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Autore: Elizabeth_Tempest    25/11/2013    2 recensioni
Minerva osservava nervosamente la canna della pistola. Le pareva un brutto sogno, ma sapeva perfettamente che era la realtà. In quel momento non sapeva dire se se lo aspettasse o no… forse la sua parte più debole, più vulnerabile le aveva sussurrato all’orecchio, di tanto in tanto, che prima o poi lei e Maria Teresa avrebbero fatto una brutta fine.
Oggi è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Fu creata dall'ONU nel 1999 e la data fu scelta come omaggio e ricordo delle tre sorelle Mirabal: Patria, Minerva e Maria Teresa.
Le sorelle Mirabal erano tre sorelle dominicane il cui impegno politico contro il dittatore della Repubblica Dominicana Rafael Leónidas Trujillo le condusse alla morte il 25 novembre 1960.
Genere: Drammatico, Malinconico, Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate | Contesto: Novecento/Dittature, Dopoguerra
- Questa storia fa parte della serie 'Donne'
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Las Mariposas

 

 

Minerva osservava nervosamente la canna della pistola. Le pareva un brutto sogno, ma sapeva perfettamente che era la realtà. In quel momento non sapeva dire se se lo aspettasse o no… forse la sua parte più debole, più vulnerabile le aveva sussurrato all’orecchio, di tanto in tanto, che prima o poi lei e Maria Teresa avrebbero fatto una brutta fine. Ma quella voce melliflua e gelida l’aveva sempre scacciata, gettandosi anima e corpo nella sua missione: rovesciare Trujillo, liberare il proprio Paese, andare avanti e guardare al futuro.

Niente più terrore, niente più arretratezza. Non più un Paese povero e misero, ma un futuro per sé stessa, per i suoi figli, per le sue sorelle e i suoi nipoti, per tutti i dominicani. Un futuro libero e radioso che cozzava con la scena che le si parava davanti.

Un maggiolino in mezzo al ponte che li aveva costretti a fermarsi, quattro uomini armati e dall’aria poco pacifica, lei, Maria Teresa e Patria, povera, cara Patria, che non aveva colpe, lì, davanti alle armi spianate contro di loro. Provò anche una fitta di dispiacere per Rufino: misero lui, che colpe aveva? Aveva fatto loro semplicemente da autista ed eccolo lì, pronto per scomparire.

Oh, Minerva non s’illudeva certo di riuscire a scamparla: il dittatore le voleva far sparire, lo sapeva bene. Una carcere buia sarebbe stato troppo poco: molto più sicuro ucciderle e far passare tutto come un incidente o nascondere i cadaveri. Niente corpi, niente crimine, solo illazioni che nessuno avrebbe potuto provare.

La sua unica consolazione era che, quella volta, non aveva portato con sé Minou e Manuel. I suoi bambini erano a casa, al sicuro. Sarebbero cresciuti senza di lei, ma erano vivi. Non avrebbero ricordato il suo volto e la sua voce, il suo sorriso e le sue carezze, le sue ninna nanne e le storie che raccontava loro –e come avrebbero potuto? Avevano solo quattro anni e undici mesi, si disse con amarezza- ma erano vivi. Sarebbero vissuti, sarebbero diventati grandi. Si sarebbero innamorati e sposati, avrebbero avuto figli. E, forse, avrebbero vissuto in un Paese finalmente libero. Avrebbero visto tutto ciò che lei non avrebbe più potuto vedere, il realizzarsi dei suoi sogni.

Pensava ciò, mentre lei e le sue sorelle venivano costrette a salire sull’auto dei rapitori. Rufino, invece, venne separato da loro e montò sulla loro jeep assieme a tre degli uomini.

Il paesaggio sfilava fuori dal finestrino come in un sogno. Il senso di irrealtà di acuiva, assieme a quello di oppressione. Dove li stavano portando, si chiese, osservando la vegetazione farsi più folta.

 

Nessuno poteva sentire le urla. La casa era immersa nel verde, isolata dal resto del mondo. Forse un’oasi di calma e tranquillità in altri tempi, ma ora era diventata un mattatoio.

Urla, gemiti, strilli. Qua e la, smozzicate, parole che potevano sembrare preghiere o maledizioni o suppliche. Forse invocazioni.

Grugniti per la fatica di colpire quei corpi morbidi con i bastoni, per la fatica di sollevarli ed impiccarli. Imprecazioni e sbuffi. Poi rimase solo il silenzio.

La porta si aprì e uno dei quattro uomini, sudato e affaticato, uscì. Si accostò ad un quinto, decisamente riposato e dall’aria quasi annoiata, che lo scrutò gelido.

-Signore, missione compiuta.

 

 

 

 

NdA

Oggi è la Giornata internazionale per l'eliminazione della violenza contro le donne. Fu creata dall'ONU nel 1999 e la data fu scelta come omaggio e ricordo delle tre sorelle Mirabal: Patria, Minerva e Maria Teresa.
Le sorelle Mirabal erano
 tre sorelle dominicane il cui impegno politico contro il dittatore della Repubblica Dominicana Rafael Leónidas Trujillo le condusse alla morte il 25 novembre 1960. 
Minerva -di cui il dittatore si era innamorato e a cui portava rancore per essere stato respinto- e Maria Teresa, il 18 maggio dello stesso anno, erano state giudicate colpevoli per aver attentato alla sicurezza dello Stato dominicano assieme ai loro mariti e furono messe in prigione, ma stranamente scarcerate il 9 agosto. Le disposizioni del dittatore avevano un doppio fine: da un lato dimostrare la sua magnanimità, dall'altro dava la libertà a persone che avrebbe continuato ad ostracizzare ed ostacolare.
Dopo tempo dopo iniziarono a comparire rapporti sulle attività rivoltose delle tre sorelle e le pressioni internazionali spinsero Trujillo ad ordinare a Pupo Roman di liberarsi delle sorelle -la quarta, Belgica, si salverà-. 
Venne dato l'ordine di uccidere le due sorelle in un'imboscata sull'autostrada mentre queste erano di ritorno dal carcere dov'erano imprigionati i mariti e simulare un incidente automobilistico, ma il primo attentato -il 18 novembre- fallì poiché le sorelle avevano con sé in macchina i figlioletti.
Il piano venne rimandato al 25 novembre, quando l'esercito venne informato che le sorelle sarebbero state accompagnate non dai figli, ma da un autista e dalla terza sorella, Patria. Di ritorno dal carcere, l'auto su cui viaggiavano le tre sorelle e l'autista Rufino de la Cruz venne fermata sul ponte di Marapica, tra Puerto Plata e Santiago, da quattro uomini scesi da un maggiolino piazzato in mezzo alla strada. Le donne furono costrette, minacciate con delle pistole, a salire sul sedile posteriore dell'auto dei rapitori, mentre tre degli uomini salivano sulla loro auto con l'autista. Si diressero verso La Cumbre, dove, in una casa, il capitano Peña Rivera li aspettava per dare loro le ultime istruzioni.
Le due macchine parcheggiarono nel cortile della casa e i quattro ostaggi furono fatti entrare. Lì, in una delle stanza, i quattro rapitori bastonarono a morte e uccisero le tre sorelle Mirabal e l'autista. I cadaveri vennero messi nella jeep delle sorelle e per coprire l’omicidio fu simulato un incidente stradale.
Le sorelle Mirabal sono eroine nazionali per la Repubblica Dominicana e a loro è intitolata questa giornata per il loro impegno esemplare nella lotta femminile contro il dittatore che tenne nel terrore e nell'arretratezza la Repubblica Dominicana per 30 anni.

E questa piccola one shot, per onorare la loro memoria.

 

*Las mariposas è il nome con cui sono conosciute le tre sorelle Mirabal.

*Minou è il diminutivo di Minerva Josefina Tavárez Mirabal, la figlia maggior di Minerva Mirabal.

*I due uomini che compaiono nel finale sono il sergente de la Rosa e il capitano Peña Rivera e la frase “Signore, missione compiuta”, fu realmente pronunciata al termine dell’omicidio.

   
 
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