Storie originali > Generale
Ricorda la storia  |      
Autore: GoNonnaGo    23/11/2013    0 recensioni
Mi sento un mostro, avrei voluto solo il meglio per lei, ma a quanto pare avevo fatto un enorme errore, mi ero dimenticato che era una persona sensibile, e le persone sensibili bisogna trattarle con cura. Ciò che tutti facevano con me io lo feci con lei. L’abbandonai.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
Espira, inspira, espira, inspira, mi ripetevo tra me e me. Poi all’improvviso dalla porta uscì un uomo, urlò:
“Jack Dallivan.”
Feci un passo avanti e dissi:
“Eccomi.”
Mi portò in un’altra stanza, davanti a una decina di persone dietro una cattedra, io ero li. Davanti a loro c’ero io. Mi sudavano le mani, le ginocchia mi tremavano e l’unica cosa che pensai fu:
“Espira, inspira, espira, inspira.”
Un uomo con dei lunghi baffi bianchi dietro la cattedra si alzò, mi guardò e mi chiese:
“ci dica, perché vuole questo lavoro ?”
“Non so, ho 33 anni e non ho mai avuto un vero lavoro. Vorrei questo lavoro perché un giorno vorrei alzarmi la mattina, salutare mia moglie, portare mio figlio a scuola e entrare in un posto in cui verrò apprezzato per i miei sforzi.”
Passarono un paio di minuti e un uomo basso e pelato con aria stanca mi disse:
“Sa, ho iniziato a lavorare qua all’età di 22 anni, se vuole fare carriera è arrivato tardi.”
Non esitai a rispondere e dissi:
“Ma io non voglio fare carriere, vorrei solo avere uno stipendio stabile.”
“Le faremmo sapere”, mi dissero.
Passarono 3 mesi e non avevo un lavoro, una famiglia, una macchina e nessun amico.
Sconfitto dalla vita, andai al supermercato a comprare del gelato.
Nella strada di ritorno vidi un ragazzo aspettare alla fermata dell’autobus con dei fiori, erano delle splendide margherite. Passando di fronte a lui urlai:
“Smettila di aspettare, lei non ti pensa e tu finirai per diventare un uomo di 33 anni disoccupato e solo.”
Ancora oggi non so perché urlai quelle cose, il mio psicologo dice che mi rivedevo il quel ragazzo, perché anch’io un tempo ero piena di speranza. Aveva ragione, un tempo avevo una moglie, un lavoro che amavo e tanti amici. Poi persi il lavoro, mia moglie mi lasciò e i miei amici mi abbandonarono. No, non preoccupatavi succederà anche a voi.
Due settimane dopo presi un aereo, lascia New York e andai a Vienna. Una volta arrivato andai da mio zio. Derek, era un uomo simpatico, con un sorriso sempre stampato in bocca e con l’ottimismo in tasca. Mi accolse come si accoglie il Natale, e dopo vari abbracci e varie domande, mi indicò la stanza in cui mi avrebbe ospitato. Un giorno mi dimenticai di rimettere il latte nel frigo e mi disse:
“Ricordati, la vita è come il latte. Se lo lasci troppo fuori dal frigo diventa acido.”
Non capii mai cosa volesse dire. Risposi dicendo che non dove fare tutte queste storia per una mia dimenticanza.
Rimasi da mio zio per un mese, poi un giorno svenne in cucina. Lo portai all’ospedale e mi dissero che zio Derek era molto malato, non mi ricordo molto bene la malattia, era una parola impossibile da dire. Morì una settimana dopo, in una stanza dell’ospedale con solo me nella stanza. Zio Derek non aveva nessuno, tranne me. Io e lui non parlavamo molto, l’unica cosa che mi disse nell’ultima permanenza che ebbi da lui fu:
“Ricordati, la vita è come il latte. Se lo lasci troppo fuori dal frigo diventa acido.”
Ora riuscivo a capire cosa voleva dire. Per qualche assurdo motivo penso che il latte sia io e il frigo la felicità. E che se rimani per molto tempo senza felicità alla fine diventi acido.
Lasciai Vienna e con varie richieste di autostop arrivai in Italia. Li trovai lavoro come fabbro, un signore molto simpatico mi ospitò fino a quando non avessi trovato altro posto.  Ogni mattino a malavoglia mi alzavo alle 5  e tornavo alle 22.  Però una mattina fu diverso, cioè io ero uguale, ma mentre lavoravo vidi da una finestra una ragazza. Era triste , piangeva in silenzio. Mi avvicinai e la guardai poi come se non mi volessi far sentire gli chiesi:
“Stai bene ?”
Lei mi guardò, fece un falso sorriso e se ne andò. Sapevo che era un falso sorriso, perché ogni giorno è lo stesso che faccio anch’io. Poi all’improvviso senti qualcuno urlare il mio nome.
“JACK ! JACK !”
Davanti a me c’era il mio capo, Cesare, un uomo alto e con una barba castano chiaro. Mi disse:
“Cosa ci fai qui ? Non dovresti lavorare ?”
Risposi dicendo che avevo sentito piangere una ragazza e mi ero avvicinato per sapere come stava. Mi guardò e dopo pochi minuti mi chiese di raccontarmi com’era fatta questa ragazza. Gli dissi:
“Una ragazza giovane di appena 15 anni, alta, con dei capelli sciolti di colore castano chiaro.”
Se ne andò ed io continuai a lavorare. Non rividi più quella ragazza per molti mesi. Una mattina mentre cercavo un guanto che mi era caduto la trovai. Era li, in una piccola stanza che piangeva piano, aveva dei brutti tagli sulle braccia, come se un gatto si divertisse a graffiarle le braccia. Mi guardò e mi sorrise, cercò di andarsene, ma io la presi per un braccio. Disse di non farle del male, io la tranquillizzai dicendole che non le avrei fatto niente. Mi raccontò di chiamarsi Alice, di essere la figlia di Cesare e che le dispiaceva di avermi disturbato. L’abbraccia, e dopo pochi minuti gli chiesi cos’aveva. Lei non rispose. Io gli rifeci la domanda. Aspetto un paio di minuti e mi fecce promettere di non dire niente a suo padre, gli disse che non avrei fiatato. Sorrise e disse:
“Mia madre tradiva mio padre, e da un suo tradimento nacqui io. Mio padre non seppe mai niente. Poi mia madre si ammalò gravemente e sul letto di morte, per togliere ogni senso di colpo che aveva disse a mio padre che io ero nata da un suo tradimento. Mio padre era rabbioso, come quando leggi un giallo e alla fine l’autore non ti rivela il colpevole.”
Prese fiato, aspetto un paio di secondi e continuo dicendo:
“Mio padre mi picchia ogni giorno, dice che sono un fallimento e che non mi farà vivere una vita orrende. So perché lo fa, lui odiava la mamma per quello che gli aveva fatto, ma non potendo prendersela con lei, picchia me. Ti prego non dire niente a nessuno.”
Ero sorpreso, disgustato da quello che faceva il padre e impotente, poiché avrei voluto aiutarla ma non sapevo come. Le strinsi la mano e le disse che domani sarei tornato qua.
Il giorno seguente tornai ma lei non c’era. Riprovai a ritornare li per un’intera settimana, poi l’ottavo giorni, ritornai e la vidi. Mi avvicinai e senza chiederle dov’era stata gli diedi un libro “Irvine Welsh – Trainspotting.” Lo guardò, mi sorrise e mi ringraziò. E’ appena uscito, lo scrittore è un genio dissi.
Tornai li ogni giorno e parlavamo. Io gli raccontavo ciò che succedeva nel mondo, poiché lei non poteva avere accesso a nessun messo di comunicazione, tv, radio. Suo padre le faceva leggere solo libri. E lei mi raccontavo tanti, tanti libri. Era stupenda, passavano  gli anni, i mesi, i giorni, le ore e i minuti e io continuavo a trovarla ogni giorno sempre più splendida. Per il suo diciannovesimo compleanno le comprai una mini torta a forma di candelina. Mi sorrise, aveva un sorriso davvero contagioso. E alla fine quando gli disse che me ne stavo andando lei mi disse:
“No. Resta ancora.”
Gli dissi che non si doveva preoccupare, sarei tornato domani. Gli scese una lacrima e mi sorrise. Non riuscivo a capire. In realtà l’avevo salutata prima perché il giorno precedente avevo ricevuto una chiamata da una ragazza conosciuta a Vienna, le avevo chiesto di sposarmi e lei mi mandò a quel paese. Ieri mi aveva richiamato. Dopo quattro anni si ricordava ancora di me. Decisi che fra poche settimane sarei partito per rincontrala, dovevo solo trovare il modo di dirlo ad Alice. Il giorno seguente rividi Alice ed ero pronto a dirgli che tra poco sarei dovuto partire, ma mentre cercai di dirglielo mi prese la guancia e mi diede un bacio, ma non tipo quello che si da alla nonna dopo che ti regala 5 euro, era qualcosa di più e io lo capii. Gli dissi che domani presto sarei partito per Vienna. Se ne andò. Il giorno dopo partii, denuncia il padre di Alice. Penserà che io sia un essere spregevole e crudele, ma a me va bene cosi. Dopotutto nessuno mi ha mai realmente amato. Oggi, più o meno  dieci anni dopo sono felice, non pensavo che l’avrei mai realmente detto. Sono sposato da 5 anni, ma non con la ragazza per cui abbandonai l’Italia. No, niente a che fare con quella storia, una volta arrivato a Vienna scopri che quella ragazza era una pazza che mi aveva chiamato da un penitenziario, e per quanto fossi pazzo e disperato, non mi sarei mai messo con lei. Tornai a New York e trovai un lavoro fisso in quella azienda a cui tempo fa avevo fatto un colloquio. Conobbi una ragazza stupenda, la sposai, ebbi due figli e tanti amici. E circa un’ora sono tornato in Italia da Alice, ad aprirmi fu il padre.
“Buongiorno Cesare, non so se si ricorda di me. “ dissi.
Lui mi sputò e mi urlo:
“SI, MI RICORDO DI TE, MIA FIGLIA LA NOTTE CHE TE NE SEI ANDATO A SCRITTO UNA LETTERA IN CUI AFFERMAVA CHE SI SAREBBE SUICIDATA PERCHE’ “IL SUO GRANDE AMORE” L’AVEVA LASCIATA.”
Capii che il padre avrebbe voluto ammazzarmi, e credetemi per come mi sentivo l’avrei anche lasciato fare, ma per qualche oscuro motivo corsi. Ed ora sono qui, nel posto dietro casa in cui io e Alice ci incontravamo, a scrivere. Mi sento un mostro, avrei voluto solo il meglio per lei, ma a quanto pare avevo fatto un enorme errore, mi ero dimenticato che era una persona sensibile, e le persone sensibili bisogna trattarle con cura. Ciò che tutti facevano con me io lo feci con lei. L’abbandonai. 
  
Leggi le 0 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Generale / Vai alla pagina dell'autore: GoNonnaGo