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Autore: S t r a n g e G i r l    25/11/2013    5 recensioni
Ogni sera, prima che sua figlia Jane si addormenti, Wendy le racconta la sua favola preferita: "le avventure di Peter Pan".
Ma il dipinto della sua vita, che all'apparenza sembra perfetto, nasconde più ombre di quante il pittore non ne avesse inizialmente previste.
Wendy pensa di essere difettosa e malfunzionante, quando si ritrova di notte a fare i conti con se stessa e con i suoi incubi, perchè persino dopo dodici anni, un matrimonio ed una figlia il suo cuore continua ad appartenere ad un ragazzino appena quindicenne.
*****
Estratto dalla OS:
"Wendy prese il libro di favole, scritto di suo pugno non appena tornata a Londra come una specie di diario, e lo portò via dalla stanza della sua bambina.
Il posto più sicuro per certe memorie, a volte, non era altro che un cassetto chiuso bene a chiave."
Genere: Introspettivo, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Pan, Wendy, Darling
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Un passo avanti, dieci indietro.'
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In Fondo Al Cassetto
 
High dive into frozen waves where the past comes back to life.
Fight fear for the selfish pain and it's worth it every time.
Hold still right before we crash 'cause we both know how this ends.
Our clock ticks till it breaks your glass and I drown in you again.
Cause you are the piece of me I wish I didn't need,
chasing relentlessly, still fight and I don't know why.

 
 

Jane si stropicciò gli occhi con le manine piccole e sbadigliò di nuovo, lottando strenuamente contro il sonno che la stava pian piano conducendo verso l’oblio.
Wendy le rimboccò le coperte e si sporse per darle un bacio sulla fronte, posando il volume di favole sul comodino con il segnalibro che spuntava dalla pagina in cui si era interrotta.
« Mamma? » la richiamò la bambina, dopo che lei si era alzata dal bordo del suo lettino per andare a chiudere la finestra.
Non la lasciava mai aperta di notte. Aveva paura, anche se era sciocco e lo sapeva bene, che a sua figlia potesse capitare quello che era successo a lei.
Si morse il labbro inferiore, Wendy, e serrò le palpebre per scacciare il ricordo della sua prigionia, della cella di rami intrecciati in cui aveva marcito per anni e anni raggomitolata su se stessa, e tornò a chinarsi sul visino assonnato di Jane.
« Dimmi, tesoro. » sussurrò fra i suoi capelli biondi, spegnendo intanto la luce più vicina.
« Perché non vuoi che Peter Pan venga a prendermi? » chiese diretta la piccola, girandosi su un fianco.
Wendy sussultò, mentre lo stomaco le si riduceva alle dimensioni di un pugno e poi le implodeva nell’addome.
Anche se era passato così tanto tempo che a volte le pareva una vita intera, lei ancora tremava solo nell’udire quel nome.
Lui, il suo carceriere.
Sorrise in maniera forzata e le unghie della mano destra si conficcarono nella carne del palmo con dolore.
Era un vizio che non aveva mai perso, quello: lo faceva anche quando era poco più che un’adolescente, sola e impaurita, che sbirciava la luna fra una fessura e l’altra della sua gabbia pregando di salvarsi. E salvare i suoi fratelli.
La sofferenza che si provocava in quel modo le ricordava che era ancora viva e che, quindi, c’era ancora speranza.
« Perché dici così, cucciola? » domandò a sua volta, faticando a tirare fuori le parole dalla gola.
Quando si toccava un determinato argomento, a Wendy pareva di avere nella trachea decine di lame imbevute di sognombra che le ferivano la voce.
« Non lasci mai la finestra aperta e lui così non può entrare. » spiegò Jane con semplicità, mettendosi poi seduta sul materasso come se d’improvviso il sonno le fosse scivolato di dosso come le coperte « Io vorrei conoscerlo, sai mamma? Tu non fai che raccontarmi delle sue avventure e io le sogno la notte! L’Isola che non c’è deve essere bellissima con i suoi mari blu come quelle pietre preziose, di cui non so pronunciare il nome, e le sue piante dal profumo inebritante, invebritante... » mise su un piccolo broncio poiché non ricordava perfettamente la parola e poi continuò imperterrita « Credi che lui mi accetterebbe fra i Bimbi Sperduti anche se sono una femminuccia? »
Wendy aveva la nausea ed il respiro mozzato.
Avrebbe voluto gridare e prendersi a schiaffi perché era solo colpa sua se sua figlia si era messa in testa fantasie simili; non aveva idea di quanto potessero essere pericolose.
Non avrebbe dovuto parlare a Jane di Peter. Non avrebbe dovuto permettergli di insinuarsi di nuovo nella sua vita, anche se solo come favola.
Le fiabe, lei lo sapeva bene, non erano che racconti inventati per alimentare l’immaginazione infantile.
Non avrebbero mai dovuto basarsi su ricordi o fatti personali, come in quel caso.
« Mamma stai bene? » chiese sua figlia, poggiandole una manina calda sulla guancia.
Wendy annuì tetra e poi si costrinse a dire qualcosa, promettendo a se stessa che quella sarebbe stata l’ultima sera in cui avrebbe pronunciato il nome di Peter Pan ad alta voce a qualcuno che non fosse stata la sua immagine riflessa nello specchio.
« Sì, tutto bene, amore. Non preoccuparti. Ora rimettiti sotto le coperte e dormi, da brava. » mormorò dolcemente e poi aggiunse in un sussurro che sembrava quasi essere un segreto svelato « Peter Pan non esiste, quindi non potrebbe mai venirti a prendere. Tu, però, puoi sognarlo. Nei sogni, accade di tutto e se ci credi davvero, prima o poi, si avverano. »
Jane, convinta, fece di sì con testolina e sorrise, mostrando un buchetto al posto dell’incisivo destro.
Soffiò un bacio in direzione di sua madre e poi chiuse gli occhi.
Wendy prese il libro di favole, scritto di suo pugno non appena tornata a Londra come una specie di diario, e lo portò via dalla stanza della sua bambina.
Il posto più sicuro per certe memorie, a volte, non era altro che un cassetto chiuso bene a chiave.

Wendy sentì qualcuno che la chiamava insistentemente, cercando di svegliarla.
Aprì piano gli occhi e subito, assieme alla coscienza, riemerse il dolore alla schiena per la postura a cui era costretta dentro quella cella.
Gemendo, raccolse le gambe sotto di sé e si guardò intorno, benché non ci fosse alcun panorama da osservare.
Qualcosa di diverso, però, lo notò: una delle due pareti di rami maltagliati e secchi era aperta ed un beffardo sorriso familiare l’attendeva al di fuori.
Il cuore di Wendy si pietrificò fra le sue costole, come se qualcuno avesse immesso calce nel suo sangue per farlo immobilizzare.
Peter era accovacciato davanti a lei, i gomiti poggiati sulle ginocchia, la testa leggermente inclinata per la curiosità e il solito sopracciglio derisorio alzato.
Tese un braccio verso la sua prigioniera, in un muto invito ad uscire, che lei raccolse con qualche riserva: fidarsi era impensabile per Wendy, eppure ogni volta che lo vedeva la sua rabbia vacillava.
C’era qualcosa negli occhi cristallini di Peter che minava il suo rancore ed apriva crepe nella sua corazza di astio. E lei detestava quel qualcosa perché se non riusciva ad odiarlo, l’unica cosa che poteva fare era amarlo.
Ed amare uno come lui era un tentativo di suicidio bello e buono, lei lo sapeva. Era come tentare di sfondare a spallate una porta d’acciaio, riuscendo appena a scalfirla.
Peter non amava. Forse l’unica cosa di cui gli importava era la sua giovinezza ed avrebbe fatto di tutto per non perderla mai. Avrebbe sacrificato qualunque cosa e chiunque, persino lei.
« Vieni. » disse con quel suo accento che faceva tremare le dita a Wendy.
Non chiedeva mai; affermava, piuttosto, con un tono perentorio che aveva il retrogusto di un ordine a malapena camuffato.
Lei sgusciò fuori dalla sua gabbia, lieta di poter tastare il terriccio molle e le foglie bagnate della foresta e di poter scrutare il cielo stellato senza affaticare gli occhi.
Per un prigioniero quei brevi assaggi di libertà erano come briciole di pane per un affamato, come gocce d’acqua piovute dal cielo per un assetato: erano speranza.
Peter le afferrò il polso senza grazia, facendole quasi male, e la trascinò con sé fra gli alberi ed i cespugli, senza mai rallentare, nemmeno quando la sentiva inciampare o singhiozzare per il dolore alla spina dorsale.
« Dove stiamo andando? » si azzardò a domandare Wendy, ansimando e concentrandosi sui suoi passi per non perdere nuovamente l’equilibrio.
Le pareva quasi di non ricordare più come si camminasse.
Lui non rispose, anzi aumentò la velocità di quella che ormai era una corsa affannosa fra radici sporgenti e fronde basse, che lui evitava abbassandosi all’ultimo e che invece lei prendeva sempre in pieno, sul viso.
E quando d’improvviso lui si fermò, lei crollò a terra, esausta, asciugandosi le lacrime col dorso della mano sudicia prima che lui le notasse.
Ma Peter non le badava affatto: focalizzava la sua completa attenzione su un qualcosa che Wendy, dal basso, non riusciva a vedere.
« L’ho trovato. Colui che possiede il cuore di chi crede davvero. » sussurrò.
Si volse e si inginocchiò accanto a lei, indicandogli col dito un ragazzino dai capelli scuri e ribelli, occhi vispi e una  ridicola camicia a quadri.
Si schiarì la gola, cercando qualcosa da dire.
« Uhm… E’ un bene, no? »
Peter le gettò un’occhiata di brace addosso e poi tornò a fissare il ragazzino, che sedeva solitario su un tronco mentre a pochi metri da lui il resto dei Bimbi Sperduti danzava attorno ad un falò.
A Wendy parve triste e arrabbiato, proprio come lei. Nei suoi occhi scuri c’era lo stesso sconforto che spesso andava a farle visita la notte; l’unica differenza era che attorno al possessore del cuore che tanto era caro a Pan non v’erano sbarre. Ma lei sapeva bene quanto spesso ci si sentisse più prigionieri nell’anima che nel corpo.
« Sta per finire, Wendy. » disse Peter dopo qualche attimo di silenzio, riempito solo dagli schiamazzi dei Bimbi Sperduti.
« E cosa ne sarà di lui? » domandò lei, indicando con il mento il ragazzino che aveva un ché di familiare « O di me? »
« Sarà fatto quel che deve essere fatto per salvare la magia. La mia magia. » rivelò lui con tono incolore.
A Wendy il cuore riprese di colpo a battere impazzito, furioso.
Si alzò a fatica in piedi, sbucciandosi i polpastrelli sulla corteccia dell’albero con cui si aiutò ad issarsi, e mosse qualche passo incerto nella boscaglia.
A volte dimenticava quanto Peter sapesse essere egoista e meschino. E quanto amarlo e sperare che cambiasse fosse inutile.
« Dove vai? Sai bene che non ti è concesso andare in nessun posto se… »
« …se non sei tu ad ordinarlo. Lo rammento, sì. Perciò forza, riportami in cella. Non mi interessa stare qui a spiare un bambino innocente di cui tu ti servirai per arrivare ai tuoi spregevoli scopi. Non ti importa mai di nessuno se non di te stesso. » lo aggredì, con le lacrime bollenti che le scendevano dagli angoli degli occhi in rigagnoli di delusione.
Peter parve colpito e allungò una mano, quasi volesse asciugargliele dalle guance, poi all’ultimo cambiò idea e la ghermì per una spalla, portandola a pochi centimetri da sé.
« La cosa ti disturba, Wendy? » la schernì, alzando ancora quell’irritante sopracciglio.
« Sì. » dichiarò a denti stretti, sforzandosi di non sporgersi per baciarlo.
Per quanto arrabbiata fosse, c’era una parte di lei che avrebbe voluto buttare le braccia al collo di Peter e stringerlo a sé. Eppure non lo fece, ben sapendo che sarebbe stata respinta in malo modo e che ciò l’avrebbe fatta nuovamente disperare quella notte nella sua gabbia.
E davvero non aveva bisogno di altri motivi per cui odiarlo e odiare se stessa.
« Ti chiedo un solo favore: uccidimi prima. »
Peter mollò la presa come se si fosse ustionato e la guardò allucinato.
« Ucciderti? » ripeté basito, osservando le mani contratte di Wendy lungo il busto.
« Sì. Non voglio essere tua complice. Preferisco morire che vederti togliere la vita ad un ragazzino solo per un eccesso di egocentrismo e narcisismo. Saresti anche capace di coinvolgermi in qualche raggiro per renderlo più malleabile ed io non voglio. Uccidimi, Peter. » lo pregò, bagnando la propria voce di tutta la stanchezza che risiedeva nelle sue ossa e nel suo cuore.
Era arrivata al limite e non poteva più sopportare di vivere in quel modo.
Avrebbe perso Michael e John, era vero, ma tanto sapeva bene che non li avrebbe rivisti mai ugualmente.
Peter fissava Wendy come se la vedesse per la prima volta.
Allungò una mano e allacciò le dita con quelle di lei, accarezzandone il dorso col pollice.
Poi si diresse verso il centro della foresta a passo lento, senza lasciarla.
« Mai. » borbottò così piano che lei a stento l’udì.

Wendy gridò e poi spalancò gli occhi di scatto, mettendosi seduta fra le coperte aggrovigliate del suo letto col respiro spezzato.
Nella sua testa, il sogno appena fatto stava volgendo al termine e lei portò le mani fra i capelli, premendo con forza le dita sulle tempie per scacciare via le ultime scene.
Peter Pan che le mostrava dolcezza ed attenzione durante tutto il tragitto per il ritorno alla sua cella, la speranza che sbocciava di nuovo nel suo cuore pulsante e, infine, la brutalità con cui lui la spingeva dentro, lontana da sé, chiudendo bene la gabbia affinchè non provasse a scappare.
« Mai, Wendy. Non potrei mai ucciderti prima. Tu assisterai all’epilogo assieme a me. » le aveva detto con malignità prima di voltare le spalle e andar via.
E lei era rimasta ancora una volta sola e rannicchiata in un angolo, a tenere fra le mani le briciole del suo cuore da rincollare solo per permettere poi a Peter di disintegrarglielo di nuovo.
Un passo avanti, dieci indietro.
Piangeva, Wendy, nel suo letto matrimoniale vuoto e sfatto e si chiese perché certi ricordi non riuscisse a metterli via.
Il cassetto in cui li chiudeva ogni volta, immancabilmente si riapriva e ne risputava fuori sempre qualcuno di particolarmente doloroso che le faceva visita a notte fonda sotto forma d’incubo.
Cercò di regolarizzare il respiro e si asciugò il viso: se sua figlia si fosse svegliata d’improvviso, decidendo di andarsi a rintanare sotto le sue stesse coperte per cercare conforto, cosa le avrebbe mai potuto raccontare?
Wendy sospirò e si alzò, infilando una vestaglia leggera per andare in cucina a prendere un bicchiere d’acqua.
Non aveva mai smesso di sognare Peter Pan o l’Isola che non c’è.
Vedeva quel sorriso malizioso, e spesso derisorio, ogni qualvolta chiudeva gli occhi.
Non l’aveva mai confessato a nessuno, neppure al suo defunto marito, che aveva davvero provato ad amare con tutta se stessa.
Ma doveva avere qualcosa di difettoso e malfunzionante, considerò fra sé e sé, se persino dopo dodici anni, un matrimonio, una figlia ed un lutto il suo cuore continuava ad appartenere ad un ragazzino appena quindicenne.
A lui, Peter Pan, il suo carceriere.
Che soffrisse di una qualche forma di sindrome di Stoccolma?
Non si era mai saputa dare una risposta. O forse, non aveva mai voluto.
Aprì il rubinetto del lavandino con un sospiro rassegnato e si sciacquò il viso con l’acqua ghiacciata, prima di riempire un bicchiere.
Stava bevendo, quando qualcuno suonò alla porta.
Gettò un’occhiata preoccupata all’orologio appeso sopra la macchina del gas e si chiese chi mai poteva recarsi da lei alle due del mattino.
Sperò che chiunque fosse non avesse legami con la magia o Storybrooke: era tornata a vivere a Londra proprio per distaccarsi da quel mondo nella maniera più definitiva che le fosse concessa.
Titubante, si recò all’ingresso ciabattando, e aprì d’istinto la porta, senza nemmeno prima chiedere chi fosse.
Pessima abitudine la sua: la sua amica Clara glielo consigliava sempre di far mettere almeno uno spioncino.
Davanti a lei, le mani con le nocche screpolate dal freddo affondate in un paio di jeans neri, c'era un ragazzo spavaldo, che però aveva l'aria di un soprammobile fuori posto.
Era alto e slanciato, con i capelli color oro scuro scompigliati dal vento gelido, il naso e la bocca coperti da una spessa sciarpa di lana e gli occhi socchiusi per non farli lacrimare.
Wendy strinse di più il fiocco con cui aveva legato la sua vestaglia e rabbrividì, le mani incrociate sotto il seno.
« Desidera? » chiese cortese ma guardinga, sperando che il suono del campanello non avesse svegliato Jane.
Il tipo alzò il viso, esponendolo alla poca luce che proveniva dall’interno della casa, e scostò la sciarpa per mostrare un sorriso incerto che aveva qualcosa di orribilmente familiare agli occhi di lei.
« Ho usato l’ingresso principale, stavolta. Che ne dici, Wendy? Preferivi che comparissi alla tua finestra? » domandò lui, scrollando le spalle.
Lei, di rifesso, gli sbatté la porta in faccia, scivolando poi giù lungo il legno.
Le mani, che si era portata all'altezza del cuore, tremavano e le tempie le pulsavano, mentre il sangue pareva lava liquida nelle vene.
Sentì delle imprecazioni mal trattenute provenire dal ragazzo che era sul suo portico e poi un colpo contro lo stipite.
Wendy si rifiutava di piangere e di credere che stesse succedendo tutto davvero.
Era impossibile.
Non aveva fatto che ripeterselo per anni, cercando quegli occhi, che erano pezzi di cielo, fra le persone che affollavano i marciapiedi di Londra.
Era impossibile.
Peter Pan era morto nell'esatto momento in cui L'Isola che non c'è era collassata su se stessa, consumato da quella magia che tanto a lungo aveva bramato.
Wendy lo sapeva, anche se non era mai riuscita ad accettarlo fino in fondo.
Era impossibile, era impossibile.
Si somministrò una decina di pizzichi sulle braccia e le cosce, ma non servivano a svegliarsi: rimaneva seduta lì, nell'ingresso accogliente della sua casa.
Non era un altro dei suoi incubi e non lo sarebbe diventato solo credendo fosse così.
« Apri, Wendy. » pronunciò quella voce inflessibile.
Lei sussultò.
Non chiedeva mai; affermava, piuttosto, con un tono perentorio che aveva il retrogusto di un ordine a malapena camuffato.
Impossibile, era impossibile.
Si morse con così tanta forza il labbro inferiore che lo fece sanguinare.
E lo stesso avveniva nel suo petto; lì, sul cuore, dove la cicatrice recante il nome Peter Pan non si era mai rimarginata del tutto.
« Maledizione, Wendy, apri! » gridò lui e bussò con più forza contro il legno della porta, facendola vibrare.
Il tempo era passato, ma lui era sempre lo stesso: non aveva mai imparato a chiedere le cose cortesemente.
« ...per favore. » aggiunse poi in un soffio, tanto che lei non era sicura fosse stato lui a dirlo o il vento che fischiava rabbioso all'esterno.
Quelle parole la smossero contro il suo volere: Wendy si alzò in maniera meccanica e, cercando di dissimulare il suo tremore, socchiuse appena la porta.
Il ragazzo era ancora lì e la fissava dritta in viso, come a volerla convincere con uno sguardo che era lui. Era davvero lui.
Peter Pan, il suo carceriere.
« Chi sei? » domandò astiosa « Smettila di mentire sulla tua identità: non puoi essere lui. Peter Pan è morto, perciò dimmi chi sei e cosa vuoi da me. »
Eppure quegli occhi le dicevano il contrario.
Avevano una sfumatura cupa e malinconica, ma la tonalità era proprio quella che l'aveva tormentata in ogni sogno.
Tentennò, aspettando impaziente una risposta.
Lui sfregava le mani fra loro e vi alitava sopra, cercando di scaldarle.
Una volta, sull'Isola che non c'è, Peter aveva fatto lo stesso gesto con quelle intirizzite di Wendy. Uno dei suoi rari momenti di gentilezza, a cui era poi ovviamente seguita una cattiveria.
Stare al suo fianco, significava costantemente librarsi su un'altalena. Tanto velocemente si saliva verso il cielo, tanto più rapidamente si ridiscendeva verso terra.
« So che è difficile da credere, ma sono io. Wendy, guardami. » il ragazzo cercò di far passare le dita nella fessura della porta aperta per sfiorarle una guancia, ma per poco non gli vennero schiacciate.
« Ritenta. » sibilò lei, iniziando ad avvertire il freddo insinuarsi sotto la vestaglia ed abbracciarle le gambe nude.
Lui allargò le braccia spazientito o forse frustrato.
« Perché dovrei mentire? » chiese in maniera pacata « A che scopo presentarmi di fronte a te dopo anni solo per raccontarti una menzogna? »
Wendy, benché tentasse di resistere, si sentì sprofondare nelle profondità di quelle iridi.
Annegava e detestava ancora una volta se stessa, o perlomeno quella parte di sé che era nonostante tutto legata a Peter, al suo ricordo e perciò a quel ragazzo che dichiarava testardamente di essere lui.
« Non lo so e non voglio saperlo. » asserì brusca, cercando di richiudere la porta, ma lui frappose un piede in mezzo e glielo impedì.
Poi infilò le dita nella fessura e l'allargò, fino ad ottenere spazio sufficiente ad intrufolarsi in casa.
Se fosse stata una situazione normale, senza i precedenti che Wendy aveva vissuto sull'Isola che non c'è, avrebbe gridato e cercato di chiamare la polizia per quell'intrusione molesta.
Ma quella non era una situazione normale, lei non era una ragazza qualunque del ventunesimo secolo e perciò si limitò a camminare indietro verso la cucina, il grido strozzato di paura che le si spegneva in gola.
Il fantomatico Peter, nel frattempo, si guardava attorno con curiosità, studiando con la testa inclinata i dipinti sulle pareti lavanda, l'appendiabiti con due giacche -di cui una piccola e rosa brillante-, il tappeto spugnoso sulla sinistra e il lampadario di cristallo al soffitto.
Solo infine pose di nuovo gli occhi su Wendy e a lei parve di tuffarsi in un mare ghiacciato senza aver preso aria.
Annaspò fra le onde alte e indomabili ed il passato riprese colore.
« Cosa devo fare per convincerti, Wendy? Sono Peter. » avanzò di un passo e, della stessa misura, lei invece arretrò.
« Peter è morto. » replicò battagliera, rifiutandosi di cedere.
Era il principio di una nuova guerra in trincea, quella. Fra loro non era mai stato diverso.
Un passo avanti, dieci indietro.
« Peter sono io. Chiedimi qualunque cosa tu voglia, avanti! » la incoraggiò, tendendole una mano come la volta in cui la tirò fuori dalla gabbia per mostrargli Henry, colui che possedeva il cuore di chi crede davvero.
Wendy tremò e decise che non aveva nulla da perdere.
« Una volta ti ho chiesto un favore... »
« Non ero solito farne. » ribatté prontamente lui, ridendo amaro.
« Quale era? » insistette lei, come se non fosse stata interrotta.
Il sangue le gorgogliava nelle vene ed il cuore era sul punto di esploderle.
Se avesse ottenuto la risposta che si aspettava e, in quel modo, anche la conferma di trovarsi di fronte veramente Peter, cosa avrebbe fatto? E nel caso contrario?
« Volevi che ti uccidessi. Volevi lasciarmi. » biascicò a fatica, come se anche nella sua trachea ci fossero lame grondanti sognombra.
Wendy cadde in ginocchio, le mani livide e contratte sulla vestaglia.
Tutti quegli anni spesi a lottare contro un amore, che per quanto lei tentasse di estirparselo dal petto ricresceva di continuo e più forte di prima come un'erbaccia in giardino, erano stati vani.
Il sentimento per Peter era vivido e pulsante nei suoi ventricoli come dodici anni prima. Era stato, anzi, gonfiato dalla lontananza.
« Dovresti essere morto. » sillabò tetra, senza sollevare il viso.
« Mi spiace deluderti. » esclamò lui ironico e lei sapeva che stava alzando il suo sopracciglio sinistro.
« Perché non lo sei? » domandò, incapace di decidere se fosse lieta della notizia o atterrita.
« Perché non lo sei tu. »
« Che razza di risposta è? »
« Non è una risposta, difatti. E' così e basta, che ti piaccia oppure no, Wendy. » sbottò Peter e lei riconobbe l'arroganza ed il tono beffardo con cui aveva sempre avuto a che fare.
« Non mi piace neppure un po'. »
« Tu vivi, io vivo. Tu muori, io muoio. »
« Smettila, smettila di far sembrare le cose semplici! > gridò d'un tratto, tappandosi le orecchie come a volte faceva sua figlia Jane per non ascoltare i rimproveri.
Eppure non era più una bambina, lei. Era cresciuta, era una donna ora, esattamente come lui ora era un uomo.
« Lo sono, Wendy. Credimi. » Peter coprì la distanza fra loro e si inginocchiò all'altezza di lei, che potè così notare che aveva uno strappo sui jeans e le scarpe infangate.
« Questa non è l'Isola che non c'è. Non devo credere a nulla. Sono passati dodici anni e per tutto il tempo io ti ho creduto morto. Voglio continuare a pensarla così perché non ho alcuna intenzione di farti rientrare nella mia vita. »
Alzò gli occhi, Wendy, e se ne pentì subito: lo sguardo cristallino e ferito di Peter le fece venir voglia di rimangiarsi quel che aveva appena detto.
Ma lui era il re degli inganni e lo dimostrava quella comparsa improvvisa ed inattesa.
« Avrei voluto tornare prima da te, ma sono stato tenuto prigioniero da... »
« Taci. Taci, non voglio sentirti. Esci da casa mia. » ringhiò lei, spintonandolo via.
Peter le afferrò i polsi e la trasse a sé, facendo aderire le loro bocche.
E a nulla servirono le scarne proteste di Wendy.
L'amore per lui, per quanto malsano fosse e lo riconosceva, non si era mai estinto ed ora le infiammava nuovamente il petto come una lingua di fuoco che aveva trovato nuova legna con cui sfamarsi dopo essere stata cenere tanto a lungo.
Lui era la sua malattia e la sua cura, la sua battaglia e la sua tregua, la tragedia ed il lieto fine.
Wendy si abbandonò sulle labbra spaccate dal freddo di Peter e pianse, lasciando che lui le asciugasse le guance senza staccarsi.
Forse non aveva mai lasciato l'Isola che non c'è e quello non era altro che uno dei tanti sogni fatti da prigioniera.
Forse, invece, quella era la realtà e allora gli anni spesi a soffrire d'improvviso acquistavano valore.
Sarebbero stati quelli, d'ora in avanti, i ricordi da nascondere nel fondo di un cassetto chiuso a chiave.
« Ti ho odiato da morire. Mi hai rovinato la vita. » sussurrò Wendy sulla bocca di Peter.
Lui le regalò un sorriso obliquo « Lo so. »
«Ti odio tuttora. » insistette lei, mordendogli con veemenza il labbro inferiore.
Lui storse appena il viso in una smorfia « So anche questo. »
La baciò ancora, infilandole le mani nei capelli per avvicinarla e non lasciarla scappare.
« Così come so che volevi davvero fossi morto perché era quello che volevo anche io. Sarebbe stato più facile. Per entrambi. »
« Cosa avresti fatto se io non... »
« Impossibile. » lui frenò le parole di lei, insinuandole la lingua in bocca.
Wendy la morse, infastidita.
« Non mi hai lasciato neppure finire. »
Peter sorrideva quasi estatico « Qualunque cosa stessi per dire, la risposta sarebbe stata la stessa. Cosa avrei fatto se non mi avessi lasciato entrare? Se non mi avessi creduto? Se non mi avessi più am... »
« Mammina? »
Wendy si strappò via dalle braccia di Peter di colpo e, inciampando sulla vestaglia, corse da Jane che era in piedi sulla soglia della cucina e fissava stranita la scena stropicciandosi gli occhi.
Aveva una gamba del pigiamino con le nuvolette azzurre arrotolato al ginocchio ed i capelli arruffati.
Spostava curiosa lo sguardo da Peter, ancora in ginocchio vicino al tavolo, a sua madre, aspettando che qualcuno le spiegasse quel che stava succedendo.
Ma Wendy non trovava le parole per far capire a sua figlia perché stava baciando un uomo che non fosse il suo papà, così si limitò a prenderla in braccio per confortarla.
« Mamma, chi è lui? >
Peter lanciò un'occhiata beffarda a Wendy e lei sbuffò.
Non stava davvero pensando di dire la verità... o sì?
« Ehm, Jane, lui... »
« Oh, ho scordato di presentarmi. Sono Peter. Peter Pan. »
Gli occhi della piccola si spalancarono di meraviglia, subito dopo però si accigliarono.
Wendy, basita, osservò attorno a sé, cercando qualcosa di acuminato con cui infilzarlo.
« Non dire bugie. Peter Pan è un bambino. Lui non cresce mai. > obiettò Jane, additando il ragazzo di fronte a lei con fare accusatorio.
Lui guardò Wendy facendo spallucce come a dire "Io c'ho provato " e lei sospirò, roteando gli occhi.
Mise giù la sua bambina, piegandosi poi per guardarla dritta in viso.
« Jane, ti ricordi quando ho detto che Peter Pan non esiste? »
La piccola annuì distrattamente, continuando a scrutare dubbiosa il ragazzo accanto a lei.
« Non ti ho detto tutta la verità. » Wendy fece una pausa, tentando disperatamente di trovare una scappatoia a quella situazione folle. « Lui è reale. Io lo so, ho vissuto al suo fianco a lungo ed un giorno lo incontrerai anche tu. Avrà magari i capelli neri o le lentiggini, chissà. Sarà affascinante e ti dirà che assieme a lui potrai realizzare qualunque sogno. Ti farà battere il cuore così forte che non potrai non seguirlo sulla sua Isola che non c'è e farai di tutto per compiacerlo. »
Lo sguardo del vero Peter, in quel momento, era di pura soddisfazione. Wendy lo ignorò, poggiando le mani sulle spalle di Jane.
« Non ti nascondo che ti ferirà ed umilierà e tu lo odierai, ma arriverà un momento in cui le menzogne che ti dirà avranno fine e lui si deciderà a crescere con te. »
« Mamma non capisco. » si lamentò la piccola, guardandola con i suoi occhi grandi e spauriti.
Lei l'abbracciò e le sussurrò all'orecchio, cosicché fosse l'unica a sentirlo « Per ogni bambina esiste un Peter Pan, Jane. Arriverà anche per te. »
Wendy lasciò andare sua figlia incrociando le dita, sperando quindi che la sua spiegazione fosse sufficiente a farle accettare Peter.
Lei trotterellò fino alle gambe del ragazzo e poi, fiera, lo apostrofò « Tu sei il Peter Pan della mamma? »
Lui rise di gusto, poi guardò Wendy inarcando il sopracciglio sinistro come al suo solito, e infine rispose altezzoso « Il solo e l'unico. »
Jane rimase in silenzio qualche istante, studiandolo.
« Non è vero, io ne avrò uno tutto mio. » replicò a tono la bambina, per poi soggiungere « Avrei preferito che quello della mamma fosse il mio papà, ma se proprio devi essere tu... diciamo che mi va bene.  » sospirò infine con fare teatrale.
« Ma non farla piangere o io...io... ti strappo prima i capelli e poi quella poca barba che hai, ecco! » concluse trionfante.
Wendy sorrise, riprendendo a respirare normalmente, e Peter sghignazzò, abbassandosi a prendere in braccio Jane.
«Anche tu mi piaci, piccoletta. Mi ricordi Trilli, sai? »
« Davvero? Mamma, a Carnevale posso mascherarmi da Campanellino, allora? »
Wendy fulminò con un'occhiataccia Peter.
Lui, la sua malattia e la sua cura, la sua battaglia e la sua tregua, la tragedia ed il lieto fine.
E anche l'insieme di tutti i suoi guai e la soluzione.
Sorrise beffarda, decidendo che se Peter voleva ancora giocare come quando erano sull'Isola che non c'è, lei lo avrebbe accontentato.
Forse non sarebbero mai cresciuti davvero, nessuno dei due.
« Certo. Ma il vestito te lo fai cucire da lui. »
If our love is tragedy, why are you my remedy?
If our love's insanity, why are you my clarity?
Walk on through a red parade and refuse to make amends.
It cuts deep through our ground and makes us forget all common sense.
Don't speak as I try to leave 'cause we both know what we'll choose.
If you pull, then I'll push too deep and I'll fall right back to you
 
 

Ma perchè non la pianto di scrivere 'ste cavolate e non lavoro, invece?
Perchè, perchè non riesco a togliermi dalla testa 'sti due?
Ufffffffffaaaaaaaa.
However, ormai la frittata è fatta. Spero che a qualcuno di voi piaccia, almeno un pochino -la frittata, eh-.
Questa OS si regge da sè, ma potrebbe essere benissimo anche il seguito di "A Better Reality". Il futuro che Il Signore Oscuro aveva mostrato a Wendy era solo uno di quelli possibili, in fondo. Questo è un altro.
So già che non la finirò tanto presto di tormentarvi, perciò portate pazienza XP
Il nome della figlia di Wendy è ripreso dal cartone animato "Ritorno all'Isola che non c'è", mentre la canzone che apre e chiude la shot è "Clarity" di Zedd, che ho ascoltato a ripetizione durante tutta la stesura.
Lasciatemi un commentino, anche piccino picciò e fatemi felice, dai che ne ho bisogno :3
Vi abbraccio forte forte.
Strange
   
 
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