Las
Mariposas
Minerva osservava nervosamente la
canna
della pistola. Le pareva un brutto sogno, ma sapeva perfettamente che
era la
realtà. In quel momento non sapeva dire se se lo aspettasse
o no… forse la sua
parte più debole, più vulnerabile le aveva
sussurrato all’orecchio, di tanto in
tanto, che prima o poi lei e Maria Teresa avrebbero fatto una brutta
fine. Ma quella
voce melliflua e gelida l’aveva sempre scacciata, gettandosi
anima e corpo
nella sua missione: rovesciare Trujillo, liberare il proprio Paese,
andare
avanti e guardare al futuro.
Niente più terrore,
niente più
arretratezza. Non più un Paese povero e misero, ma un futuro
per sé stessa, per
i suoi figli, per le sue sorelle e i suoi nipoti, per tutti i
dominicani. Un futuro
libero e radioso che cozzava con la scena che le si parava davanti.
Un maggiolino in mezzo al ponte che
li
aveva costretti a fermarsi, quattro uomini armati e dall’aria
poco pacifica,
lei, Maria Teresa e Patria, povera, cara Patria, che non aveva colpe,
lì,
davanti alle armi spianate contro di loro. Provò anche una
fitta di dispiacere
per Rufino: misero lui, che colpe aveva? Aveva fatto loro semplicemente
da
autista ed eccolo lì, pronto per scomparire.
Oh, Minerva non
s’illudeva certo di
riuscire a scamparla: il dittatore le voleva far sparire, lo sapeva
bene. Una carcere
buia sarebbe stato troppo poco: molto più sicuro ucciderle e
far passare tutto
come un incidente o nascondere i cadaveri. Niente corpi, niente
crimine, solo
illazioni che nessuno avrebbe potuto provare.
La sua unica consolazione era che,
quella
volta, non aveva portato con sé Minou e Manuel. I suoi
bambini erano a casa, al
sicuro. Sarebbero cresciuti senza di lei, ma erano vivi. Non avrebbero
ricordato il suo volto e la sua voce, il suo sorriso e le sue carezze,
le sue
ninna nanne e le storie che raccontava loro –e come avrebbero
potuto? Avevano solo
quattro anni e undici mesi, si disse con amarezza- ma erano vivi.
Sarebbero vissuti,
sarebbero diventati grandi. Si sarebbero innamorati e sposati,
avrebbero avuto
figli. E, forse, avrebbero vissuto in un Paese finalmente libero.
Avrebbero visto
tutto ciò che lei non avrebbe più potuto vedere,
il realizzarsi dei suoi sogni.
Pensava ciò, mentre lei
e le sue sorelle
venivano costrette a salire sull’auto dei rapitori. Rufino,
invece, venne separato
da loro e montò sulla loro jeep assieme a tre degli uomini.
Il paesaggio sfilava fuori dal
finestrino come in un sogno. Il senso di irrealtà di acuiva,
assieme a quello
di oppressione. Dove li stavano portando, si chiese, osservando la
vegetazione
farsi più folta.
Nessuno poteva sentire le urla. La
casa
era immersa nel verde, isolata dal resto del mondo. Forse
un’oasi di calma e
tranquillità in altri tempi, ma ora era diventata un
mattatoio.
Urla, gemiti, strilli. Qua e la,
smozzicate, parole che potevano sembrare preghiere o maledizioni o
suppliche. Forse
invocazioni.
Grugniti per la fatica di colpire
quei
corpi morbidi con i bastoni, per la fatica di sollevarli ed impiccarli.
Imprecazioni
e sbuffi. Poi rimase solo il silenzio.
La porta si aprì e uno
dei quattro
uomini, sudato e affaticato, uscì. Si accostò ad
un quinto, decisamente
riposato e dall’aria quasi annoiata, che lo scrutò
gelido.
-Signore, missione compiuta.
NdA
Oggi
è la
Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le
donne. Fu
creata dall'ONU nel 1999 e la data fu scelta come omaggio e ricordo
delle tre
sorelle Mirabal: Patria, Minerva e Maria Teresa.
Le
sorelle Mirabal erano tre
sorelle dominicane
il cui impegno politico contro il dittatore della Repubblica Dominicana
Rafael
Leónidas Trujillo le condusse alla morte il 25 novembre 1960.
Minerva
-di cui il dittatore si era innamorato e a cui
portava rancore per essere stato respinto- e Maria Teresa, il 18 maggio
dello
stesso anno, erano state giudicate colpevoli per aver attentato alla
sicurezza
dello Stato dominicano assieme ai loro mariti e furono messe in
prigione, ma
stranamente scarcerate il 9 agosto. Le disposizioni del dittatore
avevano un
doppio fine: da un lato dimostrare la sua magnanimità,
dall'altro dava la
libertà a persone che avrebbe continuato ad ostracizzare ed
ostacolare.
Dopo
tempo dopo iniziarono a comparire rapporti sulle
attività rivoltose delle tre sorelle e le pressioni
internazionali spinsero
Trujillo ad ordinare a Pupo Roman di liberarsi delle sorelle -la
quarta,
Belgica, si salverà-.
Venne
dato l'ordine di uccidere le due sorelle in
un'imboscata sull'autostrada mentre queste erano di ritorno dal carcere
dov'erano imprigionati i mariti e simulare un incidente
automobilistico, ma il
primo attentato -il 18 novembre- fallì poiché le
sorelle avevano con sé in
macchina i figlioletti.
Il
piano venne rimandato al 25 novembre, quando l'esercito
venne informato che le sorelle sarebbero state accompagnate non dai
figli, ma
da un autista e dalla terza sorella, Patria. Di ritorno dal carcere,
l'auto su
cui viaggiavano le tre sorelle e l'autista Rufino de la Cruz venne
fermata sul
ponte di Marapica, tra Puerto Plata e Santiago, da quattro uomini scesi
da un
maggiolino piazzato in mezzo alla strada. Le donne furono costrette,
minacciate
con delle pistole, a salire sul sedile posteriore dell'auto dei
rapitori,
mentre tre degli uomini salivano sulla loro auto con l'autista. Si
diressero
verso La Cumbre, dove, in una casa, il capitano Peña Rivera
li aspettava per
dare loro le ultime istruzioni.
Le
due macchine parcheggiarono nel cortile della casa e i
quattro ostaggi furono fatti entrare. Lì, in una delle
stanza, i quattro rapitori
bastonarono a morte e uccisero le tre sorelle Mirabal e l'autista. I
cadaveri vennero messi nella jeep delle sorelle e per
coprire l’omicidio fu simulato un incidente stradale.
Le
sorelle Mirabal sono eroine nazionali per la Repubblica
Dominicana e a loro è intitolata questa giornata per il loro
impegno esemplare
nella lotta femminile contro il dittatore che tenne nel terrore e
nell'arretratezza la Repubblica Dominicana per 30 anni.
E
questa piccola one shot, per onorare la loro memoria.
*Las
mariposas è il nome con cui sono conosciute le tre
sorelle Mirabal.
*Minou
è il diminutivo di Minerva Josefina Tavárez Mirabal, la figlia maggior di
Minerva Mirabal.
*I due
uomini che compaiono nel finale sono il sergente de la Rosa e il
capitano
Peña Rivera e la frase “Signore, missione
compiuta”, fu realmente pronunciata
al termine dell’omicidio.