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Autore: Deceptia_Tenebris    01/12/2013    1 recensioni
Un'anziana signora ha tutto nella vita: una famiglia che la vuole bene, una vita appagante.
Ma a lei, tutto questo non importa.
Non le importa perché il suo vero desiderio, è collezionare pietre.
Di tutti generi, di tutte le forme, lei compra pietre come se non ne potesse più farne a meno.
Sta lontana dal mondo esterno, si isola, e nel paese in cui abita, corrono voci strane e inquietanti.
Cosa si può nascondere dietro un paio di occhi scuri e senza tempo?
Dello sguardo freddo e privo di emozioni?
Cosa si può celare in un cuore, pieno d'inquietudini e fantasmi?
Bhe solo il suo nome, ormai deformato dal tempo con nomignoli e soprannomi, può spiegare ogni cosa.
Genere: Dark, Horror, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: What if? | Avvertimenti: Violenza
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Luna Nera

 

Mi sedetti in una panchina vicino a una grande finestra e, attesi inerte.
Iniziai a osservare il sole che stava incominciando a tramontare.
A ogni minuto che passava, la palla di fuoco si faceva sempre più rossa e il cielo di tingeva di cremisi.
Incominciai ad essere impaziente.
Le mani rugose iniziarono a tremare leggermente come se fosse fragile cristallo.
Cercai di controllarmi e di non lasciarmi prendere dall'emozione.
L'elettricità nell'aria era palese.
Feci un sospiro.
Fra poco era il momento.
Mi alzai con passo traballante e mi diressi in cucina.
Tirai fuori dal frigo dei broccoli al vapore, del giorno prima.
Iniziai a masticarli molto, ma molto lentamente, in modo fastidioso e rumoroso.
A ogni boccone facevo una smorfia, facendo increspare le mille rughe che solcavano il volto.
All'improvviso sentì dei passi vivaci dietro di me.
«Nonnaaaaaa!!» esclamò una vocina allegra.
Mi voltai e rivolsi un sorriso.
«Rosa, come stai?» domandai con voce amorevole.
La dolce ragazzina di sei anni, mi sorrise smagliante.
Gli occhi verdi scintillavano e i dolci boccoli castano scuro, saltellavano come molle.
Mi venne in braccio come un uragano e iniziò a raccontarmi, a macchinetta.
«Sto benissimo . Oggi andremo da papà e andremo alle giostre» esultò felice.
L'accarezzai la delicata e perfetta pelle olivastra.
«Sono contenta per te tesoro però, non devi fare tardi perché domani a scuola» le dissi scherzando, passandole la mano tra i capelli morbidi.
Rosa mi guardò dritto negli occhi e poi abbassò lo sguardo.
«Uffi» si lamentò, «lo so. Domani saranno tutti invidiosi di me perché io sono andata e loro no».
«Non badarci» la rassicurai.
La dolce bambina annuì e poi il suo sguardo curioso cadde sul petto.
«Cos'è questa pietra?» mi domandò, osservandola ammaliata.
Guardai a mia volta il pendente ovale.
Nera come l'inchiostro, scintillava in contrasto con gli abiti chiari.
«Oh questa?» chiesi, mostrandogliela da più vicino.
Rosa annuì e iniziò a giocherellarci con le mani.
«Questa è un opale. E' una pietra di protezione» spiegai.
Continuò a osservare la pietra e poi mi rivolse un sorriso.
«Dai mamma, non metterle questa cose in testa».
Mi voltai alla mia sinistra e, appoggiata elegantemente sulla porta, c'era mia figlia.
Aveva un sopracciglio alzato, le labbra serrate in un espressione seccata e gli occhi felini erano infuocati.
Non m'intimorì a quella scena e domandai:
«Che ho detto questa volta?».
Il mio tono era irritato.
Molto irritato.
Uno sbuffò sonoro fece eco nella cucina.
«Sai che non mi piace, che tu metta idee strambe nella sua testa» ribadì forse per l'ennesima volta.
Quella volta sbuffai io.
«Lora ho solo risposto alla domanda di mia nipote. Smettila di arrabbiarti» dissi io, innervosendomi ancora di più.
“Sciocca, stupida ignobile” pensò un angolo della mia mente.
Scacciai via quel pensiero.
Intanto Lora mi fissò per un attimo negli occhi, poi fece un profondo sospiro e mi rivolse un sorriso di scuse.
«Scusa mamma. Il nervosismo mi sta dando alla testa. L'idea di andare con lei e suo padre, mi sta agitando» dichiarò lei.
«Quando tornate?» domandai io, per cambiare discorso.
Si passò la mano tra i capelli neri, perfettamente lisci.
«Penso verso le undici di sera. Rosa non starà ferma un attimo, andremo da per tutto» aggiunse guardando sua figlia dolcemente.
Feci una risata breve.
«Ah buona fortuna allora» dissi scherzando.
Lora si aggiunse alla risata.
«Si ce ne sarà bisogno» confermò quest'ultima.
Poi si rivolse a Rosa.
«Rosa andiamo. Papà ci aspetta» le disse.
La bambina mandò un gridolino e scese dal mio grembo.
«Ciao nonnina» mi salutò.
Le porsi una guancia.
La baciò con un bacio a stampo e poi, corse via da sua madre.
Quest'ultima si diresse verso di me e mi abbracciò.
Dopo aver ricambiato l'abbraccio, si allontanò velocemente.
«Ora andiamo,siamo di fretta. Ciao mamma» mi salutò.
«Ciao Lora, e tornate puntuali» aggiunsi io severa.
L'altra alzò gli occhi al cielo ma alla fine annuì.
Mi fece un cenno come ultimo saluto, e poi uscì dalla casa.
Attesi che se andassero definitivamente e che il rombo della macchina fosse lontano.
Mi alzai meno traballante di prima.
Era tempo d'agire.
Presi un bastone, il mio fedele bastone, e iniziai a zoppicare in un luogo preciso: l'uscita.
Mi misi un cappotto bianco e uscì di casa.
Il marciapiede era deserto.
Tutti erano via a divertirsi.
“Molto meglio così” pensò l'angolo della mia mente che avevo sepolto.
Zoppicai e zoppicai finché, non mi ritrovai nel luogo che volevo: il mio negozietto di talismani.
Era un edificio piuttosto piccino con attaccate alle pareti un sacco di roba inutile, come acchiappa sogni e cavolate simili.
Il disgusto m'invadeva appena vedevo.
L'unica cosa che m'interessava in quel luogo lì, erano le pietre.
Ne collezionavo a migliaia e per tutti era un mistero, del perché lo faceva.
Persino per la mia “famiglia”.
Così iniziarono a circolare voci su di me, io non m'interessavano più di tanto.
Avevo un obiettivo.
Non m'importava del resto.
Nel frattempo entrai dentro nel negozio e l'odore d'incenso invase le mie narici.
L'arricciai di colpo con ribrezzo.
Cercai di non badarci e mi feci avanti alla giovane commessa, che mi accolse con un sorriso caloroso.
«Buongiorno Lily».
Non dissi niente.
Oramai avevano attribuito quel soprannome d'anni, ci avevo fatto l'abitudine.
Ma mi dava sempre un po' fastidio, all'inizio.
Il soprannome era terribilmente smielato.
Ma non feci obiezioni.
Stetti nel gioco.
Non dovevo far nascere sospetti.
«Buongiorno a te, Selena».
Sorrisi.
«Cosa posso fare per te?» mi chiese professionale, spostandosi una ciocca di capelli biondo platino dagli occhi.
L'osservai con aria critica, senza farmi notare.
Selena era la classica brava ragazza, sia d'aspetto che di carattere: era di media altezza, capelli biondo pallido, occhi chiari, pelle lattea e sorriso ingenuo; si pagava gli studi lavorando in questo postaccio e veniva pagata una miseria.
Era di una perfezione assoluta.
Scossi leggermente la testa e abbassi lo sguardo, per ricompormi.
Non dovevo distrarmi. Non dovevo.
La guardai nuovamente negli occhi e gli risposi seria:
«Ti ricordi quello che ti ho chiesto?».
I limpidissimi occhi azzurri della ragazza, si illuminarono di comprensione.
«Ah si» mormorò e si girò, dandomi le spalle.
Frugò frettolosamente tra i cassetti, in cerca di quello che avevo chiesto.
Poi all'improvviso, esclamò:
«Ah eccole».
Mi tesi pronta.
Si rigirò verso di me e, in mano aveva un sacchetto di velluto rosso e nero.
Colori estremamente affascinanti.
«Tieni Lily. Stai pure tranquilla che ci sono tutte» mi calmò, sorridendomi.
Avevo il vago sospetto che gli stessi simpatica.
Oppure sapeva fare bene il proprio lavoro.
Che sciocca.
Un'ingenuità da far tenerezza.
«Grazie» la ringraziai cortese.
«E' stato un piacere Lily. Ma a che cosa ti servono?» mi domandò cauta e curiosa.
Inventai un bugia al momento.
«Oh tempo fa, quando è morto mio marito e li faceva l'archeologo, collezionavamo pietre.
Era una nostra passione.
Ora continuo a collezionarle per ricordarmi di lui» conclusi con voce tremante.
Una scena molto classica, ma ci cascavano sempre tutti.
E perché non dovrebbero?
Selena mi passò in fretta un fazzoletto di seta, commossa.
«Ora se permette» recitai ancora con voce roca e vibrante, «devo andare a casa».
Non dissi altro, senza dare spiegazioni.
La ragazza annuì, ancora intenerita, e mi salutò.
Uscì di fretta e in furia, e mi diressi subito verso casa.
Appena entrata, il mio debole cuore iniziò a battere più forte.
Le mani ricominciarono a tremare possentemente, così come come le pietre che avevo.
Si sentivano tintinnare.
Che suono delizioso.
Mi diressi giù per le scale, nello scantinato.
Era già tutto pronto da una settimana, come era deciso.
Scesi velocemente possibile e, in un batter d'occhio, mi ritrovai all'interno della stanza. Era sottoterra e il buio era totale.
Accesi la luce.
In un istante, la lampadina elettrica mandò il suo bagliore debolissimo e giallognolo.
Potei comunque, scorgere ogni dettaglio.
Era tutto messo ordinatamente a posto, niente era fuori posto; le candele erano già posizionate, la stella, che occupava tutto i pavimento, era dipinta perfettamente, le sei punte di essa erano disegnate con estrema perfezione; la linea rosso scuro era dritta e regolare e, su ogni punta, era posata una candela nera e spenta.
Annusai un po' l'aria, mettendo in all'allerta i miei sensi.
L'odore metallico era molto forte.
Non era scomparso.
Molto ma molto bene.
Sorrisi.
Un sorriso cattivo, maligno che stonava con i tratti del viso, dolci e delicati.
M'avvicinai a un tavolo di mogano e posai lì le pietre.
Feci un bel sospiro e guardai l'orologio.
Le sei di sera.
Sorrisi per l'ennesima volta.
Lascia da parte il bastone e andai verso un grande e largo scatolone, che era il quasi il doppio di me.
Ne estrassi sei specchi.
Tutti avevano una cornice molto decorata, stile rococò, ma ognuno aveva un colore differente: bianco, rosso, nero, blu, verde e grigio.
Colori fondamentali, con dei loro significati.
Le posizionai con grande fatica su ogni punta, in un ordine ben preciso.
Ci impiegai un'ora a metterle come si deve, senza rovinare nulla.
Ogni mio gesto era percorso da una scarica elettrica.
Per la prima volta, dopo tantissimi anni, sentivo il sangue scorrermi nelle vene.
Era una sensazione vivissima, reale.
Le altre sembravano finte e forzate.
Ed lo erano. O almeno per me.
Che brutta specie, quella umana.
Tutti avevano una maschera, nessuno mostrava la sua essenza.
La respingevano, la soffocavano.
Pochi si mostravano per quelli che erano.
Già proprio una brutta specie.
Il peggior animale che possa esistere, pensai.
Ma fra poco avrebbero pagato.
Non tutti, ma almeno una piccolissima parte.
«Ecco, finito» mormorai a voce bassa, soddisfatta.
I specchi sistemati, le candele pure, il disegno della stella a sei punte era perfetto e le linee non erano sbavate.
Avevo fatto proprio un bel lavoro.
Ma ora mancava l'elemento chiave, il più importante.
“Oh sarà troppo facile anche questa volta” ripensò quell'angolo della mia mente.
Scoppiai a ridere rauca, come una pazza a quell'affermazione.
Si, anche questa volta sarebbe andato tutto liscio.
Ebbi all'improvviso di pentimento, pensando a ciò che sarebbe successo.
A ciò che stava per succedere.
Ma a farmi cambiare idea fu una forza indomabile, che mi condusse davanti a uno degli specchi.
Osservai la mia figura: ero di media altezza, i capelli lunghi e ondulati erano di un nero scolorito, con delle striature di bianco; la pelle era color sabbia solcata da mille e fittissime rughe e, gli occhi brillavano scuri come carboni.
Che visione raccapricciante.
Le mille rughe mi facevano ribrezzo.
I capelli grigi m'inorridivano.
La pelle floscia mi disgustava.
Un moto di rabbia mi pervase.
Ora ero più determinata di prima.
L'indole umana era sparita.
Ora tutto il mio corpo e la mia mente era controllata dall'anima selvaggia e maledetta, che ero io.
Era tempo di caccia, pensai.
Sorrisi.
Un sorriso maligno, satanico.
La figura specchiata sorrise assieme a me.
Mostrando i denti giallognoli e aguzzi.

 

 

 

Trascinai senza nessuna fatica, l'ultimo corpo.
Era svenuta e non era molto pesante.
Arrivata nel luogo del rito, la distesi sulla punta della stella, come avevo fatto con tutte le altre.
Sentivo l'aria farsi sempre più densa e carica di morte.
Portava con sé un profumo unico e dolce, che solo un corpo senza vita e putrefatto poteva dare.
Il profumo di era addensato terribilmente, tanto sa farmi venere l'acquolina in bocca.
Annusai il petto della ragazza.
Sapeva di mare, di fiori.
Di verginità.
Il suo cuore che batteva ritmicamente era musica per le mie orecchie.
Ma il suo silenzio era ancora meglio.
Un istinto famelico si agguantò del mio corpo.
L'eccitazione mi fece perdere la testa.
Presi un piede di porco e, con un colpo molto pesante, gli fracassai il cuore.
Quest'ultimo cessò subito di battere e le ossa della gabbia toracica si frantumarono al tocco.
Il profumo divenne assolutamente irresistibile, con il freddo che avvolgeva il suo corpo.
La voracità si impossesò di me.
Iniziai a spogliarla, a strapparne i vestiti leggeri e osceni.
La ragazzina aveva sui quattordici anni circa, ma portava già minigonna e top scolati.
“Stupida ragazzina” pensai feroce, continuandole a strappare gli indumenti, compreso l'intimo di pizzo.
In un istante fu nuda davanti a me.
Ne ammirai lo splendore: le forme armoniose, la pelle levigata, la snellezza delle gambe e il seno abbondante.
Quel corpo, così nella sua più innocente bellezza, mi mandava in firbillo.
Mi faceva impazzire d'eccitazione.
L'eccitazione della morte, dell'assassinio, dell'oscuro.
Mi avvicinai al corpo ormai gelido, e spostando i capelli ricci e corvini, le morsi forte, con i deboli denti, la spalla e ne succhiai subito il sapore.
Aveva un gusto dolcissimo, stucchevole e paradisiaco.
Ne volli sempre di più.
Mi misi sopra di lei e morsi ancora più forte la base del collo candido e sottile, nella quale ne uscì un fiume di sangue continuo.
Il colore cremisi del liquido sporcava la pelle marmorea, come vernice rossa che dipingeva un telo bianco.
Era uno spettacolo per gli occhi.
Ogni artista ne avrebbe apprezzato la creatività e la bellezza.
Non riuscendo a fermarmi, morsi la pelle delicata del seno.
Ancora di più, pensa soltanto la mia mente.
Ne volevo sempre di più, e di più, di più.
Ero dominata da un istinto ingovernabile.
Nel frattempo i rivoli di sangue non si sparsero a caso, ma iniziarono a seguire uno schema preciso, in linee rette e schematiche, guidate dal potere che caricava l'aria.
Di colpo ebbi un lampo nella mia mente.
Un impeto di lucidità.
Dovevo fermarmi.
Dovevo, se no avrei mandato tutto a monte.
Mi tolsi subito dalla ragazza, che era diventata ancora più pallida dopo il dissanguamento.
Non ci badai, indifferente e guardai le mie mani.
Erano ricoperte di sangue, tinte dal colore vivace.
Mi passai su ogni parte parte di pelle nuda trovavo nel mio corpo, il sangue che avevo, facendomi impazzire di piacere.
Mi alzai e mi diressi verso le altre tre ragazze morte.
Erano ancora vestite, se quelli si potevano giudicare vestiti, e il loro profumo non era ancora del tutto sprigionato.
Iniziai a spogliarle, con gli occhi che bruciavano di desiderio e con le mano che accarezzava la pelle nuda.
Di tanto in tanto le mordevo un pezzo di pelle, non resistendo alla tentazione di quel profumo delizioso, freddo e morto.
Quando finì il lavoretto, bruciando i vestiti che non servivano più, mi preparai per il lavoretto più divertente. Ma dovevo aspettare ancora qualche minuto.
Non potevo continuare, se mancavano due ragazze all'appello.
Quindi iniziai ad attendere e a contare i minuti.
Uno...
due...
tre...
quattro.
Tesi di colpo l'orecchio.
Udì il rombo della macchina che si faceva sempre più vicino, finché non si fermò.
Sentì dei passi frettolosi: sia leggeri che pesanti.
Sorrisi.
Bene bene, le mie bambine erano tornate puntuali.
Socchiusi la porta dello scantinato e misi in scena la mia breve recita.
Iniziai a urlare a squarciagola.
«Aaaah! Aiuto! Aiuto!!» esclamai con tono terrorizzato.
I passi di sopra si fermarono di colpo, poi si diressero velocemente verso di me.
Sentì una voce flebile mormorare:
«Nonna? Nonna!».
Mi misi dietro la porta, con in mano il piede di porco.
I due si cimentarono sulle scale.
Lanciai un forte gemito, per continuare la recita.
“Dai bambine” pensai impaziente, “venite, venite da me”.
L'adrenalina iniziò a scorrere più velocemente.
La porta intanto si aprì, senza schiacciarmi per il corpo sottile che avevo.
La prima che entrò fu Rosa.
Iniziò subito ad urlare quando scorse i corpi delle mie vittime, nude e dissanguate.
Seguita a ruota, entrò Lora per soccorrere la marmocchia impaurita.
Anche lei subito dopo, iniziò ad gridare, con urli agghiaccianti che scuotevano l'animo e congelavano le vene.
Che suono appagante.
Attesi ancora un po'.
Venite un po' più in dentro, allontanatevi dalla porta, pensai eccitata.
E come se mi avessero udito o letto nella mente, iniziarono ad avanzare con passi prudenti verso la scala, osservando davanti a sé.
Che stupide! Non capivano che il pericolo era dietro di loro, e non davanti.
Quando furono abbastanza in dentro, chiusi di colpo e feci scattare la serratura.
Lanciai un ghigno.
Le altre due, non ebbero tempo di sapere che cosa stava succedendo, che io, con il piede di porco, le spinsi e le colpì, facendole cadere giù dalle scale.
Si sentì un suono rotto.
Un cranio fracassato, rimbombò nella stanza. Bene e fuori una, pensai.
Mi avvicinai ai due corpi.
Toccai il polso della bambina e mi beai di piacere, che il piccolo muscolo cardiaco aveva cessato di battere.
Controllai anche la più grande.
Lanciai un ruggito di pura rabbia e frustrazione, quando la sentì ancora viva.
“Calma, almeno potrai divertiti” pensai.
Feci un sospiro.
Si almeno mi sarei divertita di più.

 

 

 

Appena il rito finì mi osservai nei vari specchi, e guardai il mio nuovo viso.
La pelle ringiovanita, le forme tornate prosperose, il viso bellissimo.
Sorrisi e l'immagine nello specchio, imitò l'azione.
Ero tornata alla mia origine, al mio vero aspetto. Alla mia gioventù.
Svoltai lo sguardo verso i corpi squarciati, distesi per terra.
Le viscere, il fegato, lo stomaco erano usciti dall'apertura per niente delicata, che avevo fatto a ognuno di loro, all'altezza del ventre.
Con un coltello di argento, le avevo aperte con uno squarciamento circolare così da far fuoriuscire più sangue. L'avevo fatto con estrema precisione.
Avevo preso il loro cuore, uno a uno, sporchi di peccato e tentamenti, che avevo levato, mangiando la loro consistenza carnosa e succosa.
Il sangue era sceso per tutto il corpo, ricoprendolo tutto.
Quel stesso sangue mi aveva riportato alla vita.
Bhe almeno non erano state uccise inutilmente. Erano servite dopotutto, per una buona ragione. Mi avvicinai ad esse, e presi le pietre, che avevo posto dove prima c'era il loro cuore. Ne presi una a una, e le ripulì dal liquido cremisi.
Avevano fatto il loro lavoro. L'avevano tolto l'essenza vitale. A tutte.
Le strinsi a pugno, e sentì una sensazione calda e piacevole vibrarmi in tutto i corpo, come una scossa.
Sorrisi involontariamente.
Era tutto finito. Finalmente.
Sospirai stanca.
Avevo bisogno di riposo.
Ma prima dovevo dare una ripulita.
Lavai il sangue, prendendone una scorta per il futuro, risistemai gli specchi, e infine accessi un piccolo fuoco, presi i corpi e lì mandai al rogo.
Il corpo più semplice da spostare era stato quella di mia nipote.
Accarezzai di quest'ultima il volto ormai scarno e lo sguardo assente, poi lo buttai nella brace senza tante smancerie.
Poi fu la volta di mia figlia.
Era stato davvero combattiva,pensai, come suo padre d'altronde.
Tranne che lui non mi aveva supplicato di non ucciderlo. Aveva lanciato bestemmie a tutto andare.
E io avevo sorriso con aria tetra.
Dopo l'avevo ucciso. Come si faceva con l'amantide religiosa.
Era stato un vero piacere, sentire le sue carni, così tenere, sotto i miei denti aguzzi.
Era stato una goduria sentire le sue urla, che squarciavano l'aria.
E fu una vera soddisfazione sentirne il suo silenzio e vedere il sangue nelle mie mani.
Ma mia figlia era stato cento volte migliore di suo padre.
Sentire le sue suppliche, le sue urla, e infine il suo silenzio mi avevano fatto una certa tenerezza. Ma nessun pentimento.
Nel mio cuore non albergava la commozione.
Così la diedi al rogo come avevo fatto con tutte le altre.
E mentre le osservavo soddisfatta, bruciare in quella danza di fiamma rosse e arancioni, mi venne in mente il mio nome.
Un nome degno di me, un nome che mi rispecchiava da sempre, e che mi avevano affibbiato per anni.
Un nome maledetto.
Lilith.
Luna nera.

   
 
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