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Autore: yelle    24/11/2013    5 recensioni
[Olicity]
Raccolta di one shots a tema "bacio".
25.09.2015: aggiunta la quinta one shot - storia fluff.
Genere: Commedia, Fluff, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Felicity Smoak, John Diggle, Oliver Queen
Note: Missing Moments, Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Note: prima di una serie di OS legate insieme da un tema unico: il bacio. Questo non vuol dire che in ogni fanfiction ci siano effettivamente Oliver e Felicity che si baciano, ma comunque l'atto in sè rimane un soggetto della storia.
Questa prima storia può essere definita un missing moment della puntata 2x06, quindi avviso di SPOILER! per chi non è in pari con la programmazione americana.
Buona lettura!


 

1. Short skirts

 

“Oliver! Noi due dobbiamo parlare.”
Felicity si precipitò nell’ufficio del suo capo come una slavina, senza controllo, incurante degli uomini presenti nella stanza insieme a lui. Lo sguardo di Oliver sembrò scivolarle addosso senza che lei ne recepisse il messaggio di fondo.
“Felicity,” sospirò rivolgendosi a lei. “Come sicuramente avrai notato, in questo momento sono molto impegnato, non ho temp-…”
“Mr. Queen, è urgente. Ho davvero bisogno di lei!”
La guardò sconsolato mentre uno degli uomini presenti nella stanza faceva un qualche commento su come fosse meglio non negare il proprio aiuto a una bella bionda. Sentendosi incastrato, Oliver si alzò in piedi sospirando rumorosamente. La seguì fino in corridoio, quell’ampio stanzone dove chiunque di passaggio avrebbe potuto vederli e sentirli.
“Felic-…” iniziò a parlare, con l’intenzione di farle notare la mancanza di privacy del luogo, ma venne immediatamente e bruscamente interrotto dalla voce di lei e dal dito che andò a poggiarsi sulle sue labbra.
“Oliver…” sembrava trattenere a stento le parole mentre chiudeva gli occhi strizzando le palpebre in quel particolare modo che era tutto suo. “Lo sapevi che qui dentro pensano tutti che io e te andiamo a letto insieme?”
Sconcertato e un po’ infastidito, Oliver annuì frettolosamente, senza pensare. Felicity scattò.
Lo sapevi?! E non ti è passata per la mente l’idea che potessi essere interessata a saperlo? Ho appena fatto la figura della cretina con Marge, quella della fatturazione, hai presente? Mi ha appena chiesto dove sia andata a far accorciare le mie gonne e se secondo me una come lei può avere qualche speranza di poter venire a farti qualche richiesta! Oh, è stata molto poco subdola a riguardo, credimi.”
“Felicity, calmat-…”
“E NON DIRMI DI CALMARMI! Quella ha sottinteso che io abbia avuto questo lavoro perché abbia fatto del sesso con te, e tu non riesco a fare altro che dirmi di calmarmi?!”
In preda ad una crisi di nervi, Oliver la guardò gesticolare senza freni, muovendosi avanti e indietro nello spazio di fronte a lui, i tacchi che rimbombavano ad ogni passo sulla superficie lucida e pulita del pavimento.
“Aspettami qui,” le intimò, prima di voltarsi e sparire dalla sua vista.
Felicity rimase basita, immobile nel silenzio che seguì la sua sfuriata. Dopo qualche secondo, incerta sulle proprie gambe, si mosse verso il suo ufficio, ma Oliver arrivò all’improvviso a bloccarle la strada, l’espressione seria, l’incedere sicuro.
“Ti avevo detto di aspettarmi,” le disse mentre le passava accanto afferrandole un braccio e trascinandola con sé lungo il corridoio. Si fermarono davanti alle porte dell’ascensore.
La presa sul suo braccio era forte, decisa. Felicity avvertiva il calore emanarsi dalla propria pelle nel punto in cui poggiavano le dita di Oliver. Avrebbe voluto liberarsi, ma quell’improvviso mutismo la spaventava, lo sguardo tagliente le bloccava qualsiasi movimento. Si limitò a stargli accanto, immobile, mentre lui chiamava l’ascensore e la trascinava dentro appena le porte si aprirono. Una volta dentro cercò di allontanarsi da lui, per quanto possibile nello spazio angusto a lei concesso, ma la presa di lui glielo impedì. Rimase basita a guardare Oliver allungare la mano e spingere il pulsante che frenò la corsa della cabina.
“Che diav-…?”
Ma Oliver la mise a tacere. Non lasciandole alcuna via di fuga, le si avvicinò fino a che lei poté sentire il calore del suo corpo sprigionarsi a pochi centimetri da lei. Troppo pochi. Poggiò istintivamente le mani sul suo torace, per poi levarle nell’attimo immediatamente successivo cercando di nascondergli l'imbarazzo che stava comparendo sul proprio volto. Si mise a fissare intensamente i bottoni della sua camicia.
“È vero, lo sapevo. Lo sapevo sin dal nostro viaggio in Russia.”
“Che cos-…?!” Felicity dimenticò il proprio imbarazzo e tornò a guardarlo ad occhi spalancati.
“È stata Isabel a mettermi la pulce nell’orecchio. Una volta tornati a casa non è stato troppo complicato scoprire quanta verità ci fosse nelle sue parole. Mi dispiace non avertene parlato, sul serio, ma l’ho fatto semplicemente perché non volevo turbarti.”
“Oh. OH! Non volevi turbarmi?! E dove diavolo eri quando ne abbiamo parlato, settimane fa?! Sono venuta nel tuo ufficio espressamente per discutere il fatto che non avessi la minima intenzione di diventare il tuo tutto-fare, ma a te non è minimamente importato cosa io avessi da dire o quel che pensassi!” Strillava, con le parole che uscivano senza freni dalle labbra tinte di rosso. Gli occhi, di nuovo fissi sul volto di lui, fiammeggiavano di collera. “Te lo avevo detto, Oliver, che io non volevo finire per essere la segretaria di Mr. Queen, ma tu hai voluto ascoltarmi? No, ovvio che no! E ora ci ritroviamo ad essere al centro dei pettegolezzi di gente così stupida da pensare seriamente che io possa venire a letto con te per ottenere un lavoro per il quale sono eccessivamente qualificata! E tutto questo perché non hai voluto ascoltarmi! Perché non volevi perdere tempo a farti diciotto piani in ascensore! Perché sia mai che a Mr. Queen, amministratore delegato della Queen Consolidated, sia permesso utilizzare un dannato telefono! Quindi perdonami se non riesco a crederti quando dici che non volevi turbarmi!”
Il suo sguardo fu duro mentre scivolava su di lui, affilato come la rabbia che scaturiva dal suo corpo come lampi.
“Felicity, io…” Oliver allungò il braccio, ma si ritrovò incapace di terminare il gesto: la mano rimase a galleggiare nell’aria, priva di destinazione. Non osava toccarla. “Mi dispiace, io non volevo…”
“Oh, certo che no! Tu non vuoi mai ferire nessuno, eppure lo fai sempre! Le tue intenzioni sono sempre buone, ma riesci comunque a dire la cosa sbagliata, ogni volta. Questo tuo modo di fare mi dà sui nervi, non lo sopporto!”
Felicity video lo sconcerto negli occhi di lui. Era pronta a scommettere che non molte persone, nel corso della sua vita, gli si erano rivolte con quel tono, con quelle parole. E certamente non si aspettava quelle parole da lei. Non era troppo difficile immaginarlo, glielo si leggeva chiaramente in faccia.
“Felicity, fammi capire… hai interrotto un’importante riunione e mi hai trascinato fuori dal mio ufficio… per dirmi che sono uno stronzo?”
Il tono duro colse Felicity completamente alla sprovvista, facendola balbettare quando riaprì la bocca.
“Io… ehm, c-credo di sì?”
Un sorriso comparve sul volto di Oliver. Un sorriso che la fece infuriare.
“Stavo scherzando, Felicity. Non fare quella f-…”
Ma Oliver non riuscì a terminare la frase, l’occhiata di lei glielo impedì. Si sentì il volto in fiamme, come se avesse appena ricevuto uno schiaffo. Schiaffo che lei sembrava assolutamente pronta a dargli.
La fissò negli occhi furenti incapace di distogliere lo sguardo. Gli prudevano le mani dalla voglia che aveva di toccarla. Non l'aveva mai avuta così vicina da sentire il suo profumo di donna arrivargli alle narici, inebriante.
Deglutì.
Si sentiva uno stupido.
All'improvviso prese una decisione. Le sue mani salirono al volto di lei, piegò la testa e poggiò le labbra su quelle di lei. Erano morbide, eccitanti, e si aprirono per lui.
Oliver sbatté le palpebre e l'immagine che gli scorreva davanti sfumò.
Non l'aveva baciata, e Felicity era ancora arrabbiata con lui. Gli dava le spalle, nascondendogli la faccia alla sua vista.
Rassegnato, schiacciò di nuovo il pulsante e attese che la cabina tornasse a muoversi.
I suoi occhi rimasero incatenati a lei mentre le porte si aprivano e lei scappava via da lui. E lui, stupido uomo qual era, non si preoccupò di inseguirla, di dirle in qualche modo che aveva torto, che si era sbagliata. Sapeva che non era così. Aveva invece colto nel segno, e lui era stato troppo stupido e troppo preso da sé stesso per capirlo in tempo, per porvi rimedio. Era lui che aveva sbagliato, lui che stava sbagliando ancora adesso. Perché l’unica cosa a cui riusciva a pensare mentre la guardava scomparire dietro l’angolo, oltre le porte, irraggiungibile, l’unica immagine che ora gli riempiva la mente era quella delle loro labbra unite nel bacio che aveva solo sognato.
Lei aveva ragione, lui era un imbecille, e l’unica cosa a cui non era riuscito a smettere di pensare nello spazio angusto della cabina era avvicinare il viso a quello di lei fino al punto di non ritorno, fino al punto in cui lei non avrebbe più avuto la possibilità di scostarsi, di negarsi. E baciarla.
Se solo lo avesse fatto. Se solo avesse avuto il coraggio. Che cosa ne sarebbe stato di lui?
   
 
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