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Autore: VaLe162    06/05/2008    0 recensioni

La cosa che ricordai maggiormente di quegli ultimi angoscianti minuti, era che il suo sguardo per un attimo era tornato ad essere quello che conoscevo. Caldo. Rassicurante. Gentile. Dolce. Era quello che avevo atteso per tanto tempo. Niente mi avrebbe più spaventata. Sapevo che lui era lì con me. Anche se per un solo, unico, istante, era tornato il mio angelo.
Avevo il suo volto così vicino che tutto il mondo sembrava non esistere. Come se non vedessi nient’altro che lui. Come se fuori da quelle quattro mura non ci fossero veramente i miei assassini, ad attendermi...
Genere: Malinconico, Drammatico, Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa è la mia prima storia, o meglio la prima che ho mai pubblicato sulla rete. E' pure quella a cui sono più legata. Dall'inizio non si capirà granchè, anzi, i primi capitoli sono abbastanza corti. Beh, vi auguro buona lettura....^^


"Avete mai fatto un sogno che sembrava così reale, che quando vi siete svegliati non sapevate cosa credere?
Cosa fareste se ciò che pensate sia realtà...non lo fosse?
E ciò che pensate non sia realtà...lo fosse?
Rinuncereste ai vostri sogni nella speranza di avere una realtà più perfetta?
A volte la vita è più strana di un sogno.
E l'unico modo di svegliarsi è affrontare le bugie che si nascondono nella tua anima.
E puoi solo sperare che in questi momenti oscuri di riflessione...tu non sia solo."


Ancora?! No, non poteva essere! Sentii la mia voce che voleva sfogare un urlo ma non ci riuscii, tanto era secca la gola e tanto il respiro era accelerato.
Mi alzai di scatto a sedere sul letto, madida di sudore. Gli occhi sbarrati vedevano solo buio. Nel silenzio della notte sentivo chiaramente il mio cuore battere a ritmo incessante, come dopo una lunga corsa. Allungai il braccio fino a raggiungere la sveglia sul comodino, premetti un pulsante e una luce azzurrina illuminò lo schermo...le 4.20 del mattino.
Presi un altro respiro profondo e mi lasciai cadere di nuovo sul materasso, i capelli sparsi sul cuscino, in attesa che il battito del cuore tornasse regolare. Spostai il ciuffo che ormai si era incollato alla fronte.
Non poteva essere,non di nuovo! Era la terza notte di seguito che facevo quello stesso sogno. Anche se più che sogno lo potevo definire incubo...esatto, incubo... Sognare per tre notti di fila decine di vittime di un incidente stradale tra un autobus ed un treno era già scioccante. Se poi tra quelle c’era pure mio fratello, beh, immaginabile come mi sentissi.
Di solito non davo mai grande importanza ai sogni che facevo (data l’assoluta mancanza di un senso logico nei miei pensieri notturni), ma a causa di quell’ultimo ripetitivo sogno stavo di colpo cambiando il mio pensiero. Era un sogno così reale, come se fossi anch’io li in quel preciso istante e vedessi tutta la scena con i miei occhi.
A volte il confine tra sogno e realtà è così invisibile. Il filo che lega quei due mondi sembra quasi spezzarsi di fronte ad avvenimenti più grandi di noi. E così i sogni diventano di colpo realtà; quasi sempre però, sono i sogni peggiori che si realizzano. Quelli che tu vorresti cancellare per sempre dalla tua memoria e non invece vederti recapitare nella tua vita come un pacco lasciato dal postino davanti la porta. E quella porta sei obbligato ad aprirla, sempre, anche se vorresti chiuderla a chiave e sbarrarla per sempre. Ma poi cosa diventa quella porta se non un ostacolo del vivere la vita? L’ennesimo ostacolo che ti costringe a scegliere: lo affronti o ti barrichi in casa sperando passi da sé?
Mi girai su un fianco, tirando su le coperte fino a nascondere il viso. Improvvisamente il buio, la notte, atmosfere che adoravo, mi facevano una paura immensa, troppa.
Amavo tutti quei racconti di terrore e soprannaturale, vampiri, licantropi, fantasmi, folletti, fate, angeli...hanno sempre alimentato la mia fantasia e sconfitto la mia paura. La mia migliore amica mi diceva sempre che non ero normale, che forse non provavo le emozioni di un vero umano dato che non mi spaventavo mai per nulla. Ma purtroppo le emozioni umane le provavo anch’io e troppo, ma avevo imparato a non esternarle, a tenere ogni cosa per me, a nascondere tutto. E per questo, il buio lo cercavo, spesso.
Alla luce del sole, poi, si vedevano troppe cose. Troppe realtà che una sognatrice pessimista come me non può sopportare.
Cercai di placare i miei pensieri sregolati e di svuotare la mente, metodo che usavo spesso per addormentarmi. Dopo nemmeno 2 ore la sveglia avrebbe suonato, sprezzante e incurante della mia notte da incubo. Un’altra giornata in università mi aspettava ed io non ero per nulla in me stessa in quel momento.
Dopo qualche minuto riuscii finalmente a riprendere sonno.......per sentire poco dopo quel trillo odioso; tirai fuori il braccio dalle coperte e tastai il vuoto fino a trovare la sveglia e farla cadere “accidentalmente” fino all’altra parete.
“C***o...” mormorai tra me e me. Era già la terza sveglia che distruggevo in meno di due settimane. Stavolta i miei non avrebbero più creduto all’incidente casuale.
Lentamente portai fuori la testa da sotto il cuscino ed aprii gli occhi. La stanza era ancora completamente buia. L’alba doveva ancora entrare dalle fessure della persiana. Ero abituata a questo ormai, la sveglia alle 5.30 per 3 giorni alla settimana stava diventando una consuetudine.
Tremando per il freddo mi alzai e raggiunsi il bagno, accesi la luce e aspettai che i miei occhi si abituassero all’improvviso cambio. Un viso pallido e segnato da due leggere occhiaie mi guardava dallo specchio; gli occhi azzurri ancora appannati dal sonno, i lunghi capelli castano scuro erano tutti arruffati, ricordo della notte agitata.
Dopo tre quarti d’ora avevo lentamente ripercorso tutte le azioni che compivo ogni giorno. Avevo appena finito di passare la matita nera sugli occhi quando vidi sbucare la faccia assonnata di mio papà dalla camera da letto dei miei genitori.
“Sei pronta?”
“Oh si...cinque minuti e parto” gli risposi distratta, mentre completavo l’ultimo tocco di matita.
“Sei sicura che non vuoi che ti prepari un caffè?”
“Papà, non ho mai fatto colazione per 20 anni...di sicuro non comincio stamattina” come al solito, la mattina ero facilmente irritabile e non spiccicavo mai parola prima di uscire di casa. Ormai più nessuno si prendeva la briga di parlarmi la mattina sapendo che non avrei risposto. O meglio, quasi tutti dato che mio papà continuava imperterrito.
“Ok...buona giornata!” disse prima di sparire nel buio della sua camera e ritornare a letto.
Ecco cosa mi dovevo sorbire ogni volta che la sveglia suonava così presto: vedere gli altri ancora pacifici a letto mentre io esco nel freddo del mattino.
  
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