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Autore: MusicDanceRomance    28/11/2013    28 recensioni
La donna più bella del mondo. La signora più potente del regno Purosangue. La sposa di sette morti.
La vita scandita da un cielo che precipita addosso.
La storia di Lucrezia Zabini.
Genere: Dark, Drammatico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro personaggio
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il vuoto non è altro che vertigine della vita.
Il vuoto è un precipizio calibrato, il petalo che si infiamma di nero, l’ago che stilizza i contorni di una rosa.
Il vuoto è la dipendenza dall’odio. Il sorriso slabbrato che impone un bacio di incubi.
Il vuoto è la sinfonia di una marcia nuziale.

 
This is the end
Hold your breath and count to ten
 
Lucrezia aveva dodici anni, il viso infelice di chi aveva appena perso tutto, la bellezza fiorente di chi camminava incerta nel vuoto e il dispendio di un mondo che la stava per cancellare.
Si era affrancata dagli obblighi Purosangue nel momento in cui la madre, Lady Elenoire Biscart vedova di Lord Von Leymarr, aveva rinunciato ai rispetti di un reame severo per sposare il Mezzosangue che amava, a costo di macchiare il nome della figlia con il fango dell’illegittimità.
Il grande amore svergognato di Elenoire, l’uomo che aveva atteso per dodici anni era lo stesso che aveva dato la vita a Lucrezia, ed era tempo che questa verità si gridasse ai quattro venti.
Lucrezia non voleva abituarsi all’idea di chiamare “padre” quell’aspirante sconosciuto che si era insediato nella villa del nonno, che aveva soppiantato il ricordo del suo primo papà e aveva preteso di rimuovere dodici anni di affetto verso qualcuno che ormai non esisteva più e che, stando alle leggi biologiche dell’esistenza, non spartiva alcun legame con lei.
Sangue contraffatto, sangue perduto, sangue strappato dalle vene con il tartasso di una verità scomoda.
Ma lei voleva continuare aggressivamente a essere Lucrezia Von Leymarr, voleva esibire fiera il nome dell’uomo che l’aveva cresciuta, il nome più prestigioso di tutta la società Purosangue anglosassone.
Odiava perdutamente lo sconosciuto, l’amante di Elenoire, il Mezzosangue dal destino compianto.
Quel sangue che aveva imparato a spregiare era lo stesso che scorreva nelle sue vene.
Quello era il suo vero padre, un cuore, un abbraccio singhiozzante e un nonno Babbano muratore.
Era stata Von Leymarr per un furto di paternità. E Von Leymarr e principessa Purosangue non sarebbe mai più potuta essere.
Quell’amore così subdolo e nascosto era venuto alla luce per bruciarle un futuro, lo sfascio delle certezze in cui aveva vissuto.
Sarebbe stata la fine per lei, almeno fino a quando non avrebbe imparato a contare.

 
Feel the earth move and then
Hear my heart burst again
 
Doveva imparare a giocare con il fuoco senza timore di scottarsi.
Aveva sedici anni, Lucrezia, era la canzone dell’adolescenza intonata al contrario, e poiché al contrario si era decisa a vivere non aveva smesso di disprezzare sottilmente il suo vero genitore e quando si presentava a qualcuno accennava ancora un Von Leymarr sbiadito.
La figlia dello scandalo, la additavano tutti. La figlia bastarda del Mezzosangue. Quanto era bastato ai Von Leymarr per disconoscerla e diseredarla.
Ma ci voleva tornare, nel circolo vizioso dei nobili Purosangue, ci voleva tornare, in quel lusso e in quella società di classe e splendori da cui era stata esiliata troppo in fretta.
Sognava i castelli della sua infanzia tutte le notti, sognava la corte dei principi della purezza e sentiva che il suo sangue non era stato infettato da quello del padre naturale.
Continuava a parlare di Alphons Von Leymarr con calcolato affetto filiale, perché lui l’aveva cullata e l’aveva vista crescere.
Tutti si domandavano però se di lui le mancavano più la persona e l’amore che nutriva per lei oppure i titoli, i soldi e i privilegi di cui le aveva costellato l’infanzia.
Lei, la gemma scaturita da un legame denigrato, era Serpeverde di talento, non di nascita, e si teneva ben strette le amicizie di Hogwarts per garantirsi un ritorno trionfale nel regno che sospirava.
A sedici anni era facile perdere la testa per un primo bacio, rammendare le ferite del cuore con il sorriso di un amico qualunque, sospirare un matrimonio vantaggioso che l’avrebbe ricondotta agli sfarzi della corte principesca.
Poi era arrivata l’epidemia di vaiolo di drago e si era portata via anche sua madre.
E si sa, se tua figlia cresce nel rancore, amala più che puoi ugualmente. Se tua figlia perde sua madre senza il tempo di realizzarlo, parlale di lei, parlale di voi.
“Eravamo amanti da quando andavamo ad Hogwarts. I tuoi nonni avevano obbligato tua madre a sposare un uomo più vecchio di vent’anni, ci siamo lasciati tante volte e ci siamo ripresi con più amore di prima. Poi Elenoire è rimasta incinta di te, avevamo paura di venire uccisi tutti e ti abbiamo fatta passare per la figlia legittima del vecchio Alphons. E così è stato, fino a quando lui non è morto. E allora potevamo essere liberi di vivere insieme alla luce del sole, con la figlia che il nostro amore ci aveva regalato.”

 
For this is the end
I’ve drowned and dreamed this moment
 
La spiegazione tacita del padre naturale risuonava nella mente di Lucrezia come un carillon monocorde.
L’avevano spacciata per la figlia di un altro per vivere negli agi alle spalle del vecchio? O perché avevano davvero paura di venire ammazzati?
Le avevano fatto perdere ogni cosa, l’avevano comunque rovinata.
Sarebbero dovuti rimanere amanti nell’ombra per sempre, almeno per lei, se dicevano di amarla davvero, lei che era il risultato incidentale di quell’amore tanto compianto.
Li biasimava, stigmatizzava i suoi genitori e pretendeva, con gli abiti neri da lutto indossati per tre mesi secondo la rigida etichetta dei Purosangue, di saperne più di loro sull’amore, sulla passione cieca che travalica tempo e spazio e genera un frutto nuovo da preservare.
Ancora non sapeva che qualche anno più tardi avrebbe preferito subire lo stesso destino di sua madre, piuttosto che vivere quello che le sarebbe toccato in sorte.
Ma l’ossessione per il regno che le aveva sprangato le porte in faccia da bambina aveva spinto Lucrezia a vivere di ambizioni e cuori gelati.
Aveva perso la verginità con William Stoke, trentadue anni, una moglie e tre figli, consigliere scelto del Ministro della Magia e Cofondatore di un paio di circoli esclusivi di cui lei voleva fare parte.
Un buon affare, nulla di più.
Lucrezia si guardava davanti allo specchio, diciottenne confusa, e realizzava di essere bella. Non carina, non perfetta, semplicemente bella.
Far infatuare William Stoke era stato semplice, da figlia dello scandalo era un’attrattiva irrinunciabile per chiunque. Non farsi dimenticare era la sua mossa principale. E la classe e i modi da principessa Purosangue lei li aveva conservati e sapeva come addomesticare un politicante pervertito.
Di una cosa lei sarebbe sempre stata grata al suo finto padre Von Leymarr. Del libro di incantesimi per la persona, volume unico e antichissimo, che le aveva regalato poco prima di morire, forse perché aveva intuito che l’avvenenza della figlia poteva ancorarsi ai rispetti migliori e portare nuovo lustro alla sua casa.
Così Lucrezia trascorreva le giornate estive studiando quel libro che conteneva pozioni complicatissime, e viziava le notti assecondando i capricci perversi di William Stoke.
 
So overdue, I owe them
Swept away, I’m stolen
 
In due mesi aveva migliorato notevolmente il suo aspetto esteriore senza alcun rimedio plastico o magico effettivo.
Pelle di latte e miele, labbra piene e rosse, forme e fisico che avrebbero incantato uno scultore.
Era già bellissima di suo, ma con gli effetti di una magia lontana era divenuta la perfezione assoluta.
I cuori di due colombe divorati ogni ventotto giorni contribuivano a donarle un carisma e un fascino particolare; i lineamenti della giovinezza che rimanevano intatti e morbidi dipendevano da ragnatele incenerite in un fuoco di bruma e lava magica.
Bella lei lo sarebbe stata per sempre dinanzi al mondo, strega brillante lo sarebbe rimasta nell’ombra per sua scelta: le streghe più potenti dovevano divulgare i loro segreti, e lei intendeva essere la sola a beneficiare dei suoi intrugli di bellezza, per tutta la vita.
La donna più bella e affascinante del pianeta, lei sola, fino alla morte.
Lei che aveva paura di saltare in ritardo nel treno della vita aveva voglia di correre e bruciare le tappe per inseguire i suoi sogni di gloria.
Lo faceva per se stessa, per ciò che le era stato rubato.
Lucrezia si sentiva derubata della vita che le spettava, derubata del sangue puro, e al sangue da riscattare avrebbe risposto con il corpo fatale che sfruttava per far inchinare i potenti a sé. Poco importava se anche la dignità le veniva schiacciata, poco importava se per raggiungere il reame da cui era stata esiliata si sarebbe dovuta inginocchiare alle voglie dei Purosangue che la trattavano come merce di piacere.
Dal letto di William Stoke era passata a quello di Orlando Callidus, un mago ottantenne ricchissimo e solitario, mentre suo padre singhiozzava giorno e notte per quella figlia che considerava perduta.
Ma Lucrezia non era ancora perduta.
Perduta lo sarebbe diventata di lì a poco, quando avrebbe incontrato David.

 
Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Or face it all together
 
Avrebbe ricordato in seguito il profumo ardente delle rose sbocciate in quel giorno di Maggio. Forse persino quei fiori meschini avevano mirato a stordirle i sensi.
Lei doveva raccogliere nella serra privata dei Callidus tre petali di tre rose dai colori differenti per una nuova pozione da sperimentare. Nulla di più facile, se la serra non fosse stata gestita da un botanico magico appena assunto.
Era giovane, fresco di vita e di passione per la materia che studiava e aveva gli occhi di un blu cristallino che si perdevano su ogni tipo di pianta che nutriva.
Lucrezia non aveva colto subito nei suoi modi gentili e impacciati la sfumatura indegna che lo poneva un gradino più in basso rispetto al suo stesso padre.
Sanguesporco.
Non Mezzosangue, ma Sanguesporco.
Figlio di Babbani, Nato Babbano, invasore del loro mondo. Quanto di peggio potesse inoltrarsi nei giardini privati del suo amante, ma Orlando Callidus era un babbanofilo pronto al trapasso con la sottile nomina di rinnegato.
Con un Sanguesporco le corde del fascino non avevano bisogno di tendersi al massimo per insidiarlo: Lucrezia allentava la presa quando passeggiava per la serra e scambiava due parole con il giovane, senza mettersi sotto pressione e tentare ad ogni costo di disarmarlo.
Era bello, lui. Intelligente e capace. Si era accorta dopo una settimana intensa di discussioni che ogni volta che lui la guardava lei pareva pronta a precipitare.
Perché una donna assetata di potere sa manipolare maestri e sovrani ma deve preservare il suo cuore con la stessa abilità, e la giovinezza in questa condizione le è nemica. La giovinezza è uno specchio ostile che riflette la voglia di dedicarsi anche a piccole esigenze personali.
E Lucrezia si rendeva conto, parlando con David o inseguendo i suoi sguardi, che per una volta la tentazione di avere qualcuno da cui non poteva ricevere nulla in cambio era vertiginosamente alta persino per lei.
Da David non pretendeva potere o favori. Discutevano e si attraevano a vicenda, le sarebbe piaciuto giocare alla dama d’intrigo persino con lui. Fare scacco alla sua povertà per qualche dialogo d’amore in più, lei che aveva la vita destinata ad essere incisa da monologhi preordinati.
Ma David non cedeva, e lei si sentiva il cielo precipitare addosso mentre il desiderio per il ragazzo più affascinante che avesse mai incontrato le accecava poco per volta gli strati del cuore.

 
At skyfall
At skyfall
 
Non era amore quello che provava per David.
Era desiderio.
Attrazione verso qualcosa che disprezzava. Un’attrazione istigata dal fatto che non riusciva a piegarlo.
Il gioco che conduceva lei con gli altri per un cinico rimbalzo l’aveva investita.
E lui sembrava essere stato la lettera firmata dal caso che tutto indietro restituisce.
Lucrezia si era allevata da sé, l’ossessione di ricucirsi addosso ciò che le era stato strappato non la poteva consolare quando era in gioco il libero arbitrio di una persona inferiore a lei.
Lei si era autoeducata a manovrare i potenti, non i giovani squattrinati, Nati Babbani per giunta.
E David le resisteva, le faceva capire di desiderarla ma aveva intuito a sua volta che, se la passione fosse stata consumata, la bella ammaliatrice si sarebbe risanata in fretta dalle ferite che lui le avrebbe arrecato. Perché Lucrezia non era donna da rimanere fedele nel cuore, non ancora: la sua sete di potere le aveva prosciugato ogni tentazione di lasciarsi annegare nel mare delle emozioni che travolge ogni vera donna.
Il gioco del rimbalzo perseverava, le trappole di seduzione si raddoppiavano.
Il bacio che si erano promessi solo con gli occhi ancora non era venuto alla luce, e i sospiri d’amore che entrambi si sarebbero potuti concedere tra rose e gigli morivano trattenuti nelle loro gole.
Perché se Lucrezia tentava di conquistare David, anche David, sfruttando un’ambiguità spietata, fingeva di cedere al suo fascino e di volerla, e non per una volta sola.
E poi scappava. Senza concludere niente. Lasciandola col dubbio di ciò che poteva esserci e che non sarebbe mai accaduto, David fiutava come un lupo la buona preda e voleva tutto o niente.
E forse a lui della bella strega non importava poi molto, desiderio represso a parte.

 
Skyfall is where we start
A thousand miles and poles apart
 
Orlando Callidus aveva chiesto la mano della sua giovane amante.
Lucrezia aveva accettato immediata, e le nozze avevano avuto luogo nella tenuta dei Callidus. Tra gli invitati David spiccava per la sua imprevista gelosia.
Si incendiavano di sguardi, entrambi, al ricevimento, e mentre uno le faceva intendere di essere geloso l’altra lo stuzzicava comunque per ripicca.
“Se mi vuoi, possiamo vederci nella serra.”
“Non voglio averti in questo modo.”
Prima i doveri della moglie. Il vecchio Callidus sapeva che un amore appena acceso gli avrebbe estinto le forze più in fretta, ma se era il prezzo da saldare per possedere la moglie più bella del mondo, lui avrebbe volentieri pagato.
Com’era per Lucrezia farsi governare da un corpo appiccicoso e rattrappito?
Uno sforzo che accettava, ma nella sua mente immaginava che al posto del vecchio Callidus ci fosse David, e con gli occhi chiusi accettava di abbandonarsi alla vita che si era imposta da anni.
Il pensiero che avrebbe comunque avuto David, perché lei poteva avere tutto quello che desiderava, la faceva guardare sorridendo al futuro.
Invece David non era come lei. Lui rispettava il suo padrone, non lei, perché nelle sue fantasie recondite non la rispettava neppure a parole, e non avrebbe accolto tra le rose della serra la moglie del suo benefattore.
Neppure per un gioco di potere o per la necessità di scaldarsi il sangue a poco prezzo.
Ma il seme della seduzione era germogliato insieme alle piante così care a David, nel suo cuore puntellato di barriere, e per sopravvivere a Lucrezia non gli rimaneva che un’unica soluzione: dileguarsi e divenire il suo rimpianto più grande.
Così si era congedato con premura dal castello dei Callidus ed era partito, lontano dalla sua signora, per non farsi più dimenticare da lei.
 
When worlds collide, and days are dark
You can take my name
But you’ll never have my heart
 
Il vecchio Callidus, col cuore corroso da quell’amore prepotente ed invasivo, era morto sei mesi dopo. Di una morte, strana, inspiegabile, un infarto che non avrebbe potuto colpire un uomo della sua tempra.
Eppure era deceduto, e la giovanissima consorte aveva ereditato tutto quanto.
Ma non si era potuta godere granché la sua rendita da vedova libera: un altro anziano richiedeva la sua compagnia.
Un lontano parente di Callidus, seguendo il suo esempio, le aveva proposto di sposarla una volta trascorsi i tre mesi del lutto, e una volta dipartito le avrebbe lasciato una fetta sostanziosa del suo patrimonio, aveva garantito.
Erano i giorni del buio, per Lucrezia.
Giorni in cui la sua pelle fresca e benedetta dalla bellezza più atroce veniva baciata dalle rughe e dalla mollezza di una vecchiaia dissoluta. Giorni di buio perché nel buio compiaceva il suo nuovo marito, e durante il giorno evitava di trascorrere tempo in eccesso in sua compagnia perché già le bastavano le notti a ricolmarla di sacrifici.
Ma una volta dipartito anche quel vecchio lei sarebbe stata la donna più ricca del Regno, e per i Purosangue era già una leggenda vivente.
E anche la vita del secondo sposo si era spenta più in fretta del dovuto, talmente tanto in fretta che Lucrezia in seguito si sarebbe ricordata a malapena di lui e del suo nome blasonato.
A ventuno anni, con due mariti morti di gioia improvvisa alle spalle (infarto avvenuto sul più bello, lo definivano i Babbani), Lucrezia era la donna che aveva atteso di divenire per tanto tempo.
Poiché una leggenda vivente deve sparire per un paio di anni lei aveva preso il largo e si era trasferita sulle coste della Francia mentre i salottini del Reame Purosangue parlavano già di lei con fare tetro, come se volessero attribuirle la morte dei suoi due mariti, e i richiami della sua bellezza indomita solcavano i confini della terra e del mare.
In Francia si godeva le sue eredità e aveva conosciuto un giovane Medimago, Mathias, nipote di due grandi alchimisti e per questo erede di una fortuna massiccia in quantità d’oro.
L’oro la allettava in ogni nazione, non riusciva a resistere all’idea delle montagne di lingotti che rimanevano sepolti nel caveau della banca per passare di eredità in eredità.
Non era vero che i vecchi Purosangue erano quanto di peggio le fosse potuto capitare, perché i gentiluomini sanno comportarsi da gentiluomini anche sotto le coperte, in una maniera o nell’altra.
Mathias era invece tutto ciò che Lucrezia aveva dovuto accettare con disgusto.
Brutto, malaticcio, puzzava di medicine e sangue e amava giocare con lei con strani attrezzi, catene e corde durante i momenti di intimità. Ma Lucrezia aveva imparato a esaudire gli uomini in ogni loro depravazione, e lo aveva reso talmente pazzo di lei che già dopo tre mesi di amicizia sconveniente si erano sposati in riva al mare.
Era approdata al matrimonio numero tre e un nuovo desiderio cominciava a farsi spazio in lei. Dopo il potere e il denaro, voleva qualcosa di suo, fatto da sé, solo per sé: voleva un bambino.

 
Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Or face it all together


Per Lucrezia la storia stava assumendo una piega diversa. Incorrere in matrimoni precipitosi che non le conferivano il giusto prestigio stava divenendo un errore. Sapeva che i suoi due primi mariti sarebbero morti in meno di un anno dalle nozze e li aveva sposati ad un passo dalla tomba, ma Mathias era giovane e godeva di ottima salute, quindi per quanto avrebbe procrastinato il suo funerale?
Uno dei pazienti altolocati del marito Mathias era Nichol Zabini, un mago africano molto temuto, venerato come una divinità in diverse parti dell’Africa dai comuni Babbani e considerato alla stregua di un sovrano proveniente da terre lontane.
Principesco, ricco oltre l’immaginabile, affascinante e tremendamente intelligente, per spietatezza e crudeltà faceva il pari con lei.
Insieme sarebbero stati una devastazione, un trionfo di potenza e clamore. Oltreché la coppia più influente e stimata: il signore di un continente e la donna più bella del mondo, l’equazione del successo.
Però Lucrezia era già sposata e separarsi da Mathias e scappare da lui avrebbe suscitato altrettanto clamore, un clamore che non si addiceva alla figura sacrale di Nichol Zabini.
Lui aveva notato sul corpo della donna diverse cicatrici che si rimarginavano, segno evidente delle perversioni di un Medimago che le ferite le avrebbe dovute curare sempre invece di impartirle ad una moglie tanto bella.
Non c’era altra scelta che sfidarlo a duello pubblicamente per gli oltraggi arrecati nel talamo nuziale, darlo in pasto ad uno scandalo organizzato e farle ottenere l’annullamento del matrimonio.
Così sarebbe dovuto essere, un piano conciso esonerato da imprevisti di ogni tipo. L’unico imprevisto a quel piano perfetto era solo la folle lucidità di Nichol.
Perché Zabini era bestiale. Crudele, macchinoso, plagiava le menti umane senza bisogno di ricorrere alla Maledizione Imperio, perché la retorica è l’arte di quelli da cui Lucrezia si sarebbe dovuta guardare.
Ma lei se ne era accorta tardi, la lusinga di un nome Purosangue così temuto l’aveva abbagliata quanto bastava per non accorgersi dei delitti che si spandevano dietro la gloria del sangue reale.
Mathias era stato trascinato in una trappola meschina, quello che doveva essere un duello elegante aveva assunto la forma di un’esca traditrice che si poteva risolvere solamente con una morte “accidentale”.
Un incantesimo di troppo, una fattura africana sconosciuta, un rito di sangue, e di Mathias, che con la bacchetta era incapace di difendersi persino dalle parole, non era rimasto che un cumulo di cenere.
Di fronte a Lucrezia il vento aveva disperso quella polvere mortifera. Non era stato un errore, ma un omicidio premeditato. Meglio un marito morto che un marito fantoccio ancora esistente, se lei doveva trasformarsi sul serio nella signora Zabini.
Se Lucrezia conservava ancora degli scrupoli, Nichol le avrebbe insegnato ad accartocciarli dietro di sé per banchettare sulle ossa di chi soccombeva.
 
Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Or face it all together
At skyfall

La spietatezza di Nichol la serrava nel timore, e Lucrezia si addestrava con lui nel gioco della prudenza. Con un marito come lui non poteva permettersi di sbagliare, ma voleva imparare a strumentalizzare persino un assassino impunito ed era convinta che ci sarebbe riuscita.
Era il mago oscuro più potente dell’Africa, un principe in fuga che le chiedeva un erede, ma per uno strano motivo lei non riusciva a rimanere incinta e temeva che i suoi incantesimi di bellezza l’avessero resa irrimediabilmente sterile.
Intanto il mondo dei Purosangue aveva riaccolto con innumerevoli osanna nella sua corte la coppia del momento, Nichol e Lucrezia Zabini.
Il sogno che lei aveva giurato di perseguire fino alla dannazione da bambina si era avverato: era rientrata trionfalmente nella società Purosangue e non ne sarebbe più stata scacciata.
Nessuno ricordava ormai, dietro quel velo di bellezza feroce, la ragazzina dello scandalo o la balia dei vecchiacci di turno che era stata in passato.
Lei era la signora Zabini, la donna più potente del regno, e aveva accanto a sé il mago più temuto dell’Africa.
Seguace di Voldemort, Nichol Zabini aveva trasportato i suoi tesori in Inghilterra con la clausola che, in caso di sua morte, sarebbero passati alla moglie solo se lei gli avesse dato un figlio.
Lucrezia era, tutto sommato, stanca. La sua missione fondamentale era stata compiuta. 
A venticinque anni era la donna che aveva preteso di divenire e forse molto di più.
Ma le mancava un figlio. Le stava mancando la vita d’amore e affetto che aveva rifiutato e ignorato fin da adolescente, perché il potere lo aveva ottenuto fino a scoppiarne di sazietà e di quel suo sapore dolciastro e concentrato di gloria stava facendo indigestione.
Poi aveva iniziato a riflettere sulla sorte di amore e libertà che era invece toccata a sua madre, e a malincuore l’aveva rimpianta.
Perché aveva rincontrato David.
 
Where you go I go
What you see I see

Puoi non vedere una persona per anni, e poi, in un secondo, ti compare nuovamente di fronte e capisci che tutto riprende da dove era stato violentemente interrotto.
Era come se Lucrezia fosse stata punta da una mille scaglie febbrili nella condanna di un istante.
Rivedere David, divenuto ormai un botanico di fama nazionale, ad una festicciola qualunque, l’aveva trasportata indietro nel tempo: aveva risentito il profumo delle rose e delle mandragole magiche attorno a sé, si era proiettata nella serra a giocare d’amore e d’astuzia con lui, aveva rivissuto la fame del cuore, il divampare del corpo.
Poi si era voltata e nello schiaffo del presente aveva scorto dinanzi a sé il suo nuovo marito, fiero e potente come pochi altri al mondo.
Ma il prezzo dell’ossessione è alto, esige sacrifici, e Lucrezia, nel suo arrivismo, si era indebitata col cuore e reclamava per se stessa parecchi arretrati da soddisfare.
Si era ritrovata con David, per un gioco beffardo del destino, nei giardini della villa in cui si teneva la festicciola.
Erano bastate poche parole di ferro a torchiarli. “Cosa hai fatto fino ad oggi?” e gli sviluppi responsoriali della domanda li avevano portati a conoscere in pochi minuti tutti i segreti dei loro ultimi anni.
Forse si erano inconsciamente seguiti passo a passo nella vita, forse la somma delle cose che avevano visto separatamente non differiva tanto nelle leggi della casualità. Se due anime erano destinate a concretizzarsi in qualcosa di indivisibile si sarebbero riconosciute anche nel riflesso di ciò che non cercavano.
Ciò che tu vedi stampato nei miei occhi anch’io lo leggo nei tuoi.
Ciò che tu hai visto in questi anni l’ho visto anch’io e lo vedo ora attraverso te.

Era l’attrazione fisica, il tormento di due sillabe disperse che correvano contro il destino.
David ammirava sotto una luce diversa la signora Zabini. La sua vecchia padrona, il territorio conquistato e mai contemplato.
Era sempre troppo presto o troppo tardi per David e Lucrezia. Tutto si sarebbe potuto infrangere definitivamente nel bisogno di una notte, ma loro non erano capaci di perdersi di nuovo.
Si erano rincontrati diverse volte nei giorni successivi, non si sapeva se per caso o perché la voglia di incrociarsi ancora era talmente smisurata che li portava a percorrere continuamente la stessa strada.
La fiamma implacabile del desiderio, che per anni avevano fatto marcire nei loro cuori, esigeva il suo tributo di passione, ma Lucrezia non sapeva sfidare la furbizia del suo nuovo sposo.
Nichol Zabini non vantava la stessa esemplare superficialità del suo primo marito, eppure valeva la pena di tentare.
Ecco cos’erano, David e Lucrezia.
Vittime di occasioni mancate in momenti perfetti, e di occasioni perfette in momenti mancati.

 
I know i’ll never be without the security
Are your loving arms
Keeping me from harm

Ma Lucrezia era divenuta ancora più abile nelle sue forme di magia celata. Aveva inventato da sé, abilissima pozionista che agiva nell’ombra, un sonnifero portentoso e aveva imparato a somministrarlo al marito nelle notti in cui non aveva alcuna volontà di assolvere i suoi doveri di moglie.
La prima volta era stato un caso. Nichol sonnecchiava, e David bussava alla porta della loro maestosa villa per consegnare al signor Zabini i semi di Lullicuilatitans che lui aveva richiesto.
Il desiderio punge, e punge dolorosamente.
Per loro pungeva da troppo, non potevano permettersi di mandare ulteriormente in cancrena quel bisogno di possedersi che andava soddisfatto. Sempre con più urgenza, sempre più egoisticamente.
Cedere a ciò che pretendi, a ciò che la tua carne esige, non è mai un peccato.
Lucrezia e David si erano ritrovati nel letto nuziale del mago più temuto dell’Africa senza rendersene conto.
E si erano svuotati di loro stessi, anima e corpo, per seguire l’unica magia che andava vissuta senza alcun pudore. Per la prima volta il vuoto nelle loro vite non esisteva.
Non lo potevano intuire, ma avrebbero continuato ad amarsi nell’ombra per altri tre anni, di quella passione sfrenata che mal si addiceva a due maghi avidi del mondo come loro.
Eppure, nel loro smodato modo di inseguirsi e amarsi, si sarebbe potuto dire che quelle erano due anime affini che si appartenevano oltre la vessazione dei desideri, e soprattutto oltre il tarlo dell’ambizione sociale.
Intanto il matrimonio con Nichol Zabini era perdurato a distanza di tempo.
Il bambino tanto atteso non era arrivato, fino a quando David non aveva propinato a Lucrezia un’erba magica ancora in fase di studio.
Dopo lei era rimasta miracolosamente incinta.
Incinta sì, ma non di David. Con lui stava attenta, Lucrezia conservava grammi di superbia e non voleva generare un figlio bastardo, ma un bambino Purosangue figlio legittimo di un mago onorato.
Quella era stata la goccia che aveva fatto traboccare il vaso.
David voleva costruirsi una famiglia, e con lei non sarebbe mai stato possibile.
Per un uomo di successo come lui, ma Sanguesporco ineffabile, il gioco con Lucrezia non poteva concludersi con un radioso matrimonio.
Loro potevano solo amarsi nell’oscurità del cielo, nell’abisso del silenzio, nel baratro degli amori segreti. Si amavano solo per impedire che il cielo cadesse loro addosso, ma non lo avrebbero mai potuto raggiungere definitivamente.
E quel crisma di interrogativi, quel brivido che mai gli avrebbe portato un lieto fine o una famiglia auspicata, aveva spinto David ad una scelta drastica, quella di scappare nuovamente da lei.
 
Put your hand in my hand
And we’ll stand

 “Perdonami, Lucrezia, ti amerò sempre e vorrei vederti vestita di bianco una volta per me, ma se non mi ritieni alla tua altezza tanto vale che mi ricordi quanto valgo, e quale scalino che ti ossessiona ci divide.”
“Staremo insieme, David, il matrimonio è un inganno, non conta niente per me.”
Non era vero. Non potevano far sgretolare il cielo più di quanto non avessero già fatto.
Quelle schegge di cielo ferito piovevano su di loro per rammentare a entrambi le loro differenze sociali e il destino di bugie e tradimenti a cui Lucrezia si era votata fin da bambina.
Erano stati amanti anche troppo a lungo.
Così David era scappato via, senza salutarla, troppo in fretta per farsi dimenticare, troppo in fretta per perdonarla.
Era già fuggito da lei una volta, lo aveva fatto di nuovo, stavolta per sempre. Senza attendere di vederla con la pancia piena del figlio di un altro.
Era stata abbandonata.
Da lui.
Per la seconda volta.
Dopo tre anni di amore segreto.
Non riusciva più a reggersi sulle sue gambe da sé, si era abituata a quella vita piena di passione.
Non lo poteva dimenticare.
Quello era stato anche amore, non un semplice gioco di seduzione.
E lui era l’unico che le si era sfilato dalle mani, l’unico che avrebbe voluto con sé fino all’eternità.
La sua disfatta maggiore, il suo fallimento più eclatante.
Lo avrebbe odiato, lo avrebbe disintegrato, e se non fosse arrivata a lui, avrebbe colpito altri al posto suo.
Lo strazio di una donna sedotta e abbandonata si svolge su un copione identico per tutte.
Non importa che esse siano nobili, ricche, furbe, dolci, innocenti, vigliacche o traditrici per natura, la musica del dolore e le litanie che ne derivavano per Lucrezia avevano un sapore antico, universale, era l’agonia che aveva letto nei grandi classici o nelle fiabe di una volta, era la malattia che contagiava tutte senza distinzioni.
Lei soffriva, il cuore le sanguinava copiosamente.
Abbandonata. Uccisa dentro. Dimenticata e sepolta.
Per sua stessa colpa.
Perché David voleva un bambino e una famiglia sua.
David non sarebbe più tornato.
David era l’unico uomo che avesse mai amato.
David doveva essere il padre di suo figlio, e non Nichol.
Ecco cosa era successo a Lucrezia per la prima volta.
Le lacrime le scioglievano il volto per quanto scottavano. Mai più David, mai più lei e David.
Dov’era sua madre, perché sua madre e suo padre erano stati felici? Perché a lei era toccata quella vita di inganni e seduzioni? Perché il cuore glielo avevano strappato per la seconda volta e per David non avrebbe più potuto lottare?
Le domande ad un cielo a cui non aveva mai dato retta, di un cielo che le cozzava addosso con tutto il suo peso comprimente, e che non le rispondeva mai.
La sensazione del vuoto era dunque quella.
Impazzire per un abbandono nei giorni in cui stava per diventare madre le aveva inflitto un nuovo odio smisurato nei confronti degli uomini che le erano toccati in sorte.
Lei capiva, lei voleva amore. Lei non voleva più quella vita, né Nichol, voleva solo David.
Voleva David perché non l’avrebbe più riavuto indietro, e lo sapeva.
E poi era nato Blaise.
Suo figlio, solo suo.
Forse il suo piccolo Blaise sarebbe stato l’unico bambino, ragazzo, uomo, che avrebbe dovuto amare per tutta la vita.
 
Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Or face it all together

La ragione, Lucrezia lo sapeva bene, era legata alla mente da un filo sottile. Reciso quello, si disperdeva tutto, la coscienza in primis.
E lei sembrava esser nata per perdere la ragione. Forse era stato quello il suo marchio, fin da bambina, e lo capiva tardi. Forse le sue ambizioni erano folli e l’avevano condotta ad un dolore folle che mai poteva avere fine.
Odiava Nichol e se ne voleva sbarazzare. Nichol aveva ucciso il suo terzo marito e aveva le mani sporche di non sapeva quanti effettivi delitti. Forse sbarazzarsi di lui avrebbe arrecato qualche beneficio all’umanità. Certo, doveva essere per forza così.
Di David voleva ricordare una sola cosa: le piante venefiche e gli insegnamenti sulle pozioni letali che lui le aveva insegnato.
Bastava un sorso per far morire una persona e possedere i suoi immensi tesori. Buffo, si diceva. Perché non ci aveva già pensato con i suoi tre precedenti mariti? Aveva aspettato che i primi due morissero di vecchiaia o infarto e il terzo le venisse ammazzato sotto gli occhi, e aveva assunto lo stesso davanti a tutti il soprannome di “Vedova Nera”. Che male c’era a diventare Vedova Nera fino in fondo?
Sognare di uccidere David.
Uccidere Nichol fingendo che al suo posto ci fosse David.
Non sarebbe stato male far morire così suo marito.
Adorava i veleni che non lasciavano traccia.
Sì, lei era una maga straordinaria e non poteva sussurrarlo a nessuno. Lucrezia ballava alla luce del suo genio furente, da sola.
Ballava da sola dopo che Nichol aveva bevuto quello strano caffè bianco, danzava al centro della sua follia vendicativa mentre il marito periva.
Era morto. L’unico che l’aveva separata davvero da David, Nichol, l’ostacolo più grande al loro amore, era morto stecchito grazie agli insegnamenti del suo amante.
E Lucrezia ballava e rideva felice, libera come mai si era sentita prima d’ora.

 
Let the sky fall, when it crumbles
We will stand tall
Or face it all together
 
Non era un male risentire quel vuoto, quella marcia nuziale nefasta, quel suono che l’avrebbe portata ad un nuovo, seppur breve, oblio.
Il vuoto non è altro che vertigine della vita, perché lei aveva paura di inciampare in essa e sbucciarsi le ginocchia, preferiva che fosse il cielo a caderle addosso piuttosto.
Il vuoto è un precipizio calibrato, il petalo che si infiamma di nero, l’ago che stilizza i contorni di una rosa. Perché Lucrezia non lasciava nulla al caso, era divenuta una rosa bruciata, stilizzata, macchiata di sangue, che si nutriva solo della morte e delle grida di dolore di altri.
Il vuoto è la dipendenza dall’odio, il sorriso slabbrato che impone un bacio di incubi. Perché lei ormai odiava tutto e tutti, la sua droga era l’odio, i suoi baci semisorridenti avrebbero promesso una morte dolorosa ai suoi nuovi mariti.
Il vuoto è la sinfonia di una marcia nuziale, perché lei si sposava per precipitare ancora di più, perché mai si sentiva consumata come nel momento in cui giungeva all’altare.

Folle e attenta, ricca e onorata, bellissima e letale. Questo le piaceva essere.
Il suo cuore era stato lacerato troppo intensamente per esistere ancora.
Quegli stralci d’amore che ancora esistevano in lei erano riversati unicamente sul suo bambino.
In fondo Blaise era anche figlio di David, perché senza il suo intervento e le sue erbe prodigiose lei non sarebbe mai rimasta incinta, e vedere il mondo da questa prospettiva la faceva vivere meglio.
Lucrezia aveva preso il vizio di sposarsi.
Sembrava essere nata per indossare abiti bianchi con veli dallo strascico chilometrico.
Possedeva ingenti ricchezze che si accumulavano, decesso dopo decesso, anno dopo anno.
Aveva sposato altri tre uomini e tutti e tre erano morti in modo misterioso.
In quelle morti lei sognava ancora di assassinare il suo David.
 
At skyfall
Let the sky fall

 
La ballata degli sposi uccisi era stata composta su uno spartito lungo dieci anni. 
Curiosamente, i suoi tre ultimi mariti erano stati quelli con cui aveva convissuto più a lungo.
Forse perché attendere di ucciderli era già un solo piacere per lei.
Forse per non destare troppi sospetti.
Forse perché sperava ancora sottilmente di redimersi.
O forse era stanca, Lucrezia, di quel sangue versato a vuoto per cumuli di denaro e gioielli in più o per la lusinga di una vendetta trasversale.
Il suo quinto marito era morto durante una battuta di caccia magica. La bestia selvatica che avrebbe dovuto abbattere lo aveva colto di sorpresa, si era divincolata dalle catene in cui era tenuta prigioniera e lo aveva divorato di fronte ai suoi stessi Elfi Domestici. Quella bestia era stata liberata e aizzata da non si sapeva chi, un piano perfetto, ben studiato, una perfezione di male.
Il suo sesto marito era stato ufficialmente ucciso da alcuni ladruncoli che si erano introdotti in casa.
Sicari al soldo della donna più bella del reame che aveva provveduto a congelare per un’ora gli incantesimi di difesa, ma questo non lo avrebbe mai scoperto nessuno.
E infine il settimo marito, il più giovane, il più bello che avesse mai avuto si chiamava, ironia della sorte, David, portava lo stesso nome di quel maledetto botanico Sanguesporco che le aveva succhiato via la pace, e forse per questo Lucrezia aveva trascorso cinque anni con lui e lo aveva eliminato nel modo più magistrale possibile quando suo figlio Blaise frequentava già il terzo anno ad Hogwarts.
Quell’atto finale prevedeva la morte di un finto David, perché del vero Lucrezia aveva perso le tracce, non lo aveva rivisto più e non sapeva neppure in quale parte del mondo si fosse trasferito.
Lucrezia, mentre sentiva spirare il suo ultimo marito in una pozza di acido che lo avrebbe sciolto, fingeva ancora che al suo posto vi fosse l’uomo che l’aveva dannata d’amore per sempre.
Poteva ancora sentire le sue urla lancinanti mentre il corpo si liquefaceva nell’acido, e fingeva che quelle grida appartenessero al suo David.
La sensazione del cielo che le cadeva addosso le era così familiare, ormai.
 
We will stand tall
At skyfall
 
Questa è la storia di Lucrezia. Bellezza infernale, cervello inquieto e ingegnoso, follia mascherata, delitti impuniti e una discrepanza d’amore.
Una vedova nera dagli alti fregi, intoccabile, la signora più importante della società Purosangue, la più ricca e ambita, anche solo per un’unica notte.
Dopo la morte del settimo marito Lucrezia era paga di quella vita. Ricca oltre l’immaginabile, non aveva più bisogno di nulla, se non di vivere tranquilla con qualche amante di turno per sfogare le sue voglie ancora accese.
Era libera, finalmente. Rispettata, impunita.
Nella sua vita forse era già morta troppe volte per poterle contare tutte.
E rimpiangeva il destino felice che avevano avuto i suoi genitori, ma lei era divenuta qualcosa di più, era ciò che aveva scelto di essere.
Aveva suo figlio, lo amava oltre l’immaginabile e voleva solo la sua felicità.
Lei si faceva chiamare ancora Lucrezia Zabini come il nome del marito più potente che aveva avuto, la sua prima vittima.
Lei era Lucrezia Zabini e aveva raggiunto tutti i suoi scopi.
Anche se il cielo le cadeva addosso ormai in ogni momento.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Angolino di MusicDanceRomance
 
Ormai è nota la mia mania di scrivere e inventare storie su personaggi che in sette libri vengono nominati solo in un rigo. E l’idea di creare una lunga song-fic su Lady Zabini basandomi su “Skyfall” di Adele frullava in testa da parecchio!
Questa song-fic si può ricollegare a “Undisclosed Desires”, lì parlavo dell’amore di Blaise e Daphne e il personaggio di Lucrezia è appena accennato, però ritengo che le due fic siano correlate, avevo intenzione di scriverle tutte e due insieme e invece poi mi sono dedicata solamente a “Undisclosed Desires”.
Così mi sono data da fare e ora sappiamo tutto della madre di Blaise e sappiamo, povera Daphne, che suocera le è capitata! ; )
Allora, so che la madre di Blaise non ha nome, quindi è toccato a me sceglierne uno per lei.
Per me la Vedova Nera di Harry Potter, la donna più bella del mondo nonché quella che ha perso sette mariti in circostanze misteriose si può chiamare solo Lucrezia.
Come Lucrezia Borgia, come la cattivissima Van Necker di “Elisa di Rivombrosa”, insomma... per me una come lei può portare solo questo nome. Che tra l’altro è bellissimo, sa di seduzione secondo me, perché non mi chiamo io così? ^_^
Io spero che vi sia piaciuta, mi rendo conto che è lunga, ma se l’avete letta vorrei tanto sapere cosa ne pensate!
Grazie per essere arrivati fino a qui!
 
 
   
 
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