Fanfic su attori > Tom Hiddleston
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Autore: Clio93    06/12/2013    8 recensioni
Dal Prologo :"Quando incontro un paio di grandi e limpidi occhi azzurri, un volto dai lineamenti delicati, fanciulleschi e la fronte ampia su cui, elegantemente scomposti, ricadono boccoli bagnati e rivoli di pioggia, trattengo un singulto.
No, non può essere lui.
Non può essere…
Tom Hiddleston.
E non posso fare a meno di scoppiare nuovamente in lacrime.
Questa è stata, ed è, una giornata veramente di merda."
Genere: Commedia, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
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Salve a tutti. Dato che nelle ultime settimane ho avuto modo di vedere Thor, Thor 2 e chi più ne ha più ne metta, ho deciso di cimentarmi in questa fanfiction su Tom Hiddleston, la cui interpretazione mi ha affascinata talmente che la mia fantasia ha preso il sopravvento e... eccomi qui! Spero che leggiate e che la storia vi piaccia. Ricordo che con la presente fanfiction, scritta senza scopo di lucro, non intendo essere offensiva nè danneggiare l'immagine dell'attore.
E con questo vi auguro buona lettura. Incrociamo le dita!

Prologo
Sono quattro anni che vivi a Londra e ancora non hai capito come attraversare la strada?
 
Fa freddo. Fa tanto freddo sia nel corpo che nell’anima. E questa è l’unica cosa che mi permetto di pensare lì, davanti alla porta del retro di un lussuosissimo hotel di Londra, dove sono stati appena buttati nel cesso tre anni del mio lavoro e della mia vita.
Tremo e le lacrime scendono silenziose lungo il volto e non so se sono per rabbia o per tristezza.
Confesso che vorrei urlare, ma la gola mi brucia da morire: ho fatto già il mio siparietto, prima che mi prendessero di peso e mi buttassero fuori da quella sala, da quella festa a cui non ero stata invitata.
Forse, se avessi un uomo non te la prenderesti tanto. Insomma! Non era che il terzo dei tuoi lavori, non è neanche l’ambizione della tua vita…!
Taci, brutta cornacchia: ci pensa già mia madre a ricordarmi che sono zitella. Penso, battibeccando con il “grillo parlante” che abita la mia testa.
Non è per il lavoro in sé che sono incazzata (non riesco a trovare un sinonimo educato in questo momento), quanto per la poca considerazione che viene data alla fatica e all’impegno altrui, e poi per cosa? Denaro!? Quel porco capitalista ne ha di soldi da buttare! Invece di comprarsi una Ferrari poteva anche concedersi il privilegio di continuare a giocare a fare il proprietario di una piccola, quanto autorevole, testata di giornale.
Cazzo, l’anno scorso mi fa sgobbare come un mulo per nuovi progetti, nuove interviste, mi promette un aumento e poi!? Vende, chiude, fine, addio, ciao. Se ripenso alla conversazione (ehm, direi, più precisamente, scazzata! Wow, Berenice, che linguaggio degno della tua educazione!) avuta poco fa mi viene da vomitare. Lo so benissimo che, se fossi appena uno poco più schizzata di quanto già non sono, agguanterei un coltello bello lungo e tagliente dalle cucine, tornerei nella sala e sevizierei il Porco Capitalista (damnatio memoriae. Mi rifiuto di chiamarlo per nome!) davanti a tutta quella marmaglia infiocchettata e scintillante. Non sono così pazza, no, non lo sono…
Non ci pensare nemmeno! Ringrazia di non esserti beccata una denuncia per diffamazione.
Sta zitta o mi lobotomizzo e sevizio te, cornacchia!
Quel maledetto stava pure partecipando ad una cena di beneficenza! Beneficenza un corno, se poi mandi a spasso venti persone solo perché il guadagno che trai è troppo poco per rimpinguare il capitale del tuo grasso, ingordo ventre capitalista.
E’ stata una giornata di merda. Ho letto e corretto una serie interminabile di compiti abominevoli per l’università; poi ho ricevuto la “bellissima” notizia della quasi imminente chiusura del giornale; ho corso per la città, cercando di contattare il Porco Capitalista; mi sono fatta un buco enorme sul mio maglione preferito; ho lasciato la cena a metà con un grandissimo pezzo di gnocco di ragazzo inglese (alias ho rimandato la fine della mia astinenza sessuale a data da stabilirsi) una volta scoperto dove si nascondeva la serpe; ho preso definitivamente conoscenza delle mie pessime qualità diplomatiche e ho constatato sul campo quanto sia migliorato l’uso del mio turpiloquio inglese; dulcis in fundo mi sono fatta prendere di peso dalla sicurezza, che mi ha “amorevolmente” scortato fuori dall’hotel. Sì, posso tranquillamente dire che oggi è stata una giornata di merda.
Potrebbe andare peggio di così?
Sì, potrebbe piovere…
Lampo, tuono e scroscio d’acqua.
Vaffanculo, cornacchia!
Sospiro rassegnata e inizio a circumnavigare l’immenso perimetro dell’hotel. Mi sono acconciata anche i capelli, per cosa poi?
Ho smesso di piangere, al posto delle lacrime un grosso peso sullo stomaco e un macigno che mi impedisce di respirare. Mi sento vuota, completamente vuota.
Sono zuppa, il vestitino aderisce freddo contro il corpo, i capelli mi si appiccicano sul volto fastidiosamente e i tacchi mi fanno male da morire. Quei tacchi sono stati il primo paio comprato con il primo stipendio… Non devo frignare! Dio, non posso mica buttare queste scarpe perché il loro ricordo mi sarà troppo doloroso: sono costate 200 sterline, dovranno durarmi per l’eternità.
Arrivo sulla strada e tutto quello che riesco a vedere sono le luci delle macchine e degli appartamenti illuminati, il resto mi appare come un’unica, indistinta macchia in movimento; è tutto lontano, tutto a distanza perché adesso ci sono solo io, io e il mio orgoglio ferito. In due ore sono tornata l’adolescente incazzata e depressa di qualche anno fa e questo non va bene, non va assolutamente bene. Se solo avessi un uomo…
Ce l’avevi, imbecille. Ma te lo sei lasciato scappare. Scopa di più e pensa di meno!
Grazie tante.
Così, immersa nelle mie elucubrazioni mentali, dimentica del fatto di non essere più a Roma ma a Londra, guardo dalla parte sbagliata della strada: ovviamente non c’è nessuno, la via è libera.
Troppo tardi mi accorgo di essermi sbagliata.
Troppo tardi mi accorgo dei fari che mi accecano.
E sono troppo sconvolta per tornare di scatto indietro.
Quando la macchina mi colpisce (piano, cosa credete? Ha frenato abbastanza presto per non mandarmi in coma!) e l’urto mi fa crollare a terra come una bambola di pezza, penso che, in fondo, perdere il lavoro è meglio che perdere la vita.
CRACK
Qualcosa è rotto. Il fianco sul quale sono caduta mi fa male e la caviglia destra è storta. Mi sollevo a fatica e osservo, con gli occhi sbarrati, il disastro. Il tacco è rotto. La mia prima busta paga è bruciata come carta nel fuoco. 200 sterline buttate. E questo, non so perché, mi spezza più di tutto il resto.
Così, quando il mio investitore si catapulta fuori dalla macchina e si inginocchia di fianco a me, sbraitando arrabbiato e spaventato, neanche me ne accorgo: mi sfilo la scarpa, la guardo un attimo e scoppio a singhiozzare disperata ed isterica come solo io riesco ad essere.
Due mani mi afferrano le spalle e mi scuotono violentemente e una voce calma e virile riesce a far breccia nella nebulosa dei miei pensieri.
“Calmati! Non è nulla di grave. Calmati!” E’ una voce bellissima, incazzata, agitata, ma bellissima che credo di aver già sentito da qualche parte… sì, l’ho già sentita.
Smetto di piangere di colpo, tiro su con il naso e oso sollevare gli occhi sul viso del mio interlocutore, che so essere a pochi centimetri dal mio.
Quando incontro un paio di grandi e limpidi occhi azzurri, un volto dai lineamenti delicati, fanciulleschi e la fronte ampia su cui, elegantemente scomposti, ricadono boccoli bagnati e rivoli di pioggia, trattengo un singulto.
No, non può essere lui.
Non può essere…
Tom Hiddleston.
E non posso fare a meno di scoppiare nuovamente in lacrime.
Questa è stata, ed è, una giornata veramente di merda.
 
 
 

 
  
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