Eccomi di nuovo qui con una storia su Slam dunk. Nello specifico è su
Mitsui, che personalmente adoro.
Ovviamente i ragazzi di Slam dunk non sono miei, ma dell’eccelso Inoue.
^_^
^_^ Buona lettura. ^_^
^_^
CARPE DIEM
Pow di Mitsui.
Carpe diem… Cogliere
l’attimo… La nostra prof. di filosofia è proprio fissata. Ogni volta che
finisce la sua lezione ci dice sempre questa frase. Ed ogni volta un pensiero
si affaccia alla mia mente. Come è possibile cogliere l’attimo? Nel momento
stesso in cui cerchi di afferrarlo, è già passato. È impossibile cogliere
l’attimo.
“Sempai Mitsui…” mi
chiama una voce femminile.
Mi giro e vedo
davanti a me la ragazza del mio migliore amico.
“Ciao, Matsuyama.
Hai bisogno?”
“Sì. Come sai Tetsuo
questa settima è fuori città per un lavoro.”
Annuisco.
“Mi ha chiesto di
prendere e controllare la sua posta. Ieri c’era una lettera della cugina. Ha
voluto che gliela leggessi per telefono.”
“Matsuyama, sono in
ritardo per gli allenamenti. Arriva al punto.”
“Okay. Scusa. Nella
lettera lei lo avvisava che si sarebbe trasferita a Kanagawa. Arriva oggi.”
“E…?”
“Dovrei andare io a
prenderla all’aeroporto e portarla a casa di Tetsuo, ma ho un impegno a cui non
posso mancare. Tetsuo ha detto di chiedere a te se potevi andare a prenderla.”
“A che ora?”
“Alle 19.”
“Okay.”
“Perfetto. Si chiama
Mizuki Hidetoshi. Il suo volo è il n. 491. Mi fai un grosso favore.”
“Figurati. Quando lo
senti, salutami Tetsuo.”
“Certo. Queste sono
le chiavi di casa sua.”
Sorridendo mi porge
un mazzo di chiavi e subito dopo corre via.
Sbuffando mi dirigo
in palestra dove immancabilmente il capitano mi sgrida per il ritardo.
“Miyagi non rompere!
Lo sai che la prof. di filosofia la tira sempre per le lunghe.” Grugnisco
andando nello spogliatoio.
Diverso tempo dopo
il nanetto non ha ancora finito di sbraitare ordini. Posso capire la
preoccupazione per l’inizio delle eliminatorie, ma così rischio di fare tardi
all’aeroporto.
Finalmente Miyagi si
decide a dare lo stop.
Mi fiondo nello
spogliatoio e rapidamente mi cambio. Esco dalla palestra dicendo un “Ciao.”
generale e guardo l’orologio. Le 18:50. Non arriverò mai in tempo. Ci vuole una
buona mezzora per arrivare all’aeroporto.
Ringrazio il cielo
per il fatto che stamattina ho deciso di venire a scuola in bicicletta.
Altrimenti non oso immaginare a che ora sarei potuto arrivare.
Pedalo in fretta,
prestando la massima attenzione alle auto. Molte mi suonano dietro perché,
soprattutto agli incroci, taglio loro la strada. Rischio di essere investito
almeno una decina di volte. Potrei fare concorrenza a Rukawa per guida
pericolosa…
Sfinito arrivo
all’aeroporto. Sono le 19:15.
Chiedo al banco
informazioni notizie sul volo 491 e mi viene detto che il volo è arrivato in
anticipo di cinque minuti e tutti i passeggeri sono già sbarcati.
Mentre raggiungo la
sala d’attesa vicino all’uscita del volo che mi interessa, mi chiedo: gli aerei
arrivano sempre in ritardo. Possibile che proprio oggi abbiano voluto cambiare
questa sana abitudine?!
Mi guardo in giro.
Da quello che so, la cugina di Tetsuo dovrebbe avere la mia età. Ci sono due
ragazze di circa 19 anni. Le osservo meglio. Noto che una è in compagnia di una
donna. Probabilmente la madre. Mi dirigo, quindi, verso l’altra ragazza.
Più mi avvicino e
più noto quanto sia carina. Capelli lunghi e lisci castano scuro con riflessi
viola. Nonostante sia seduta si capisce chiaramente che è piuttosto alta. La
maglietta che indossa mette in risalto le sue curve. Decisamente è il mio tipo.
Mentre penso questo,
le chiedo: “Scusa? Sei Mizuki Hidetoshi?”
Lei mi guarda. Sul
viso un’espressione strana. Sembra piacevolmente stupita. Probabilmente è
felice che qualcuno si sia degnato di venirla a prendere.
“Sì, sono io.” Mi
risponde. E io mi ritrovo incantato da quelle dolci note.
Sorridendo mi
presento. “Sono Hisashi Mitsui. Un amico di tuo cugino Tetsuo. Mi ha chiesto di
venirti a prendere perché lui è momentaneamente fuori città.”
La sua espressione
muta improvvisamente. Diventa delusa.
“Non preoccuparti.
Tornerà tra tre giorni. Nel frattempo mi ha chiesto di dirti che puoi usare il
suo appartamento e di fare come se fossi a casa tua.”
“Capisco.”
“Le tue valige sono
solo queste?” chiedo indicando una grossa valigia ed un grosso borsone.
Lei annuisce. Sta
per prenderle, ma io la precedo. Non sia mai che io faccia portare dei pesi ad
una ragazza tanto carina.
Ci dirigiamo
all’uscita dell’aeroporto e noto che l’umore di Mizuki non è migliorato.
Osservandola di sottecchi mi rendo conto che il suo viso mi è stranamente
familiare.
Pow di Mizuki.
Non ci credo. Lo
rivedo dopo pochi anni e lui non si ricorda nemmeno di me. Sono io quella che non
dovrebbe riconoscerlo. Io sono rimasta fisicamente uguale. È lui quello che è
cambiato. Il taglio dei capelli, la sua disponibilità verso il prossimo… Eppure
a me è bastato sentire la sua voce per riconoscerlo. Purtroppo ciò non vale per
lui.
Sapere di aver
contato talmente poco nella sua vita mi ha messo di cattivo umore.
Ogni tanto mi chiede
qualcosa. Tipo dove abitavo prima e se mi ci trovavo bene. Tutte cose che mi ha
già chiesto. Ma non si accorgere di star gettando benzina sul fuoco.
Arriviamo davanti
alla sua bici. Da questo deduco che il viaggio verso casa di mio cugino sarà a
piedi visto che in due più le valigie non riusciremmo mai a salirci. Ma che
fortuna! Ovviamente il mio tono è estremamente ironico.
Dopo più di un’ora
siamo arrivati. Dire che sono sfinita è poco. Tra il viaggio e la scarpinata
sono distrutta. L’unica cosa che voglio è farmi una bella doccia e ficcarmi a
letto.
Mitsui però ha altri
progetti.
“Visto che è il tuo
primo giorno qui e che non conosci nessuno ti faccio compagnia per cena. Sarai
stanca per il viaggio. Cucino qualcosa io.”
Almeno qualcosa di
buono la fa. In effetti, ora che mi ci ha fatto pensare mi sono resa conto di
avere un certo appetito.
Mentre lui
apparecchia e cucina, io mi rilasso un po’ sul divano. Credo che non sia stata
una gran bella idea. La stanchezza si fa sentire più forte della fame.
Pow di Mitsui.
Spero che dopo che
avrà mangiato qualcosa il suo umore migliori. Sembra quasi che ce l’abbia con
me, ma non ne capisco il motivo.
Torno nella sala e
la trovo sul divano. La chiamo, ma non ottengo risposta. La osservo meglio. Si
è addormentata. Sorrido. Mentre dorme ha un’aria molto dolce.
Qualcosa riaffiora
alla mia mente. Quello stesso viso addormentato, quella stessa espressione, ma
in un momento della mia vita differente. Non riesco a capire. Soprattutto non
riesco a fermare nella mente quell’immagine. È stata come un flash. Ma ora sono
sicuro di una cosa: io conosco già Mizuki Hidetoshi. Anche se non so quando e
come l’ho conosciuta.
La sento mugugnare
nel sonno, mentre si muove cercando una posizione più comoda. Accantono
momentaneamente i miei pensieri e la prendo in braccio per portarla sul letto
di Tetsuo.
Mentre cammino, la
sento bisbigliare: “Hisashi.” Mi fermo. Un altro flash nella mia mente.
Lei che mi guarda
con occhi estremamente dolci e preoccupati e sussurra il mio nome, mentre una
lacrima le solca una guancia. I suoi capelli e i suoi vestiti sono
completamente fradici.
Lentamente riprendo
a camminare.
Dopo averla adagiata
sul letto rimango a guardarla.
Da dove arrivano
quei ricordi? Perché qualcosa mi dice che sono ricordi. Qualcosa che
inconsciamente devo aver rimosso dalla mia mente.
Se è così, però,
significa che io e lei ci conoscevamo già. Questo mi porta a pensare che il suo
comportamento scostante fosse dovuto alla delusione nel notare che mi sono
dimenticato di lei.
Mi sforzo, ma non
riesco a ricordarmi assolutamente nulla.
Torno in sala e
mangio un po’.
Poi riordino il
tavolo lasciando, però, una parte apparecchiata per lei. Sicuramente quando si
sveglierà avrà fame.
Mi metto a
riordinare la cucina. Non mi ci vuole molto in realtà, ma sono riluttante a
lasciarla qui da sola. Più che altro vorrei chiederle il prima possibile se è
vero che ci conosciamo. Ma non posso certo svegliarla e lei sicuramente dormirà
fino a domani mattina, stanca com’è.
Sospirando esco.
Fortunatamente la porta di casa ha la chiusura automatica. Dall’esterno senza
chiave non si può entrare, quindi non ho nemmeno il problema di doverla
svegliare per chiudere la porta.
Mi dirigo a casa
mia. Nel frattempo mi metto a pensare a come potremmo esserci conosciuti.
Forse ci ha
presentati Tetsuo? No, qualcosa mi dice di no.
Un amico? Nemmeno.
Per caso? Forse sì.
Più ci penso e meno
riesco a ricordare.
Intanto sono
arrivato a casa e dopo essermi preparato per la notte, mi ficco nel letto e
rimango al buio ad osservare il soffitto.
Faccio l’ennesimo
sospiro della serata e mi addormento.
Il mio sonno però è
agitato a causa di un incubo.
Io vago per la città
in uno stato catatonico. Non so dove sto andando. Nella mia testa solo le
parole del medico: “Non potrai più giocare a basket.” Una condanna
inappellabile. Una condanna che mi toglie anche la più piccola speranza. Il
basket era tutta la mia vita. Poi vedo la sponda di un canale. Pochi passi e
poi il buio che mi inghiotte. Mentre sto per cedere alle acque gelate, vedo una
figura che si avvicina. Un angelo? No. È una ragazza. La ragazza più dolce che
conosca. Mi afferra per un braccio e mi riporta in superficie. Mi accorgo
vagamente della cosa. In lontananza sento la sua voce che mi chiama, ma è
sempre più lontana. Poi sento una frase: “Non lasciarmi sola in questo modo!
Odiami! Disprezzami! Ma non andartene in questo modo!” Una parte di me si
ribella e cerca di riprendersi. Quando buona parte dell’acqua che ho bevuto
defluisce dai miei polmoni, annaspo in cerca d’aria. Mi ci vuole un po’ per
riprendermi. Poi guardo la ragazza negli occhi e lei sussurra: “Hisashi.” Non
dice altro, ma una lacrima le solca una guancia.
Con la gola che mi
fa male mormoro: “Mizuki…”
Subito dopo sento
delle sirene in lontananza. Qualcuno deve aver assistito alla scena e deve aver
chiamato un’ambulanza. Mentre mi ci caricano sopra, Mizuki mi guarda e poi va
via. Alzo un braccio nell’inutile gesto di fermarla, ma i paramedici stanno già
chiudendo le porte dell’autoambulanza.
Mi sveglio di
soprassalto e madido di sudore. Certo che ciò che ho appena visto non sia
frutto della mia fantasia. Guardo l’orologio. Le 6. Mi alzo, mi vesto ed esco
di casa. Mi dirigo verso quella del mio amico, in questo momento occupata dalla
cugina.
Quando arrivo sono
le 7. È presto, lo so. Ma ho un bisogno impellente di parlare con Mizuki. Mi
attacco al campanello finché non la sento che lancia insulti verso il
disturbatore del suo sonno. Io.
Pow di Mizuki.
Ma chi è
quell’idiota che rompe le scatole alle persone alle 7 del mattino? Mi alzo
svogliatamente dal letto e una domanda mi sorge spontanea. Come cavolo ci sono
finita nel letto? Ripenso alla sera precedente e deduco che deve essere stato
Mitsui a portarmi sul letto in camera.
Lo sconosciuto non
vuole saperne di smettere di suonare.
“Chiunque tu sia,
spero per te che sia importante, altrimenti potrei farti a fettine e darle in
pasto agli squali. Razza di idiota!”
Apro la porta e mi
ritrovo davanti Mitsui. Sul viso un’espressione stralunata almeno quanto la
mia.
“Ehi, tutto bene?”
chiedo preoccupata.
“No. Sì. Cioè… Mi
fai entrare?”
Noto che è molto
nervoso, ma mi faccio da parte per farlo entrare.
“Ti devo chiedere
una cosa.” mi dice.
“Cosa?”
“Io e te ci
conoscevamo già, vero? Intendo prima di ieri sera.”
Se n’è ricordato
allora!
Annuisco.
“Quando ci siamo
conosciuti?”
“Prego?” chiedo
pensando di non aver capito il senso della domanda.
“Io non mi ricordo
chiaramente della cosa. Ho solo dei brevi flash.” Mi spiega.
“Ci siamo conosciuti
ad una festa circa tre anni fa. Ero venuta in città a trovare mio cugino e nel
frattempo ho fatto amicizia con una ragazza che mi ha chiesto di accompagnarla
a quella festa. Lì tu mi hai invitata a ballare. Ci siamo conosciuti così.”
“Inizio a ricordare
qualcosa. Ci siamo dati appuntamento per rivederci il giorno successivo…”
“Sì. Siamo andati al
cinema e poi abbiamo mangiato un panino in un fast food.”
“Abbiamo continuato
a vederci per diverso tempo.”
“Già. Circa un
mese.”
Pow di Mitsui.
Nella mia testa si
fa tutto un po’ più chiaro. Rivedo noi due insieme che ci divertiamo e… Ma come
ho potuto dimenticarlo?!
“Noi stavamo
insieme?!”
“Sì.”
“Possibile che me ne
fossi dimenticato?”
“Ricordi cosa è
successo due giorni dopo che ci siamo messi insieme?”
Mi concentro per
ricordare. E di nuovo la condanna del medico.
“Ho avuto
l’incidente al ginocchio.”
Mizuki annuisce. “E
poi? Ricordi cosa successe dopo?”
“Dopo… ci siamo
incontrati per caso…” La vedo annuire nuovamente. “Mi hai chiesto se stessi
bene… e io… ti ho insultata…” dico con un filo di voce e sconvolto al ricordo.
“Ti ho insultata pesantemente…”
“Hai detto che
dovevo lasciarti in pace e che tu non te ne facevi niente di una puttana come
me. Queste sono state le tue esatte parole.”
Noto che gli occhi
le si stanno inumidendo e che si stringe tra le braccia. Mi rendo conto di
averla ferita profondamente. Non riesco a far altro se non abbassare lo sguardo
pentito. “Mi dispiace…”
“Lascia perdere.
Cos’altro ricordi?”
Mi concentro
nuovamente e rivivo il mio incubo di quella stessa notte.
“Mi sono buttato nel
canale…”
La vedo sussultare.
“Sì. Io ero dalla parte opposta del canale. Tu non ti sei accorto di me. Ti ho
visto, mentre ti buttavi. Ho provato a chiamarti, ma tu sembrava che non mi
sentissi.”
“Ti sei tuffata e mi
hai salvato.” Nella mia mente la rivedo ancora mentre pronuncia tra le lacrime
la frase che mi ha riportato in vita. “Non lasciarmi sola in questo modo!
Odiami! Disprezzami! Ma non andartene in questo modo!”
Alzo lo sguardo sul
suo viso e noto le lacrime. Mi avvicino a lei e alzo una mano per
asciugargliene una. Lei mi lascia fare distogliendo lo sguardo.
“Mi dispiace, Mizuki.”
Pow di Mizuki.
Sussulto sentendomi
chiamare per nome. Erano anni che speravo di sentirlo nuovamente pronunciare da
lui con tono dolce. Un altro fiotto di lacrime si riversa sulle mie guance.
Lui mi abbraccia.
Per alcuni attimi mi crogiolo tra le sue braccia. Poco dopo, però, mi rendo
conto di non poter dimenticare tanto facilmente la sofferenza e la delusione
provate. Mi allontano bruscamente da lui.
“Perché?” mi chiede
con un filo di voce.
“Ti ricordi cosa è
successo dopo che ti ho salvato? Sei rimasto zitto. Non una parola. Hai
mostrato indifferenza totale. Dopo che l’ambulanza ti ha portato via, non ti
sei più fatto sentire. Sei sparito dalla circolazione. Quando sono venuta a
trovarti in ospedale, mi hai cacciato via. Hai urlato che non mi volevi lì. Te
lo ricordi questo? Non puoi credere che ora io sia disposta a dimenticare
tutto.”
“Mizuki…”
“È il caso che tu
vada, Mitsui.”
Lui mi guarda per
alcuni secondi. Io sostengo il suo sguardo a fatica. Infine si dirige alla
porta e la apre. Prima di uscire mi guarda e mormora: “Mi dispiace.”
Rimango sola e posso
finalmente dar libero sfogo alle lacrime. Mi siedo sul divano e abbraccio le
gambe poggiandovi la testa sopra.
Erano anni che
desideravo sentirgli chiedere scusa, ma non credo ci sia niente che possa fare
per cancellare il dolore che ho provato.
Pow di Mitsui.
Mentre cammino per
la città, rifletto su ciò che è successo in passato con Mizuki. Possibile che
mi sia dimenticato in quel modo di lei. Mi ritrovo a passare davanti
all’ospedale. Forse l’ho raggiunto inconsciamente.
Entro e chiedo alla
segretaria se posso vedere il dottor Hiresuke, il medico che mi aveva in cura
durante la mia degenza in ospedale.
Pochi minuti dopo
che la segretaria l’ha chiamato in ufficio, lo vedo arrivare.
“Mitsui. Come va?”
“Bene, grazie. Lei?”
“Come al solito.
Come mai da queste parti?”
“Avrei bisogno di
parlarle riguardo una cosa.”
“Problemi al
ginocchio?”
“No. Per fortuna il
ginocchio sta benissimo.”
Il medico annuisce e
mi accompagna nel suo ufficio.
“Dimmi tutto.”
“È possibile
dimenticarsi di un periodo della propria vita?”
“Spiegati meglio.”
“Mi sono reso conto
di aver dimenticato diverse cose che mi sono accadute circa tre anni fa. Nel
periodo in cui mi infortunai il ginocchio.”
Il dottore mi chiede
di essere più specifico e io gli racconto di ciò che è avvenuto con Mizuki.
“Quindi ti sei
dimenticato tutto ciò che riguarda questa ragazza?”
“Sì.”
“Una spiegazione
potrebbe esserci.”
“Cioè?”
“Probabilmente il
senso di colpa per il tuo comportamento verso quella ragazza ha fatto sì che
inconsciamente tu ti dimenticassi di lei e della sofferenza che le avevi
provocato. Ciò avrebbe comportato una diminuzione delle tue sofferenze. In quel
periodo hai perso la cosa più importante per te. Avevi perso la possibilità di
giocare a basket. Il fatto di perdere anche quella ragazza deve essere stato
troppo duro da affrontare e si è quindi attivato questo meccanismo di difesa
che ha portato alla momentanea cancellazione di ciò che riguardava lei.”
“Può davvero
succedere una cosa del genere?”
“Sì. La psiche umana
ha ancora molti segreti, ma una cosa del genere potrebbe succedere in seguito
ad un grosso shock come quello che hai avuto tu.”
Rimango con il
medico ancora diversi minuti. Poi il suo cercapersone inizia a suonare, perciò
lo saluto ed esco dall’ospedale.
Nella mente le sue
parole: “…perdere anche quella ragazza deve essere stato troppo duro da
affrontare…”
Il medico forse ha
ragione. Il problema è che non mi ricordo ciò che provavo esattamente per lei.
Sto camminando da un
bel po’ di tempo, quando raggiungo la riva del canale in cui mi sono buttato
tre anni fa.
Noto che c’è
qualcuno seduto vicino alla riva.
La riconosco subito.
È Mizuki. Mi avvicino a lei silenziosamente.
Lei non si volta, ma
deve aver percepito la mia presenza perché mi dice: “Sapevo che saresti venuto
qui.”
Mi siedo di fianco a
lei.
Rimaniamo per
diverso tempo in silenzio. Poi mi decido a parlare. “Mi odi?”
Pow di Mizuki.
“Mi odi?”
La domanda di Mitsui
è come una doccia gelata.
Mi volto verso di
lui ed il mio sguardo si incatena al suo.
Resto zitta cercando
di trovare io stessa una risposta a quella domanda che mi sono fatta milioni di
volte.
Spostando lo sguardo
mi decido a rispondere. “Non lo so. Mi hai fatto soffrire. Molto. Per diverso
tempo sì ti ho odiato profondamente. Ma mi sono resa conto poi che in realtà
odiavo me stessa. L’idea che tu pensassi certe cose di me, mi ha convinto di
essere davvero quel tipo di persona.”
“No, Mizuki… Tu non
lo sei…”
“Ah no? E come la
definisci una ragazza che va a letto con un ragazzo un mese dopo averlo
conosciuto?”
“Innamorata?”
Mi sento le guance
avvampare. “È quello che credevo.” Ammetto.
“Non era vero?”
“Ci si può davvero
innamorare di una persona in un mese?” chiedo. Nella mia voce una nota di
sarcasmo.
Il silenzio cala
ancora tra noi.
Pow di Mitsui.
Sentirla ammettere
che era innamorata di me, mi ha provocato un salto nel battito cardiaco.
Mi giro a guardarla.
Ha un gomito appoggiato sul ginocchio e la mano sulla fronte.
Nella mia mente
riaffiora un altro ricordo: eravamo seduti poco lontano da dove siamo ora.
Avevamo passato tutta la giornata insieme. Avevo notato da un po’ che Mizuki
era strana e gli ho chiesto cosa avesse.
“Niente.” Mi ha
risposto, appoggiando un gomito sul ginocchio e la mano sulla fronte, spiandomi
con lo sguardo. Poi distogliendolo ha aggiunto: “No, non è vero. Io… Mitsui tu
mi piaci. Mi piaci molto.” Il suo viso si era tinto di una forte tonalità di
rosso, mentre il mio cuore saltava un battito.
Proprio come ha
fatto adesso. Ed è in questo momento che riconosco questa sensazione che mi sta
stringendo il petto. Mentre la guardo la mia mente rivede una miriade di altri
flash di Mizuki. Il suo sguardo dolce; il suo sorriso allegro; la sua risata
argentina; le sue lacrime preziose. Rivedo il suo viso, mentre, in preda alla
mia furia cieca l’ho insultata. La risento dire che mi ha odiato.
Qualcosa dentro di
me si spezza.
Pow di Mizuki.
Non riesco più a
sopportare questo silenzio tra di noi. Mi volto verso di lui con l’intenzione
di dire qualcosa. Qualunque cosa pura dir riempire il silenzio.
Ma quando i miei
occhi si posano su Mitsui, le parole mi si bloccano e non capisco più niente.
Nulla del mondo esterno mi raggiunge. Soltanto il viso di Mitsui riempie i miei
occhi. Il suo viso sul quale scorrono lacrime.
“Hisashi…” Mormoro
incredula.
“Scusami…” dice
nascondendo il volto con una mano. “Adesso mi passa.”
Mi metto in
ginocchio davanti a lui, preoccupata. Non l’ho mai visto in questo stato.
“Hisashi, che
cos’hai?”
“Niente.”
“Come niente? Stai
piangendo, come puoi dire che non hai niente? Perché piangi?” dico togliendogli
la mano da davanti al viso ed obbligandolo a guardarmi.
“Perché mi sono reso
conto di cosa voleva dire il dottor Hiresuke.”
“Il medico che ti ha
avuto in cura?” chiedo confusa.
“Sì. Mi ha spiegato
che il dimenticarmi di te potrebbe essere stato un meccanismo di difesa del mio
inconscio.”
“Difesa da cosa?”
“Dalla sofferenza.
Avevo appena perso il basket che per me era molto importante e me l’ero presa
con te, perdendo anche te. Non potendo sopportare di perdere entrambe le cose a
cui tenevo di più il mio inconscio ha cancellato una parte del dolore.”
Per diversi istanti
rimango senza parole. Nella mia mente la voce di Hisashi continua a ripetere ‘
entrambe le cose a cui tenevo di più ’.
“Però tra il basket
e me hai cancellato me.”
“Mi dispiace.”
Lo guardo e una
parte di me non riesce ad avercela con lui. “Beh, non credo sia dipeso da te
scegliere chi o cosa dimenticare.”
“Ed invece credo che
in qualche modo sia stato proprio così.”
Ci osserviamo a
lungo e percepisco nel suo sguardo una profonda tristezza.
“Perché dici
questo?”
Lui scuote la testa,
distogliendo lo sguardo. “Non ha più importanza, ormai.”
“Hisashi, per
favore, potrebbe essere l’ultima occasione per chiarirci. Dimmi la verità.”
Dico frustrata dal suo modo di fare scostante.
I suoi occhi tornano
a cercare il mio sguardo. “Senza basket potevo sopravvivere, senza di te sarei
morto.”
Il mio sguardo corre
al canale ai nostri piedi, mentre ripenso al giorno in cui l’ho salvato.
“Non mi ero buttato
nel canale per il basket. Non solo almeno. Era la certezza di aver distrutto il
nostro rapporto ad avermi tolto la voglia di reagire. E sei stata tu a
riportarmi indietro. E non intendo soltanto nel senso di avermi tirato fuori
dal canale. Mi rendevo conto di starmene andando. Definitivamente. Ma quando ho
sentito la tua voce… la frase che hai detto… mi ha riportato indietro. Volevo
tornare da te.”
Le sue parole mi
colpiscono profondamente. “Allora perché non mi hai detto niente?”
“Non lo so. Credo
fosse per paura. Mi avevi salvato, ma non voleva necessariamente dire che mi
avevi perdonato. Quando, però, sono salito sull’ambulanza e ho visto che stavi
andandotene, ho provato a fermarti, ma l’autista è partito prima che riuscissi
a farlo.”
“E perché in
ospedale non hai voluto vedermi?”
“Pensavo che volessi
dirmi che mi ero meritato tutto ciò che mi era successo e che ti eri pentita di
avermi salvato.”
“Sei uno stupido!”
mi rendo conto di aver alzato leggermente la voce, ma dentro di me sento una
forte rabbia.
“Mizuki…”
Lo interrompo. “Mi
hai fatto stare malissimo! Pensavo mi odiassi! Pensavo che fossi in collera con
me per averti tirato fuori dal canale! Ero convinta che non ti importasse
niente di me!”
“No! No! Non è così!
Io ero convinto che tu mi odiassi. Ti amavo e ti amo troppo per sopportarlo.”
Cala il silenzio.
L’ultima frase sospesa tra noi.
“Cosa?” chiedo
infine incredula.
“Ti amo Mizuki.”
Sento le lacrime che
scorrono sulle mie guance. Ho come la sensazione che con esse stia defluendo anche
parte della sofferenza provata negli ultimi tre anni.
Hisashi mi accarezza
una guancia, asciugandola. Poi avvicina il suo viso al mio e con le labbra
cattura la lacrima sull’altra guancia.
“Ti amo Mizuki.”
Ripete.
Lo guardo alcuni
attimi negli occhi e poi gli butto le braccia al collo. “Anche io ti amo,
Hisashi.” Dopodiché scoppio in un pianto liberatorio.
Pow di Mitsui.
Non ci posso
credere. Ero convinto che tutto fosse perduto tra di noi. Ero convinto che con
tutta la sofferenza che le avevo causato ormai lei mi odiasse. Ed invece eccoci
qui stretti l’uno all’altra con il cuore che sembra voglia scoppiare dalla
gioia.
Mi torna alla mente
il motto della mia insegnante di filosofia: carpe diem… cogliere l’attimo.
Mi sono sempre
chiesto come si potesse cogliere l’attimo, ma mi rendo conto di averlo fatto
proprio ora.
Nel momento in cui
Mizuki mi ha chiesto di essere sincero avevo due scelte: trincerarmi nel
silenzio e perderla, oppure dire la verità, rischiando comunque di perderla lo
stesso. Scegliendo la verità ho colto l’opportunità di dirle ciò che davvero
provo e provavo per lei. Se non lo avessi fatto lo avrei rimpianto per
l’eternità.
Ma neanche nelle mie
più rosee previsioni avrei immaginato una fine come questa.
Ho riavuto il basket
ed ora ho riavuto anche Mizuki.
Ci separiamo quel
tanto che basta per guardarci negli occhi. Poi ci baciamo. Un bacio che
cancella ogni traccia di sofferenza dai nostri cuori.
“Voglio tenerti così
per sempre.” Le dico quando ci separiamo in cerca d’aria.
“Bene. Perché è così
che ho intenzione di restare. E guai a te se provi a cercare di allontanarmi.”
“L’ho fatto una
volta e ne stavo morendo. Pensi davvero che ritenterei?”
“Probabilmente no.
Ma provvederò personalmente ad accertarmi che tu non lo faccia.”
Si può essere più
felici di così?
Fine.
Cosa ne pensate?
Dovrei darmi all’ippica?
Fatemelo sapere
mandandomi commenti all’indirizzo mail: kaeru@fastwebnet.it
Ciao ciao