scambiarono un’occhiata atterrita, poi una voragine si aprì sotto i loro piedi. Magda, Hulk e i detriti vennero subito divorati dal vuoto. Anche Larry stava scivolando inesorabilmente verso il baratro. Cercò inutilmente di aggrapparsi a qualcosa, ma afferrava solo sabbia. Poi, all’improvviso, uno strattone.
E la sua discesa si arrestò di botto.
La cravatta si era fatta improvvisamente stretta intorno al collo, come un cappio. Larry guardò in su, tossendo e annaspando. Mason lo aveva acciuffato per la collottola della camicia ed era a sua volta aggrappato a un ferro che emergeva dal mare di macerie.
«Trattieni il respiro», gli disse. «BREE, DOVE CAZZO SEI?!».
«Un attimo solo, dolcezza!».
Una corda apparve alla destra di Larry, che allungò subito la mano per afferrarla. Solo quando le sue dita si furono chiuse intorno alla fune, Mason mollò la presa sulla camicia. L’aria ricominciò a defluire lungo la trachea e Larry fu libero di preoccuparsi di nuovo per Magda.
Volse lo sguardo in basso e il suo cuore mancò un battito.
Di Hulk non c’era traccia. Magda invece era proprio sotto di lui, quattro metri più in basso. Si contorceva su se stessa, si strappava i capelli e si scorticava la pelle della faccia a unghiate, mentre i suoi occhi gonfiavano come palloncini. Picchiò la testa contro un masso, l’urlo di dolore fece tremare Larry e il mondo intero, ma un attimo dopo Magda stava di nuovo picchiando la testa contro lo stesso masso. Ancora e ancora e ancora e ancora. Tonftonftonftonf. Larry chiuse gli occhi, non riusciva a smettere di contare i colpi. Tonf, tonf, tonf, tonf. Cinque, sei, sette, otto. Tonf. Tonf. Tonf. Nove. Dieci. Undici. Dodi…
Larry sbarrò gli occhi.
Magda era rigida e ondeggiava pericolosamente sui piedi come un birillo. Sollevò il viso in direzione di Larry e protese una mano verso l’alto, proprio mentre i bulbi oculari rotolavano fuori dalle orbite simili a palline di ping-pong. Una melma marrone colava dalle orecchie, dal naso e dai buchi che adesso aveva al posto degli occhi. Magda aprì la bocca, come per chiamare Larry, ma prima ancora di riuscire a emettere alcun suono, crollò a terra. Morta.
Larry non ebbe la forza di urlare. Quei grossi fori neri non smettevano di fissarlo.



Elivelivolo
Sala mensa
17:30

Jade, come tutti coloro che erano bambini nel ’93, aveva visto “Jurassic Park” e, come molti, pur sapendo benissimo che i dinosauri erano estinti da un sacco di tempo, non era rimasta indifferente al pericolo causato da possibili attacchi di tirannosauri, soprattutto quando era notte o era da sola in casa.
Si chiese vagamente cosa c’entrasse quel pensiero, ora che non era più una bambina e da sola lo era per modo di dire, perché nonostante in mensa non ci fosse nessuno, l’Elivelivolo era pieno di gente, per non parlare di Wilma, appena dietro le porte della cucina.
Sarà per il bicchiere, si disse.
Poi si chiese perché l’acqua nel bicchiere vibrasse, proprio come nel film, quando arriva il tirannosauro e fa tremare la terra.
Subito dopo si chiese cosa fosse quel rumore, come se qualcosa di molto grosso e molto cattivo stesse arrivando di corsa proprio nella sua direzione.
Tempo che il suo midollo spinale dicesse al cervello “FUGGI, SCIOCCA!”, e la porta della mensa si spalancò. Non è esatto dire che si spalancò, anche perché quella era una porta tagliafuoco che semmai si spalancava verso l’esterno; più che altro esplose, assieme ad una buona porzione di muro circostante, incorniciando Bruce (No, non Bruce, cretina, Hulk!), incazzato, ringhiante e cattivo.
Si dice che quando si sta per morire passi davanti agli occhi tutta la vita. Per Jade non fu così. In un pugno di secondi, in due falcate di Hulk, Jade capì cosa intendeva Bruce quando tentava di spiegarle che era pericoloso, molto pericoloso, che c’erano dei momenti in cui il controllo sull’Altro era nullo, che avrebbe ucciso le persone che amava senza fare una piega, perché Hulk era solo rabbia cieca. Jade capì anche che Bruce ne sarebbe rimasto distrutto, e le dispiacque un sacco per lui, ma anche per lei, perché lei non voleva morire, cazzo, proprio non voleva.
Improvvisamente Hulk uscì dal suo campo visivo, scagliato di lato. Qualcosa lo aveva colpito su un fianco, e a giudicare dalla schiena e dalle braccia che le si pararono davanti, doveva essere stato il Mjolnir.
«Fuggi!», le gridò Thor, mentre di nuovo Hulk caricava a testa bassa e pugni serrati verso di loro. Certo, facile, la porta della cucina era dietro al bancone del self service e quella del corridoio era tra lei, Thor e Hulk. Tentò di strisciare di lato, mentre Hulk si liberava di Thor con uno dei suoi pugni.
Ok, Jade, ora devi solo correre verso la porta più in fretta di Bru… di Hulk, e sei salva.
Ci provò anche. Solo che a Hulk bastò guardarla per congelarle le gambe sul posto.
Magari è come il tirannosauro. Magari se sto immobile non mi vede.
Hulk ruggì.
Ok, Jade, sei morta.
Hulk non era come il tirannosauro, la vedeva benissimo, Hulk spaccava e quella che stava per spaccare era la sua testa. Jade strillò e chiuse gli occhi, poi sentì un tonfo e le piovve qualcosa sul viso. Pezzi di muro, precisamente di un pezzo di muro qualche centimetro in alto e a destra rispetto a lei. Era ancora incastrata tra Hulk, la parete e il grosso braccio verde, sopra la sua testa. Tremava talmente tanto che forse presto sarebbe esplosa.
E invece volò.
Forse era morta, anche se pensava che avrebbe dovuto fluttuare, non schizzare come una scheggia da sotto al pugno di Hulk, volargli intorno verso l’alto e prendere il punto in cui c’era la porta in picchiata, planando nel corridoio radente al pavimento. E soprattutto un eventuale angelo custode non avrebbe dovuto essere così freddo e metallico e… «Signor Stark!».
«Scommetto che la prossima volta che le porterò il bucato di giovedì, non farà più tante storie!».
Jade tentò di vedere cosa stava succedendo in mensa, ma riuscì solo a sentire la voce di Thor, Hulk che ruggiva e il rumore di un sacco di cose rotte. Tony non le diede il tempo, la portò abbastanza lontano e la lasciò lì come un sacco di patate.
«Ora se la può cavare da sola, ho un dio che ha bisogno del mio aiuto!».



Elivelivolo
Cella detentiva numero 27
18:24

«Mi dispiace per la tua perdita».
Un paio di costosissime scarpe da ginnastica erano comparse nel suo campo visivo. Larry sollevò lo sguardo e si sforzò di sorridere. Si sentiva esausto, ma non voleva sfigurare di fronte a niente poco di meno che Tony Stark. Un tempo sarebbe andato fuori giri per un simile incontro.
«Non è la prima volta che perdo mia sorella. Ci sono abituato».
Stark fece spallucce.
«Cercavo solo di essere gentile».
«No, cercavi solo un modo per rompere il ghiaccio, perché l’unica cosa che ti preme sapere è come ho fatto ad hackerare Jarvis».
Stark lo fissò in silenzio per alcuni istanti. Poi sospirò.
«Mi hai beccato».
La risata di Larry suonò come un singulto strozzato.
«Non te ne faccio una colpa, al tuo posto anch’io sarei curioso. Ti inviterei ad accomodarti, ma come puoi ben vedere la mia cella è molto spartana».
Stark incrociò le braccia al petto e si appoggiò di schiena alla parete.
«Non fa niente, sto comodo così».
Larry fissava il vuoto, scartabellando tra i ricordi. Quei fori neri in mezzo alla faccia di Magda però lo perseguitavano. Scrollò la testa per scacciarli, come si fa con la bottiglietta del succo di frutta prima di aprirla.
«Riesci a immaginare, Stark, un cervello straordinario come il tuo relegato a un lavoro di ufficio? Un lavoro che un qualunque idiota google-munito potrebbe svolgere. Per quindici anni. Riesci a immaginare cosa significhi?». Larry si strinse nella spalle. «Tempo, noia e voglia di riscatto. Ecco il mio segreto».
«E un cervello straordinario».
Larry non riuscì a trattenere un sorriso. Quello era pur sempre Tony Stark. E gli aveva appena fatto un complimento. «Se progettassi un software capace di hackerare Jarvis, mi sono detto, diventerei ricco e potrei lasciare questo lavoro di merda. Poi è tornata mia sorella e il piano è cambiato. Abbiamo pensato che sarebbe stato più fruttuoso usare il software per progetti più ambiziosi. Volevamo vendere la formula del siero al miglior offerente, ma Magda ha fatto di testa sua». Eccoli di nuovo, i due buchi neri che lo scrutavano. «Come al solito, del resto».
«Jones, ascolta…».
«No, Stark». Scuotere la testa lo fece gemere di dolore, il salvataggio in extremis di Mason aveva lasciato qualche segno. «So già cosa vuoi chiedermi. Ma cerca di capirmi, non mi è rimasto più niente. Tra non molto verrò portato di fronte alla Corte Marziale, con l’accusa di alto tradimento. Fury si è premurato di informarmi che potrebbe scapparci la pena di morte. Il mio software è al sicuro, ma non ti dirò dove. Sapere di aver lasciato Tony Stark sulle spine sarà il mio premio di consolazione».
Stark era serio come la morte, adesso.
«Lo troverò in ogni caso, Jones. Mi ci vorrà solo più tempo del previsto».
Larry ghignò. «Può darsi di sì. Può darsi di no».
La porta della cella si aprì, lasciando entrare gli agenti Mason e McCallan, che allo sguardo interrogativo di Tony risposero: «Fury vuole interrogarlo».
Facendo leva sul bastone, Larry si tirò faticosamente in piedi.
«Non facciamo aspettare il grande capo».


Greg fece per bussare alla porta dell’ufficio di Fury, ma Jones poggiò una mano sulla sua spalla, chiedendogli con lo sguardo di aspettare un attimo.
«Grazie».
«Di cosa?».
«Di avermi salvato la vita. Probabilmente non sarà servito a nulla, ma ti dovevo almeno un grazie».
Greg si schiarì la voce, a disagio.
«Non c’è di che, Jones».
Lui abbozzò un sorriso.
«Sei un tipo a posto. In un’altra vita, forse, ti avrei chiesto di uscire».
Jones non si era ancora chiuso la porta dell’ufficio di Fury alle spalle, e già il sorriso abbacinante di Bree lampeggiava sul suo viso.
«Non una parola, Bree».
«Nemmeno “Te lo avevo detto?”».
«No».
Bree alzò gli occhi al soffitto.
«Ti rendi conto che l’unico uomo al mondo fatto apposta per te probabilmente verrà giustiziato?».
«Dacci un taglio!».
«Pensala come vuoi, ma questa è proprio sfiga!».



Elivelivolo
Infermeria
18:48

Quando Tony andò a dare un’occhiata a Bruce, trovò Jade sulla porta della stanza, un piede dentro e un piede fuori.
«Mi pareva di aver capito che anche lei dovesse stare in osservazione per…».
«Sì, mi hanno osservata tantissimo. Venga». Jade lo spinse fuori dalla stanza e chiuse la porta, scrutandola come se volesse minacciarla. «Non si sa mai. Magari finge di dormire e invece ci sta ascoltando, nei film è sempre così. Come quando entri in macchina, mai farlo senza guardare i sedili posteriori o…».
«La Ferrari non li ha, i sedili posteriori. A cosa devo questo inutile sproloquio?».
«Bruce non lo deve sapere. Che c’ero io, dico. Che mi poteva ammazzare davvero… cazzo, mi stava per ammazzare davvero!».
«Non mi dica…».
«Ok. Ok. Dovete trovare quel siero, o quel cazzo che è, e anche in fretta, ma adesso non importa. Adesso importa che lei vada subito a dire a Thor che io in mensa non c’ero, ho già avvertito anche Wilma, e poi ci sono le telecamere, lei è un genio playboy o tutte quelle stronzate che tutti ripetono sempre e ormai hanno anche rotto le palle, vada a manomettere quelle telecamere, diremo che Hulk le ha rotte, qualcosa del genere…».
Tony aggrottò le sopracciglia. «Dovrei risponderle “Agli ordini”?».
«Mi risponda quello che vuole. Basta faccia quello che le dico!».
«Un momento: per quale ragione dovrei fare tutta questa fatica? Mi pare di averle già fatto un favore notevole salvandole la vita, non le sembra di pretendere un po’ troppo?».
«Ma come per quale ragione? Ma dice sul serio? Per la ragione che Bruce non deve sapere di aver perso il controllo e avere quasi ammazzato la sua ragazza, perché se lo sapesse reagirebbe malissimo, le sembra una ragione valida?».
«Mi meraviglio di lei, Signorina Martin. Non era lei quella che minimizzava il problema? Forse se non è in grado di reggere lo stress che una simile relazione comporta, è meglio troncare subito. Lo dico per lei».
Jade si ritrasse come se l’avessero schiaffeggiata. Tony vide la furia, poi il dolore, alternarsi sul suo viso. Aprì la bocca un paio di volte, serrò i pugni, poi chinò la testa e gli diede le spalle.
«Faccia quello che preferisce, Signor Stark», gli disse prima di entrare nella stanza in cui era Bruce, chiudendosi la porta alle spalle.


Era colato via un altro quarto d’ora, un minuto alla volta. Jade sospirò. Non aveva idea di quanto ci avrebbe messo Bruce a svegliarsi, sapeva che non c’era una vera e propria regola, dipendeva da vari fattori e di sicuro lei non era in grado di calcolarli. Doveva solo avere pazienza.
Solo che lei non ce l’aveva, la pazienza. Aveva un’ansia che la faceva stare male, e una rabbia esagerata col mondo, ma soprattutto con se stessa.
Se non fosse stata una cicciona orrenda e golosa non sarebbe andata in mensa a fare la merendina, doveva dimagrire, che bisogno c’era della merendina. Se fosse stata calma avrebbe chiesto a Tony Stark di aiutarla con più gentilezza, e magari lui avrebbe acconsentito. Se fosse stata rapida avrebbe risposto a tono all’ultima affermazione del suddetto Stark, solo che la risposta le era venuta in mente con venti minuti di ritardo. Se fosse stata intelligente avrebbe preso più sul serio Bruce, invece di rompergli le palle per tutto quel tempo speso dietro al siero. E se non fosse stata una tragedia avrebbe saputo cosa fare quando Bruce si fosse svegliato, avrebbe saputo trovare le parole per dirgli che ok, si era cagata in mano, ma alla fine aveva capito, no? Non tutto il male viene per nuocere, lei era viva, lo appoggiava con tutta se stessa nel suo desiderio di combattere l’Altro, e ti prego non farti le seghe mentali, ti amo come Harley Quinn ama il Joker, sarà una cosa malata ma è vera.
Si alzò. Aveva bisogno di un caffè, sapeva che Bruce si sarebbe svegliato quando lei era alla macchinetta, ci avrebbe scommesso la mano destra, ma voleva un caffè. «Svegliati quando torno», borbottò, sperando che Bruce la sentisse, poi uscì dalla stanza contando gli spicci.
«Jade».
C’era Tony Stark, che stava venendo verso di lei. Lo fissò. Ringraziò il destino che le aveva dato l’opportunità di rispondergli per le rime, anche se in differita.
«Signor Stark, ho pensato a quello che mi ha detto: ha ragione, forse le ragazze normali non dovrebbero stare con i supereroi pericolosi. Magari se ne renderà conto anche Pepper, prima che succeda di nuovo qualcosa di brutto tipo quella volta dell'Extremis... glielo auguro vivamente».
Lui la guardò come si guardano gli idioti.
«Ero venuto a dirle che ho parlato con Thor e manomesso le telecamere».


Svegliarsi fu come nuotare verso la superficie dell’acqua: man mano che si avvicinava, la risalita diventava sempre più veloce. Emerse all’improvviso, boccheggiando. L’aria entrava a forza e gli scorticava i polmoni. Si ritrovò seduto su un letto, a tastarsi la faccia. Vedeva ancora il pugno di Magda venirgli incontro. Bocca, naso, occhi. Ogni cosa al suo posto, per fortuna.
«Finalmente, bello addormentato! Thor ci si è messo proprio di impegno con quella martellata sulla testa, eh?».
«Chiuda il becco, Signor Stark. Non vede che è ancora confuso?».
Sbatté un paio di volte le palpebre. Mise a fuoco la ruga di preoccupazione sulla fronte di Jade e il pizzetto di Tony.
«Cosa… dove…». Poi capì. La sua faccia non era diventa poltiglia per un motivo ben preciso. Rabbrividì. «State tutti bene? Voglio dire, non ho…».
La mano di Jade si posò sulla sua, era calda. E rassicurante. «No», disse.
Ma qualcuno aveva afferrato il sorriso di Jade alle due estremità e aveva tirato, allungandolo e stirandolo come un chewing gum. Tony invece sgranocchiava M&M’s, sembrava in posa per una fotografia. Bruce aveva acquisito una tale dimestichezza con quei due da comprendere che no, non stavano tutti bene.
«Chi? Magda? Dov’è? Come sta?».
Tony scosse il capo. Bruce si incupì.
«Ma non è colpa dell’Altro», si affrettò ad aggiungere Jade.
Tony annuì. «Ha fatto la fine delle cavie».
E qual è la differenza?
Jade parve leggergli nella mente e lo abbracciò di slancio, col viso rigato dalle lacrime. Bruce era un pezzo di legno tra le sue braccia, ma lei non si arrese, aumentò la stretta, e finalmente il calore ebbe la meglio: il groppo in gola si sciolse e Bruce si lasciò andare a un silenzioso pianto liberatorio.
Tony borbottò qualcosa, poi li lasciò da soli.



Domenica



Elivelivolo
Sala mensa
10:37

Deve essere questo l’aspetto di una lattina accartocciata vista dall’interno.
La squadra di operai era già a lavoro per ricostruire la sala mensa, mentre un’altra era impegnata a rimettere in piedi il laboratorio biochimico. Bruce camminava tra le macerie, ogni impronta del pugno di Hulk che individuava sul muro o nel pavimento era una gomitata nello stomaco. Non gli faceva bene stare lì, ma aveva bisogno di accertarsi con i suoi occhi che l’Altro non aveva fatto male a nessuno.
«Dottor Banner!».
Wilma stava agitando la mano, sorridente. Era seduta su un masso di cemento e sorseggiava una birra. Bruce non aveva mai scambiato più di due parole in croce con lei, ma gli sembrò sgarbato non andare a salutarla.
«Salve, Signorina Allen. Come» sta? Guardi, benissimo. Per fortuna che l’altro giorno lei non ha incrociato il mio cammino, altrimenti a quest’ora non sarei qui a fare conversazione. «procedono i lavori?».
Wilma mandò giù un sorso di birra e fece spallucce.
«I lavori, non saprei. I figoni, invece, malissimo. Dico, era tanto pretendere che assumessero qualcuno di decente? Guardi lì, quel tizio. Cosa se la mette a fare la maglietta, se sotto ha un maglione di pelo?».
Bruce si schiarì la voce, a disagio. Wilma lo squadrò dalla testa ai piedi, col sopracciglio inarcato.
«Lei come sta?».
«Io?».
«Sì, lei. Sembra esausto. Stando a quello che ho sentito, ci ha salvato da una specie di superwoman. Sarà stato faticoso. Ha dormito un po’, almeno?».
Bruce sgranò gli occhi. Jade gli aveva raccontato che Wilma aveva il vizio di uscirsene con frasi inopportune del tipo “In fondo Loki non è cattivo, ha solo avuto un’infanzia difficile”, ma non l’aveva mai presa sul serio, pensava che la sua fosse un’esagerazione. Te l’avevo detto, disse la voce di Jade nella sua testa.
«Ah-ehm. Non lo so. Sono solo contento che la sala mensa fosse vuota, quando» ho cominciato a giocare al piccolo bulldozer verde «tutto è cominciato. Lei… Non» le ho fatto del male, vero? «era in sala mensa, dico bene?».
Wilma fece di no con la testa. «Ero in cucina. Stavo prendendo un pezzo di crostata per Jade, le viene sempre fa-». Sbarrò gli occhi. «Oh, cazzo!».
A Bruce parve che il soffitto gli fosse crollato addosso.
«Sta forse dicendo che» ho rischiato di ammazzare Jade? «che Jade era qui?».



Elivelivolo
Alloggio privato di Jade Martin
10:54

«Perché non mi hai detto la verità?».
«Lo sai benissimo perché, Bruce».
Certo che lo sapeva. Gli bastava guardarsi allo specchio o guardarla negli occhi, per capirlo. Non riusciva nemmeno a sostenere il suo sguardo, tanta era la vergogna che provava. Il solo pensiero di averle quasi fatto del male, di aver rischiato di perderla per sempre, gli faceva tremare le mani. Non di rabbia (l’Altro era rannicchiato in un angolino della sua mente, a fare ammenda), ma di paura. Una fottutissima paura. Serrò i pugni per fermare il tremore, ma si calmò soltanto quando il palmo caldo di Jade si posò sulla sua schiena. Bruce si prese la testa tra le mani.
«Come puoi tollerare di toccarmi, anche solo di starmi vicino, dopo quello che ti ho fatto?».
«Non sei stato tu, perché dovrei avere paura di te?».
Bruce la guardò come se fosse pazza.
«Jade, quest’esperienza dovrebbe averti insegnato che non c’è alcuna differenza tra me e l’Altro».
«Certo che c’è differenza!».
«No, invece. La prima volta che ci siamo incontrati ne eri ben consapevole, ti ricordi? Eri terrorizzata da me!».
Jade sbuffò.
«Solo perché non ti conoscevo. Poi mi hai riparato la lavatrice. E un uomo che aggiusta la lavatrice di una sconosciuta senza chiedere nulla in cambio, o è un rimorchiatore seriale, o un uomo buono. Indovina a quale categoria appartieni tu!».
Bruce scattò in piedi dal divano, come attraversato da una scossa elettrica.
«Dannazione, si può sapere come fai?».
Jade inarcò un sopracciglio.
«A fare cosa?».
«A farmi sentire…». Bruce sospirò, esausto e sconfitto, e le sue spalle si afflosciarono come un palloncino sgonfio. «…normale. Sempre. Anche adesso, che avresti tutto il diritto di trattarmi da mostro». Jade fece per aprire bocca, ma lui la anticipò. «No, aspetta. Fammi finire. Questo periodo insieme a te… è stato uno dei più felici della mia vita. Erano secoli che non mi sentivo… solo e soltanto un uomo. Ma per tutto questo tempo una parte di me non ha fatto altro che ripetere che non meritavo questa felicità, che non ne avevo diritto. Forse quello che è successo sabato è la conferma che quella parte di me ha ragione, che non sono destinato a…».
«Stronzate, Bruce!». Anche Jade si era alzata, adesso. Gli aveva preso le mani e lo guardava dritto negli occhi. Bruce lesse una risolutezza inamovibile nel suo sguardo. «Ascolta, tu avevi ragione da vendere ed io torto marcio. Il lato positivo di questa faccenda è che l’ho capito. Non sottovaluterò mai più Hulk, te lo prometto. Ma è la mia opinione su Hulk ad essere cambiata, non quella su di te. Non so che cazzo ci trovi in me, ma continuerò a starti accanto se me lo permetterai, a romperti le scatole, ad incazzarmi per niente e a lamentarmi del tuo disordine, come ho sempre fatto. Perché tu sarai sempre il solito Bruce, per me: quello che perde le scarpe in sei metri quadrati di stanza e le ritrova dopo due mesi, quello che mi cede le sue fettuccine anche se sa che sono a dieta, quello che si ricorda tutte le cose che dico, anche le minchiate. Non è. Cambiato. Niente. Ho solo cominciato a prendere Hulk sul serio. Non è un pupazzo di gomma con cui giocare, ricevuto. Adesso andiamo avanti, però».
Jade, l’insicurezza fatta persona. Jade, la ragazza con la più bassa autostima che avesse mai conosciuto. Jade, che se le facevi un complimento, storceva il naso e rispondeva “Mi stai prendendo per il culo, per caso?”. Jade, che nei momenti importanti, quelli che contavano davvero, prendeva le redini e si trasformava in un’Amazzone. Senza nemmeno rendersene conto.
Ridotto a un budino tremolante, Bruce le sorrise.
«E non potevi dirmelo subito, invece di far manomettere le telecamere?».
Il grumo di preoccupazione si sciolse negli occhi di Jade, come una zolletta di zucchero nel caffè. E sorrise anche lei.
«Lo sai che sono una tragedia, no?».
Non resistette più, la baciò.
Mentre la spingeva verso il letto, mentre lei gli si abbarbicava alle spalle per non cadere, mentre le strappava di dosso i vestiti con una foga degna di Hulk, Bruce pensò che Jade non era affatto una tragedia. Jade era una commedia. Una commedia degli equivoci, magari. Una commedia degli equivoci frizzante e divertente. E come tutte le commedie degli equivoci che si rispettino, anche Jade meritava un lieto fine.



Lunedì



Elivelivolo
Lavanderia
11:30

Era una specie di rito ormai, che si ripeteva ogni mattina salvo imprevisti.
Il profumo caldo e unto di hot-dog e cipolle fritte precedeva l’arrivo di Bruce sempre di qualche secondo, perché Jade diventava sensibilissima all’odore del cibo quando era affamata. Così, tutte le volte che Bruce entrava in lavanderia esordendo con un “Ah-ehm, disturbo?”, lei era già pronta ad accoglierlo con un gran sorrisone da scema.
«Disturbo?».
Che fine aveva fatto l'ah-ehm? Ma il brontolio allo stomaco la distrasse subito.
«Finalmente, stavo morendo di fame!».
Bruce abbozzò un sorriso accondiscendente, mentre poggiava il pacchetto fragrante e appiccicoso di mostarda sulla Lavatrice Tragedia. Jade si accaparrò l’onore di scartarlo.
«Hai impegni questo weekend?».
«No, perché?», rispose lui.
«Pensavo che potevamo scendere a New York, prenderci due giorni tutti per noi».
Bruce non si accarezzò la nuca, non si aggiustò gli occhiali sul naso, non tergiversò col solito ah-ehm. Disse solo: «Mi piacerebbe molto».
L’ultima asciugatrice della fila in fondo emetteva un fastidioso zsssssssss già da qualche giorno, ma Jade aveva messo in pratica un’antichissima tecnica cinese, nota ai più come “Regola dello struzzo”, ovvero “Ficca la testa nel cazzo di buco, vedrai che prima o poi tutto tornerà come prima”. Così diede un morso al panino e sorrise a Bruce.
«Allora, che faccio? Prenoto una camera d’albergo?», chiese dopo aver mandato giù il boccone.
«Ci penso io».
«Stasera vengo da te, così definiamo di dettagli. C’è una mostra che mi piacerebbe tanto andare a vedere, sabato pomeriggio».
«Certo, mi sembra un’ottima idea».
«Bruce, va tutto bene, vero?».
Stupida, stupida, stupida. Mai trasgredire la regola dello struzzo!
Lui le passò il pollice sul mento e sorrise, mite come sempre.
«Avevi un po’ di mostarda sul mento. Sei peggio di una bambina, quando mangi».



Elivelivolo
Alloggio privato del Dottor Bruce Banner
19:30

Un bruttissimo presentimento le era ronzato in testa per tutta la giornata, come il fastidioso zsssssssssss dell’asciugatrice che nonostante i pugni e i calci non aveva voluto saperne di smetterla. Così, finito il turno serale alla lavanderia, si era precipitata da Bruce senza nemmeno passare dal suo alloggio per togliersi la divisa di dosso.
Solo che Bruce non c’era.
Forse è in laboratorio, fu il suo primo pensiero.
No, cretina, fu il suo secondo pensiero.
Perché il laboratorio era stato raso al suolo da Hulk e dalla maledetta stronza. E perché l’alloggio era vuoto, quel genere di vuoto che segue a una razzia. Jade si aggirò per le stanze come in trance. In bagno mancava lo spazzolino da denti. C’erano fogli e libri sparpagliati per tutto il pavimento, come se qualcuno li avesse scartati frettolosamente mentre scavava nel mucchio. Il cassetto della scrivania era aperto, vuoto. Le ante dell’armadio erano spalancate, c’erano ancora un sacco di vestiti dentro, ma Jade non si illudeva: il borsone da viaggio, la tracolla e il giaccone invernale che gli aveva regalato per il compleanno erano scomparsi, insieme a qualche altro indumento. Mi piace viaggiare leggero, le aveva detto una volta. Il letto era sfatto ancora dalla notte scorsa, quando lei e Bruce…
No, non ci pensare adesso.
Jade ricacciò indietro le lacrime. Sul cuscino c’era un biglietto. Certo, anche il biglietto, dovevano attenersi proprio a tutti i fottuti cliché del caso, se no non andava bene.
Ti meriti un lieto fine, diceva il biglietto.
Mise il biglietto a posto, dove lo aveva trovato, sul cuscino. Aprì il comodino, dentro c’era una scarpa, quella che lui aveva cercato in lungo e largo e non aveva mai trovato.
E la lanciò contro la parete con tutta la forza che aveva nel braccio.
«LIETO FINE UN PAIO DI PALLE!».



Martedì



Elivelivolo
Ufficio del Direttore Nick Fury
10:45

Qualcuno bussò alla porta del suo ufficio ed entrò senza aspettare che gli desse il permesso.
«Prego, Stark. Accomodati, fai come se fossi a casa tua».
Tony lo prese in parola, si sedette sul bordo della scrivania, prese due tagliacarte e cominciò a giocarci come il lanciatore di coltelli di un circo. L’occhiataccia di Fury ricevette in risposta un gran sorrisone.
«Allora, Dottor House ha vuotato il sacco?».
Fury aggrottò la fronte. «Chi?».
«Il tizio col bastone. Jones». I tagliacarte piroettarono in aria, per poi cadere dalla parte del manico nelle mani di Stark. «Ha detto dove è stata sua sorella negli ultimi quindici anni?».
Fury tornò ai fottuti rapporti da firmare.
«No. Sostiene di non sapere nulla».
I tagliacarte vennero rimessi a posto, sulla scrivania. Stark afferrò il portapenne col logo dello SHIELD e se lo rigirò tra le mani, studiandolo con sguardo perplesso.
«E tu gli credi? Non avete un siero della verità o qualcosa di simile allo SHIELD? A cosa vi servono i soldi dei contribuenti? A far spiare gli onesti cittadini?».
Fury per poco non bucò il foglio con la penna.
«Fatti i cazzi tuoi, Stark. Altrimenti potrei decidere di farmi quelli tuoi. Cominciando col chiederti cosa hai intenzione di fare con la formula del siero, ad esempio».
«Pensavo che te li fossi già fatti, i fatti miei». Anche il portapenne venne rimesso a posto. La mano di Stark si allungò vero l’interruttore della piccola lampada da scrivania, ma Fury fu più veloce e la spostò poco più in là, lontano dalla sua portata. Stark sbuffò. «Comunque sia, non è che ci sia molto da dire ormai. Prima di dileguarsi, Bruce ha distrutto tutto quello che c’era da distruggere e rimosso tutto quello che c’era da rimuovere dalla memoria di Jarvis».
«E hai il coraggio di fare la morale a me? Jarvis è diventata una fottuta puttana, lascia entrare chicchessia».
L’espressione di Stark era quella di un padre ferito nell’orgoglio.
«Ehi, Bruce aveva l’autorizzazione per fare quello che ha fatto! E poi non rigirare la frittata: tra noi due, non sono io quello che è stato spiato da un suo dipendente». Fury inarcò il sopracciglio. Tony roteò gli occhi. «D’accordo, d’accordo. Tra noi due, non sono il solo a essere stato spiato da un suo dipendente».
Fury ghignò, compiaciuto.
«Sempre a proposito di fatti tuoi, non avevi smesso di giocare al supereroe? Pensavamo tutti che…».
«E non sei contento che quello che voi pensavate fosse evidentemente sbagliato?».
La faccia da culo di Stark gli fece venire voglia di prenderlo a schiaffi, ma preferì cambiare argomento.
«Che mi dici di Banner, invece? Pensi di andare a riprendertelo?».
«Tu che mi dici di Banner. Lo SHIELD pensa di andare a riprenderselo?».
Fury incrociò le mani sotto al mento, guardando Stark dritto negli occhi.
«Lo SHIELD sa dove si trova. E tanto basta».
La risposta sembrò soddisfarlo.
«Concordo. Ha bisogno di starsene un po’ per conto suo».
«Bene, adesso che ci siamo chiariti…». Fury si mise in piedi e indicò la porta. «Ti sarei grato se alzassi il tuo fottuto culo dalla mia fottuta scrivania e ti levassi dalle fottute palle».
«Dovresti cercare di rinnovare il repertorio, vecchio mio. Stai diventando monotono», rispose Stark, sorridendo, poi si allungò sopra la scrivania.
La luce della lampada si accese.
E si spense.
Si accese, e si spense.
Si accese e si spense, si accese e si spense, si accese e si spense, si accese…
«Cazzo, Stark. Ho. Detto. FUORI DA QUI!».



Il giorno del bucato



Elivelivolo
Lavanderia
8:00

Alla fine, cosa vuoi che sia? L’ennesimo tizio che mi ha spezzato il cuore. E considerato che almeno l’ha fatto per un motivo serio, e non per sostituirmi con la sosia di Putin, direi che mi è andata anche bene. È vero, adesso stai malissimo, ma poi passa, tutto passa, i cuori si spezzano ma poi si aggiustano. Hai ancora un paio di giorni in cui puoi disperarti, poi arriva il momento metaforico in cui Madre apre la finestra e dice “E allora buttati di sotto, se sei così disperata”, e tu capisci che non sei così tanto disperata e la tua vita può ripartire.
Concentrati sulle piccole cose, sui bisogni contingenti. Tipo capire da dove cazzo viene tutta quest’acqua, è inutile asciugare per terra se continua a uscire, è come quella storia di Sant’Agostino e dell’angelo che gli dice che è come pensare di svuotare il mare con uno straccio e un secchio… non era così, e poi che cazzo sto pensando, ho una laurea inutile e non mi ricordo nemmeno più le cose che ho studiato, e quest’acqua viene dalla Lavatrice Tragedia e ci vorrebbe San Bruce che me la aggiusta come la prima (anzi, era la seconda) volta che ci siamo visti, solo che San Bruce non c’è, se n’è andato perché… perché…

«Senti, tesoro della zia, questa lavanderia mi pare abbastanza allagata anche senza che tu ci aggiungi le tue lacrime».
«Cazzo, Bree, non sto piangendo!».
Jade si asciugò le lacrime cercando di non farsi vedere. Bree alzò un sopracciglio e si avvicinò camminando come una ballerina sulle parti asciutte del pavimento.
«Insomma, Greg si dispera perché ha finalmente incontrato la sua anima gemella che verrà messa davanti alla Corte Marziale e probabilmente giustiziata, tu perché il tuo bello se n'è andato... Dove sono finito, in una telenovela messicana? E in tal caso, dov’è Santiago lo stalliere?».
«Vaffanculo, Bree».
«Ah, no, senti, mandarmi a quel paese non ti servirà a niente. Affronta i problemi, no? Sei She Hulk, She Hulk non piange!».
Jade tirò su col naso. Lo guardò. Si stava furtivamente specchiando nell’oblò della lavatrice, ma era un agente scelto. Lei conosceva un sacco di agenti scelti, più un pugno di autentici supereroi.
«Hai ragione, She Hulk non piange perché Bruce l’ha lasciata».
«Così mi piaci, tesoro! Ora dai retta alla zia Bree, chiama qualcuno che ti risolva questo casino e stasera ti porto in un locale che…».
Jade diede un pugno fortissimo alla Lavatrice Tragedia, che fece bzzz e poi si bloccò del tutto. Bree temette che si fosse rotta la mano.
«She Hulk se lo va a riprendere, e quando lo ritrova gli spacca la faccia, quanto è vero Dio!».




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EDIT 09/05/2015: Se siete curiosi di scoprire se Jade alla fine è riuscita a riprendersi Bruce, leggete "La storia della mia vita".




Note di Dragana:
Tutto è partito con un “ho in mente questa scena in cui c’è Hulk che sta per uccidere Jade, arriva Thor ma viene sbalzato via, lui fa per darle un pugno ma all’ultimo momento lo devia, poi arriva Tony e la salva, e lei capisce che Hulk è pericoloso”. Capito la minchiata? E sarebbe rimasta tale, se a vannagio non fosse piaciuta l’idea (perché è una fanghèrl). E quindi attorno a questa scena abbiamo plottato tutta la storia. E poi ha voluto che la scena la scrivessi io, e poi non si è accontentata di una scena sola, e meno male che lei è più veloce di me, così alla fine ha fatto quasi tutto lei e la storia è venuta bella, che se dovevo farla io veniva un pastrocchio e basta. Almeno, a me questa storia piace, liberissimi di piantarmi bandierine rosse nel cuore gridando “Hulk spakka!”, tanto non avrete difficoltà a distinguere il poco che ho scritto: sono le parti meno belle.
Però due cose ve le devo dire.
Primo, il finale ha fatto più male a noi.
Secondo, chi non ama Magda puzza.
Terzo, grazie mille a chiunque sia arrivato a leggere fin qui, a chi si è divertito e a chi segue i deliri di queste due fanghèrl che si divertono tanto, e se vi divertite anche voi, io sono contenta. Genuinamente.
Oh, erano tre cose, non due!




Note di vannagio:
Mettiamo subito in chiaro una cosa. Le scene scritte da Dragana non sono “le meno belle”, come dice lei. Sono belle, punto e basta. Non datele retta.
Quando Dragana mi ha parlato della scena che aveva in mente, stavo già pensando di scrivere una storia in cui Bruce e Tony cercavano di sintetizzare una cura per Hulk. Così, ho pensato subito, perché non unire le due cose e provare a scrivere una storia d’azione? Il plottaggio della trama via chat è stato immediato. È seguito poi un periodo di assestamento, durante il quale è uscito al cinema Iron Man 3 ed è cominciato Agents Of SHIELD. A quel punto ci siamo dette “Ora o mai più”.
La storia è ambientata subito dopo i fatti di “Thor: The Dark World” e l’episodio 1x08 di Agents of SHIELD “The Well”. Per chi ha visto l’episodio (SPOILER): alla fine lo SHIELD ce l’ha fatta a rintracciare Thor… altrimenti che cacchio di organizzazione spionistica internazionale sarebbe?
Esattamente come la mia socia, sono felicissima di aver scritto questa fanfiction. È la prima volta che provo a scrivere una storia a quattro mani ed è stata un’esperienza bellissima, sicuramente da ripetere (se Dragana acconsentirà, ovvio).
Detto ciò, ringrazio Dragana, per aver intrapreso questa piccola avventura insieme a me; OttoNoveTre, per aver testato la storia facendoci da cavia (fortunatamente non le è esploso il cervello mentre leggeva); chiunque passerà da queste parti.
A presto.
   
 
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