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Autore: Fujikofran    23/11/2013    0 recensioni
[Artisti musicali]
ispirata a un brano di Colapesce, "Oasi" (2012), una songfic che parla di un viaggio di una coppia di oggi, in tempi di stipendi magri e di crisi economica e di valori
Genere: Introspettivo, Malinconico, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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"L'autostrada sputa fuoco

Sembra un drago

Il tuo seno lavica

La terra trema

Cerco l'oasi di servizio

Non la trovo

Tu che goccioli al mio fianco

Quasi muoio" (Colapesce)


Bene, la songfic, invece, è tutta vista dal punto della protagonista femminile della canzone “Oasi” di Colapesce (2012)
 

Avevamo programmato le nostre ferie, per settembre, perché, dicevi tu, avrebbe fatto meno caldo e i prezzi degli alberghi sarebbero calati rispetto ad agosto. Avremmo trovato poco traffico, partendo all’alba, per viaggiare verso la tua terra, la Sicilia, e per vedere spuntare il sole. La tua automobile, una vecchia Peugeot senza aria condizionata, avrebbe solcato l’Autosole con poche soste. Avevamo pensato di farne il meno possibile, perché percorrere tutta l’Italia costava tempo e denaro. Il tempo, appunto, era poco, e il denaro…anche. I nostri stipendi, il tuo da operatore di call center e il mio, come hostess saltuaria nelle fiere e ai congressi, erano miseri, ma quel poco che avevamo cercavamo di farcelo bastare, salvo poi buttarlo in happy hour e bevute di vino con amici, quei pochi sinceri che ci chiamavano il fine settimana. Avevamo l’elenco pronto di ciò che dovevamo portarci dietro: le valige, le bottigliette d’acqua, i panini da mangiare in una piazzola di sosta, i giubbotti leggeri “perchènonsisamai”, gli ombrelli, i notebook, i cd con le nostre canzoni preferite, sempre quelle (altrimenti che preferite erano?) e l’elastico per i capelli: non dovevo dimenticarlo! Non mancava nulla, se non la benzina, che dovevi passare a mettere al distributore self service. Quanto era arrivata a costare, la linfa vitale per la tua Peugeot! Partimmo una domenica mattina, per non trovare mezzi pesanti e, soprattutto, traffico. Infatti, ce ne era pochissimo. E se l’alba ci aveva salutati al Nord, la terra dove eravamo emigrati dal alcuni anni, il sole picchiava quando eravamo già a Sud, all’ora di pranzo, quando ci rendemmo conto che avevamo dimenticato i panini. Nella stessa busta c’erano anche le bottigliette d’acqua. Come li avremmo trovati, quei panini, al ritorno? Ammuffiti? Secchi? Fatto sta che non avevamo cibo né acqua e avevamo bisogno di trovare una stazione di servizio. L’autostrada era come se sputasse fuoco, il caldo anomalo di settembre arroventava tutto e dall’asfalto il caldo penetrava nell’auto e dentro di noi, mentre io sudavo da morire e tu cercavi di sdrammatizzare, facendomi i complimenti e cambiando spesso cd. La nostra musica indie, i tuoi occhiali da sole graduati, i capelli mossi quasi ricci e la barbetta incolta…tu, tipo hipster per eccellenza, con la camicia a quadretti beige e bianca, i bermuda marroni e le All Star rosse ai piedi, io vestita di nero (scelta più sbagliata, perché il nero attira il calore, ma almeno erano abiti leggeri), con la mia canotta succinta e tu che mi guardavi i seni, piuttosto che la strada. Avevi acceso la radio, che dava fastidio, poiché era disturbata da interferenze. Faceva davvero troppo caldo, il finestrino aperto non serviva a nulla se non a far entrare una mosca, che cercavo di scacciare con la mano sinistra, mentre avevo iniziato a cantare. E tu che mi dicevi che la mia voce era meglio delle nostre canzoni, che era il concerto più bello del mondo, come se avessi con te un biglietto in prima fila, privilegiato nell’ascoltare le note che uscivano per disperazione dalla mia bocca e dalla gola assetata. Quanti chilometri mancavano per arrivare alla prima stazione di servizio? Non molti ma ci sembrava un’eternità, come se dovessimo raggiungere un’oasi introvabile. Avevo sete, fame, caldo e tu guidavi per non sentirti morire. A un certo punto era come se avessimo le traveggole, un miraggio si stava parando davanti ai nostri occhi: finalmente avremmo mangiato, bevuto, fatto pipì, pronti per ripartire fino alla prossima “oasi di servizio”. Poco prima di rimetterci in macchina, facevo arieggiare il mio posto a sedere, lasciando la portiera aperta, mentre tu, dall’altro lato, ti eri messo con le spalle appoggiate alla vettura, le braccia conserte e te ne stavi silenzioso, con lo sguardo rivolto verso la strada. Sapevi già che quello era il nostro ultimo viaggio insieme, perché, proprio dopo la vacanza, la nostra storia non ci sarebbe stata più.  

 
https://www.youtube.com/watch?v=MxnaD3FM2cM
   
 
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