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Autore: Layla    02/12/2013    3 recensioni
"Lui sbuffa.
“Va bene, perché passare la notte in un comodo letto quando possiamo passare la notte all’addiaccio su un’isola stregata?
Io rido.
“Chiamo la babysitter per Jack allora.”
“Chiamala, chiamala.”

{Dal primo capitolo.
Skye/Mark
Genere: Horror, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Mark Hoppus
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno
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Poveglia I (l'importanza dei forse)

L’idea di andare a Venezia, naturalmente è venuta a me.
Le donne hanno sempre idee più brillanti degli uomini, stando alla media, se poi si ha a che fare con un eterno bambino come Mark Hoppus, è abbastanza facile avere idee migliori.
Non che lui sia stupido, è che ogni tanto vive un po’ troppo nel suo mondo fatto di video games, social network e musica e perde contatto con la realtà, quindi l’idea è stata mia.
Mi è venuta guardavo fuori dalla finestra la pioggia cadere per l’ennesimo giorno a Londra, la finestra era solcata da gocce, potevo vedere quello che accadeva nella strada sotto il nostro appartamento e il mio volto: quello di una donna sui quarant’anni con i capelli biondi e delle meches fucsia, che non si era potuta concedere in gioventù.
Signori e signore, ecco Skye Hoppus.
“Mark!”
Lui ha smesso di insegnare come si suona il basso a Jack e ha rivolto la sua attenzione verso di me.
“Cosa ne dici se ci concedessimo un week-end a Venezia?”
Lui mi ha guardato, ha guardato la tetraggine che regnava fuori da casa nostra e ha annuito.
“Penso sia una bellissima idea, organizzi tutto tu, vero?”
“Certo, tesoro.
Almeno vedremo il sole.”
Per due californiani come noi stare in una città così piovosa come Londra è quasi un trauma, i primi tempi eravamo eccitati dalla novità, poi ci è venuta a noia, alla fine ci abbiamo fatto l’abitudine.
Mark riprende a suonare con Jack, in camera nostra sono pronte le sue valigie, domani andrà a New York per registrare il suo programma, Hoppus on music.
Non gli pesa molto viaggiare da un continente all’altro, il pigrone della compagnia è Tom, Jen ha serie difficoltà a smuoverlo da San Diego.
Visto che l’idea è stata accettata mi metto ai fornelli e cerco di cucinare un burrito, Mark apprezza questi tentativi di cucina messicana perché sa che li faccio solo per lui, a me la cucina troppo piccante non piace.
Al nostro  primo appuntamento mi sono quasi soffocata con un piatto troppo piccante di cui non ricordo il nome, Mark mi batteva sulla schiena e tentava di farmi bere e mangiare del pane,: è stato abbastanza comico nella sua surrealità.
“Ragazzi, staccatevi dai bassi e venite a mangiare!”
Loro arrivano sorridenti, hanno lo stesso identico sorriso radioso.
“Stasera la mamma ha fatto messicano, evviva!”
Esclama Jack correndo al suo posto,
Io servo i burrito in tavola e mangiamo in silenzio, quando c’è di mezzo il cibo quei due non parlano molto.
Finito di mangiare Jack si siede a tavola per finire gli ultimi compiti e Mark si fa una lunga doccia, io intanto prenoto hotel e volo per Venezia.
Tra una settimana saremo nella laguna veneta a fare i turisti!
Poco dopo Mark esce dal bagno, mi abbraccia, mi bacia e mi sussurra “Buonanotte” all’orecchio, io gli sorrido e gli lancio un bacio.
Torno in salotto e appoggio una mano sulla spalla di Jack.
“Tesorino mio ritardatario.”
“Sì, mamma?”
“È ora di andare  a letto.”
“Finisco un paio di operazione e lo faccio.”
Mi risponde sbadigliando, io controllo il quaderno e annuisco.

 

Un quarto d’ora sto rimboccando le coperte al mio cucciolo e gli sto dando un bacio della buonanotte sulla fronte. È il nostro rito segreto, ora che è troppo grande per le fiabe.
Dovrei andare a letto anche io, invece accendo il portatile e – mentre aspetto che si avvii – esco in terrazza a fumare una sigaretta.
Ha smesso di piovere, ma nell’aria c’è ancora odore di pioggia e sento il suono lontano di un violino, chissà chi e perché lo starà suonando.
Finita la mia sigaretta, torno dentro e mi siedo al pc con una tazza di the caldo tra le mani.
Ci sono un sacco di leggende su Venezia e voglio farmi un’idea di cosa ci aspetti e se c’è qualcosa che valga la pena di visitare. Il mio occhio cade sul nome “Poveglia.” È un’isoletta della laguna, privata e inaccessibile ai turisti, nel Seicento era un lazzaretto in cui venivano portati i cadaveri degli appestati, appestati e gente che si sospettava covare il morbo. Un bel posticino insomma e come tocco finale è stato un manicomio negli anni ’20 in cui il direttore sperimentava nuovi metodi sui suoi pazienti fino al giorno del suo suicidio. Un suicidio misterioso, si è buttato dalla torre dell’edificio e si dice che una strana nebbiolina lo abbia soffocato.
I veneziano ne hanno paura, dicono sia difficile che ti ci portino. Beh, lo scoprirò settimana prossima, visto che ho intenzione di fare un salto a Poveglia.
Vado a letto, sbadigliando vistosamente.
Domani dovrò alzarmi presto per salutare Mark, portare Jack a scuola e andare al lavoro.
La solita routine.
La mattina dopo Mark si alza alle sei, mi saluta con un bacio, poi sparisce in cucina a fare colazione e in bagno a farsi un’altra doccia. Io poltrisco a letto in attesa che si affacci a prendere le sue valigie, cosa che succede abbastanza rapidamente.
“Buongiorno, amore e buon lavoro.”
“Buon lavoro anche a te.”
Esce dal nostro appartamento, io sbadiglio e mi dico che posso dormire ancora per un’ora prima di svegliare Jack.
Alle sette la sveglia suona implacabile e io mi sveglio con un grugnito, mi faccio la doccia e vado a chiamare mio figlio, dopo qualche tentativo si sveglia.
Facciamo colazione, lui si lava e ci cambiamo, poi saliamo nella mia macchina.
“Papà è a New York?”
“Sì, esattamente.
“Un giorno ci andremo anche noi?”
“Uhm, sì. Magari per Natale, settimana prossima andiamo a Venezia, sei contento?”
“Sììì!”
La cosa migliore con Jack è che è sempre di buon umore e vede il lato positivo delle cose, non ci ha nemmeno tenuto molto ad ambientarsi a scuola.
È un bambino speciale.

 

La settimana dopo siamo sbarcati all’aeroporto di Venezia-Mestre.
È una giornata incerta, il sole fa capolino ogni tanto dalle nuvole e i nostri bagagli sono in ritardo, quando finalmente li abbiamo recuperati, facciamo fatica a trovare un taxi.
Trovato uno ci conduce da dove partono i traghetti, ci aiuta a caricare sulla nave i bagagli e poi ci augura di passare una buona vacanza.
Io spero di non sentirmi male, visto che io e le barche abbiamo un rapporto tragico, una volta Mark mi ha portato a fare un giro in barca e ho vomitato tutto il tempo.
Una volta sul traghetto mi siedo su una delle banchine e ammiro la distesa d’acqua, interrotta ogni tanto da qualche palo e dal passaggio di altre barche e gondole.
Forse questa volta il mal di mare mi ha risparmiato.
Sbarchiamo e ci guardiamo attorno, stando alla cartina il nostro hotel è vicino a piazza San Marco, così trasciniamo diligentemente i nostri trolley e valige in giro per la città, guardandoci in giro meravigliati.
Arriviamo al hotel e depositiamo Mark e la nostra roba in camera, Mark giura che sistemerà tutto, io potrei giurare che invece si metterà a dormire come un sasso.
Decido di portare con me mio figlio solo perché è iperattivo e non dormirebbe mai, io invece voglio andare a cercare qualcuno che ci porti a Poveglia.
“Vengo anche io, vero mamma?”
“No, tu sei piccolo.”
Lui mette il broncio, odia quando gli dico questa frase.
Credo che tutti i bambini odino questa frase, ma purtroppo questa volta ho le mie ragioni per dirgliela, non posso certo portarlo in un’isola popolata da chissà che cosa, non sono nemmeno certa che venga Mark.
Gironzoliamo un po’ e chiedo a gondolieri e pescatori, ma tutti mi dicono categoricamente di no, anche di fronte ai miei dollari.
Sto per mollare quando mi sento chiamare, mi volto e mi trovo davanti a un ragazzo di venticinque anni circa vestito da rapper.
“Sì?”
“Ho sentito che vuole andare a Poveglia.”
“La mia intenzione sarebbe quella, ma nessuno mi ci vuole portare.”
Lui sospira.
“Hanno le loro ragioni, su quell’isola c’è qualcosa. Se vuole la posso portare io, ho una barca.”
“Quanto vuoi?”
Lui alza una mano come a dire che non vuole niente.
“Vorrei una foto con suo marito.”
Io sgrano gli occhi, lui ride.
“L’ho riconosciuta, lei è Skye Hoppus e questo è Jack.”
“Oh, wow! Va bene, penso che Mark non farà storie.”
Lui sorride.
“Va bene, ci vediamo al lido verso le otto.”
“Va bene e grazie ancora.”
“Non mi ringrazi, non le sto facendo un favore.”
Si allontana a passo leggermente strascicato, io esulto, finalmente ce l’ho fatta, qualcuno ci porterà là! Non vedo l’ora di dirlo a Mark!
Io e Jack torniamo in albergo e gli concedo di prendersi un gelato sulla via, almeno ci rimarrà meno male per stasera. Arrivati in hotel chiedo alla ragazza che c’è alla hall se per caso conosce il numero di qualche brava babysitter perché stasera io e Mark dobbiamo uscire e non possiamo portarci dietro Jack.
Lei sorride e mi porge un bigliettino.
“È la mia migliore amica ed è un’ottima babysitter.”
“Grazie mille, la chiamerò subito.”
Prima però ne devo parlare con Mark e sperare che accetti.
Apriamo la porta della nostra camera e troviamo i bagagli più o meno a posto e Mark che dorme sul letto, io mi siedo accanto a lui e lo scuoto leggermente.
Lui si sveglia e mi sorride.
“Quanti negozi hai svaligiato mentre dormivo?”
“Nessuno, però ho prenotato una barca per andare in un’isola stregata stasera.”
Lui si alza di scatto e mi guarda come se fossi pazza.
“Scusa?!”
Gli racconto succintamente la storia di Poveglia, il mio desiderio di vederla e l’incontro con il ragazzo, lui scuote la testa.
“Pensavo ti fosse passata questa fissa per le case o altro stregate.”
“Temo non mi passerà mai.”
“Se io ti dicessi di no, tu ci andresti da sola, giusto?”
“Giusto.”
Lui sbuffa.
“Va bene, perché passare la notte in un comodo letto quando possiamo passare la notte all’addiaccio su un’isola stregata?
Io rido.
“Chiamo la babysitter per Jack allora.”
“Chiamala, chiamala.”
Io compongo il numero che mi ha dato la ragazza alla reception e mi risponde una voce femminile.
“Ciao, sono una delle clienti del hotel Danieli.
La tua amica alla reception mi ha dato il tuo numero, scusa per lo scarso preavviso, ma avrei bisogno di una babysitter per stasera e per stanotte.”
“Va bene, tanto sono libera.”
“Bene, ci vediamo stasera alle sette e mezza. Sono Skye Hoppus, camera 310.”
“Hoppus?!”
La sua voce trasuda una certa incredulità felice.
“Hoppus, se vuoi Mark ti fa un autografo.”
“Sarebbe troppo chiedere anche una foto?”
Mi chiede con una vocina sottile.
“No, penso di no. A stasera allora.”
Mark ride di gusto.
“Mi stai usando come merce di scambio, tra poco venderai anche il mio corpo!”
Io lo fulmino.
“Quello è mio e non si tocca, non è colpa mia se hai tanti fan!”
Lui ride e io mi risollevo: il rumore della sua risata è uno dei migliori al mondo.

 

Il pomeriggio lo passiamo passeggiando.
Mark indossa un paio di occhiali da sole scuri e ogni tanto si ferma per fare delle foto con il cellulare, come i ragazzini e come loro scommetto che presto le caricherà su Instagram o twitter come a sfidare i suoi fan a trovarlo.
Lui sembra tranquillo, in me invece cresce una sottile angoscia. Stamattina ero Skye che forse sarebbe andata a Poveglia per passare una notte da brivido, adesso sono la Skye che andrà a Poveglia e ho la curiosa sensazione che l’isola mi parli. Non sono parole dolci, sono taglienti avvertimenti di stare alla larga.
Io cerco di alzare le spalle e non dare loro retta, mi dico che sono solo suggestioni che derivano dalla sua cattiva fama e dall’atteggiamento che assumono tutti quando si pronuncia il nome.
Insomma, non potrà esserci davvero qualcosa in un mucchio di rovine?
In fondo sarà solo una notte passata all’addiaccio sperando che l’ospedale o la chiesa non ci cadano in testa.
O no?
Forse le storie sono vere, forse è davvero pericoloso andarci e io sto mettendo in pericolo la mia famiglia. È incredibile come una parola piccola come “forse” possa cambiare le cose nella tua testa.
“Skye?”
Il suono della voce di Mark mi fa tornare in me.
“Sì?”
“Hai visto qualcosa che ti piace in quella vetrina? È un po’ che sei lì ferma.”
Io noto solo ora che mi sono fermata in una vetrina di oggetti in vetro, oh merda!
“Ehm, quel set di bicchieri è molto bello!”
Indico un set di bicchieri rossi decorati d’oro, lui annuisce.
“Vuoi che li prendiamo?”
“Ehm, perché no?
Forza entriamo!”
Sì, entriamo e tu torna in te Skye Everly Hoppus.
Entriamo nel negozio e compriamo i bicchieri, Mark però non sembra essersela bevuta perché mi si affianca e mi prende per mano solo per ottenere l’effetto che Jack si allontani di qualche passo schifato.
“Cosa avevi prima?”
“Prima? Assolutamente nulla, stavo guardando una vetrina come fanno milioni di persone.”
“Sì, la stavi guardando così attentamente che quando ti ho chiesto cosa ti piacesse sei caduta dalle nuvole.”
Io sbuffo.
“Mark, erano pensieri miei, niente di grave.”
“Non è che hai paura?”
“Io? NO!”
Lui mi guarda e scuote la testa.
“Se lo dici tu.”
Io non gli rispondo, non so per quale motivo non voglio che lui sappia che una sottile ansia ha preso possesso di me. Non voglio che mi prenda in giro, soprattutto quando arriverò alla parte: “Per me sono gli spettri dell’isola che ci stanno cacciando!”, perché è una frase da pazza.
Nessuno mi crederebbe, o no?
Forse i veneziani, ma non mio marito.
Mi distraggo ancora un attimo e non mi accorgo che un gabbiano gigantesco ha preso il volo davanti a me, me ne accorgo solo quando è a venti centimetri dalla mia faccia.
Urlo, mettendomi le mani davanti al volto e facendo girare tutta la via verso di noi.
“Non sei nervosa, vero?”
“Piantala, Mark!”
Urlo, ancora più nervosa.
Non mi piace la luce che c’è in questo a Venezia, è troppo dorata, sembra di stare dentro a un gigantesco forno e fa apparire strano riflessi sulle case e rende più buie la calli, tanti  orifizi di un corpo gigantesco e non sempre benigno.
“Vuoi andare al ponte dei sospiri o in hotel?”
“Andiamo al ponte dei sospiri e poi in hotel.
La babysitter di Jack arriva alle sette.”
“Devo proprio avere una babysitter? Ormai sono grande.”
“Sì, ne devi avere una. Sei in un paese straniero e non hai ancora quattordici anni, a quattordici anni forse si può iniziare a parlare di lasciarti a casa da solo.”
Rispondo più seccamente di quello che vorrei con il solo risultato di ottenere un broncio da mio figlio.
Io sospiro, che gran casino!
Inizia a farmi male la testa e sento che in un punto imprecisato della laguna qualcosa vuole che io gli stia lontano. Un qualcosa di antico e sofferente, arrabbiato con il mondo e desideroso di vendetta.
Arriviamo al ponte dei sospiri, Mark ferma un turista e gli chiede di farci una foto, noi tre sfoggiamo i nostri migliori sorrisi, ma tutti e tre nascondiamo altri sentimenti sotto.
Io una sottile angoscia, Jack l’irritazione del ragazzino che non si vede riconoscere i suoi diritti e Mark… Non lo so! Questa volta è impenetrabile anche per me.
Arrivati in hotel Jack si lancia sotto la doccia, Mark si butta sul letto – in attesa che il figlio finisca – e io esco sulla nostra terrazza che dà sul mare con una sigaretta.
La distesa d’acqua ha preso riflessi rossastri in questo strano tramonto, che diventa sempre più rosso, un tramonto di sangue direbbero nei libri.
Un cielo rosso e arancio, con una sottile striscia di giallo appena sopra il mare che si incendia e poi si sbiadisce in un qualcosa che ricorda una distesa di sangue.
Il fumo della mia sigaretta sale a spirali, normalissime spirali, quando all’improvviso uno sbuffo si contorce fino a diventare un volto umano urlante.
Io sbatto le palpebre incredula, per un attimo mi sembra di perdere la presa sul mondo, poi torno in me e il mio cervello mi recita petulante che sono sul terrazzo di uno degli hotel più costosi di Venezia, con una sigaretta in mano ad ammirare un tramonto.
Tutto normale.
Così normale da mettere angoscia.
“Skye!!”
“Sì, Mark?”
“Vuoi fare tu la doccia?”
“Sì!”
Spengo la cicca ormai mezza spenta già di suo nel posacenere e torno in camera. Prendo le mie cose ed entro in bagno, una doccia mi farà bene.
Mi faccio una lunga doccia calda, poi mi asciugo i capelli e mi vesto: una camicetta azzurra e un paio di jeans stretti e  strappati, secondo la moda corrente.
Mark è l’ultimo a farsi la doccia, indossa una delle sue solite magliette della HiMyNameIsMark, un paio di jeans neri, una camicia e delle scarpe da tennis, io mi metto degli anfibi nero e prendo una giacca di velluto nero.
Durante la cena nessuno parla molto, Jack ci sta tenendo il muso – soprattutto a me – e Mark è immerso nei suoi pensieri.
Finita la cena ci sediamo tutti e tre nella hall in attesa della babysitter, che arriva puntuale alle sette e mezza. È una ragazza dai capelli castani che indossa un lungo maglione nero, dei leggins a righe e un paio di anfibi rosso scuro.
“Piacere, sono Marta e mi prenderò cura di Jack.”
Ci dice sorridente e un po’imbarazzata.
Io le sorriso, Mark le stringe la mano facendola arrossire ancora di più.
“Po-potrei avere un autografo e una foto?”
Gli chiede imbambolata, mio marito annuisce sorridendo e firma un foglio di quaderno che gli porge Marta e poi io scatto una foto con il cellulare della ragazza di loro due sorridenti, lei oserei dire che è al settimo cielo.
“Adesso dobbiamo andare, ti lasciamo Jack in custodia.”
Lei sorride.
“Sono sicura che andremo d’accordo.”
“Ciao, Jack!”
“Ciao mamma, ciao papà!”
Risponde imbronciato lui, guardando con un filo di malcelata invidia i nostri zaini.
Ora che Jack è in buone mani possiamo affrontare l’ignoto e che Dio ci assista.

 Angolo di Layla.

Uhm, volevo scrivere da un po' qualcosa di Poveglia ed eventualmente su altre storie horror. Vedrò se farne altre,  intanto godetevi questa.

 

   
 
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