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Autore: Patta97    03/12/2013    4 recensioni
- Io... mi sto per sposare - affermò Sherlock.
John guardò il proprio capo come se questi fosse impazzito. - Con… Con chi? – chiese, confuso.
- Con te, ovviamente.

Sherlock Holmes è un irlandese a capo della Consulting Company, mentre John Watson è il suo assistente, aspirante consulente. Il permesso di soggiorno di Sherlock scade e si ritrova costretto a ricattare John per sposarlo.
Note: ispirato al film "The proposal" con Sandra Bullock e Ryan Reynolds
Genere: Comico, Generale, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Hola!
Sì, è l'ultimo capitolo. Avrei voluto farne altri due, sinceramente, ma cause di forza maggiore - ovvero consolare moralmente la mia anima/sorella gemella Lauur -, ecco qui, tutto in una volta. Davvero non mi aspettavo tutto questo successo e - che dire? - grazie, grazie davvero. Vi amo e vi mando tanti biscotti al cioccolato.
Chiara

P.S. See ya the 1.1.14, 'cause #SherlockLives!







3. The proposal (the true one)


Non appena Sherlock si svegliò il mattino seguente e lanciò un’occhiata alla sveglia sul comodino poco lontano, si scoprì sorpreso di se stesso. Aveva dormito per più di sei ore consecutive e non accadeva più o meno da… quanti anni aveva quando aveva finito la scuola materna?
Si alzò cautamente dalla poltrona dove aveva trascorso la notte, cercando di sgranchire le articolazione delle lunghe gambe camminando avanti e indietro per la stanza.
Si fermò accanto al letto, osservando John, il quale - neanche a dirlo - dormiva ancora beatamente, supino e a braccia e gambe divaricate, occupando con la sua corporatura minuta tutto lo spazio disponibile del letto a due piazze.
Al consulente investigativo sfuggì un sorriso e si chiese stupidamente come sarebbe stato sporgere una mano verso il viso del proprio assistente ed accarezzargli piano una guancia o i capelli o…
Bussarono alla porta e Sherlock si portò immediatamente le mani dietro la schiena, al sicuro da sciocchezze del genere.
- Sì? – chiese a voce alta, dopo essersi schiarito la gola.
John mugugnò assonnato e mosse una gamba sotto le coperte.
 
- Servizio in camera per i dormiglioni!
 
Sherlock alzò gli occhi al cielo e scosse senza tante cerimonie le spalle di John per svegliarlo del tutto.
- C’è tua sorella qui fuori con la colazione, datti una mossa! – sibilò.
 
Il biondo si stropicciò gli occhi ed urlò un “solo un minuto!” con la voce ancora impastata dal sonno.
- Sdraiati – disse poi, rivolto al consulente.
 
- Che?!
 
- Sdraiati. Accanto a me. Adesso.
 
- Sei impazzito?
 
- Sherlock…
 
- State attenti che entro! Non sarebbe il primo uomo che vedo nudo, nonostante…
 
- Harriet! – disse un’altra voce con un velo di disapprovazione.
 
- Ottimo, c’è anche mio padre! Sdraiati e fai un sorriso convincente, dannazione!
 
Sherlock sbuffò e nascose il rossore delle proprie guance fra le braccia spalancate di John, tirandosi addosso le coperte alla bell’e meglio.
Harriet evidentemente raggiunse il limite della propria pazienza ed entrò nella stanza con un vassoio pieno di cibo e due tazze di tè, che poggiò sulla scrivania accanto al letto.
- Buongiorno!
 
Il signor Watson la seguì poco dopo con un’aria funerea, cercando di non focalizzare la propria attenzione su suo figlio che abbracciava un uomo.
 
- Ehi, state per caso organizzando una riunione di famiglia qui dentro?
 
- No, figliolo. Io e tua sorella ci chiedevamo se…
 
- Se vi andasse di sposarvi domani, qui con noi! – terminò Harry al posto suo, entusiasta, improvvisando un saltello sul posto.
 
Sherlock pensò velocemente.
- Oh, non potremmo mai rubare la scena a nonna Hudson!
 
John colse la palla al balzo. – Già, in fondo domani è il suo compleanno e…
 
La suddetta nonna fece capolino dalla porta con un’espressione triste.
- Johnny caro, ho festeggiato già settantanove compleanni! Mi farebbe così piacere se voi due vi sposaste qui. Insomma, probabilmente sarà l’unico matrimonio dei miei due nipoti…
 
- Ehi! – sbottò Harry, offesa.
 
- …E chissà per quanto altro tempo vivrò – aggiunse con un’aria addolorata, ignorando il commento della nipote.
 
- Oh… ehm… - temporeggiò Sherlock, sconcertato.
 
- Sicuro, nonna. Affare fatto! – acconsentì John, intenerito.
 
La bocca rugosa della donna si piegò dall’ingiù all’insù in meno di un secondo e il consulente si chiese se fosse sceso così in basso, a farsi mettere sotto dalla volontà di una vecchietta.
- Ma è meraviglioso!
 
- Pensavamo che la stalla sarebbe perfetta! È dove si sono sposati mamma e papà!
 
- È come una tradizione di famiglia!
 
John diede una gomitata a Sherlock da sotto le coperte.
 
- Io ho… sempre sognato di sposarmi in una stalla – si decise a dire il detective.
 
- Ma allora è proprio un segno del destino! – esclamò nonna Hudson, alzando le braccia al cielo. – Dobbiamo decisamente rendere grazie ai fuochi fatui della brughiera… - aggiunse borbottando eccitata, uscendo dalla stanza con passo talmente baldanzoso che Sherlock temette davvero per quelle povere e gracili ossa.
 
- Oh, ragazzi, è tutto perfetto! Ho sempre voluto organizzare il tuo matrimonio, Johnny! Fin da quando eravamo piccoli, ricordi? E poi…
 
- Harriet – il signor Watson, rimasto per tutto il tempo della conversazione ai piedi del letto con debole sorriso, interruppe il fiume di parole della figlia. – Direi che è meglio se andiamo.
 
- Oh, giusto. Sono così felice! – aggiunse, mentre il padre la scortava fuori dalla stanza con le mani sulle sue spalle.
 
Non appena la porta fu chiusa, John crollò sui cuscini con un enorme sospiro.
 
- John…?
 
- È tutto sbagliato.
 
- Cosa?
 
- Tutto! – esclamò John, scostando le braccia - ancora attorno al torso di Sherlock - e portandosele in grembo con aria sconvolta. – Non appena scoprirà la falsità di questo matrimonio, mia sorella si darà di nuovo all’alcol e mia nonna morirà… d’infarto! E mio padre?! È sempre stato in disaccordo con tutta questa storia ed adesso se ne stava lì, tutto sorridente come se…! Tutto, tutto sbagliato – si coprì il volto con le mani, sospirando di nuovo.
 
- Ragionerò su tuo padre in seguito – tentò di rassicurarlo Sherlock, poggiando con una strana angolazione la propria mano sulla spalla di John, muovendo piano le dita in un approccio di massaggio. – Ora, cerca di pensare razionalmente. È quello che vuoi fare nella vita, in fondo: usare la logica. Non lo scopriranno mai. Ed anche se fosse, non appena torneremo a Londra divorzieremo. Felicemente divorziati per la vita.
 
- Hai ragione.
 
- Lo so – rispose il consulente, sornione.
Poi lo sguardo di entrambi cadde sulla mano di Sherlock e sulle carezze che le sue dita continuavano a donare premurose alla spalla di John. Il detective spostò la mano come se si fosse scottato e distolse lo sguardo.
- Comunque…
 
- Dimmi.
 
- Cosa è quel… coso?
 
- Quel coso cos… oh – John incrociò le gambe sotto le coperte, imbarazzato. – Beh, lui sta… così. La mattina. È… normale, credo.
 
- Io… a me non… capita mai.
 
- Non costringermi a rispondere, Sherlock Sociopatico-allergico-al-sesso Holmes.
 
Il consulente mascherò con un sbuffò il proprio sorriso, prima di alzarsi dal letto con uno scatto.
- Vado fuori.
 
- Non c’è possibilità che tu mangi quell’ottima colazione fatta in casa, vero?
 
- Deduci in fretta – sorrise Sherlock uscendo dalla stanza.
 
Rimasto solo, John sfiorò appena il punto dove le dita di Sherlock avevano ancora lasciato del tepore, prima di alzarsi e mangiare un po’.
 
*
 
Camminando fra gli alberi coperti di muschio del bosco accanto alla casa, Sherlock pensava ad alta voce.
Non sarebbe stato strano per lui, di solito. Ma di solito aveva con sé il suo teschio - disgraziatamente lasciato a casa - oppure John - e davvero non era il caso che il suo assistente ascoltasse le sue parole, in quel frangente.
- Devo solo pensare razionalmente. L’ho detto poco fa a lui, no? Perfetto, non ho più nemmeno la forza di pronunciare il nome di quel… Ti si ingarbugliano i pensieri, Sherlock. Finirai per avere tutti i sintomi delle… pulsioni sentimentali. È solo un collega. È solo una questione di affari. Non lo stai sposando davvero. È solo… - si fermò e si scompigliò i riccioli, frustrato.
Una musica di sottofondo gli fece alzare la testa di scatto.
Sconcertato, riprese a camminare seguendo il flebile suono, man mano più forte: sembrava una specie di musica tribale, con cornamuse e flauti e tamburi.
Finché non giunse ad una piccola radura, delimitata da massi alti quasi due metri messi in cerchio e un fuoco al centro. Una radiolina - da cui proveniva la musica - stava accanto a una delle pietre.
Accanto alle fiamme, dandogli le spalle, stava una figura incappucciata da un mantello bianco con in mano un lungo bastone nodoso.
 
- Vieni qui, Sherlock da Londra!
 
Il consulente sospirò: era nonna Hudson.
- Non mi sembra il caso.
 
La donna si girò fulminea, agitando il bastone per aria.
- Ma dobbiamo rendere grazie a Madre Terra! È stata lei a fare tutto quello che ci sta intorno e a far sì che tu e John foste uniti per la vita!
 
- Oh, beh…
 
- Vieni, balla con me! Rendiamole omaggio! Farà sì che il ventre che prenderete in affitto sia fertile e fecondo!
 
- Ventre in affit… oh. Non mi sembra il caso – ripeté Sherlock.
 
- Insisto! – urlò la nonna, agitando con più forza il bastone, facendo danzare i lembi del mantello.
 
Il consulente la raggiunse senza ulteriori cerimonie, fermandosi dall’altra parte del fuoco.
 
- Mi dispiace che io non abbia portato un altro vestito tradizionale da druido… quello blu si sarebbe intonato ai tuoi occhi.
 
- …Fa niente. Che devo fare?
 
- Segui le mie mosse! – spiegò la nonna, iniziando a muovere in modo strano le braccia al cielo.
 
Sherlock davvero non voleva dispiacere la nonna di John - colpa delle pulsioni? ci avrebbe pensato dopo - così prese ad imitare goffamente le mosse dell’altra, girando attorno al fuoco.
 
- Devi anche cantare!
 
- Cantare cosa?
 
- Qualsiasi cosa che ti venga in mente per cui ringraziare Madre Terra! Canta all’universo!
 
- All’universo, okay. Allora… Per la scienza! Per la scienza… Per i cadaveri, i cadaveri! Per i… cappotti con i baveri…
 
- Più forte!
 
- Sì! – urlò Sherlock, prendendo a danzare con più foga, muovendo i propri lunghi arti senza coordinazione. – Per la scienza, per la scienza! Per i cadaveri, i cadaveri! Per i cappotti con i baveri! Grazie, Mendeleev, per la tavola periodica! A morte gli Yarder! Per la scienza! Per la scienza! Forza, nonna Hudson! Il gioco è appena iniziato! Per la scien…
 
- Che stai facendo?
 
Il consulente drizzò la schiena, raggelato sul posto nel sentire la voce di John.
- Tua nonna. Mi ha chiesto di… cantare una canzone dal cuore.
 
- “Cadaveri” ti viene dal cuore?
 
- Era per il ritmo – disse Sherlock, sistemandosi la sciarpa dentro il cappotto. – Perché sei qui?
 
- È arrivato il telefono nuovo con la stessa sim, pensavo che magari…
 
- Sì, certo, arrivo! Staranno tutti brancolando nel buio come una mandria di idioti senza di me… Nonna Hudson?
 
- Dimmi, caro.
 
- Il canto era finito?
 
- Oh, ma certo. Vai pure.
 
- …Okay. Andiamo, John.
L’assistente lo seguì fuori dalla radura, ridacchiando.
 
*
 
Arrivarono fino al maneggio di Henry con uno dei calessi e poi presero una delle macchiene del parcheggio per raggiungere Dartmoor.
Il nuovo iPhone di Sherlock era in effetti arrivato e, non appena lo accese, trovò più di quaranta messaggi in segreteria.
 
- John, Lestrade dice che mi ha mandato delle foto di un omicidio per e-mail… c’è un computer in questo posto dimenticato da Dio?
 
L’assistente sospirò e lo portò in un Internet Point.
- Allora, quando compare l’avviso, inserisci gli altri centesimi.
 
- Stai scherzando. Questo coso va a centesimi?
 
- Sì e non ti lamentare – sorrise John, facendo vagare lo sguardo fuori dalla vetrina del negozio. Qualcosa catturò il suo sguardo ed uscì a passo svelto.
 
Sherlock sbuffò infastidito quando notò che John stava correndo per raggiungere la sua ex, la quale era seguita da un gruppo di marmocchi con zaino in spalla.
Ovviamente fa la maestra, perché è pure dolce coi bambini… pensò, cercando di concentrarsi sulla propria posta elettronica.
 
*
 
- È… bello?
 
- Cosa?
 
- Esserti ritrovato con Mary. Ho visto che ci sono molte foto di voi due da piccoli, appese per casa – spiegò Sherlock, continuando a camminare accanto a John per raggiungere il posto dove avevano lasciato la macchina.
 
- Sì, io… eravamo molto legati.
 
- Lo siete anche adesso – constatò il consulente, cercando di non suonare amareggiato.
 
- Non è più la stessa cosa.
 
- Perché pensa che tu sia gay?
 
John rise della disinvoltura dell’altro.
- Per questo e perché… Sherlock – si fermò in mezzo al viottolo e il detective lo imitò, confuso. – È che…
 
- Ragazzi! Vi abbiamo trovati, finalmente!
 
John si voltò con un sorriso verso Harry e la nonna, non sapendo se ringraziarle o maledirle per l’interruzione.
 
- In realtà cercavamo te, Sherlock. A te penseremo dopo, fratellino – disse Harry, felice.
 
- Non preoccuparti, caro, stavolta nessun canto nel bosco – la nonna rassicurò Sherlock, visibilmente allarmato. – Torna pure a casa, Johnny, lo riporteremo noi dopo.
 
- Va bene – si arrese il biondo. – A dopo.
Sorrise sincero guardando l’alta e longilinea figura di Sherlock stretta fra quelle più minute e decisamente più energiche di sua sorella e sua nonna che si allontanavano, poi si decise ad incamminarsi verso la parte opposta.
 
*
 
- Hai finito? – lo chiamò nonna Hudson da dietro tenda del camerino.
 
- Quasi – rispose Sherlock, finendo di arrotolarsi la striscia di plaid sulla spalla; dopo un attimo di indecisione, si strinse di un altro paio di fori la cintura in vita.
 
- Non preoccuparti per le misure! Mio marito era un po’ più muscol… più robusto di te, caro.
 
Il consulente scostò la tenda e si presentò agli occhi entusiasti di Harry e della nonna.
 
- Vieni qui, che ti accorcio un po’ quel plaid e stringo la camicia… - disse nonna Hudson, quasi con tenerezza vedendo come il corpo magro di Sherlock scomparisse dentro l’ampia camicia color panna.
 
Harry li osservava dal divano della sartoria con un lieve sorriso.
- Sai, Sherlock… Io mi chiedevo se… durante queste vacanze, magari… potessimo venire a Londra e…
 
- Certo che potete – il consulente interruppe altri possibili balbettii. – Potremmo venire anche noi, magari – si arrischiò a dire, con apparente noncuranza.
 
- Oh, magnifico! – batté le mani felice, poi si alzò dal divano. – Io vado un attimo al bar. Nonna, non fare quella faccia! Non ci vado per la birra… - strizzò l’occhio ed uscì dalla sartoria.
 
- A quanto pare ha trovato una nuova amica – rise maliziosa nonna Hudson.
 
Sherlock si limitò ad un debole sorriso mentre la donna puntava altri spilli alla camicia.
 
- Guardati allo specchio, pensi vada bene?
 
Il consulente osservò il proprio riflesso nella superficie rotonda. Il kilt era blu con righe e quadri verdi e, in effetti, nel complesso non era male - anche se avrebbe decisamente preferito uno dei suoi completi scuri.
 
- Manca solo una cosa… - disse la nonna, prendendo da un cofanetto una grossa spilla intarsiata con piccole pietre di turchese. – Il plaid sulla spalla si fissa con una spilla importante per la famiglia e questa la fece fare la famiglia della mia bisnonna per il mio bisnonno. Vorrei la avessi tu… - gliela appuntò addosso con dolcezza.
 
Sherlock sentì uno strano calore nel petto ed arrossì leggermente. – Ecco… non sarebbe meglio se la avesse John?
 
- John avrà quella della famiglia Watson, caro, non preoccuparti.
 
- Ma io non posso…
 
- Senti. Noi nonni adoriamo dare ai nostri nipoti cose a cui teniamo… per far parte della vostra vita anche quando non ci saremo più.
 
Solitamente Sherlock avrebbe puntualizzato che lei non era la sua vera nonna - e anche se acquisita, lo sarebbe stata per ben poco tempo - ma stranamente non le fece, sfiorando invece la spilla con le dita. Forse semplicemente perché quello era il più semplice e bel gesto di affetto che avesse mai ricevuto.
 
- Va tutto bene, caro?
 
- Sì. Mi chiedevo se… avessi finito con le sistemazioni.
 
- Ma certo! Fammi togliere tutti quegli spilli – poi parve ripensarci. - Solo un’altra cosa. Tieni le mutande sotto al kilt, per evitare l’incidente che succedeva sempre al mio caro marito…
 
Il detective trattenne una risata e sospirò piano.
 
*
 
Non ce l’aveva fatta ad aspettare che Harry e la nonna finissero le loro commissioni in paese: era da quella mattina che provava a pensare e gli era impedito.
Harry gli aveva assicurato che loro due si sarebbero fatte dare un passaggio dalla sua “misteriosa” amica fino al maneggio, così Sherlock prese la macchina di lei. Si fermò con fare sconvolto e rabbioso davanti alla faccia stranita di Henry.
- Dammi un cavallo.
 
- Sta per piovere, sicuro di non volere un calesse coperto?
 
- Cavallo.
 
Henry si torse le mani in uno dei suoi tanti tic nervosi e tornò qualche minuti dopo, tenendo un cavallo per le briglie.
- Sai cavalcare, giusto?
 
Sherlock si limitò a sbuffare e, con una piccola scossa alle briglie, partì al trotto.
Come già previsto da Henry, la Scozia non venne meno alla propria fama, quel pomeriggio, ed iniziò a piovere in maniera fitta. Se non altro, il cavallo sembrava sapere dove stesse andando, e al detective di bagnarsi importava poco.
In realtà, pensò con un sorriso amaro, a lui importava ben poco. Gli importava così poco di così poche cose, che lo aveva scordato: aveva scordato come fosse avere una famiglia. Forse lui non l’aveva mai avuta. Un ragazzino lasciato solo, alle cure di un fratello non molto più grande e parecchio più impegnato. Non sapeva come fosse avere qualcuno che ti preparasse la colazione, che ti dicesse che ti verrà a trovare per le vacanze, che ti regalasse qualcosa.
John aveva tutto questo, qui. Aveva una famiglia e stava per buttare tutto all’aria per lui. Doveva fare assolutamente qualcosa o non se lo sarebbe mai perdonato.
Arrivò nella stalla, coperto di pioggia e fango, trovando John ad aspettarlo.
 
- Sherlock, dannazione, stai bene?!
 
- Sì – rispose, cercando di non tremare dal freddo e smontando da cavallo.
Lo fece entrare in uno dei box e gli accarezzò il muso distrattamente. Quando chiuse il piccolo cancello, vide che John gli stava porgendo il maglione - assurdamente brutto - che prima aveva addosso.
- Non lo metterò.
 
- Sherlock, ti verrà una polmonite! Perché non ti sei fatto dare un dannato calesse? – esclamò, gettandogli il maglione caldo sulle spalle ed abbracciandolo in modo goffo per riscaldarlo ulteriormente.
 
Il consulente guardò verso il basso, trovando il viso preoccupato dell’assistente.
Aprì la bocca per parlare, ma vennero interrotti da un tossicchiare leggero e due uomini muniti d’ombrello entrarono nella stalla.
Uno era il signor Watson e l’altro era l’impiegato dell’ufficio immigrazione, Stamford.
 
- John – esordì il signor Watson con aria grave. – Tua sorella e tua nonna non dovranno mai sapere nulla di questa storia.
 
- Vi avevo detto che avrei indagato – disse invece Stamford, con un sorriso beffardo sul viso tondo.
 
- Papà, cosa… - cominciò John, scostandosi appena da Sherlock.
 
- Il signor Stamford mi ha chiamato e mi ha detto che, se state fingendo - cosa che lui è molto propenso a credere - ti sbatterà dentro. Così l’ho fatto venire qui.
 
- Per sua fortuna, John, suo padre ha stipulato un accordo in suo beneficio. Quest’offerta durerà venti secondi. Quindi: o dichiara che questo matrimonio è una montatura o lei finisce in galera. Se invece dirà la verità, non si troverà nei guai e lei, signor Holmes, viene spedito immediatamente in Irlanda.
 
- Forza, accetta! – disse il signor Watson, spiccio.
 
- Non intendo farlo.
 
- Non essere stupido…
 
- Vuole la verità? Lavoriamo insieme da tre anni, sei mesi fa è iniziata la nostra storia e domani ci sposeremo. Ci vediamo alla cerimonia.
 
*
 
Entrati nella loro camera, John si sedette sulla poltrona, mentre Sherlock rimase all’in piedi.
- Sei sicuro?
 
- Di cosa?
 
- Di tutta questa storia.
 
- Non sono mai sicuro del tutto. Ma so che tu avresti fatto lo stesso per me. E adesso non dire che non è vero, perché lo so: fra amici si fa così.
 
Rimasero a guardarsi per un istante interminabile e Sherlock si avvicinò appena alla poltrona, quando bussarono alla porta.
 
- Spero siate presentabili! – disse allegramente nonna Hudson, facendo il proprio ingresso nella stanza. – Non potete stare insieme la notte prima delle nozze, è la tradizione! Dormirai sul divano, Johnny. Forza, datevi il bacio della buona notte. Ti aspetto sotto!
Uscì baldanzosa, con una coperta fra le braccia.
 
- Se non vai di sotto immediatamente, verrà di nuovo lei qui a prenderti.
 
- Lo so – sorrise John, alzandosi dalla poltrona. – Ci… vediamo domani?
 
Era un’affermazione, ma l’aveva pronunciata come se fosse una domanda.
- Sì – disse Sherlock e John uscì.
 
*
 
Il giorno seguente la pioggia aveva cessato di cadere e la stalla era stata pulita e i cavalli legati in giardino.
Era pieno di persone sorridenti di aspettativa, sedute pazientemente sulle sedie pieghevoli posizionate nell’ampia stalla decorata con piccole ghirlande.
John aspettava nervoso sopra a un piccolo podio improvvisato, a disagio nel proprio kilt - abito che odiava fin da bambino.
Alla fine, Sherlock entrò a braccetto con nonna Hudson - la quale sorrideva deliziata a tutti i presenti.
Il biondo provò a decifrare il viso del proprio capo, ma quello - a parte un breve sorriso alla nonna - rimase impassibile.
Non appena Sherlock arrivò al fianco di John, l’uomo - rigorosamente in kilt, ma nero - che li avrebbe dovuti sposare, iniziò a parlare con una voce fastidiosa e squillante.
- Siamo tutti qui riuniti oggi, per celebrare uno dei più importanti momenti della vita. Per dare un riconoscimento alla bellezza, alla gentilezza e alla nobiltà del vero amore di John e Sherlock in presenza di famiglia ed amici…
 
- Zitto.
 
-…Che?
 
- Devo dire una cosa.
 
- Sherlock. Non puoi dirla dopo che avrà finito? – lo pregò John, capendo ciò che in mente di fare.
 
- No – il consulente si voltò, notando come previsto che anche Stamford era fra la folla - distinto fra gli altri uomini perché unico in giacca e cravatta. – Salve a tutti. C’è una cosa che vorrei dire a proposito di questo matrimonio. Una confessione, in realtà.
 
Il padre di John e Stamford si misero sull’attenti e John, accanto a Sherlock, si irrigidì.
 
- Io sono irlandese. Avevo un visto scaduto e quindi stavo per essere rimpatriato. Ho costretto John a sposarmi. John ha sempre avuto questa grande etica nel lavoro, un portamento quasi da soldato: grandi principi e nervi d’acciaio. E sospetto che sia una cosa che abbia imparato da lei, signor Watson, nonostante i suoi difetti. Per tre anni John ha lavorato più duramente di chiunque altro e sapevo che se lo avessi minacciato di distruggergli la carriera avrebbe fatto praticamente di tutto. A quel punto l’ho ricattato per farlo venire qui e mentire a tutti. Credevo sarebbe stato facile restare a guardare, ma non lo è stato. Non è facile rovinare la vita di qualcuno quando scopri quanto è meravigliosa. Voi siete davvero una famiglia stupenda e questa cosa non deve dividervi, non per colpa mia – guardò il pavimento nel silenzio generale per dire le ultime cose. – Harry, nonna Hudson, mi… dispiace. E, signor Stamford, possiamo andare.
 
Non appena Sherlock uscì dalla stalla, seguito a ruota da un alquanto soddisfatto Stamford, tutte le persone presenti si alzarono rumorosamente e contemporaneamente dalle sedie pieghevoli ed iniziarono a commentare l’accaduto.
John venne raggiunto dalla sua famiglia.
 
- Ma che pensavi di fare, John? – chiese Harry, scioccata.
 
- Non capisco, sembravate così perfetti insieme… - rincarò la nonna.
 
John non ce la fece più ad ascoltare quei commenti e a sottostare allo sguardo da “te-lo-avevo-detto” del padre, così tentò di uscire dalla stalla.
Ci mise più di dieci minuti, continuamente fermato da persone dispiaciute per quello che era successo ed eccetera.
Uscì dalla porta che dava sull’interno della casa e corse al piano di sopra, in camera da letto.
Non c’era più traccia dei vestiti o delle cose di Sherlock - a parte il kilt blu e la camicia color panna sul pavimento, insieme alla spilla di nonno Hudson. John realizzò con un sorriso amaro che probabilmente pianificava già tutto dal pomeriggio precedente.
Poi notò un biglietto sul letto.
Ho lasciato un biglietto. È questo che fa la gente, no? Lascia un biglietto.
Sai che Lestrade ti avrebbe voluto far avanzare di grado da dopo un anno che lavoravi alla Consulting Company? Sono stato io ad insistere a non farlo, perché non volevo perderti come assistente.
Ma tu, John Watson, hai un futuro davanti. Mi impegnerò a farti diventare un socio, prima di lasciare definitivamente il paese, domani - dato che ho confessato tutto di mia spontanea volontà mi lasceranno almeno andare a Londra a prendere delle cose dall’ufficio.
Addio, John
Sarebbe rimasto a fissare quel pezzo di carta in eterno se Mary non fosse entrata nella stanza.
 
- Stai bene?
 
- Sì. No, anzi. No che non sto bene.
 
- Già…
 
- Sai qual è il problema? Il problema è che quest’uomo è un baco nella mela, la polvere sulla lente. Per fartela breve, Sherlock Holmes è una gigantesca spina ficcata nel fianco. Prima la storia dell’espulsione - e va bene, lo capisco - poi il matrimonio - qualche bugia, ma posso farlo - poi se ne va e lascia un dannato biglietto. Dopo tre dannatissimi anni che sto con questo… psicopatico e non ha nemmeno il coraggio di dirmi in faccia come stanno le cose! Mai un complimento o qualcosa di anche solo lontanamente gentile e ora… questo. Un biglietto barra cumulo di stronzate!
 
- John…
 
- Sì, scusa, Mary. Scusami.
 
- No, è che… seriamente. Lo stai lasciando andare via?
 
*
 
- John, dove stai andando?!
 
- Papà, per piacere, non immischiarti… Devo andare a parlare con lui.
 
- Mi immischio quanto mi pare! Perché dovresti farlo?
 
- Papà, lascialo andare...
 
- Harriet, decido io cosa fare o meno!
 
- Nonna!
 
Nonna Hudson cadde sull’erba corta del giardino, ansimante, e perse i sensi.
Tutte le persone si raccolsero intorno a lei, spaventate e preoccupate. Il signor Watson le sollevò le gambe per fare circolare meglio il sangue, mentre John le prendeva il polso.
- Il battito è lento. Oh Dio, non dovevamo litigare davanti a lei…
 
- John! Cos’è? – esclamò Harry, indicando un punto poco lontano.
 
Un’ambulanza si fermò a qualche metro da loro, seguita da una limousine nera tirata a lucido.
Un uomo dai capelli rossi in vestito gessato e con un lungo ombrello nero fra le mani ne uscì con fare elegante.
- Mi scusi per l’invasione, signor Watson, ma suppongo che l’incolumità di sua suocera sia più importante di ginestre e muschi, per lei.
 
*
 
John - ancora sconvolto alla vista di Mycroft Holmes - si sedette accanto a suo padre e sua sorella, vicino alla barella dove stava sua nonna - con una mascherina d’ossigeno - e un paramedico.
Un altro medico chiuse le portiere dell’ambulanza, la quale partì qualche secondo dopo, sgommando.
Passò qualche secondo prima che la nonna si scostasse la mascherina d’ossigeno dalle labbra e tendesse debolmente una mano verso di loro.
- Voi non… non dovete litigare. La penserete sempre diversamente e su moltissime cose… ma non litigate. Sarete una famiglia?
 
John e suo padre si guardarono ed annuirono debolmente.
 
- Anche quando non ci sarò più? – chiese ancora la nonna, a fatica.
 
- Sì, mamma.
- Certo, nonna.
Risposero insieme e si sorrisero piano, imbarazzati.
 
- Benissimo – disse la donna, facendo una carezza al ginocchio di Harry e rimettendosi a posto la mascherina e chiudendo gli occhi. – Adesso i fuochi fatui possono portare via la mia anima…
 
- Nonna, no!
 
Fu un secondo terribile.
Poi la nonna aprì gli occhi e si tirò su a sedere con fare arzillo.
- Beh, a quanto pare non è il mio momento. Dovevo solo convincervi il più velocemente possibile ad arrivare alla stazione dei treni.
 
- Tu sei… impossibile, nonna – rise John, scuotendo la testa. – Sapevi anche di Mycroft?!
 
- Oh, no. Ma è stato un ottimo velocizzante.
 
- Comunque, John, perché dovresti andare a parlare con Sherlock?
 
- Papà, è ovvio! Deve dirgli che lo ama! Così anche lui può dirgli che lo ama.
 
- Sì, ma lui come fa a sapere che lui…
 
- Se lui non lo amasse, non se ne sarebbe mai andato.
 
- Sono l’unico a non stare capendo un accidente?
 
- Oh, papà…
 
*
 
- Le dispiace se prendo il treno con lei?
 
- Non mi sembra abbia alternativa, no? In fondo mi sta offrendo un passaggio nel suo costoso jet privato, una volta arrivati all’aeroporto.
 
Mycroft sorrise in maniera affettata, sedendosi in quella che sembrava una maniera molto scomoda sul sedile dello scompartimento.
 
- Suo fratello ha ragione, allora: lei davvero lo spia costantemente.
 
- Io mi preoccupo per lui costantemente. E conosco la sua innata passione per i guai, quindi…
 
- Quindi lo spia – concluse John.
 
- Parliamo di lei, invece, signor Watson – Mycroft sviò l’argomento, prendendo un taccuino dalla tasca interna della propria giacca e iniziò a sfogliarlo lentamente.
 
- Cos’è?
 
- Usi la scienza della deduzione, se davvero è un discepolo di Sherlock.
 
- Dubito che un quadernetto pieno di appunti e dati su cosa mangio la mattina a colazione o quanto spesso mi gratto il naso possano aiutarla a capire chi sono. O se sono un “buon partito” per suo fratello.
 
Mycroft chiuse il suo taccuino con uno scatto, rimettendolo a posto.
- Ne rimarrebbe sorpreso. Ma mi spieghi: sono tutto orecchi.
 
- Io sono una persona semplice, un tipo vecchio stampo. Una persona che adora lavorare ed adora le proprie passioni. Come Sherlock mi ha definito poco fa, io sono “un tipo con saldi principi e nervi d’acciaio”. O almeno, così mi sarei definito tre giorni fa. Poi è cambiato tutto. Lei ha ragione: Sherlock ha una predisposizione a cacciarsi nei guai. Ma stavolta è incappato nel peggiore di tutti, perché io sono un guaio che non ha la minima intenzione di lasciarlo scappare via.
 
*
 
Chiuso nel suo ufficio, Sherlock desiderava ardentemente poter riuscire a mettere al posto i propri pensieri come stava facendo con la sua roba.
Di solito il suo Palazzo Mentale funzionava egregiamente, ma stavolta c’erano troppi sentimenti e probabilmente quel palazzo era andato in fiamme, carbonizzato. Proprio come il suo cuore.
Bene, Sherlock. Sei diventato definitivamente un sentimentale. pensò, scuotendo la testa ed uscendo dall’ufficio con una delle sue scatole.
 
Si fermò davanti a uno dei cubicoli.
- Hooper, Adler. Potreste inviare le scatole nel mio ufficio a Dublino, a questo indirizzo? – porse un foglietto alle due donne, le quali però guardavano un punto alle sue spalle. – Che c’è?
 
- Si giri, signor Holmes.
 
Sherlock si voltò e gli mancò il fiato: John era lì - fortunatamente senza il kilt, ma con addosso dei più semplici jeans e uno dei soliti, tremendi maglioni.
- John.
 
- Sherlock.
 
- Hai il fiatone.
 
- Ho… corso.
 
- Fin dalla Scozia? Sono impressionato.
 
- Ti devo parlare.
 
- Mandami un’e-mail. Adesso devo andare: il mio volo per Dublino parte tra due ore e… Adler, prendi questa scatola e le altre e…
 
- Sherlock, smettila di parlare, per l’amor di Dio!
 
Tutto l’ufficio si zittì.
 
- Devo dirti una cosa, Sherlock, okay? Ci metterò un secondo.
 
- Va bene.
 
- Fino a tre giorni fa, io ti detestavo. Desideravo che un tassista ti avvelenasse o che una banda di terroristi cinesi ti prendesse in ostaggio.
 
- Che fantasia.
 
- Ti ho detto di stare zitto. Poi siamo andati in Scozia e le cose sono cambiate. Sono cambiate quando ci siamo baciati, quando mi hai raccontato di te e quando mi hai guardato mentre eravamo nudi.
 
- Io non ti ho guardato.
 
- Io sì, ma comunque. Mi sono reso conto di tutto quando mi hai lasciato solo in quella dannata stalla. Ora potrai immaginare la mia delusione, quando mi sono reso conto che l’unico uomo che mai amerò stava per andarsene via. Quindi, Sherlock Holmes: sposami.
 
Si udì un coro di gridolini deliziati da ogni cubicolo.
Ma Sherlock scosse la testa, amareggiato.
- Tu non vuoi davvero stare con me, John. No, sta’ zitto tu, adesso. C’è un motivo per cui sono solo da sempre e le persone mi evitano come la peste. Ti renderei infelice e, sul serio, non è quello che voglio. Credo che un ringraziamento sia d’obbligo, però: è merito tuo se in questi giorni ho scoperto parti di me che… avevo dimenticato o che forse non avevo mai avuto. Ma, John, sarebbe davvero più comodo per entrambi se me ne andassi.
 
- Hai ragione: sarebbe più comodo – acconsentì John, avvicinandosi ancora un po’.
 
Sherlock si limitò ad annuire, spaesato da tutto quel turbine di sensazioni che provava dentro.
 
- Ma non facciamolo lo stesso.
E, tirandolo per i lembi del cappotto, lo baciò.
Fu simile al loro primo bacio, perché anche questa volta c’era uno scrosciare di applausi e fischi in sottofondo. Ma stavolta esibivano entrambi dei sorrisi così larghi che gli risultava quasi complicato prolungare quel contatto per più di qualche secondo, per poi rituffarsi nuovamente l’uno sulle labbra dell’altro, increduli.
 
- Non dovevi inginocchiarti, per chiederlo come si deve?
 
- Attento: potrei prenderlo come un sì…
 
 
 
 
 
 
 
- Vediamo se ho capito bene: siete di nuovo fidanzati. Stavolta per davvero.
 
- Assolutamente, signor Stamford, sì.
 
- Vi avverto: una sola risposta sbagliata e…
 
- Sì, conosciamo la procedura, si muova.
 
- Cominciamo.
  
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