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Autore: Kaeru    07/11/2004    1 recensioni
Carpe diem... cogliere l'attimo. Ma come si può cogliere l'attimo? Nel momento stesso in cui pensi di farlo, l'attimo è già passato...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hisashi Mitsui
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CARPE DIEM

Eccomi di nuovo qui con una storia su Slam dunk. Nello specifico è su Mitsui, che personalmente adoro.

Ovviamente i ragazzi di Slam dunk non sono miei, ma dell’eccelso Inoue.

 

­^_^

^_^ Buona lettura. ^_^

^_^

 

CARPE DIEM

 

Pow di Mitsui.

 

Carpe diem… Cogliere l’attimo… La nostra prof. di filosofia è proprio fissata. Ogni volta che finisce la sua lezione ci dice sempre questa frase. Ed ogni volta un pensiero si affaccia alla mia mente. Come è possibile cogliere l’attimo? Nel momento stesso in cui cerchi di afferrarlo, è già passato. È impossibile cogliere l’attimo.

“Sempai Mitsui…” mi chiama una voce femminile.

Mi giro e vedo davanti a me la ragazza del mio migliore amico.

“Ciao, Matsuyama. Hai bisogno?”

“Sì. Come sai Tetsuo questa settima è fuori città per un lavoro.”

Annuisco.

“Mi ha chiesto di prendere e controllare la sua posta. Ieri c’era una lettera della cugina. Ha voluto che gliela leggessi per telefono.”

“Matsuyama, sono in ritardo per gli allenamenti. Arriva al punto.”

“Okay. Scusa. Nella lettera lei lo avvisava che si sarebbe trasferita a Kanagawa. Arriva oggi.”

“E…?”

“Dovrei andare io a prenderla all’aeroporto e portarla a casa di Tetsuo, ma ho un impegno a cui non posso mancare. Tetsuo ha detto di chiedere a te se potevi andare a prenderla.”

“A che ora?”

“Alle 19.”

“Okay.”

“Perfetto. Si chiama Mizuki Hidetoshi. Il suo volo è il n. 491. Mi fai un grosso favore.”

“Figurati. Quando lo senti, salutami Tetsuo.”

“Certo. Queste sono le chiavi di casa sua.”

Sorridendo mi porge un mazzo di chiavi e subito dopo corre via.

Sbuffando mi dirigo in palestra dove immancabilmente il capitano mi sgrida per il ritardo.

“Miyagi non rompere! Lo sai che la prof. di filosofia la tira sempre per le lunghe.” Grugnisco andando nello spogliatoio.

Diverso tempo dopo il nanetto non ha ancora finito di sbraitare ordini. Posso capire la preoccupazione per l’inizio delle eliminatorie, ma così rischio di fare tardi all’aeroporto.

Finalmente Miyagi si decide a dare lo stop.

Mi fiondo nello spogliatoio e rapidamente mi cambio. Esco dalla palestra dicendo un “Ciao.” generale e guardo l’orologio. Le 18:50. Non arriverò mai in tempo. Ci vuole una buona mezzora per arrivare all’aeroporto.

Ringrazio il cielo per il fatto che stamattina ho deciso di venire a scuola in bicicletta. Altrimenti non oso immaginare a che ora sarei potuto arrivare.

Pedalo in fretta, prestando la massima attenzione alle auto. Molte mi suonano dietro perché, soprattutto agli incroci, taglio loro la strada. Rischio di essere investito almeno una decina di volte. Potrei fare concorrenza a Rukawa per guida pericolosa…

Sfinito arrivo all’aeroporto. Sono le 19:15.

Chiedo al banco informazioni notizie sul volo 491 e mi viene detto che il volo è arrivato in anticipo di cinque minuti e tutti i passeggeri sono già sbarcati.

Mentre raggiungo la sala d’attesa vicino all’uscita del volo che mi interessa, mi chiedo: gli aerei arrivano sempre in ritardo. Possibile che proprio oggi abbiano voluto cambiare questa sana abitudine?!

Mi guardo in giro. Da quello che so, la cugina di Tetsuo dovrebbe avere la mia età. Ci sono due ragazze di circa 19 anni. Le osservo meglio. Noto che una è in compagnia di una donna. Probabilmente la madre. Mi dirigo, quindi, verso l’altra ragazza.

Più mi avvicino e più noto quanto sia carina. Capelli lunghi e lisci castano scuro con riflessi viola. Nonostante sia seduta si capisce chiaramente che è piuttosto alta. La maglietta che indossa mette in risalto le sue curve. Decisamente è il mio tipo.

Mentre penso questo, le chiedo: “Scusa? Sei Mizuki Hidetoshi?”

Lei mi guarda. Sul viso un’espressione strana. Sembra piacevolmente stupita. Probabilmente è felice che qualcuno si sia degnato di venirla a prendere.

“Sì, sono io.” Mi risponde. E io mi ritrovo incantato da quelle dolci note.

Sorridendo mi presento. “Sono Hisashi Mitsui. Un amico di tuo cugino Tetsuo. Mi ha chiesto di venirti a prendere perché lui è momentaneamente fuori città.”

La sua espressione muta improvvisamente. Diventa delusa.

“Non preoccuparti. Tornerà tra tre giorni. Nel frattempo mi ha chiesto di dirti che puoi usare il suo appartamento e di fare come se fossi a casa tua.”

“Capisco.”

“Le tue valige sono solo queste?” chiedo indicando una grossa valigia ed un grosso borsone.

Lei annuisce. Sta per prenderle, ma io la precedo. Non sia mai che io faccia portare dei pesi ad una ragazza tanto carina.

Ci dirigiamo all’uscita dell’aeroporto e noto che l’umore di Mizuki non è migliorato. Osservandola di sottecchi mi rendo conto che il suo viso mi è stranamente familiare.

 

Pow di Mizuki.

 

Non ci credo. Lo rivedo dopo pochi anni e lui non si ricorda nemmeno di me. Sono io quella che non dovrebbe riconoscerlo. Io sono rimasta fisicamente uguale. È lui quello che è cambiato. Il taglio dei capelli, la sua disponibilità verso il prossimo… Eppure a me è bastato sentire la sua voce per riconoscerlo. Purtroppo ciò non vale per lui.

Sapere di aver contato talmente poco nella sua vita mi ha messo di cattivo umore.

Ogni tanto mi chiede qualcosa. Tipo dove abitavo prima e se mi ci trovavo bene. Tutte cose che mi ha già chiesto. Ma non si accorgere di star gettando benzina sul fuoco.

Arriviamo davanti alla sua bici. Da questo deduco che il viaggio verso casa di mio cugino sarà a piedi visto che in due più le valigie non riusciremmo mai a salirci. Ma che fortuna! Ovviamente il mio tono è estremamente ironico.

Dopo più di un’ora siamo arrivati. Dire che sono sfinita è poco. Tra il viaggio e la scarpinata sono distrutta. L’unica cosa che voglio è farmi una bella doccia e ficcarmi a letto.

Mitsui però ha altri progetti.

“Visto che è il tuo primo giorno qui e che non conosci nessuno ti faccio compagnia per cena. Sarai stanca per il viaggio. Cucino qualcosa io.”

Almeno qualcosa di buono la fa. In effetti, ora che mi ci ha fatto pensare mi sono resa conto di avere un certo appetito.

Mentre lui apparecchia e cucina, io mi rilasso un po’ sul divano. Credo che non sia stata una gran bella idea. La stanchezza si fa sentire più forte della fame.

 

Pow di Mitsui.

 

Spero che dopo che avrà mangiato qualcosa il suo umore migliori. Sembra quasi che ce l’abbia con me, ma non ne capisco il motivo.

Torno nella sala e la trovo sul divano. La chiamo, ma non ottengo risposta. La osservo meglio. Si è addormentata. Sorrido. Mentre dorme ha un’aria molto dolce.

Qualcosa riaffiora alla mia mente. Quello stesso viso addormentato, quella stessa espressione, ma in un momento della mia vita differente. Non riesco a capire. Soprattutto non riesco a fermare nella mente quell’immagine. È stata come un flash. Ma ora sono sicuro di una cosa: io conosco già Mizuki Hidetoshi. Anche se non so quando e come l’ho conosciuta.

La sento mugugnare nel sonno, mentre si muove cercando una posizione più comoda. Accantono momentaneamente i miei pensieri e la prendo in braccio per portarla sul letto di Tetsuo.

Mentre cammino, la sento bisbigliare: “Hisashi.” Mi fermo. Un altro flash nella mia mente.

Lei che mi guarda con occhi estremamente dolci e preoccupati e sussurra il mio nome, mentre una lacrima le solca una guancia. I suoi capelli e i suoi vestiti sono completamente fradici.

Lentamente riprendo a camminare.

Dopo averla adagiata sul letto rimango a guardarla.

Da dove arrivano quei ricordi? Perché qualcosa mi dice che sono ricordi. Qualcosa che inconsciamente devo aver rimosso dalla mia mente.

Se è così, però, significa che io e lei ci conoscevamo già. Questo mi porta a pensare che il suo comportamento scostante fosse dovuto alla delusione nel notare che mi sono dimenticato di lei.

Mi sforzo, ma non riesco a ricordarmi assolutamente nulla.

Torno in sala e mangio un po’.

Poi riordino il tavolo lasciando, però, una parte apparecchiata per lei. Sicuramente quando si sveglierà avrà fame.

Mi metto a riordinare la cucina. Non mi ci vuole molto in realtà, ma sono riluttante a lasciarla qui da sola. Più che altro vorrei chiederle il prima possibile se è vero che ci conosciamo. Ma non posso certo svegliarla e lei sicuramente dormirà fino a domani mattina, stanca com’è.

Sospirando esco. Fortunatamente la porta di casa ha la chiusura automatica. Dall’esterno senza chiave non si può entrare, quindi non ho nemmeno il problema di doverla svegliare per chiudere la porta.

Mi dirigo a casa mia. Nel frattempo mi metto a pensare a come potremmo esserci conosciuti.

Forse ci ha presentati Tetsuo? No, qualcosa mi dice di no.

Un amico? Nemmeno.

Per caso? Forse sì.

Più ci penso e meno riesco a ricordare.

Intanto sono arrivato a casa e dopo essermi preparato per la notte, mi ficco nel letto e rimango al buio ad osservare il soffitto.

Faccio l’ennesimo sospiro della serata e mi addormento.

Il mio sonno però è agitato a causa di un incubo.

Io vago per la città in uno stato catatonico. Non so dove sto andando. Nella mia testa solo le parole del medico: “Non potrai più giocare a basket.” Una condanna inappellabile. Una condanna che mi toglie anche la più piccola speranza. Il basket era tutta la mia vita. Poi vedo la sponda di un canale. Pochi passi e poi il buio che mi inghiotte. Mentre sto per cedere alle acque gelate, vedo una figura che si avvicina. Un angelo? No. È una ragazza. La ragazza più dolce che conosca. Mi afferra per un braccio e mi riporta in superficie. Mi accorgo vagamente della cosa. In lontananza sento la sua voce che mi chiama, ma è sempre più lontana. Poi sento una frase: “Non lasciarmi sola in questo modo! Odiami! Disprezzami! Ma non andartene in questo modo!” Una parte di me si ribella e cerca di riprendersi. Quando buona parte dell’acqua che ho bevuto defluisce dai miei polmoni, annaspo in cerca d’aria. Mi ci vuole un po’ per riprendermi. Poi guardo la ragazza negli occhi e lei sussurra: “Hisashi.” Non dice altro, ma una lacrima le solca una guancia.

Con la gola che mi fa male mormoro: “Mizuki…”

Subito dopo sento delle sirene in lontananza. Qualcuno deve aver assistito alla scena e deve aver chiamato un’ambulanza. Mentre mi ci caricano sopra, Mizuki mi guarda e poi va via. Alzo un braccio nell’inutile gesto di fermarla, ma i paramedici stanno già chiudendo le porte dell’autoambulanza.

Mi sveglio di soprassalto e madido di sudore. Certo che ciò che ho appena visto non sia frutto della mia fantasia. Guardo l’orologio. Le 6. Mi alzo, mi vesto ed esco di casa. Mi dirigo verso quella del mio amico, in questo momento occupata dalla cugina.

Quando arrivo sono le 7. È presto, lo so. Ma ho un bisogno impellente di parlare con Mizuki. Mi attacco al campanello finché non la sento che lancia insulti verso il disturbatore del suo sonno. Io.

 

Pow di Mizuki.

 

Ma chi è quell’idiota che rompe le scatole alle persone alle 7 del mattino? Mi alzo svogliatamente dal letto e una domanda mi sorge spontanea. Come cavolo ci sono finita nel letto? Ripenso alla sera precedente e deduco che deve essere stato Mitsui a portarmi sul letto in camera.

Lo sconosciuto non vuole saperne di smettere di suonare.

“Chiunque tu sia, spero per te che sia importante, altrimenti potrei farti a fettine e darle in pasto agli squali. Razza di idiota!”

Apro la porta e mi ritrovo davanti Mitsui. Sul viso un’espressione stralunata almeno quanto la mia.

“Ehi, tutto bene?” chiedo preoccupata.

“No. Sì. Cioè… Mi fai entrare?”

Noto che è molto nervoso, ma mi faccio da parte per farlo entrare.

“Ti devo chiedere una cosa.” mi dice.

“Cosa?”

“Io e te ci conoscevamo già, vero? Intendo prima di ieri sera.”

Se n’è ricordato allora!

Annuisco.

“Quando ci siamo conosciuti?”

“Prego?” chiedo pensando di non aver capito il senso della domanda.

“Io non mi ricordo chiaramente della cosa. Ho solo dei brevi flash.” Mi spiega.

“Ci siamo conosciuti ad una festa circa tre anni fa. Ero venuta in città a trovare mio cugino e nel frattempo ho fatto amicizia con una ragazza che mi ha chiesto di accompagnarla a quella festa. Lì tu mi hai invitata a ballare. Ci siamo conosciuti così.”

“Inizio a ricordare qualcosa. Ci siamo dati appuntamento per rivederci il giorno successivo…”

“Sì. Siamo andati al cinema e poi abbiamo mangiato un panino in un fast food.”

“Abbiamo continuato a vederci per diverso tempo.”

“Già. Circa un mese.”

 

Pow di Mitsui.

 

Nella mia testa si fa tutto un po’ più chiaro. Rivedo noi due insieme che ci divertiamo e… Ma come ho potuto dimenticarlo?!

“Noi stavamo insieme?!”

“Sì.”

“Possibile che me ne fossi dimenticato?”

“Ricordi cosa è successo due giorni dopo che ci siamo messi insieme?”

Mi concentro per ricordare. E di nuovo la condanna del medico.

“Ho avuto l’incidente al ginocchio.”

Mizuki annuisce. “E poi? Ricordi cosa successe dopo?”

“Dopo… ci siamo incontrati per caso…” La vedo annuire nuovamente. “Mi hai chiesto se stessi bene… e io… ti ho insultata…” dico con un filo di voce e sconvolto al ricordo. “Ti ho insultata pesantemente…”

“Hai detto che dovevo lasciarti in pace e che tu non te ne facevi niente di una puttana come me. Queste sono state le tue esatte parole.”

Noto che gli occhi le si stanno inumidendo e che si stringe tra le braccia. Mi rendo conto di averla ferita profondamente. Non riesco a far altro se non abbassare lo sguardo pentito. “Mi dispiace…”

“Lascia perdere. Cos’altro ricordi?”

Mi concentro nuovamente e rivivo il mio incubo di quella stessa notte.

“Mi sono buttato nel canale…”

La vedo sussultare. “Sì. Io ero dalla parte opposta del canale. Tu non ti sei accorto di me. Ti ho visto, mentre ti buttavi. Ho provato a chiamarti, ma tu sembrava che non mi sentissi.”

“Ti sei tuffata e mi hai salvato.” Nella mia mente la rivedo ancora mentre pronuncia tra le lacrime la frase che mi ha riportato in vita. “Non lasciarmi sola in questo modo! Odiami! Disprezzami! Ma non andartene in questo modo!”

Alzo lo sguardo sul suo viso e noto le lacrime. Mi avvicino a lei e alzo una mano per asciugargliene una. Lei mi lascia fare distogliendo lo sguardo.

“Mi dispiace, Mizuki.”

 

Pow di Mizuki.

 

Sussulto sentendomi chiamare per nome. Erano anni che speravo di sentirlo nuovamente pronunciare da lui con tono dolce. Un altro fiotto di lacrime si riversa sulle mie guance.

Lui mi abbraccia. Per alcuni attimi mi crogiolo tra le sue braccia. Poco dopo, però, mi rendo conto di non poter dimenticare tanto facilmente la sofferenza e la delusione provate. Mi allontano bruscamente da lui.

“Perché?” mi chiede con un filo di voce.

“Ti ricordi cosa è successo dopo che ti ho salvato? Sei rimasto zitto. Non una parola. Hai mostrato indifferenza totale. Dopo che l’ambulanza ti ha portato via, non ti sei più fatto sentire. Sei sparito dalla circolazione. Quando sono venuta a trovarti in ospedale, mi hai cacciato via. Hai urlato che non mi volevi lì. Te lo ricordi questo? Non puoi credere che ora io sia disposta a dimenticare tutto.”

“Mizuki…”

“È il caso che tu vada, Mitsui.”

Lui mi guarda per alcuni secondi. Io sostengo il suo sguardo a fatica. Infine si dirige alla porta e la apre. Prima di uscire mi guarda e mormora: “Mi dispiace.”

Rimango sola e posso finalmente dar libero sfogo alle lacrime. Mi siedo sul divano e abbraccio le gambe poggiandovi la testa sopra.

Erano anni che desideravo sentirgli chiedere scusa, ma non credo ci sia niente che possa fare per cancellare il dolore che ho provato.

 

Pow di Mitsui.

 

Mentre cammino per la città, rifletto su ciò che è successo in passato con Mizuki. Possibile che mi sia dimenticato in quel modo di lei. Mi ritrovo a passare davanti all’ospedale. Forse l’ho raggiunto inconsciamente.

Entro e chiedo alla segretaria se posso vedere il dottor Hiresuke, il medico che mi aveva in cura durante la mia degenza in ospedale.

Pochi minuti dopo che la segretaria l’ha chiamato in ufficio, lo vedo arrivare.

“Mitsui. Come va?”

“Bene, grazie. Lei?”

“Come al solito. Come mai da queste parti?”

“Avrei bisogno di parlarle riguardo una cosa.”

“Problemi al ginocchio?”

“No. Per fortuna il ginocchio sta benissimo.”

Il medico annuisce e mi accompagna nel suo ufficio.

“Dimmi tutto.”

“È possibile dimenticarsi di un periodo della propria vita?”

“Spiegati meglio.”

“Mi sono reso conto di aver dimenticato diverse cose che mi sono accadute circa tre anni fa. Nel periodo in cui mi infortunai il ginocchio.”

Il dottore mi chiede di essere più specifico e io gli racconto di ciò che è avvenuto con Mizuki.

“Quindi ti sei dimenticato tutto ciò che riguarda questa ragazza?”

“Sì.”

“Una spiegazione potrebbe esserci.”

“Cioè?”

“Probabilmente il senso di colpa per il tuo comportamento verso quella ragazza ha fatto sì che inconsciamente tu ti dimenticassi di lei e della sofferenza che le avevi provocato. Ciò avrebbe comportato una diminuzione delle tue sofferenze. In quel periodo hai perso la cosa più importante per te. Avevi perso la possibilità di giocare a basket. Il fatto di perdere anche quella ragazza deve essere stato troppo duro da affrontare e si è quindi attivato questo meccanismo di difesa che ha portato alla momentanea cancellazione di ciò che riguardava lei.”

“Può davvero succedere una cosa del genere?”

“Sì. La psiche umana ha ancora molti segreti, ma una cosa del genere potrebbe succedere in seguito ad un grosso shock come quello che hai avuto tu.”

Rimango con il medico ancora diversi minuti. Poi il suo cercapersone inizia a suonare, perciò lo saluto ed esco dall’ospedale.

Nella mente le sue parole: “…perdere anche quella ragazza deve essere stato troppo duro da affrontare…”

Il medico forse ha ragione. Il problema è che non mi ricordo ciò che provavo esattamente per lei.

Sto camminando da un bel po’ di tempo, quando raggiungo la riva del canale in cui mi sono buttato tre anni fa.

Noto che c’è qualcuno seduto vicino alla riva.

La riconosco subito. È Mizuki. Mi avvicino a lei silenziosamente.

Lei non si volta, ma deve aver percepito la mia presenza perché mi dice: “Sapevo che saresti venuto qui.”

Mi siedo di fianco a lei.

Rimaniamo per diverso tempo in silenzio. Poi mi decido a parlare. “Mi odi?”

 

Pow di Mizuki.

 

“Mi odi?”

La domanda di Mitsui è come una doccia gelata.

Mi volto verso di lui ed il mio sguardo si incatena al suo.

Resto zitta cercando di trovare io stessa una risposta a quella domanda che mi sono fatta milioni di volte.

Spostando lo sguardo mi decido a rispondere. “Non lo so. Mi hai fatto soffrire. Molto. Per diverso tempo sì ti ho odiato profondamente. Ma mi sono resa conto poi che in realtà odiavo me stessa. L’idea che tu pensassi certe cose di me, mi ha convinto di essere davvero quel tipo di persona.”

“No, Mizuki… Tu non lo sei…”

“Ah no? E come la definisci una ragazza che va a letto con un ragazzo un mese dopo averlo conosciuto?”

“Innamorata?”

Mi sento le guance avvampare. “È quello che credevo.” Ammetto.

“Non era vero?”

“Ci si può davvero innamorare di una persona in un mese?” chiedo. Nella mia voce una nota di sarcasmo.

Il silenzio cala ancora tra noi.

 

Pow di Mitsui.

 

Sentirla ammettere che era innamorata di me, mi ha provocato un salto nel battito cardiaco.

Mi giro a guardarla. Ha un gomito appoggiato sul ginocchio e la mano sulla fronte.

Nella mia mente riaffiora un altro ricordo: eravamo seduti poco lontano da dove siamo ora. Avevamo passato tutta la giornata insieme. Avevo notato da un po’ che Mizuki era strana e gli ho chiesto cosa avesse.

“Niente.” Mi ha risposto, appoggiando un gomito sul ginocchio e la mano sulla fronte, spiandomi con lo sguardo. Poi distogliendolo ha aggiunto: “No, non è vero. Io… Mitsui tu mi piaci. Mi piaci molto.” Il suo viso si era tinto di una forte tonalità di rosso, mentre il mio cuore saltava un battito.

Proprio come ha fatto adesso. Ed è in questo momento che riconosco questa sensazione che mi sta stringendo il petto. Mentre la guardo la mia mente rivede una miriade di altri flash di Mizuki. Il suo sguardo dolce; il suo sorriso allegro; la sua risata argentina; le sue lacrime preziose. Rivedo il suo viso, mentre, in preda alla mia furia cieca l’ho insultata. La risento dire che mi ha odiato.

Qualcosa dentro di me si spezza.

 

Pow di Mizuki.

 

Non riesco più a sopportare questo silenzio tra di noi. Mi volto verso di lui con l’intenzione di dire qualcosa. Qualunque cosa pura dir riempire il silenzio.

Ma quando i miei occhi si posano su Mitsui, le parole mi si bloccano e non capisco più niente. Nulla del mondo esterno mi raggiunge. Soltanto il viso di Mitsui riempie i miei occhi. Il suo viso sul quale scorrono lacrime.

“Hisashi…” Mormoro incredula.

“Scusami…” dice nascondendo il volto con una mano. “Adesso mi passa.”

Mi metto in ginocchio davanti a lui, preoccupata. Non l’ho mai visto in questo stato.

“Hisashi, che cos’hai?”

“Niente.”

“Come niente? Stai piangendo, come puoi dire che non hai niente? Perché piangi?” dico togliendogli la mano da davanti al viso ed obbligandolo a guardarmi.

“Perché mi sono reso conto di cosa voleva dire il dottor Hiresuke.”

“Il medico che ti ha avuto in cura?” chiedo confusa.

“Sì. Mi ha spiegato che il dimenticarmi di te potrebbe essere stato un meccanismo di difesa del mio inconscio.”

“Difesa da cosa?”

“Dalla sofferenza. Avevo appena perso il basket che per me era molto importante e me l’ero presa con te, perdendo anche te. Non potendo sopportare di perdere entrambe le cose a cui tenevo di più il mio inconscio ha cancellato una parte del dolore.”

Per diversi istanti rimango senza parole. Nella mia mente la voce di Hisashi continua a ripetere ‘ entrambe le cose a cui tenevo di più ’.

“Però tra il basket e me hai cancellato me.”

“Mi dispiace.”

Lo guardo e una parte di me non riesce ad avercela con lui. “Beh, non credo sia dipeso da te scegliere chi o cosa dimenticare.”

“Ed invece credo che in qualche modo sia stato proprio così.”

Ci osserviamo a lungo e percepisco nel suo sguardo una profonda tristezza.

“Perché dici questo?”

Lui scuote la testa, distogliendo lo sguardo. “Non ha più importanza, ormai.”

“Hisashi, per favore, potrebbe essere l’ultima occasione per chiarirci. Dimmi la verità.” Dico frustrata dal suo modo di fare scostante.

I suoi occhi tornano a cercare il mio sguardo. “Senza basket potevo sopravvivere, senza di te sarei morto.”

Il mio sguardo corre al canale ai nostri piedi, mentre ripenso al giorno in cui l’ho salvato.

“Non mi ero buttato nel canale per il basket. Non solo almeno. Era la certezza di aver distrutto il nostro rapporto ad avermi tolto la voglia di reagire. E sei stata tu a riportarmi indietro. E non intendo soltanto nel senso di avermi tirato fuori dal canale. Mi rendevo conto di starmene andando. Definitivamente. Ma quando ho sentito la tua voce… la frase che hai detto… mi ha riportato indietro. Volevo tornare da te.”

Le sue parole mi colpiscono profondamente. “Allora perché non mi hai detto niente?”

“Non lo so. Credo fosse per paura. Mi avevi salvato, ma non voleva necessariamente dire che mi avevi perdonato. Quando, però, sono salito sull’ambulanza e ho visto che stavi andandotene, ho provato a fermarti, ma l’autista è partito prima che riuscissi a farlo.”

“E perché in ospedale non hai voluto vedermi?”

“Pensavo che volessi dirmi che mi ero meritato tutto ciò che mi era successo e che ti eri pentita di avermi salvato.”

“Sei uno stupido!” mi rendo conto di aver alzato leggermente la voce, ma dentro di me sento una forte rabbia.

“Mizuki…”

Lo interrompo. “Mi hai fatto stare malissimo! Pensavo mi odiassi! Pensavo che fossi in collera con me per averti tirato fuori dal canale! Ero convinta che non ti importasse niente di me!”

“No! No! Non è così! Io ero convinto che tu mi odiassi. Ti amavo e ti amo troppo per sopportarlo.”

Cala il silenzio. L’ultima frase sospesa tra noi.

“Cosa?” chiedo infine incredula.

“Ti amo Mizuki.”

Sento le lacrime che scorrono sulle mie guance. Ho come la sensazione che con esse stia defluendo anche parte della sofferenza provata negli ultimi tre anni.

Hisashi mi accarezza una guancia, asciugandola. Poi avvicina il suo viso al mio e con le labbra cattura la lacrima sull’altra guancia.

“Ti amo Mizuki.” Ripete.

Lo guardo alcuni attimi negli occhi e poi gli butto le braccia al collo. “Anche io ti amo, Hisashi.” Dopodiché scoppio in un pianto liberatorio.

 

Pow di Mitsui.

 

Non ci posso credere. Ero convinto che tutto fosse perduto tra di noi. Ero convinto che con tutta la sofferenza che le avevo causato ormai lei mi odiasse. Ed invece eccoci qui stretti l’uno all’altra con il cuore che sembra voglia scoppiare dalla gioia.

Mi torna alla mente il motto della mia insegnante di filosofia: carpe diem… cogliere l’attimo.

Mi sono sempre chiesto come si potesse cogliere l’attimo, ma mi rendo conto di averlo fatto proprio ora.

Nel momento in cui Mizuki mi ha chiesto di essere sincero avevo due scelte: trincerarmi nel silenzio e perderla, oppure dire la verità, rischiando comunque di perderla lo stesso. Scegliendo la verità ho colto l’opportunità di dirle ciò che davvero provo e provavo per lei. Se non lo avessi fatto lo avrei rimpianto per l’eternità.

Ma neanche nelle mie più rosee previsioni avrei immaginato una fine come questa.

Ho riavuto il basket ed ora ho riavuto anche Mizuki.

Ci separiamo quel tanto che basta per guardarci negli occhi. Poi ci baciamo. Un bacio che cancella ogni traccia di sofferenza dai nostri cuori.

“Voglio tenerti così per sempre.” Le dico quando ci separiamo in cerca d’aria.

“Bene. Perché è così che ho intenzione di restare. E guai a te se provi a cercare di allontanarmi.”

“L’ho fatto una volta e ne stavo morendo. Pensi davvero che ritenterei?”

“Probabilmente no. Ma provvederò personalmente ad accertarmi che tu non lo faccia.”

Si può essere più felici di così?

 

Fine.

 

Cosa ne pensate? Dovrei darmi all’ippica?

Fatemelo sapere mandandomi commenti all’indirizzo mail: kaeru@fastwebnet.it

Ciao ciao

   
 
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