Libri > Il Signore degli Anelli e altri
Ricorda la storia  |      
Autore: Charme    29/11/2013    7 recensioni
La fiera stirpe di Durin è perseguitata da una maledizione che pareva essersi estinta, ma le cui propaggini si sono crudelmente insinuate nei rami ancora acerbi della famiglia, corrompendoli dall'interno.
Thorin Scudodiquercia non dorme. ASPETTA.
Genere: Comico, Commedia, Demenziale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Bilbo, Fili, Kili, Thorin Scudodiquercia
Note: Movieverse, Nonsense | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Salve. Sto preparando una storia che sarà una botta di Angst perché mi è stato categoricamente impedito di scrivere storie di genere umoristico, e la mia anima ne soffre. Ecco perché, prima della sfida, ho pensato di completare e pubblicare questa.

Chiaramente la presenza del caffè nella Terra di Mezzo è discutibile, così come lo sarebbe quella del tè, dei pomodori, delle patate e dell'erba-pipa, che in alcune preliminari annotazioni di Tolkien viene chiamata semplicemente 'tabacco'. Insomma, non vedo perché certi prodotti sì e altri no. Ho dato par condicio al caffè. Lo spunto per la storia è legato prevalentemente al film di P. Jackson, visto che Thorin pare non dormire, quanto piuttosto aspettare. Per contrasto, Kili sembra perennemente un cucciolo al parco. Ci sono tracce pesantemente autobiografiche per quanto riguarda la mia caratterizzazione di Fili, e mi scuso per un eventuale OOC che dovesse risultare troppo marcato. Vorrei avvalermi della facoltà di ripararmi dietro al dito della licenza poetica, se non vi dispiace.

Ma ora vi lascio alla storia, sperando che la gradiate.

 

 

Dedicato alle Muse, a quelle che odiano il caffè e a quelle che lo amano,

ma soprattutto dedicata a Trick, come tardivo regalo di compleanno.

 

 

 

Una nuova alba sorse a segnare un nuovo giorno dell’annosa cerca di Thorin e della sua compagnia, ma niente, nella giornata limpida e nel sole che illuminava le quiete foreste e i dolci declivi non lontani dalla Contea, avrebbe fatto presagire un dramma incombente.

La comitiva fu destata dalla luce del sole nascente, e i Nani impiegarono qualche tempo, prima di rendersi conto che solitamente quello di svegliare i compagni era un compito spettante all’ultimo incaricato di fare la guardia. Thorin, che come sempre aveva dormito poco e male, marciò con fierezza verso il lavativo, constatando amaramente che si trattava del proprio nipote maggiore, nonché erede.

Deludente.

Thorin poteva apparire eccessivamente duro e inflessibile nei confronti dei propri parenti, ma lo faceva perché dessero il meglio di loro, e perché nessuno mai potesse insinuare che Fili e Kili avessero un trattamento di favore derivante dai loro nobili natali. Il mancato Re sotto la Montagna si apprestò quindi a rimproverare severamente Fili, per fargli intendere la palese gravità delle sue azioni.

“Mancare di adempiere al proprio dovere è sempre grave, ma esporre a un potenziale pericolo un intero gruppo di persone addormentandosi mentre si fa la guardia è imperdonabile!”

La tonante voce di Thorin, unita al suo carisma, fece sì che tutti gli astanti si voltassero verso di lui, ascoltando più o meno sfacciatamente il rimprovero rivolto a Fili. Quest’ultimo non pareva affatto sconvolto o dispiaciuto, e continuava a restarsene seduto, la testa bassa e le spalle leggermente incurvate verso il fuoco, ormai ridotto a poche braci fumanti.

“Mi hai sentito? Se fossimo stati individuati da una pattuglia di Orchi, la nostra unica consolazione sarebbe stata passare dal sonno alla morte, soffocati dal nostro stesso sangue!”

Nell’udire quell’ipotesi così poco bucolica, Bilbo sgranò gli occhi e si abbottonò nevroticamente il mantello al panciotto e il panciotto alla camicia, poi scrutò i volti dei propri compagni di viaggio, quasi sperando di trovarvi almeno una traccia del nervosismo che si era impadronito di lui.

Chiaramente, i Nani erano rimasti perlopiù impassibili.

L’inquietudine saturò il povero Hobbit fino alle punte dei piedi, e lo portò a fare la cosa più sbagliata che la sua testa ricciuta potesse mai elaborare. “Perlomeno oggi non sono stato l’ultimo ad alzarsi!” esclamò, evidentemente tentando di dissimulare la tensione.

Apparve subito evidente che si fosse trattato di un grosso, mastodontico errore.

Thorin voltò la testa verso di lui, e l’angolazione innaturale che assunse ricordò a Bilbo quella di un gufo reale. Un gufo reale che stesse per avventarsi su un Hobbit con pessime capacità di valutazione delle situazioni, a voler essere precisi.

I gufi attaccavano gli Hobbit? Improbabile, a dire il vero. Bilbo cercò di tranquillizzarsi chiamando a raccolta le sue conoscenze dei rapaci notturni, ma l’espressione di Thorin rendeva difficile l’impresa.

L’aiuto giunse, insperatamente, da Dwalin.

Il guerriero tatuato terrorizzava Bilbo a morte, ma in quel momento gli fu estremamente grato.

“Thorin, il ragazzo non si sveglia.”

Thorin si voltò di nuovo, e Bilbo si rese conto di aver trattenuto il fiato per quelli che stimò essere circa otto lustri, due mesi e tre giorni.

“Come sarebbe a dire che non si sveglia?”

Era vero. Fili non pareva cosciente, fermo nella sua posizione raccolta, ed era impossibile che fingesse di dormire, perché nessuno mai, dopo un furioso rimprovero di Thorin, avrebbe potuto mantenere una simile espressione di beata ottusità.

Dwalin, che era un Nano di poche parole e molti fatti, scrollò il giovane principe con la delicatezza di un cinghiale che si stia facendo le zanne sulla corteccia di un albero, e per tutta risposta Fili lo abbrancò, poggiando teneramente la testa su uno dei minacciosissimi avambracci tatuati del guerriero.

Dwalin s’irrigidì, e dalla sua gola salì un brontolio che avrebbe fatto venire la pelle d’oca a un Troll.

“Signor Dwalin, signore, ho solo quel fratello…” pigolò Kili, facendo un coraggiosissimo passo in avanti per andare ad affrontare il suo antico mentore e impedirgli di frantumare Fili e farne un gomitolo sanguinolento.

“Lascialo stare, Dwalin – sopraggiunse Balin, in un tono che non lasciava presagire niente di buono – Non è colpa del ragazzo.” Ad avvalorare le proprie parole, porse al fratello una tazza che era evidentemente rotolata lontano da Fili quando questi l’aveva lasciata cadere.

Dwalin, senza dismettere l’aria sospettosa e ostile, afferrò la tazza e guardò al suo interno; per qualche secondo non successe niente, e parve voler chiedere spiegazioni, ma all’improvviso nei suoi occhi passò un lampo di consapevolezza.

Senza proferir parola, si avvicinò a Thorin, e il dormiente, privato del suo appoggio, ondeggiò su un lato, schiantandosi sul terreno prima che Kili potesse fare alcunché.

“Fili! Ti sei fatto male?”

In risposta gli giunse solo un sonoro russare, e Kili sorrise, vagamente imbarazzato.

“Gli succede, quando dorme a pancia in su.” Spiegò lui, senza rivolgersi a nessuno in particolare, e fece ruzzolare il fratello in modo che stesse disteso su un fianco.

Nel frattempo, Thorin, Balin e Dwalin stavano ancora maneggiando la tazza di Fili.

“Non c’è dubbio – annunciò gravemente Balin – è stato drogato.”

Gli occhi di Thorin vennero offuscati da una patina di ricordi a lungo rinnegati.

“La nostra eterna condanna. Dìs non ne ha mai mostrato i sintomi, e così ho scioccamente sperato che si potesse estinguere insieme a me.”

Calò un silenzio angoscioso, e parve che perfino la natura cessasse i propri suoni e accettasse di condividere con loro quel disagio.

“Proseguiremo nel pomeriggio, nella speranza che si possa riprendere.” Annunciò Thorin, e si allontanò per meditare, ma prima si avvicinò ai nipoti, e poggiando una mano sulla spalla di Kili, gli raccomandò di vegliare su suo fratello.

“Certamente, zio.”

“Bravo ragazzo.” Ribatté Thorin, in un tono che Kili ritenne decisamente troppo carico e accorato. Ma fu sufficientemente sveglio da non puntualizzare la cosa a voce alta.

 

Quando Thorin si fu allontanato, i membri della compagnia si scelsero ognuno una mansione per passare il tempo senza annoiarsi troppo: vi fu quindi chi si occupò di strigliare i pony, chi smontò i giacigli e chi si mise a rassettare il proprio bagaglio, ma dopo non troppo tempo quasi tutti esaurirono i propri compiti, decidendo pertanto di mettersi a fumare.

Il giorno era ormai alto, e Thorin ancora non aveva fatto ritorno all’accampamento. Kili iniziava a scocciarsi di avere un fratello narcolettico, e andò da Balin a chiedergli delucidazioni su cosa potesse essere successo.

“Mio caro ragazzo, penso che spetti a Thorin dirti di che cosa si tratta.”

“Thorin potrebbe far ritorno tra molte ore, e l’ho sentito parlare di condanne e maledizioni legate alla nostra famiglia. Vorrei sapere cos’è successo a mio fratello e se c’è il rischio che succeda anche a me.”

Il vecchio saggio sospirò, tirando una boccata alla pipa ed espirando una bianca voluta di fumo.

“E sia. Il fardello che tormenta la tua stirpe è legato a una bevanda infida che ha da sempre effetti deleteri su chi la assume. Gli effetti di questa particolare droga variano da individuo a individuo, e sono imprevedibili e ineffabili.”

Un lampo di preoccupazione attraversò gli occhi di Kili, che lanciò uno sguardo al fratello.

“E potrebbe essere letale?” domandò ansiosamente.

“No, no di certo. Ma devo rivelarti, però, che è la prima volta, nella mia lunga vita, che assisto a un simile tracollo. Lunghi anni fa, nel lontano 2852 di questa stessa Era, la vittima fu lo stesso Thorin.”

Balin fece una pausa a effetto, e girando lo sguardo, vide che bene o male tutta la compagnia lo stava ascoltando attentamente.

“Thorin è stato vittima della maledizione?” domandò Kili, esterrefatto. L’idea che suo zio potesse essere vulnerabile a qualcosa di meno di un Drago era impensabile, per lui.

“Chi era con lui, come me, ricorda quei giorni come la Settimana Nera.” disse gravemente Dwalin.

A quel punto intervenne Bilbo, esternando la domanda che gli girava in testa già da tempo: “Ma non stiamo affrontando il punto più importante! Qualcuno sta cercando di avvelenarvi? In cosa consiste, la maledizione?”

Balin e Dwalin si scambiarono uno sguardo intenso, poi si voltarono verso Oin e Gloin, come a domandare loro il permesso di divulgare un segreto legato alla loro casata.

“Oh, non guardate me – sbuffò Gloin – per me sono soltanto un mucchio di baggianate. Mio figlio Gimli non ha assolutamente dato problemi, così come non ne ho mai avuti io.”

Oin gli tirò il cornetto acustico sulla testa lanosa. “E come pensi che io mi sia ridotto in questo modo, se non per via della maledizione?” interloquì, parlando a un volume di voce troppo alto, dovuto alla sua quasi totale sordità.

“Non sei sordo per via del caffè, sei sordo perché sei una vecchia ciabatta!”

Smettendo di prestare attenzione all’altro ramo della famiglia dei Durin, Kili si voltò di nuovo verso Balin.

“Caffè? Che c’entra il caffè?”

“Non sottovalutarlo, giovane Kili. È difatti proprio il caffè la bevanda responsabile dello scompiglio subito dai tuoi antenati e dalle persone a te più vicine. Siamo stati incauti, nel dare per scontata la vostra immunità agli effetti deleteri del caffè. Avremmo dovuto avvisarvi per tempo, così ora Fili non sarebbe vittima dell’incantesimo.”

La giovanile incuranza di Kili gli suggerì che l’anziano Balin stesse esasperando la gravità della situazione. La sua famiglia reagiva male al caffè, e allora? Ora che lo sapevano, sarebbe bastato stare attenti.

“È molto strano, in ogni modo, che Fili abbia reagito in modo così estremamente opposto a quello di Thorin.” commentò ancora Balin.

“Perché? Quale fu la reazione dello zio?” la curiosità di Kili si spostò su Dwalin, che aveva detto di essere stato al fianco di Thorin, quando la maledizione aveva colpito. Il potente guerriero colse lo sguardo su di sé, e decise di soddisfare l’interesse del ragazzo.

“Non sono un buon narratore, né parlo volentieri di quegli avvenimenti lontani, ma posso dire che quelli della Settimana Nera furono forse i giorni più bui che la nostra stirpe ricordi. Assistemmo impotenti al tracollo della nostra guida, di colui che guardavamo e guardiamo tuttora come il nostro re.

“Passò una settimana intera senza poter chiudere occhio. Divenne astioso e nevrotico oltre ogni dire, e la sua consueta tenacia e forza d’animo furono soppiantate da una profonda depressione che ci fece temere per lui. Ancora oggi, in certi, terribili momenti, ci pare di ravvisare qualche residuo di quei tempi bui, e si può solo pregare Mahal che la maledizione non lo tocchi mai più.”

 

Al volger del pomeriggio, Thorin fece ritorno all’accampamento, constatando che Fili non dava cenno di miglioramento. Aggrottando la fronte con mestizia, comandò che la compagnia riprendesse il viaggio, e che Fili venisse caricato su un pony, legato e tenuto d’occhio, poiché non erano in condizioni tali da permettersi di perdere altro tempo, e con la maledizione dei Durin che pendeva su di loro come un drappo di cupi pensieri trascorse un altro giorno, fino a che non fu ora di accamparsi nuovamente.

Kili, a cui era toccato il primo turno di guardia, stava impiegando il tempo in maniera costruttiva, e cioè decorando la capigliatura leonina del fratello addormentato con aghi di pino e altre amenità offerte dalla flora locale.

Così impara a prendersi la maledizione.” pensò Kili, imbronciato. Dentro di sé, considerava la disavventura di Fili come qualcosa da cui l’aveva voluto escludere di proposito, come quando erano bambini e Kili si sentiva sempre dire che c’era qualcosa che solo i grandi potevano fare. Kili aveva sempre trovato estremamente ingiusta e aleatoria questa storia dell’essere grandi. Com’era possibile che lui non fosse mai abbastanza grande, mentre Fili lo era sempre? Tra loro correvano cinque anni, non cinquecento, dannazione!

Kili ripensò al racconto di Dwalin. Per quanto poco particolareggiato, infatti, gli aveva dato molto da pensare, e il giovane Nano si mise a rimuginare su quanto aveva appreso. Non aveva mai avuto contatti con il caffè, ma pensava fosse perché non era merce facilmente reperibile come lo erano il tè o la birra, che erano in effetti le bevande di cui faceva più largo consumo, e non trovava motivo di bere qualcosa che non dissetava affatto per il puro piacere di berla. Poi, che si trattasse effettivamente di un piacere era tutto da dimostrare, visto che Kili non aveva proprio idea di che sapore potesse avere. A quel punto era chiaro che non l’avrebbe mai potuto scoprire, per non fomentare la maledizione, che chissà che effetti avrebbe potuto avere, su di lui.

Già.

Chissà.

Forse…?

 

La mattina seguente fu caratterizzata da un risveglio perlopiù traumatico per tutta la compagnia: ben prima che il vago chiarore dell’aurora illuminasse le punte degli alberi, una creatura rapidissima e implacabile iniziò a seminare devastazione in tutto l’accampamento.

Si muoveva così rapidamente che fu necessario qualche tempo perché venisse riconosciuto come Kili: anche la sua voce pareva distorta e velocizzata, tanto che l’ululato continuo che emetteva mentre correva intorno al campo venisse identificato come ‘buongiorno’ solo al terzo giro completo che faceva.

Vedendo che i compagni iniziavano ad alzarsi, intontiti e comprensibilmente perplessi, Kili si precipitò verso di loro, e per prima cosa rubò il cappello a Bofur, che rimase interdetto un paio di secondi, prima di sorridergli con fare incoraggiante e considerare che in effetti gli donava molto, ma per allora Kili era già passato oltre.

“Bofur! La prossima volta che cantiamo una canzone e tu suoni lo zufolo io voglio usare i tamburi. Guarda!” e diede un saggio delle proprie capacità usando supporti eccellenti, vale a dire la pancia di Bombur e la testa di Dwalin.

Quest’ultimo, la cui suscettibilità era stranamente mitigata dall’orario mattutino, si limitò a rivolgersi a Thorin.

“I tuoi nipoti iniziano seriamente a darmi sui nervi. Dovranno dare gran prova del loro valore in battaglia, perché io cambi parere.”

In un altro momento, Thorin Scudodiquercia avrebbe perorato la causa dei propri eredi, difendendo la legittimità del proprio giudizio nell’includerli nella spedizione per la riconquista di Erebor, ma in quel frangente la priorità andava ad altro.

“Kili – disse, in tono imperioso – avevo sperato che il racconto della tragicità della debolezza della nostra stirpe ti rendesse sufficientemente accorto da non tentare la sor—”

Rapido come la folgore, Kili si lanciò su di lui, ebbro di gioia.

“Zio! Sei sveglio! Buongiorno!” e, dopo averlo abbracciato, lo sollevò in aria senza sforzo apparente.

Thorin rimase allibito e senza parole, e questo salvò Kili dall’enormità del rimprovero per la leggerezza del suo comportamento.

La successiva vittima dell’iperattività di Kili fu Bilbo, chissà come ancora dormiente. Il suo risveglio non fu certo meno scioccante degli altri, perché si ritrovò la faccia radiosa di Kili a una spanna dal viso.

“Buongiorno, Bilbo! Buongiorno! Bilbo! Buonbilbo! Buongiolbo! Buolbo! Buolbilbo!”

‘Buolbilbo’ fu troppo, per il povero Hobbit, e questo lo spinse a rintanarsi sotto le coperte, in un puerile tentativo di trovare la salvezza dal pericolo incombente.

Fu un grosso errore. Kili, rialzatosi, diede un potente strattone alla coperta, e Bilbo ruzzolò giù dalla collina dov’era sito l’accampamento.

Kili, al colmo della felicità, lanciò in aria in segno di giubilo il cappello di Bofur, che ancora indossava, e questo atterrò sulla testa di uno dei pony. Al grido di ‘Per Erebor!’ il giovane Nano si lanciò giù dalla collina, rotolando all’inseguimento dello scassinatore.

Giunto a valle, con Bilbo che lamentava dolori in posti che a malapena sapeva di avere, Kili si dilettò a razzolare nell’erba, sdraiandocisi e muovendo braccia e gambe per lasciare impressa la propria sagoma nel prato. Come artista pienamente soddisfatto, si prese il tempo necessario per osservare e valutare attentamente il risultato ottenuto.

La pausa ebbe la cospicua durata di tre secondi, poi Kili si slanciò di nuovo su per la collina, lasciando il povero Bilbo ad arrancare tristemente, ancora parzialmente avvoltolato in quello che era stato il suo giaciglio.

Nel frattempo i Nani avevano avuto modo di organizzarsi, convenendo che fosse di vitale importanza immobilizzare Kili – e magari anche imbavagliarlo – prima di tentare di farlo tornare alla ragione.

Ma Kili era più rapido di un demone: zigzagò tra Bofur, Nori e Dwalin, evitò Thorin e Dori, saltò, corse, si abbassò e scivolò via, dopodiché si apprestò a scalare un albero.

“Non sarei voluto arrivare a questo – considerò Thorin in tono grave – ma vi sono costretto. Ori, ho bisogno della tua fionda e della tua mira. Colpiscilo. Da vicino, per stordirlo, mi raccomando.”

Il giovane Ori fu per un attimo sopraffatto dall’idea di essere specificatamente chiamato all’azione da Thorin, ma al momento di prendere la mira e scoccare il proiettile la sua mano non tremò.

Erano un buon piano e un ottimo tiro, ma Kili afferrò al volo la pallottola, e, a ulteriore beffa degli astanti, la usò insieme a due pigne per improvvisarsi giocoliere.

Quando Bilbo riuscì a risalire in cima alla collina, stanco e ansante, vide undici Nani appostati sotto a un albero, a braccia alzate, che gridavano, intimavano, pregavano e ordinavano a Kili di scendere giù.

Di Kili si avvertiva solo l’energia nervosa dovuta al caffè e le sue risatine querule, perché ormai era sparito del tutto nel fitto fogliame dell’albero, quand’ecco che i Nani tornarono a sperare, perché tra i rami fremette qualcosa.

Ma la speranza durò ben poco, perché l’agitazione era dovuta a uno scoiattolo, che, disturbato dalla presenza di un invasore nel suo albero, aveva spiccato un balzo superbo, aprendo la membrana che gli congiungeva gli arti, ed era planato verso un ramo più basso di un albero vicino.

L’evento sarebbe passato più o meno inosservato, se non fosse stato per l’ammiratissimo ‘Oooooh!’ proveniente dall’albero che seguì al salto dello scoiattolo.

Per un attimo nessuno reagì, ma a un certo punto una terribile consapevolezza s’impadronì di Thorin, che ben conosceva il suo impulsivo nipotino.

“Kili, nooo!”

Il grido disperato e impotente accompagnò il salto di Kili, evidentemente persuaso di poter planare da un albero all’altro senza danni.

Il volo di Kili fu leggiadro come quello di un’incudine in ghisa lanciata dalla cima a strapiombo di una montagna. Per grande fortuna di Kili, lo scheletro dei Nani è possente e resistente a urti che spezzerebbero senza pietà le ben più fragili ossa umane. Ma la vera fortuna di Kili non fu meramente dovuta alla provvidenza della natura, quanto piuttosto al fatto che ad accoglierlo dopo il suo sfortunato volo e ancor più accidentato atterraggio ci fu un materasso naturale della cui esistenza tutti si erano dimenticati.

Il tremendo schianto fu seguito da un sonoro sbadiglio, ed ecco che Fili si risvegliò dal suo sonnellino durato ventisette ore.

I due giovani principi furono testé circondati dal resto della compagnia, principalmente per evitare che Kili sfuggisse di nuovo al loro controllo. I due fratelli non si erano mai somigliati molto, ma quel giorno non li si sarebbe detti neppure parenti lontani: il più giovane si era rimesso in piedi dopo l'urto come se niente fosse accaduto, e faceva scattare la testa a destra e a sinistra, come un cucciolo di cane portato fuori casa per la prima volta e sopraffatto dalla moltitudine di nuovi odori sconosciuti. Per contrasto, Fili aveva la stessa espressione sveglia e brillante di un ghiro a metà gennaio, e teneva le palpebre ancora socchiuse, schioccando pigramente le labbra di tanto in tanto, come a voler assaporare gli ultimi istanti del sonno appena abbandonato. Nel vederli così paradossalmente contrapposti, Thorin decise di rimandare momentaneamente i rimproveri, che sospettava sarebbero stati totalmente inutili e controproducenti, e di assegnare all'uno il compito di salvaguardare l'altro, cosa che comunque entrambi tendevano a fare spontaneamente.

 

Come mirabilmente previsto dalla lungimiranza di Thorin, il quieto torpore che ancora avvolgeva pesantemente Fili funse da contrappeso alla molesta iperattività di Kili, e l'affetto reciproco che li univa li spingeva a cercare la reciproca compagnia, così che dopo molte ore – che la compagnia percepì come lentissime e opprimenti – i due fratelli riuscirono finalmente a riequilibrarsi a vicenda, e l'inconveniente durato ormai quasi due giorni ebbe finalmente termine.

Entrambi i giovani principi vennero redarguiti per la loro avventatezza, in particolar modo Kili, che avveva deliberatamente scelto di sfidare la sorte per soddisfare una mera curiosità. La questione fu rinfocolata successivamente, sebbene in toni più leggeri, al momento del ritorno di Gandalf, rimasto assente per uno di quelli che i Nani chiamavano, con intenti più o meno bonari, 'vagabondaggi da stregone'.

Nell'atmosfera gioviale del bivacco serale, bendisposti dalla prospettiva del riposo notturno e con una pipa fumante in bocca, il racconto delle prodezze dei più giovani della compagnia parve l'ideale per alleviare lo spirito, per non aggiungere poi che un po' tutti covavano un malizioso desiderio di vendetta nei confronti di chi li aveva svegliati ben prima dell'alba e costretti a rincorrerlo su e giù per la foresta. La pubblica, per quanto perlopiù benevola ridicolizzazione fece infatti avvampare di vergogna a più riprese Kili.

Ma Gandalf, oltre che sulla surrealità dell'accaduto, focalizzò immediatamente su ciò che gli era parso più strano e nebuloso, ma sul quale gli altri non avevano indagato.

“Non è inconsueto che i giovani Durin abbiano così facilmente potuto reperire chicchi di caffè e i mezzi per ottenere una bevanda tanto elaborata da preparare?” commentò con artefatta noncuranza lo stregone, rivolgendosi con fare apparentemente casuale a Bilbo, ancora ammaccato e contuso per la sua avventurosa discesa di testa dalla collina.

“Non ne ho la benché minima idea!” rispose tosto lo hobbit, assumendo un'espressione risoluta e quasi sfacciata che si addiceva non tanto a un sedentario, amabile abitante della Contea quanto piuttosto a uno scaltro scassinatore.

Quel tipo di scassinatore che si libererebbe rapidamente e senza lasciar traccia di un bottino pericoloso.

Quel tipo di bottino pericoloso che, diciamo, avrebbe potuto dar adito a tutta una spiacevole disavventura di recente memoria.

Andando sempre per ipotesi e senza entrare nello specifico, si potrebbe pensare a un particolare tipo di bottino pericoloso sottoforma di chicchi tostati e di una caffettiera chiusi insieme in una sacca di feltro color verde scuro con ricamate le iniziali 'B. B.', incredibilmente simile a quella che Bilbo aveva provveduto a lanciare nel fiume poco dopo che Thorin si era massaggiato le nocche, rumoreggiando che chiunque aveva avuto la brillante idea di dare del caffè a Fili e Kili avrebbe avuto a che fare con lui.

Lo stregone, i cui occhi vedevano più lontano di quanto non lasciasse intuire, annuì per lasciar cadere l'argomento, rimuginando su come a volte fosse sufficiente il giusto incentivo per fare di un hobbit un perfetto scassinatore. E proprio non vedeva perché la minaccia dell'ira di Thorin Scudodiquercia non potesse essere un incentivo buono come un altro.

 

 

 

 

  
Leggi le 7 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Libri > Il Signore degli Anelli e altri / Vai alla pagina dell'autore: Charme