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Autore: watch me burn    01/12/2013    3 recensioni
La morte di Paul Walker mi ha dato il coraggio di pubblicare questa storia che avevo lasciato in un angolino, per paura che fosse banale, scontata, noiosa.
Però, ci provo lo stesso. Per te, Paul.
Questa storia parla di Arwen e Jack, rispettivamente figli di Dom, Letty e Brian, Mia.
Spero vi piaccia, dopo questa tragedia, spero veramente vi piaccia.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 1



Il 1409 era sempre lo stesso benché fossero passati quasi diciannove anni da quell’ultimo colpo e dalla storia di Londra.  Un giardino curato incorniciava la casa e delle macchine parcheggiate lungo il vialetto davano quel classico tocco da “Casa Toretto”. La Dodge Challenger di Dom era parcheggiata appena fuori il garage aperto, dal quale uscivano risate, suoni stridenti di metallo contro metallo o improvvisi tonfi. Dietro la Challenger c’era la Nissan GT-R di Brian O’Conner, vecchio amico di famiglia. Dominic e Brian erano amici da così tanto tempo che ormai venivano a crearsi leggende su come si fossero conosciuti.
L’odore del barbecue riempiva l’aria ed un mormorio di voci si alzava dal retro della casa. Era domenica, presto tutti si sarebbero seduti al tavolo e avrebbero mangiato tra le risate, le bottiglie di Corona che sbattevano e tanto cibo. Una Koenigsegg CCXR si fermò proprio dietro l’auto di O’Conner e ne uscii un uomo dalla pelle lievemente scura ed i capelli tagliati corti, a spazzola. L’uomo percorse il vialetto e, affacciandosi all’interno del garage, sorrise divertito dalla scena che gli si aprì davanti agli occhi: «Cos’è, avete iniziato il divertimento senza di me?» esclamò, attirando l’attenzione di coloro che vi erano all’interno.
«Tej!» esclamò Brian con un sorriso a trentadue denti.
«Ciao fratello» rispose quello, premendo la mano su quella dell’amico, per poi stringersi in un abbraccio e battersi a vicenda una mano sulla spalla.
«Ciao Tej» lo salutò una voce profonda e vagamente roca.
«Dom, è sempre un piacere vederti» e si abbracciarono, ma Tej scortò, dietro le spalle dell’uomo, accucciata sotto il cofano aperto di un’auto, dove teoricamente dovrebbe esserci il motore, una ragazza dai capelli lunghi che sembrava perfettamente a suo agio in quel luogo.
«No» esclamò l’uomo, «la piccola Arwen!», sul volto di Tej era comparso un sorriso.
«Zio Tej» disse la ragazza, lasciando cadere l’attrezzo che teneva in mano e, uscendo agilmente dal muso dell’auto andò ad abbracciare quell’uomo.
«Non ci credo, la piccola Arwen» ripeté, guardando la ragazza, «quant’è che non ci vediamo?»
«Qualche anno, zio» disse la giovane, pulendosi le mani sulla tuta blu, ripensando all’ultima volta che si erano visti quando lei era una bambina, poco più che quattordicenne e Tej trafficava con la sua officina che, tra l’altro, andava ancora particolarmente bene.
Arwen ormai aveva diciassette anni ed un folta testa di capelli scuri e ricci le incorniciava il volto magro e gli occhi verde smeraldo. La solita battuta che le facevano era: «Sicuramente hai preso i ricci di tuo padre!» e tutti, compresa lei, scoppiavano in una fragorosa risata che durava per minuti, Dom stesso rideva.
«DOM!» una voce acuta e potente interruppe le chiacchiere dei tre uomini e della ragazza.
«Letty è sempre la solita ragazza silenziosa, vedo» scherzò Tej, iniziando a ridere, seguito da Brian e Dom.
«Certe cose non cambieranno mai» disse quest’ultimo, prendendo sottobraccio la figlia ed uscendo, insieme agli altri due uomini, dal garage per raggiungere una grande tavolata gremita di persone.
Ogni domenica, dopo la messa, in casa Toretto si faceva un grande barbecue con i vicini di casa ed il resto della famiglia, così come il padre di Dom faceva quando lui era piccolo. Un uomo a bordo di una Ford Mustang iniziò a strombazzare insistentemente davanti al muretto della casa dei Toretto.
«Ehi» urlò quello, abbassando il finestrino «iniziate senza di me?» gridò nuovamente, chiudendo la portiera della sua auto ed avvicinandosi ai tre uomini e alla ragazza, con fare da gangster.
Quello appena sceso dall’auto è un uomo alto, prestante, dalla pelle scura ed un sorriso bianchissimo.
«Mr. Roman Pierce che entra in scena con la sua solita aria da spaccone! Da chi gli hai rubati quei cerchioni cromati?» Brian rideva, divertito dalla faccia dell’amico che lo guardava come dire “ma dici sul serio?”.
«A – ha» esordì quello «erano la mia ricompensa per quel lavoretto con Verone!» e tutti si misero a ridere, divertiti. I vecchi tempi..
«Ciao Arwen» disse Rom, salutando per prima la ragazza, che ricambiò.
Dom si irrigidì e, fissando l’uomo, gli disse fingendosi serio: «cosa fai, ci provi con mia figlia?» e Rom scoppiò a ridere salutando Dom che ormai si era sciolto, vedendo l’uomo allontanarsi dalla piccola. La voce autorevole di Letty si fece strada tra le altre, chiamando nuovamente il marito per farlo sedere a tavola.
«Sarà meglio ascoltare il capo» Brian stava indicando con il pollice la donna che era a capotavola, aspettando agitatamente il marito. Dom allora si portò vicino alla moglie che, rimproverandolo, si lasciò strappare un bacio dolce, mentre l’uomo le circondava la vita con le braccia e la faceva sedere sulle sue gambe.
Brian e Mia si sedettero alla loro sinistra, mentre Arwen e Jack, il figlio ormai vent’enne di Mia, si misero alla destra e poi tutti gli altri. Come sempre, prima di toccare il cibo, calò il silenzio, gli occhi si chiusero, le mani si strinsero e la voce di Mia risuonava chiara mentre intonava la preghiera.
Passarono seduti al tavolo un paio d’ore, anche dopo che i vicini si erano alzati ed erano tornati nelle loro case. Risero molto, ricordando i vecchi tempi e, come sempre, fra quei discorsi risuonavano i nomi di Han e Gisele e nasceva sempre un sorriso nel ricordare quelle due persone straordinarie. Loro mancavano sempre, in ogni momento. Per tutti fu come perdere un fratello ed una sorella, una parte della famiglia se n’era andata, per sempre. C’era una scena che Tej adorava ricordare ed era quando Gisele e Rom si erano incontrati la prima volta. Rideva mentre la raccontava e Rom borbottava tutte le volte delle scuse per difendersi, ma quando Tej concludeva il racconto dicendo che Gisele aveva puntato la pistola in faccia all’amico nessuno riusciva più a trattenere una risata, soprattutto per la simpatica stupidità di Roman.
Verso una cert’ora Mia decise che era ora di liberare il tavolo, così Brian, Letty e Jack portarono le cose in cucina e avviarono la lavastoviglie.
A pomeriggio inoltrato casa Toretto – O’Conner era sgombra dagli invitati e si erano tutti rifugiati nel garage, come prima del pranzo. Una Mustang Shelby gt 500 dal colore blu fiammante, con due righe bianche che partivano dall’anteriore, salivano lungo il tettuccio e giù sul cofano, era parcheggiata tra gli attrezzi sparsi ed i macchinari più disparati. Il cofano aperto mostrava l’anteriore privo di motore, le portiere erano spalancate ed il sedile del guidatore era tirato completamente indietro.
«Be’, è quasi finita» sospirò Arwen, posandosi le mani sui fianchi.
«Manca solo il motore» commentò Jack, leggermente divertito.
«Hai detto niente!» squittì la ragazza, trattenendo a stento una risata ed avvicinandosi alla macchina, accucciandosi nuovamente sotto il cofano per continuare con quello che stava facendo precedentemente. Tutti tornarono ai loro posti, riprendendo ciò che facevano prima dell’interruzione del pranzo.
«Il motore arriva domani Arw» chiarì Dominic entrando nel campo visivo della ragazza che gli fece cenno di sì con la testa.
«Qua è tutto pronto, manca solo il bimbo» disse Arwen, scivolando sotto l’auto e rimettendosi in piedi, finalmente fuori dal cofano. Arwen era eccitata, mancavano solo poche ore per poter finalmente avere tra le mani la macchina dei suoi sogni.
Il sole ormai stava calando, le ombre si allungavano sulla strada creando, talvolta, lugubri proiezioni scure. Arwen fu la prima ad uscire, mentre si metteva sulle spalle una felpa scura appartenente a Jack, seguita poi dal padre, Brian, Tej e Roman. Le luci in casa Toretto erano accese, delle figure si vedevano ogni tanto passare davanti alle finestre del soggiorno e la porta sul retro ancora era spalancata nell’attesa che tutti rientrassero. Dom fu l’ultimo a varcarla e, lanciando una breve occhiata al giardino, se la richiuse alle spalle.
«Non c’è posto migliore di casa» ripeteva spesso l’uomo e tutte le volte che entrava in casa si guardava intorno, come se tutto quello che vedeva potesse sparire da davanti i suoi occhi da un istante all’altro.
 
La mattina seguente la sveglia risuonò nelle orecchie di Arwen, come se qualcuno le stesse strillando a pochi centimetri dalla faccia, svegliandola di soprassalto. La ragazza si grattò gli occhi meccanicamente, mentre si metteva a sedere sul letto. I piedi piccolini scivolarono fuori dalle coperte e sfiorarono il pavimento, procurandole dei brividi che le salirono lungo la schiena. Un cane le trotterellò incontro, il pelo grigio e ispido dondolava sinuoso seguendo i movimenti delle sue zampe forti. Era un cane – lupo di nome Kendra. La ragazza carezzò il muso del lupo che, scodinzolando, le leccò la mano.  Arwen scese le scale che portavano al piano terra, seguita da Kendra che guaiva piano mentre si avvicinava alla porta d’ingresso così la giovane le aprii la porta e quella sgusciò fuori in fretta, muovendo animatamente la coda. Roman era steso sul divano, una gamba poggiata sullo schienale, un braccio a penzoloni e l’altro sotto la testa, mentre russava talvolta anche rumorosamente. Mia era in cucina insieme a Letty, la prima intenta a preparare la colazione, la seconda seduta al tavolo che sorseggiava un caffè fumante e parlava con l’amica, ancora mezza assonnata.
«Buongiorno mamma, tìa» le salutò la giovane, schioccando un bacio sulla guancia di entrambe.
«Rom dorme ancora?» domandò Mia, intenta a cucinare l’ennesimo pancake. Arwen fece cenno di sì con la testa e Letty si alzò dalla sedia, poggiò la tazza sul tavolo e, con un ghigno divertito sul volto, si diresse verso l’uomo che russava forte. La donna gli si avvicinò al volto e, facendo un profondo respiro, prese ad urlare: «gli sbirri, gli sbirri!» e quello si riprese immediatamente, scrollando le spalle e posando rumorosamente i piedi per terra.
«Dove?!» esclamò sbattendo le palpebre in fretta e guardandosi attorno, allarmato.
«Buongiorno Roman, dormito bene?» domandò la donna facendo spallucce, voltandosi sui tacchi e tornando a sorseggiare il caffè. L’uomo prese a borbottare contro di lei, mentre si grattava una guancia, ancora perplesso. Arwen e Mia, scoccandosi un’occhiata fugace, si misero a ridere mentre sistemavano la tavola per la colazione di tutta la famiglia.
Roman entrò in cucina grattandosi la pancia scolpita, da sopra la canottiera bianca
«Cosa c’è da mangiare?» domandò, la voce ancora roca poiché non si era del tutto svegliato.
«Spero che dei pancakes riescano a saziarti» ammise Mia, servendo l’uomo che si era appena seduto al tavolo, accanto ad Arwen.
La ragazza era seduta con la schiena premuta contro il muro freddo, un ginocchio stretto al petto mentre l’atra gamba la teneva penzoloni giù dalla sedia. Indossava una semplice canottiera blu con qualche ricamo in pizzo chiaro e dei pantaloni lunghi e morbidi del medesimo colore. Pochi istanti dopo le scale scricchiolarono e due voci maschili si facevano più intense mentre si avvicinavano alla cucina. Loro si sedettero al tavolo, presero le forchette e mangiarono ciò che avevano nel piatto, sorseggiando un bicchiere di succo all’arancia. Le scale scricchiolarono nuovamente e dei passi veloci arrivarono fino alla cucina e Tej comparve sulla soglia, sbadigliando assonnato. L’uomo si scusò per il ritardo e si sedette al tavolo, scolandosi la spremuta in un solo sorso. La colazione si svolse in fretta e tutti quanti si dispersero a prendere le loro cose, a cambiarsi ed a lavarsi. Roman fu il primo ad uscire di casa e montare in macchina, per tornare alla sua vita. Poi Tej uscì insieme ad Arwen e Jack. I due ragazzi salutarono lo zio che, aprendo la portiera, si sedette sul sedile e, mettendo in moto, si allontanò scomparendo in fretta dalla visuale dei giovani. Letty si affacciò alla finestra del secondo piano per salutare la figlia, pronta per il primo giorno di scuola, mentre questa montava nella macchina del cugino che stava già mettendo in moto. Con un sorriso, Arwen si sedette accanto a jack che partì con un rombo.
Penultimo anno di scuola. Ogni volta che ci pensava la schiena le si riempiva di brividi, pensare che il prossimo anno sarebbe finito tutto e, soprattutto, che Jack non sarebbe più stato con lei a scuola, per qualche motivo, la spaventava.
Già, Jack.
Molte sue amiche lo trovavano assolutamente bellissimo e, a dirla tutta, lo era. Aveva preso gli occhi chiari del padre ed i capelli scuri della madre, un’accoppiata che stendeva ogni ragazza. Aveva un fisico asciutto e scolpito a causa degli allenamenti di arti marziali ed era alto con delle spalle larghe e braccia muscolose. Sì, era bello, ma era suo cugino e Arwen sapeva che non doveva pensare nemmeno per sbaglio le stesse cose che pensavano le sue amiche, non poteva.
«Nervosa?» la voce calma e tranquilla di Jack ruppe quel silenzio che si era creato in macchina, disturbato solo dal rombo del motore della sua auto.
Arwen scosse energicamente la testa «no» esclamò, allungando le braccia lungo le gambe, in modo da stiracchiarsi.
«Tu?» chiese, con voce flebile, mentre si voltava a guardare il cugino. Lui scosse il capo «no, nemmeno io», lui le sorrise, parcheggiando nel posteggio della scuola. Loro erano come fratelli, erano cresciuti insieme e quel silenzio mattiniero era così strano, inusuale, ma Arwen si convinse che era solo perché, in realtà, erano entrambi molto nervosi. Domani sarebbe andata meglio.
  
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