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Autore: waferkya    26/11/2013    3 recensioni
[FitzWard, spoiler 1x08]
Ward lascia la stanza di May in punta di piedi.
Genere: Fluff, Generale, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Grant Ward, Leo Fitz
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Spoiler!
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pinhole camera.

Ward lascia la stanza di May in punta di piedi, e non è neppure l’alba e questo aggiunge qualche decimale all’esigua possibilità che, forse, magari, se è proprio molto fortunato, Coulson non se ne sta accuciato da qualche parte nei paraggi, con l’orecchio pigiato al muro per monitorare ogni spostamento d’aria. È stata una lunga giornata del cazzo; è stata una lunga vita del cazzo, per la verità, e Ward preferirebbe non dover aggiungere la voce vuoti, assurdi sospetti di fraternizzazione alla lista di ragioni per cui l’unica cosa che desidera al mondo è sprofondare a letto e non doverne emergere mai più — finché non gli sarà passata la sbronza, cioè.

Si dirige verso la propria camera, e l’addestramento speciale dello S.H.I.E.L.D. è l’unica cosa che gli permette di tenersi vagamente stabile sulle ginocchia di gelatina, dannazione, May, era roba davvero forte. Non gli dispiace, per una volta, essersi alleggerito dell’armatura del controllo; è una qualità sacrosanta, indispensabile per il lavoro sul campo, ma pesa del peso che Ward immagina avrebbe l’universo se esistesse qualcosa di grande abbastanza da esercitare su di esso una forza gravitazionale e di conseguenza donargli la proprietà del peso — Cristo, Ward ha bisogno di fare conversazione con qualcuno che non risieda in pianta stabile in un laboratorio, se i suoi pensieri si preoccupano di essere scientificamente appropriati persino mentre è così ubriaco che sdraiarsi a terra in corridoio e rotolare gli pare una buona idea. È che la moquette ha un aspetto morbidissimo.

Ward incespica nei propri piedi — non che abbia intenzione di raccontarlo in giro; ugh, fa’ che Coulson stia davvero dormendo, — mentre si accovaccia e strofina il dorso di una mano lungo le fibre vellutate del tappeto che ricopre il pavimento; yup, morbido come un peluche. Non che l’agente Grant “Posso Ucciderti Con La Mente Ma Non Lo Farò Perché Usare Solo L’Alluce Del Piede Sinistro (Non Sono Mancino) Mi Diverte Di Più” Ward passi il proprio limitato tempo libero a molestare animali di stoffa nei negozi di giocattoli.

Mentre è laggiù a palpeggiare la tappezzeria, Ward si accorge che, dieci metri più in là, la porta-finestra in fondo al corridoio è aperta, ed è da lì che proviene il refolo di piacevolissima brezza che la sua mente conscia, rimbambita dal liquore, aveva finora attribuito ad un miracoloso ritorno di tutto il karma positivo che s’è guadagnato col suo ligio lavoro di braccio armato del governo.

Ora Ward si ricorda che difficilmente black ops è sinonimo di purezza evangelica, e allora la carezza dell’aria fresca diventa un mistero degno di essere investigato.

Ma più di tutto, decide Ward mentre avanza di soppiatto, lo incuriosisce il fatto che Fitz sia lì, oltre la porta-finestra, affacciato alla scala antincendio dell’albergo. A tarda notte. Fitz, sveglio, all’aperto. Fitz. Ward s’inceppa un po’, sospetta magari un’allucinazione ma non ha bevuto così tanto, grazie mille; magari c’era qualcosa di strano nel liquore, ma è piuttosto sicuro che May sia capace di sentire pure l’odore dei veleni inodori, quindi è probabile che Fitz sia davvero là fuori, tutto solo a quest’ora.

Ward sa che non dovrebbe essere così sorpreso, non dopo l’Ossezia — “Mishka,” mormora tra sé, e ridacchia, e di fatto brucia l’approccio discreto, perché è più vicino alla porta-finestra di quanto avesse realizzato e ora Fitz lo sta guardando.

“Uhm. Tutto ok, agente Ward?”

Ward richiude la bocca di scatto, sfodera un’espressione innocente; “Potrei farti la stessa domanda, mishka.”

Sotto la luce fredda del neon d’emergenza, Fitz arrossisce. “Non—non chiamarmi così,” mugugna, e si rigira su se stesso per tornare ad affacciarsi alla ringhiera. Ward aggrotta le sopracciglia, e ha proprio sulla punta della lingua un’intera conferenza su tutte le ragioni per cui è una pessima idea dare le spalle a chiunque; decide di lasciar perdere, però, perché gli pare un’idea terribilmente faticosa.

Si tira su in piedi, allora, e traballa in avanti e raggiunge Fitz sulla scala antincendio; l’inquinamento non è proprio terribile, da queste parti, e se Ward strizza un po’ gli occhi contro il cielo annacquato, gli appare chiaro che si vedono nitidamente tantissime stelle.

“Dal bus è anche meglio,” dice Fitz, sottovoce, ed è un uomo davvero ridicolo — Ward è ubriaco, ok, quindi è del tutto scusabile che abbia pensato la parola uomo in relazione al gomitolo di riccioli e occhioni azzurri e camicie abbottonate con cura maniacale e maglioni a quadri che è Fitz, — perché la sua voce è chiaramente fatta di peluche.

“Huh,” replica Ward, saggiamente. Ha l’impressione che Fitz gli stia roteando gli occhi, ma c’è poca luce e lui è abbastanza miope in questo momento e quindi non c’è modo di esserne certi.

“Il cielo,” sbuffa Fitz, gesticolando verso la grande prateria blu scuro che incappuccia l’orizzonte. Ah, quello. “Dal bus si distinguono a occhio nudo praticamente tutte le costellazioni. Sto cercando di convincere l’agente May a portarci in gita sull’altro emisfero, una di queste notti, per ragioni scientifiche, è ovvio. Credo di avercela quasi in pugno.”

“Cerrrrrto,” annuisce Ward, convintissimo. Ora Fitz lo sta guardando con un’espressione sospettosa, non c’è penombra che possa stemperarla.

“Sei ubriaco?” domanda, e subito sgrana occhi e bocca e, in qualche modo, anche le sue orecchie sembrano improvvisamente più grandi e sorprese. “Oh mio Dio, sei ubriaco.”

“Solo un po’ brillo,” brontola Ward, lasciando ricadere la testa tra le spalle per un istante. Fitz gli si agita accanto, incapace di star fermo neanche avesse appena scoperto un nuovo elemento della tavola periodica o un’action figure degli anni Settanta ancora inscatolata o qualsiasi sia il genere di cose che riescono ad emozionarlo così, Ward non è tanto sicuro. Probabilmente dovrebbe saperlo.

“Oh mio Dio, oh mio Dio agente Ward, un delizioso panino prosciutto e mozzarella con giusto un’ombra di pesto no, ma ubriacarsi va bene?” protesta Fitz, con la vocetta sottile dell’indignazione, e Ward non fa in tempo a ribattere che, ehi, non sono mica in missione, ha tutto il diritto di farsela con tutte le bottiglie di liquore che si parano sul suo cammino, che Fitz si è già calmato tutto d’un fiato e, improvvisamente serio, gli domanda, “Stai bene?”

Ward è di nuovo al bar dell’albergo a declinare con tutta la gentilezza di cui è capace l’offerta di Skye di starlo a sentire; è di nuovo in ginocchio con il bastone del Berserker a bruciargli il petto e i palmi delle mani; è di nuovo un ragazzino indifeso che guarda giù lungo la gola nera di un pozzo e odia.

Ma Ward non ha ingurgitato il prodotto interno lordo di uno stato africano in alcol per nulla, e allora scuote la testa, si impedisce di tornare là affondando più saldamente nelle sabbie mobili della sbronza. Non è facile, con Fitz che lo sogguarda da così vicino con una preoccupazione così genuina stampata in piena faccia, ma Ward non è niente se non uno stronzo testardo, e alla fine la vince.

“Sto bene,” dice, chiaro e tondo e impeccabilmente enunciato; convincerebbe persino sua madre e Fitz lo schernisce con uno sbuffo sarcastico.

“Sì, come no,” sospira, ma non sta giudicando. Ward s’acquieta un poco. “Sto cominciando a capire quello che intendono i film, sai, quando dicono che non potranno mai più star bene di nuovo.”

“Melodrammatico.”

“Perlomeno io non ho alcuna intenzione di darmela a gambe a Valinor, grazie mille,” lo rimbrotta Fitz, e Ward ride.

“Solo perché non conosci la strada.”

“E non ho mai portato l’Anello,” Fitz annuisce, e poi aggiunge, meditabondo, “Magari le repliche contano.”

“Hm, temo di no.”

“Ah, beh, sia come sia, c’è ancora molto da fare qui; alieni, divinità norrene che in realtà sono alieni, organizzazioni terroriste con uno strano feticcio per gli artropodi—” Ward sogghigna. “—e comunque, non potrei mai lasciare Jemma incustodita. Tempo due giorni e avrebbe lo S.H.I.E.L.D. sotto scacco e non so tu, ma io ho la netta sensazione che il direttore Fury in un’agenzia di collocamento avrebbe i medesimi effetti catastrofici di una divisione per zero.”

Ward ci pensa su, ci pensa davvero, e, nonostante l’addestramento e il fatto che quell’unica volta in cui è stato al cospetto del Direttore ha poi sofferto di sintomi molto simili a quelli di un disordine post-traumatico da stress per sei settimane, si ritrova a ridacchiare.

“A nome della razza umana, ti ringrazio per il tuo indicibile sacrificio, dottor Fitz.”

“Non c’è di che,” annuisce Fitz, magnanimo. Ward sbatte la propria spalla contro la sua, ed è un contatto amichevole che manda Fitz a scivolare di lato per due o tre passi per non perdere l’equilibrio. “Ouch,” commenta, ma le sue labbra sono storte in un ghigno asimmetrico che Ward dovrebbe essere del tutto cieco per ignorare — e, anche in quel caso, probabilmente potrebbe percepire l’intiepidirsi dell’aria o qualcosa del genere.

“Dovremmo cominciare a lavorare su quel fisico, dottor Orsetto. Potresti far pratica con Skye, uno di questi giorni. Un po’ di kickboxing, magari, le tue gambe sono perfette.”

Fitz annaspa, rosso in viso. Ward sbatte le palpebre, si domanda se per caso non sia per via di qualcosa che ha detto. Ne consegue un silenzio che comincia imbarazzato e si sfrangia, nello spazio di tre o quattro respiri in controtempo, in una pace comoda, familiare; Ward ripensa alla notte nel tubo in Ossezia e gli viene da sorridere, orgoglioso, perché stavolta non ha neanche dovuto cedere una barretta energetica.

Dopo così tanto che, in basso sull’orizzonte, hanno cominciato ad apparire pennellate di azzurro pastello, — e Ward ha il sospetto di essersi addormentato, in piedi e piegato in avanti, almeno per un minuto o due o mezz’ora, a un certo punto, — Fitz sospira, piano piano, e mormora, “Suppongo che la prossima volta toccherà a me.”

Ward non capisce di cosa stia parlando; ma capisce il linguaggio del corpo, e capisce le spalle curve di Fitz, la piega triste delle sue labbra, la fronte aggrottata, le mani appese nel vuoto oltre la ringhiera. Gli si avvicina, gli dà un colpetto col gomito, col ginocchio.

Fitz si passa una mano sulla faccia. “Coulson, Jemma, tu, e May,” conta, tirando su un dito per ogni nome cominciando dal mignolo, e Ward non manca di notare che a lui corrisponde il medio; qualcuno si è appena guadagnato una vita intera di mishka, se Ward avrà qualche ricordo di questa notte domani. O, a giudicare dal sole che sorge, più tardi oggi in mattinata.

Ma Fitz sta ancora spiegando. “Coulson si è fatto accoltellare quasi a morte, Jemma è stata infettata da un virus alieno, e tu e May—uhm,” gli lancia un’occhiatina preoccupata, ma l’espressione di Ward è neutra, e Fitz arrossisce solo lievemente. “Ad ogni modo. Si chiamano incidenti sul lavoro, giusto? Solo che il nostro lavoro è un po’ fuori dalla norma, e questo è il genere di incidenti che capitano. Tu, Jemma, Coulson, May. Quindi rimaniamo io e Skye e, siamo seri, con la mia fortuna, e il fatto che Skye è una specie di figlia del destino o il cielo sa cosa—” Fitz emette uno sbuffo eloquente, gesticola mimando qualcosa — probabilmente la propria persona, o il proprio cervello, o qualcosa di altrettanto cruciale per la sua esistenza, — che esplode. Un ricciolo gli balzella sulla fronte e Ward non riesce a smettere di fissarlo.

Fitz lo guarda, e ha gli occhi sgranati ma, più che per paura, sembra pieno di una rassegnazione che ha da lungo tempo accettato il terrore paralizzante come una parte costituente della vita, dell’universo e di tutto quanto, e ha provveduto a chiuderlo in una cassaforte striminzita di cui ha gettato la chiave; però ogni tanto, come adesso, il terrore dà uno scossone che si riverbera per le cavità delle ossa, tra le vertebre, tra le costole, da un polmone all’altro finché non ti annega, e può durare anche solo un istante, ma è successo e succederà ancora e Ward conosce quella sensazione come conosce le armi da fuoco — gli fa orrore, adesso, vederla così chiaramente addosso a Fitz.

Due compagni di squadra; no, fanculo, due amici devastati in una sera è anche troppo, per Ward; è stata una lunga giornata, è stata una lunga vita, e Ward non ha liquori con sé — ma a Fitz non lo offrirebbe comunque, — non ha i discorsi perfetti di Coulson né l’empatia rumorosa di Skye né la presenza di May, la connessione telepatica di Jemma; ha solo se stesso, e allora prende tra le mani il viso di Fitz e contro la sua espressione stralunata dice, “No.”

Fitz sbatte le palpebre, e mentre si ricompone pian piano dalla sorpresa di sentirsi agguantato da Ward pare capire che ha appena ricevuto un solenne giuramento. Sbuffa, rotea gli occhi.

“Sei talmente in denial che in positivo non riesci a fare neanche una promessa,” brontola; si solleva sulle punte dei piedi, e lo bacia. Ward neppure ci pensa a lasciarlo andare.




A/N.
OKAY CIAO I TRIIIIIIED. Probabilmente ho fatto un casino con la cosa dell'attrazione gravitazionale necessaria a determinare il peso dell'universo ma bear with me, I'M A CLASSICIST NOT A PHYSICIST *piange la propria ignoranza in un angolo*
  
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