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Autore: Himenoshirotsuki    26/11/2013    10 recensioni
Lo sconosciuto aveva chiuso gli occhi. Quando li aveva riaperti, le era parso di vedere due fessure color cremisi, di un rosso simile a quello delle fiamme vive: – Io ho tanti nomi. Mi attribuiste i connotati di un serpente e la colpa della vostra caduta dal paradiso terrestre, e durante gli anni dell'Inquisizione mi cercaste negli uomini più arguti e nelle donne che preferivano vivere in isolamento, tentando di scacciarmi da questo vostro mondo. Mi chiamaste Memnoch, Belial, Belzebù, Mefistofele e mi nominaste re dei caduti e nemico di Dio. Ma poco importa cosa rappresento per voi: io sono l'alfiere della luce, io sono Lucifero. -
Genere: Horror | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Una preghiera per il diavolo

 

Sulla spiaggia i raggi obliqui del sole accarezzavano il suo viso. Un viso pulito, incredulo. Forse il caldo di quella prematura estate le aveva dato alla testa o forse si era addormentata senza accorgersene e ora stava sognando. La sua mano stringeva quella di lui come per accertarsi che non fosse un semplice scherzo della sua immaginazione. Erano arrivati lì dopo una folle corsa attraverso delle stradine che solo lui pareva conoscere, con il vento che le scompigliava i lunghi capelli serici e che le portava il suo profumo. Osservò nuovamente le loro dita intrecciate, mentre il suo sguardo si perdeva negli occhi di lui, occhi color ambra come il sole a picco sul mare. Lui si voltò sorridendo con quel sorriso irresistibile che lei si era sempre immaginata fin da bambina, quando sua madre le leggeva le vicende degli antichi eroi che avevano combattuto una guerra in nome di una donna bella quanto una dea. Aveva amato le battaglie che si erano condotte per lei e si era meravigliata dell'abnegazione che avevano mostrato quegli uomini. Ma, il suo preferito non era né un Patroclo né un Achille né uno di quei famosi eroi, troppo perfetti per avere un animo umano; il suo condottiero veniva da un'isola pietrosa, senza ori o ricchezze. Se l'era figurato tante, troppe volte il suo viso madido di sudore, su cui campeggiavano due occhi dorati fissi sull'orizzonte, alla ricerca della sua Itaca.
“É possibile innamorarsi di un personaggio di un libro e preferirlo a tutti i ragazzi che mi girano attorno? È una cosa normale sperare di incontrarlo?” si chiedeva frequentemente, mentre camminava sulla battigia godendosi la sensazione della sabbia sulla pelle.
In quei momenti scuoteva la testa frustrata dalle sue stesse risposte, che convogliavano sempre verso un'unica amara constatazione. Ma ora lui era lì, lì con lei. Stavano camminando con i piedi nell'acqua su una spiaggia circondata da un'immensa pineta, lontana da sguardi indiscreti. E lui rideva e la faceva ridere, la fissava ironico facendola arrossire.
“Basta credere alla favole perché diventino reali, allora...“ pensò inebriata.
Volsero entrambi lo sguardo verso il vecchio molo, mentre il vento accarezzava loro la pelle. Non era mai stata così felice come ora, eppure la sua mente era assediata da tante, troppe domande. Giunti vicino alla banchina, si sedettero sul bagnasciuga a scrutare lo sterminato blu del mare. Lei avrebbe voluto domandare, avrebbe voluto sapere come lui potesse essere così simile all'Ulisse delle sue fantasie, chi l'avesse mandato da lei, come facesse a conoscerla e a sapere dove trovarla. Fece per aprire la bocca, ma lui poggiò dolcemente un dito sulle sue labbra, come se le avesse letto nella mente e, dopo aver posato il viso sulla sua spalla, cominciò ad accarezzarle la schiena. Mentre un dolce torpore si impadroniva di lei, un fastidioso ricordo fece capolino nella sua mente. Un ricordo insignificante a cui fino a quel giorno non aveva dato peso, ma al quale però la sua razionalità continuava ad aggrapparsi, cercando di metterla in guardia da quel ragazzo sconosciuto.
Era successo poche settimane prima, quando stava ritornando a casa da scuola. Era stata una giornata come tante e, poco prima che suonasse la campanella, fuori si era messo a diluviare. Alla fine delle lezioni c'era stata la solita calca e lei aveva dovuto farsi spazio tra tutti quei corpi ammassati gli uni sugli altri e, non appena si era liberata, si era avviata a testa bassa verso casa. Sulla strada che di solito percorreva c'era sempre un costante via vai, essendo un punto di raccordo tra il centro e la periferia. Eppure, quel giorno, a parte lo scrosciare dell'acqua, non si sentiva alcun altro suono. Si era guardata attorno, disorientata da quel silenzio così innaturale: non c'erano né macchine né passanti, era come se l'intera città fosse sparita. Improvvisamente, aveva udito dei passi in lontananza e poi un uomo era apparso. Indossava una camicia bianca con sopra una giacca nera a coda di rondine e un paio di pantaloni lunghi dello stesso colore, e in testa un cappello a cilindro traslucido, di quelli che si portavano alla fine dell'Ottocento. Inizialmente aveva pensato che quello strambo passante fosse diretto a una festa in maschera. L'uomo però si era avvicinato sempre più e lei aveva notato che, sebbene non stesse portando un ombrello con sé, i suoi abiti non erano per niente zuppi. Anzi, sembrava che la pioggia non li sfiorasse nemmeno, come se intorno a lui ci fosse una specie di barriera. Era indietreggiata, ad un tratto inquieta. Lo sconosciuto aveva continuato a camminare verso di lei come se nulla fosse. Solo in quel momento la ragazza aveva notato che una cicatrice solcava il suo occhio destro, una cicatrice lunga, bianca, profonda. Quando le era passato accanto, un brivido freddo le era corso lungo la schiena. Si era voltata di scatto e aveva incrociato il suo sguardo. Due occhi neri come onice l'avevano fissata per alcuni brevi istanti.
- Quale soave bellezza ho incontrato. - aveva detto l'uomo avvicinandosi, mentre sul suo volto si dipingeva un sorriso ammiccante. Lei si era guardata freneticamente in giro, come per cercare aiuto, ma non c'era nessuno. Lo sconosciuto, allora, si era inginocchiato ai suoi piedi e le aveva baciato la mano: le sue labbra erano fredde come il ghiaccio. – Non abbia paura, mia piccola lady, non serve che si preoccupi. Non ho intenzione di farle del male. - si era alzato tenendole la mano tra le sue, livide e bluastre, – Sono qui per farle una proposta. -
Lei aveva tentato di sottrarsi a quel contatto, ma quegli occhi sembravano abbattere ogni sua resistenza, occhi simili a quelli di un gatto. O di un serpente.
L'uomo le aveva scostato pensoso una ciocca dietro le orecchie: – Mi chieda quel che vuole e le sarà dato. - aveva detto in tono suadente.
-Chi... chi sei...? - aveva balbettato.
L'ennesimo sorriso accattivante si era disegnato su quelle labbra cianotiche: – Io sono un semplice giocoliere, mia lady. Amo rendere felici le persone con le mie magie da quattro soldi. In passato molti uomini si sono rivolti a me per vedere realizzati i loro desideri. - aveva ammiccato, – E nessuno si è mai lamentato di ciò che gli è stato donato. In cambio chiedo solo una promessa, una misera promessa... - le aveva accarezzato con delicatezza la gola, all'altezza della carotide, – ... ma di questo ci occuperemo a tempo debito. - si era allontanato facendo scivolare le unghie lunghe e curate lungo la sua pelle piena di brividi.
Le ci erano voluti un paio di secondi per riprendersi da quel contatto. Il suo istinto le urlava di scappare, ma le sue gambe la tenevano lì impalata, dilaniata dalla paura e dalla curiosità. La logica faceva a botte con quello che era successo pochi attimi prima, perché se da una parte quel che era accaduto non era razionalmente accettabile, dall'altra era impossibile negare i fatti. E la realtà era che quell'uomo l'aveva inchiodata con un solo sguardo. Forse... forse era davvero in grado di realizzare il suo desiderio.
- Può davvero esaudire qualunque mia richiesta...? - la sua voce pareva un sussurro.
L'uomo aveva sorriso, aggiustandosi il farfallino nero che rendeva ancor più eccentrico il suo abbigliamento: - Certo che posso, mia piccola lady. - aveva avvicinato il viso al suo orecchio, – Dimmi cosa desideri e sarà tuo. -
- Voglio che lui diventi reale... - qualcosa le suggeriva che non sarebbe stato necessario specificare a chi si stava riferendo.
- E sia. - si era tirato via il cappello nero e con l'eleganza di un prestigiatore aveva colpito il corpo del cilindro come per fare una magia.
Aveva atteso alcuni secondi, ma non era accaduto nulla, eppure l'espressione dell'uomo pareva parecchio soddisfatta. Senza proferire parola alcuna, si era rimesso in testa il cappello e aveva fatto per andarsene.
– Aspetta! Dove vai? - aveva esclamato lei, – Mi hai ingannata! -
- Oh, mia piccola e dolce lady, non la ho ingannata. Però non posso darle tutto subito. - aveva ghignato, mostrando una sfilza di denti innaturalmente bianchi, – Purtroppo, ho anche molte altre richieste da esaudire. Ma si fidi, presto lo incontrerà. -
Lei si calmò, stranamente rassicurata.
- Dimmi almeno chi sei e perché hai scelto me. Perché hai accolto la mia preghiera? -
Lo sconosciuto aveva chiuso gli occhi. Quando li aveva riaperti, le era parso di vedere due fessure color cremisi, di un rosso simile a quello delle fiamme vive: – Io ho tanti nomi. Mi attribuiste i connotati di un serpente e la colpa della vostra caduta dal paradiso terrestre, e durante gli anni dell'Inquisizione mi cercaste negli uomini più arguti e nelle donne che preferivano vivere in isolamento, tentando di scacciarmi da questo vostro mondo. Mi chiamaste Memnoch, Belial, Belzebù, Mefistofele e mi nominaste re dei caduti e nemico di Dio. Ma poco importa cosa rappresento per voi: io sono l'alfiere della luce, io sono Lucifero. -L'ombra si era allungata sul marciapiede delineando il profilo di un essere con due enormi ali : - Per quel che riguarda l'avere accettato la sua richiesta, mia lady, diciamo che amo aiutare il prossimo. - si era passato la lingua sulle labbra con fare libidinoso, - Soprattutto anime così pure e innocenti come la sua. -
Lei si era allontanata fino ad andare a sbattere contro il muro, ma lui le era stato subito addosso. Con una mano artigliata le aveva accarezzato gli angoli della bocca come per farla sorridere.
– Questo sorriso... sarà mio per l'eternità. - l'aveva fissata per alcuni attimi, poi si era allontanato lasciandola ansante contro la fredda parete.
La pioggia aveva continuato a cadere, mentre il gelo le penetrava nelle ossa. Poi il buio aveva avvolto ogni cosa.
Al suo risveglio si era ritrovata distesa sul marciapiede e una miriade di facce sconosciute la stavano guardando preoccupate. Quando si era ripresa una donna anziana le aveva detto che era svenuta in mezzo alla strada mentre camminava e che era rimasta incosciente per più di mezz'ora. Le aveva offerto gentilmente delle caramelle, ma lei aveva rifiutato e si era allontanata quasi di corsa per sfuggire da quelli sguardi indagatori. Si era infilata in un vicolo, i capelli fradici che le ricadevano sul volto.
“E' stato solo un brutto sogno, è stato solo un brutto sogno, è stato solo un brutto sogno...” si era ripetuta per placare i folli battiti del suo cuore.
Al calar della sera era tornata a casa e, ignorando le pressanti domande dei genitori, si era rifugiata nella sua camera.
Dopo quell'incidente i giorni si erano susseguiti tutti uguali, finché quella mattina era apparso lui in tutto il suo splendore. Nell'istante in cui aveva scorto il suo viso tra la folla, il respiro le era mancato. Lui le aveva fatto cenno di avvicinarsi e lei come in un sogno si era incamminata verso l'uomo che aveva sempre amato.
E ora erano lì, insieme, forse per sempre. Gli strinse la mano sorridendo, poi entrambi si distesero sulla sabbia. Inspirò nuovamente l'odore di salsedine dei suoi capelli, poi si strinse a lui, addormentandosi tra le sue braccia.

Si svegliò che la luna era ormai sorta nel cielo. Una leggera brezza si alzava dal mare scompigliando i capelli di entrambi. Si scostò le ciocche ribelli dal viso senza distogliere lo sguardo da Ulisse, il suo Ulisse, così rassomigliante a quello che si era immaginata, così perfetto. Lui la attirò a sé con delicatezza e le alzò il mento, intrecciando gli sguardi. Il silenzio attorno a loro era assoluto, come se tutto il mondo fosse in attesa. Trattenne il respiro, mentre le loro labbra si avvicinavano, ma prima che si potessero sfiorare lei indietreggiò inorridita: un rosso cremisi si dipinse negli occhi di Ulisse. Si divincolò dalla sua presa e si mise a correre, i piedi che affondavano nella sabbia rallentandola, la fatica che da subito cominciava a dilaniare i suoi muscoli. Il mostro la guardava da dietro, un sorriso perverso che si disegnava su quel volto fin troppo perfetto. La luna lontana e fredda disegnò il profilo di due figure intente in una spasmodica corsa, poi un urlo riecheggiò nel silenzio del mondo.

- Ora del decesso? -
Il medico legale estrasse il termometro: - Dalla temperatura del fegato direi che è avvenuto poche ore fa. - constatò.
Il sergente guardò il corpo della ragazza riverso a terra. Si avvicinò, cercando di aggirare il mare di sangue che aveva imbrattato la sabbia: – Segni particolari? -
- Difficile a dirsi, Thomas. - alzò un polso e lo osservò con attenzione, - Ci sono dei segni di colluttazione. La vittima ha cercato di liberarsi, ma probabilmente il suo aggressore era molto più forte di lei. - indicò un punto preciso sul petto, – Sicuramente la causa della morte è da attribuirsi a questa ferita: le è stato letteralmente strappato il cuore dal petto. -
Prima di coprire completamente il corpo, lo osservò un'ultima volta.
– Bè, quanto meno è morta felice. - indicò il volto livido della ragazza.
La fredda luce lunare illuminò quelle labbra cianotiche ed esangui, distese in un ultimo dolce sorriso.
 

  
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