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Autore: Lucy_lionheart    03/12/2013    1 recensioni
Il silenzio calò sul Colosseo.
Non ci fu nessuna ovazione: il terrore si era conficcato nella gola degli spettatori esattamente come aveva fatto la spada ricurva del Gladiatore. Il corpo del mirmillone divenne molle e cadde dal lato destro. Da sotto di esso emerse il giovane trace, che, senza emettere suono alcuno e non badando alla maschera del dio Mercurio che arrivava inutilmente a controllare se lo schiavo fosse davvero morto, si tirò su in piedi.

Gladiators!AU. Liberi, se volete, di vederci o meno dell'eruri...?
Genere: Storico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Irvin, Smith
Note: AU | Avvertimenti: Violenza
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gladios

G l a d i o s  /  g l o r i a .

 

 

Il rosso colò, tinse di scarlatto il dorato, spezzò la fierezza di una criniera tanto brillante da parere un sole. Nascosta sotto questa, là dove i rivoli color porpora iniziavano, c’era l’argento di una lama che emergeva, mostrandosi nelle sue doti mortali, solo un poco dopo il finire l’elsa: il resto affondava in una ferita sulla giugulare.
In un gesto secco, l’arma venne estratta dalla sua guaina di carme calda, lasciando una scia di schizzi, come un pennello sfuggito di mano ad un’artista.
Gli occhi d’ossidiana del leone si fecero empi e il corpo, ormai cadavere, rovinò a terra, incapace di emettere un lamento, tanto il dolore che l’aveva spezzato era stato improvviso e straziante. La polvere si alzò tutt’attorno alla fiera, impestando ancor più l’aria che stavano respirando. Il tonfo che il corpo morto emise echeggiò sulle mura circolari dell’arena; salì, salì, fino a trovare migliaia di stomaci nella quale rimbombò, scatenando un boato di urla festanti e battere di mani.

Quegli imbecilli gioivano dell’ennesima morte inutile.
Tutti lo applaudivano e lo facevano perché nessuno tra di loro avrebbe pensato di osservare una simile scena, non per mano di quel ragazzino: troppo minuto rispetto agli altri guerrieri, pareva sceso nell’arena solo per soddisfare la pancia dei leoni per la quale non c’era stato abbastanza cibo.  Ma mentre i compagni più allenati soccombevano uno dopo l’altro,  urlando “Pietà, pietà!” e coprendosi il volto con le braccia in un misero tentativo di non farsi subito strappare la faccia dalle belve, lui era sopravvissuto, affrontando e sconfiggendo qualunque cosa provasse ad attaccarlo.  Anche i suoi movimenti erano diversi: non erano colpi ciechi e carichi di forza bruta, ma mosse precise e letali; alcune erano state così veloci da sfuggire agli occhi degli spettatori, che si erano ritrovati a sgranarli  nel vedere inspiegabilmente cadere i nemici davanti al novizio.  Era successo così anche con l’ultimo leone: il ragazzo aveva perso l’arma e ciò aveva fatto sì che il pubblico ne decretasse la prossima morte. Ma egli, fulmineo, aveva rubato dal cadavere di un suo compagno il gladio e con esso aveva tagliato il collo della bestia. Ed allora altri applausi entusiasti  avevano riempito il Colosseo, ebbro dell’emozione di uno spettacolo mai così vivo.
L’acclamato gladiatore, però, non alzava il pugno verso la folla adorante, né urlava, orgoglioso della sua vittoria. Lo sguardo era ghiaccio, sia nel colore, sia nell’immobilità. Stava fisso sul cadavere del leone: tutta la fierezza che aveva mentre gli girava attorno, cercando il momento giusto per assaltarlo, era sparita sotto la polvere dell’arena. Ancora il sangue non aveva smesso di sgorgare dal collo e le mosche erano già accorse a ronzare e posarsi sulla ferita, immergendo le piccole zampe in quella pozza. Il Gladiatore scorse tra le fauci schiuse dei brandelli di carne, che non ci mise nulla ad identificare con i resti delle dita del gladiatore che aveva attaccato prima di lui, alla quale aveva mozzato la mano che stringeva il gladio con un solo morso.
Quello spettacolo era mille volte più penoso di ciò a cui assisteva ogni giorno nelle vie più sporche e povere di Roma. Anche lì la puzza di morte era appestante e onnipresente, ma nessuno ne gioiva. Invece quegli uomini andavano, tronfi d’orgoglio, a uccidere per fare spettacolo.
“Noi abbiamo un onore”, gli aveva detto uno di quelli prima di entrare nell’arena.
Onore? Ma quale onore? Quello di essere applaudito da una folla che spera ogni volta che il tuo sfuggire dalla morte sia sempre più difficile? Che ride mentre esali?  Dov’era l’onore, in tutto quello? Dove!? C’era onore nella mano maciullata che stava nella bocca morta del leone?
No, là c’era solo la desolazione e la crudeltà di un gioco che chi osservava dall’alto non poteva capire.
Gli occhi ceruli lasciarono la bestia al suo rigor mortis e si spostarono sull’unica cosa respirante, fatta eccezione per se stesso, che era rimasta.
Ad una decina di metri da lui stava il gladiatore per eccellenza, il mirmillone. Che strana coincidenza. In occasione dei giochi di quel giorno, volti a festeggiare la nascita dell’imperatore, si era deciso di dare una svolta eccezionale alle modalità di combattimento: non si sarebbero più affrontate coppie di gladiatori in più turni, ma una decina di guerrieri di più tipi sarebbero stati lasciati a loro stessi in una lotta feroce e all’ultimo sangue. Quel giorno non importava se un gladiatore moriva, perché nessuno avrebbe dovuto pagare per ciò! L’aldilà era loro vicino come mai.  

Nonostante tutte queste aggiunte, a rimanere in piedi era rimasta la coppia di avversari più apprezzata dal pubblico, composta da un feroce e robusto mirmillone e un agile e scattante trace. L’avvenimento aveva difatti rallegrato ancor più le folle, che  li osservavano con rinnovato interesse. Anche il Gladiatore osservava il suo imponente avversario, che, sotto l’elmo splendente, nascondeva uno sguardo insicuro.  Aveva paura, il Gladiatore lo poteva leggere nei suoi occhi, nel corpo piantato a terra che non accennava un solo movimento. Non lo conosceva, ma seppe al primo sguardo l’enorme differenza che li separava: il mirmillone era probabilmente uno schiavo proveniente da chissà quale terra, col corpo rafforzato da un lavoro straziante alla quale era voluto sfuggire nella speranza di ricevere una vita migliore. Era lì per sua scelta.  Scelta che, evidentemente, aveva mal calcolato, non prevedendo di ritrovarsi a lottare infine con un avversario che solo in apparenza era a lui inferiore, un nemico più capace di un reziario con le armi e più veloce di qualunque trace avesse eliminato quel giorno.
Il Gladiatore davanti a tutto quel timore che già confessava una sconfitta avrebbe voluto dirgli di andarsene, farla finita in quel modo. Ma non poté per due motivi: non erano per strada, lì le regole le facevano le tribune, assetate di sangue. E poi lui era nell’arena non per scelta, ma per necessità.
Rimase solo una soluzione, che comunicò nuovamente al suo avversario con uno sguardo deciso e una presa più salda sulla spada ricurva. Volevano l’onore? Allora non avrebbe dato a quell’uomo l’illusione dell’effimero onore di una morte nell’arena e non da schiavo, ma quello vero, ottenuto affrontando un combattimento a testa alta.

I due si girarono intorno, andando a definire i contorni di un cerchio che si faceva sempre più stretto; poi, facendo leva sul piede destro, il Gladiatore scattò in avanti, mirando alla gamba sinistra del mirmillone e trapassandola con la lama. Il robusto schiavo urlò di dolore, ma non cadde a terra: improvvisamente la sua mano si chiuse sul collo esile del Gladiatore, che in un attimo si trovò sbattere con violenza la testa sul terreno duro. Il  peso del mirmillone gravò su di lui, bloccandolo, e più pugni colpirono lo stomaco, riuscendo a spaccare la protezione alla spalla destra.

Un’azione efficace, ma poco cauta.

Il colpi dello schiavo erano lanciati rozzamente, con i pugni che tremavano dalla paura e dall’euforia di una speranza; se fosse stato un altro gladiatore più esperto a tenerlo in quella posizione, avrebbe già usato il gladio per trafiggerlo.

Ma la frenesia che aveva preso possesso del mirmillone era tale che l’uomo non faceva altro che colpirlo e gridare, gridò e colpì, gridò e con lui gridò il pubblico e allora colpì ancora,  ancora, ancora, chiuse gli occhi, gridò, colpì, colpì, colpì!

Si fermò.
Il pugno rimase fermo in alto. Gli occhi, improvvisamente pieni di luci e macchie si aprirono e fissarono il Gladiatore: l’armatura era ormai quasi del tutto spaccata e il petto e lo zigomo destro lividi. Sul primo si schiantavano grosse gocce di sangue nero.

Ma il braccio? Dov’era il suo braccio? E dove il suo pugnale?
Di colpo il mirmillone realizzò: il sangue che vedeva non era del Gladiatore. Esso scorreva dalle sue spalle, dalla sua nuca.

La bocca rimase ferma su una sillaba che non seppe pronunciare e gli occhi guardarono il Gladiatore. Poi, di colpo, essi videro il vuoto.

Il silenzio calò sul Colosseo.
Non ci fu nessuna ovazione: il terrore si era conficcato nella gola degli spettatori esattamente come aveva fatto la spada ricurva del Gladiatore. Il corpo del mirmillone divenne molle e cadde dal lato destro. Da sotto di esso emerse il giovane trace, che, senza emettere suono alcuno e non badando alla maschera del dio Mercurio che arrivava inutilmente a controllare se lo schiavo fosse davvero morto, si tirò su in piedi.

Sputò il sangue che gli aveva riempito la bocca ai suoi piedi e poi, finalmente, gli occhi di ghiaccio si sollevarono verso le tribune e le labbra spaccate diedero voce ad una sola frase:

  « Adesso siete soddisfatti!? »

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

“ Potevo aspettarmi tutto, tranne un finale simile”, sussurrò la moglie di un patrizio al marito, che si limitò ad annuire, incapace di staccare gli occhi dall’arena. Il silenzio della folla si era rotto in un bisbigliare sbigottito, impaurito, incredulo.

Solo  una tribuna era rimasta quiete: ad occuparla erano due soldati e un uomo dimostrante venticinque anni. Esso era imponente quanto il mirmillone appena caduto, ma la sua pelle era bianca e le vesti di lino. Sui capelli d’oro ricadeva una corona di foglie d’alloro che cingeva tutto il capo con perfetta precisione, conferendo autorità ad un fiso dai tratti scolpiti ed occhi chiari come il cielo.
Di tutti gli spettatori, l’Imperatore era stato il più attento e silenzioso.
« Hai saputo chi sia quel ragazzino? »
Chiese, con voce ferma, al soldato alla sua sinistra. Questo annuì con vigore, schiarendosi la voce prima di iniziare a parlare.
« E’ un criminale. Più di una settimana fa lui e il suo gruppo sono stati arrestati. Quando ha saputo degli imminenti giochi per i festeggiamenti della sua nascita, si è offerto come gladiatore, ma..» la voce si spense un attimo « … Invece che la grazia per lui, l’ha chiesta per i suoi due compagni. Così, finita questa battaglia, tornerà in cella. Una cosa simile non si è mai sentita.
Si è condannato a essere, come l’ha definito il capo delle nostre guardie, “uno schiavo del gladio”. »

L’imperatore, seppur non dandolo a dimostrare, fu colpito da quella definizione. I criminali che scendevano nell’arena lo facevano per sfuggire alla prigione, ma il ragazzo che quel giorno aveva spezzato il fiato di tutti ci sarebbe tornato subito dopo la vittoria e così per anni, fino alla morte. E questo per togliere da quel luogo i suoi due compagni.
Gli occhi azzurri tornarono di nuovo su quella figura e l’Imperatore scoprì che anche il Gladiatore lo stava fissando. Lo sguardo quel guerriero bruciava quanto le parole che poco prima avevano tolto il fiato all’intero Colosseo; non vi era segno di rimorso o timore: sotto la pupilla si agitava come un mare tumultuoso la pura essenza della forza di volontà.
Era con quella che aveva sconfitto chiunque in quell’arena, che aveva resistito ai pugni per sferrare un solo preciso colpo. Ed era sempre con quella che adesso lui, criminale, guardava sprezzante l’Imperatore.
Bastò quello.
L’uomo più importante di tutta Roma si alzò e si eresse su tutto l’Anfiteatro, attirando l’attenzione di ogni presente, ma volgendo lo sguardo e l’indice solo e unicamente sul Gladiatore.

« Ebbene, gladiatore, hai vinto. Ma ciò che ti voglio dire è altro. Io desidero farti una proposta.
Dimmi: vuoi tu continuare ad avere la fallace gloria dei giochi, oppure conoscere la vera gloria delle truppe dell’Impero? »

Chiunque al sentire tali parole sgranò gli occhi: non era mai accaduto che l’imperatore si rivolgesse ad un gladiatore, un criminale, oltretutto, una simile proposta. Lui, però, rimase impassibile al vociare dei senatori. Le uniche parole che voleva sentire erano quelle del guerriero.
Il Gladiatore lo guardò forse per un secondo aria stupita.

Poi, per la seconda volta, scelse senza avere rimpianto alcuno.

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scritta per premiare una certa signorina che oggi  ha pulito camera sua uvu
Boh, so che ci sono delle incorrettezze storiche, ne sono consapevolissima perché mi sono informata prima di scrivere tutto (TvT)
Boh, io c'ho provato, sono due personaggi con cui non ho mai scritto nulla, anche se Levi mi ricorda un personaggione che conosco--!
 La storia è ispirata a una belliffima -?- fanart!

Un paio di note:

- "La maschera del dio Mercurio": si riferisce ad un'officiante, una specie di arbitro, che controllava se il gladiatore fosse vivo o no
-Tutti i nomi "strani" che appaiono sono le varie categorie di gladiatori;
-In tutta la fanfic non ho mai chiamato Levi/Rivaille e Irwin/Erwin per nome perché beh, di certo non erano nomi da ROma antica e italianizzarli non mi piaceva x°


Spero venga apprezzata, fatemi sapere---! 


__ Valkyrie


   
 
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