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Autore: Altariah    08/12/2013    1 recensioni
Kolyat riuscì solo a vedere le labbra di questo muoversi, ma il suono fu sostituito dall’insopportabile gracchio del campanello, che lo trascinò fuori da quella falsa realtà che lo aveva sollevato per un momento da tutti i suoi problemi.
Genere: Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: What if? | Avvertimenti: Incompiuta
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IX - Timing is Everything

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It can happen so fast
or a little bit late:
timing is everything


Oriana s’infilò nella sua felpa preferita, una color crema con una tazza di cappuccino stampata all’altezza del petto. Era vecchia, vecchia abbastanza da farle ricordare l’atmosfera di altre giornate. Un po’ sgualcita e scolorita, ma ai suoi occhi continuava a rimanere unica e bella.
La indossava appena si sentiva insicura ed inadatta, chiudeva gli occhi e fingeva di essere ancora una ragazza che viveva una vita semplice in una famiglia altrettanto semplice. Quei tempi in cui era figlia unica, in quello stesso universo che ormai, a distanza solo di qualche anno, le sembrava così distante e distorto.
Quella mattina, però, non si sentiva affatto malinconica, anzi, era incredibilmente felice. Avrebbe voluto saltare le lezioni e restare a casa a suonare e cantare tutto il giorno.
Lanciò un’occhiata al violino, nell’angolo del salotto fermo ormai da troppi giorni e si sentì in colpa, come dopo essersi ricordati di aver trascurato troppo una persona cara. Sorrise, sconsolata, promettendo mentalmente allo strumento le attenzioni che meritava, e dopo una carezza a Queequeg e un ultimo sguardo verso l’appartamento, uscì.
Appena sulla soglia trovò una sua compagna di corso che la guardava in un modo che non seppe interpretare. Oriana non aveva fatto molte amicizie, più che altro chiacchiere per passare il tempo tra una lezione e l’altra. Era selettiva in quanto a persone con cui parlare, e sentiva di non essere più riuscita a costruire legami come quelli che aveva fatto prima di trasferirsi sulla Cittadella.
 Da quel poco che aveva potuto capire di quella ragazza che per qualche motivo era piombata alla soglia del suo appartamento, era che i suoi genitori dovevano essere parecchio tradizionalisti e che non vedevano l’ora di tornare sulla Terra.
Oriana non si era mai permessa di chiedere perché allora invece di stare sulla Cittadella a sbuffare e continuare ininterrottamente a fare paragoni con la Terra non tornassero là una volta per tutte. L’ipotesi più probabile, aveva pensato, era che aspettassero che quelli rimasti in patria ricostruissero tutto quanto così loro non avrebbero dovuto sopportare la devastazione. Per quanto li vedesse maledettamente approfittatori e vigliacchi, avrebbe continuato a sorridere ed annuire sperando che i suoi pensieri coprissero il maggior numero di idiozie pronunciate da lei. Perché quello era in grado di dire: idiozie.
“Frida? Cosa ci fai qui, tutto bene?”
Quella, come era solito fare, sbuffò e continuò a fissarla, stupita. “Te l’ho detto tre giorni fa! L’affitto nell’altra zona era diventato troppo alto e quindi siamo dovuti trasferire qui… e ho pensato di fare il tragitto fino a scuola insieme. Non mi piace, come diavolo fai a viverci?” Domandò, con un calcato accento spagnolo che rifletteva le origini honduregne di entrambi i genitori.
Oriana fece un sorriso di circostanza, senza capire quale fosse il problema. “Ah, sì, scusa. Ho avuto un sacco di pensieri tra la testa nell’ultimo periodo. In realtà questa è una gran bella zona, mia sorella mi ha comprato questo appartamento e non è niente male… se dici così non devi aver visitato gli agglomerati più vicini alle estremità delle braccia.” Scherzò, rendendosi conto che quella che aveva innocentemente pronunciato come battuta avrebbe provocato una reazione quantomeno fastidiosa.
“Certo che no!” Esclamò, cominciando a camminare assieme ad Oriana, senza staccarle gli occhi di dosso. “Non ci andrei nemmeno sotto tortura, ci sono troppi pochi umani e decisamente troppi alieni”
Ecco, ottimo Oriana, complimenti. Se avesse potuto, si sarebbe fatta un applauso da sola.
In realtà, per quanto le stesse dando fastidio il suo continuare ad osservarla e il dispensare pareri a proposito di ogni cosa come se lei di partito preso fosse già d’accordo, si continuò a ripromettere di stare in silenzio; non avrebbe voluto scatenare un putiferio per una cosa tanto inutile, non ne vedeva il motivo.
E perché continua a guardarmi, maledizione… Oriana si morse un labbro, abbassando la testa decisa ad ignorare Frida, cercando di distrarsi pensando a quale brano avrebbe voluto  suonare. Si rilassava pensando a quelle piccole certezze che aveva, e senza accorgersene iniziò a sorridere, immaginando di mostrare a Kolyat quella sua passione nella musica, il suo talento e i suoi piccoli brani originali, ora che lui sembrava essere ricettivo.
Per quanto la ferita bruciasse ancora dalla sera in appartamento di lui, quando lei aveva tentato di regalargli un po’ di se stessa cantando e lui l’aveva interrotta, non c’era più amarezza. Ora lo aveva capito, aveva capito i motivi che lo avevano spinto a compiere quei gesti, e lei l’aveva perdonato.
A metà strada  Frida la pungolò con un dito sul braccio e Oriana trattenne un sospiro, catapultata bruscamente fuori dai suoi pensieri per chissà quale motivo. “Che c’è?”
“Senti, davvero, speravo me lo dicessi tu ma a quanto pare vuoi evitare…” Ridacchiò, stringendo di nuovo con entrambe le mani il pad scolastico “ma, scusami, sono troppo curiosa”
“Frida, sei strana oggi” più del solito… disse a se stessa, voltandosi a guardarla a sua volta.
Gli occhi scuri della ragazza ruotarono in fretta. “Ma ti piacciono gli alieni?”
“Cosa?” Oriana scoppiò a ridere “ma che..?”
“Pensavo stessi dietro a Danner, ma per carità, io mica ti giudico! Anche se beh, Dan era tutto un altro mondo … in tutti i sensi” la ragazza scoppiò a ridere in modo quasi isterico, compiaciuta dalla sua stessa battuta.
“Davvero, Frida, non capisco cosa diavolo vuoi dire” Oriana continuò quella discussione improbabile provando un imbarazzo sempre crescente “e Dan cosa c’entra?”
“Senti io non sono mica cieca, Ori! L’ho visto io quell’alieno strambo azzurro che se ne usciva quatto quatto stamattina da casa tua…”
Oriana prese giusto un momento per fare una smorfia sbigottita, poi scoppiò in una risata nervosa e pregò di sparire il prima possibile. Aveva sempre cercato di starsene in disparte, tranquilla, invisibile… era semplicemente una di quelle ragazze che non sai nemmeno chi siano, e ora già si vedeva al centro di un gossip scolastico incredibile.
 

 
 I was young when I learned just how fragile life can be
I lost friends of mine
I guess it wasn't my time


Miranda guardava lo schermo del computer distrattamente, senza sforzarsi di capire cosa stesse guardando in realtà. L’aveva acceso solo per girare un po’ su  Extranet e leggere le ultime notizie. Aveva lasciato il factotum nel comodino della sua stanza, delusa vedendo che Oriana sembrava non avere avuto voglia o tempo di risponderle.
Prima cercò informazioni sulle ricostruzioni dei vari pianeti,  e con stupore notò che la Terra si stava rialzando con straordinario entusiasmo e che addirittura il portale Sol fosse uno di quelli in fase di ripristino totale più avanzato.
Spulciò ogni notiziario già emesso che lei aveva perso, controllando la situazione dei pianeti natale di ciascuna razza, e senza neppure rendersene conto cominciò a piangere nella penombra di quella sua stanza vuota. Le immagini della più grande ripresa che la galassia aveva mai visto si susseguivano, mostrando campi d’erba medica che rinasceva dalle sue stesse ceneri in cui il verde s’interrompeva solamente a piccole chiazze di terra scura; matriarche Asari che riposizionavano statue storiche un po’ ammaccate al centro delle piazze. Si convinse che quella fosse una delle cose più belle che avesse mai visto nel corso di tutta la vita. Rimase incantata, trovando un’Asari che, nonostante l’impaccio del casco, le numerose ferite subite e i danni alla tuta che le causavano ustioni alla pelle si fosse alzata in piedi in un grido di gioia alla fine della guerra su Palaven. Per quanto provò a sforzarsi non riuscì a vedere se stessa riflessa in quella donna. Come era capace gioire di fronte a tutta quella devastazione ed dopo ogni morte di un commilitone? Dove aveva potuto trovare la forza di lasciare il suo pianeta, le sue sorelle, e combattere in un pianeta tanto ostile a lei?
In un flash accecante forse capì di chi si potesse trattare. Era improbabile che potesse esistere una coincidenza così grande, ma ci volle credere.  Le sembrò precisamente la descrizione di un’Asari che le aveva fatto Oriana, raccontandole di un giorno speciale in una mail. Che fosse davvero quella Ize, sopravvissuta ai Razziatori e ancora capace di sorridere nonostante ormai l’unica che le fosse rimasta fosse se stessa?
Miranda cercò di sorridere, le labbra tremanti, realizzando che forse si stesse per commuovere. Ritornò al minuto tre e ventitre, osservò la donna rialzarsi dalle macerie insieme ai compagni ed alzare le armi al cielo in uno dei primi filmati registrati gli istanti appena successivi la vittoria. Aveva un’espressione imperturbabile, severa, gli occhi arrossati soltanto dalla stanchezza e dalla tensione, ma non ancora dal pianto.
S’innamorò di quella risolutezza, avrebbe dato ogni cosa pur di sapere di essere così forte. Ma ogni lacrima che le bagnava le guance le confermava l’esatto contrario. Magari un tempo lo era, quando l’unica per cui decideva di lottare era se stessa. Poi aveva deciso che era sbagliato ignorare di avere una sorella, capì, dopo aver meditato sere e sere in mezzo a buio e solitudine, che a lei serviva qualcuno da amare. Scelse che fosse giusto salvare sua sorella, risparmiarla da una vita piena di domande che sarebbero restate irrisolte, piena di morte.
Ora piangeva, prima non l’avrebbe mai fatto. Nemmeno sulla Normandy, nemmeno in segreto, e sentiva di dover attribuire la colpa soltanto ad una parola: cambiare. Aveva finito di lottare, di essere in prima linea. Diventare una sorella, una familiare che s’impegna ad essere presente anche quando è impossibile l’aveva cambiata. Erano passati poco più di due anni, e lei si sentiva già catapultata in una realtà terribilmente distante.
Si portò una mano alla bocca, mentre mille pensieri le passavano in mente divorandola dall’interno. C’erano sempre le stesse immagini che non le lasciavano pace, come tutti i suoi compagni della missione suicida che osservavano Shepard e che lei non aveva mai chiamato amici, ma iniziava a pentirsene. C’era il viso di suo padre, mentre in un secondo sbarrava gli occhi, colpito in pieno dallo Slam biotico che lei gli aveva riversato addosso con foga. Si guardò brevemente attorno, trovando la forza di recidere di netto quel flusso prepotente di ricordi e senza che potesse fare nulla per evitarlo le tornò in mente di essere sola, come se a comando potesse essere stata in grado di non accorgersene per settimane intere.
Un affetto, una relazione vera… ecco, lei non ce l’aveva mai avuta. Nonostante fosse palese il contrario, cercava ogni giorno, tacitamente, di convincersi che quella fosse una scelta. Ma lo sapeva bene che non avrebbe mai avuto la possibilità di essere diversa, anzi no: comune, essere vista come una donna che si può amare. Era sempre stata un oggetto, una bambola resa perfetta da osservare da lontano. Se si fosse vestita con dei jeans e una maglia stampata avrebbe lasciato alle spalle la se stessa che era stata fin ora, e aveva paura di questo più di qualunque altra cosa. Le soddisfazioni e le sicurezze che quella tuta le aveva regalato erano le cose che le servivano ogni giorno di più per tirare avanti. Oriana non l’avrebbe mai saputo, lei non gliel’avrebbe mai confidato. Era questo tipo di vita che Miranda aveva sempre voluto evitare alla sorella… i timori di lasciare quella realtà, seppur infinitamente pericolosa, in cui aveva imparato a vivere. Fuori da essa si sarebbe sentita esposta, totalmente nuda in un mondo così semplice da farti impazzire.
Trasse un respiro profondo, guardando le luci della colonia Cuervo brillare oltre il vetro. Inizialmente Cuervo era nata soltanto come postazione dell’Alleanza con una sola grande base, ma durante l’assalto dei Razziatori si era popolata di rifugiati ed ora stava diventando a tutti gli effetti una colonia esclusivamente civile. Miranda gestiva le entrate e le uscite dalla fine della Guerra collaborando con un team dell’Alleanza che la monitorava in continuazione nonostante lei avesse dimostrato più volte la propria lealtà e dedizione. Si trattava di un lavoro troppo sciocco per lei ma che lei avrebbe sopportato ancora per poco. Anche il fatto di sentirsi una cavia da osservare in continuazione le stava dando sempre più fastidio, anche se aveva ponderato anche situazioni di gran lunga peggiori essendo una Ex Cerberus.
Il mal di testa iniziò a martellarle le tempie, e gli occhi le si riempirono di nuovo di lacrime. Era lento il tempo da quando era iniziata la ricostruzione. Ognuno sembrava avere trovato la pace… ognuno tranne lei, che era rimasta senza più battaglie.
Pianse e non seppe più come smettere, l’unica cosa che fu in grado di fare fu accoccolarsi tra le coperte. Sentì un forte bisogno di conferme, come se non ne avesse già a sufficienza. Finse di non ripugnarsi da sola, e digitò con vergogna il sito d’incontri in cui era iscritta, sognando che il futuro che aveva programmato arrivasse il prima possibile.
È questione di poche settimane, tentava di rincuorarsi, mentre leggeva complimenti imbarazzanti che le intasavano la posta.
 

 
And I could've been the child that God took home, 
and I would've been one more unfinished song 
and when it seems a rhyme is hard to find
That's when one comes along
just in time


Kolyat finì la sua giornata lavorativa avvolto da uno strano senso di soddisfazione. In così poco tempo era stato in grado di arrivare ad un buon punto, e per quanto fosse più esposto al pericolo, la cosa gli faceva solo piacere.
Stare a guardare persone che passano e domandano cose senza aspettare la risposta, controllare i traffici, le corrispondenze, scansionare i pacchi per garantire la sicurezza all’interno della stazione era una routine piatta e insulsa, per lui. E il contatto con la gente… ecco, quello l’aveva tormentato per mesi, prima di riuscire a farne l’abitudine, come se la pelle gli si fosse ispessita come a formare dei calli soltanto per permettergli di sentire le persone, ma non ascoltarle davvero.
Rientrò in appartamento, sospirando ed avviandosi verso il frigorifero.
Con la coda dell’occhio scorse una piccola macchia bianca che lo fissava dal davanzale della finestra, e lui si disse che quella creaturina dovesse avere fame, erano ormai le 17 e lui le aveva lasciato giusto qualche bocconcino la mattina.
“Ehi, Giza” Disse, dandosi dello stupido subito dopo, con imbarazzo.  Perché dovrei parlarti, stupido animale terrestre peloso… tu non capisci, io non devo nemmeno sprecare fiato. Il suo brontolio mentale aveva un filo logico, ma un brontolio restava. Giza lo osservava attenta, sperando che il suo pasto tanto atteso arrivasse in fretta.
Kolyat versò il contenuto di una bustina nella ciotola, poi, dopo aver letto un paio di volte le istruzioni, aggiunse l’acqua e il cibo liofilizzato acquistò un nuovo colore e un nuovo aspetto.
Che schifo, rise tra sé e sé, storcendo il naso e appoggiando il contenitore a terra.
Il drell poi dedicò di nuovo attenzione al frigo, e aprendolo trovò come al solito, la desolazione più totale. Come ogni persona sola e triste che si rispetti, nell’anta troneggiavano fiere delle lattine di birra in fila, e sui ripiani pochi cibi, tutti da riscaldare.
Prese la birra, andandosi a sdraiare sul divano, e poi cercò informazioni a proposito di gatti, anche se non m’interessa molto.
 

 
I remember that day
when our eyes first met
You ran into the building to get out of the rain
cause you were soaking wet


Al contrario del rincaso di Kolyat, Oriana ne ebbe uno molto trafelato. Chiuse la porta alle spalle e poi vi si appoggiò, lasciandosi andare, e cercando di calmare il respiro.
Non poteva credere di essere capitata nel mezzo del chiacchiericcio della sua scuola. Che poi si consolava, sorridendo del fatto che a molti non importasse nulla e che non trovassero nulla di strano nell’uscire con alieni. Soltanto che era una scuola frequentata prevalentemente da Umani scelta da Miranda, nel tentativo di ricercare più possibili insegnanti terrestri. Non le importava di alcune persone che dopo aver sfruttato un po’ la notizia per far conversazione l’avrebbero lasciata sospesa senza un fine, scordandosela. La cosa che più inquietava Oriana sarebbe stata Frida che, insieme alle sue amichette, ne era certa, l’avrebbe torturata per tutto il semestre.
Poi socchiuse gli occhi, mentre Queequeg arrivava a salutarla strusciandosi contro le sue gambe e si ritrovò a ridere.
Restò immobile a ridere di gusto con il gatto che se ne stava a squadrarla per un momento, e poi ritornava a donarle affetto nella speranza di ricevere in cambio coccole o cibo, o preferibilmente entrambe.
Oriana poi, con disinvoltura, compose il codice del factotum di Kolyat per chiamarlo, cercando disperatamente di smettere di ridere.
 

 
And as I held the door 
you wanted to know my name:
timing is everything


“In alcuni documenti si fa menzione a gatti originari della Turchia, dotati di pelo setoso…” La pagina che stava leggendo si bloccò, poi si spense per un attimo, facendo sobbalzare Kolyat, che vide subito dopo il factotum accendersi ed esibire una telefonata in arrivo da Oriana.
Trattenne un sorriso, ed accettò la chiamata. Poi si ritrovò ad ascoltare qualcosa sarebbe potuto essere riassumibile semplicemente con una sola parola: delirio. 













Niente, mi metto il paradenti. No, ok, doveva essere un capitolo leggero, da come l'avevo in mente. Sono felice di vedere finalmente un X tra i titoli dei capitoli, anche se non è ancora il decimo sono contenta, anche perchè significa che è quasi finita questa roba *esult* ...anche se non so ancora tra quanti capitoli di preciso... cinque... sei... non lo so. Pochi. Doveva essere leggero come capitolo per una serie lunghissima di motivi, forse nessuno sensato, ma che importa? Dopo un'era glaciale sono tornata a pubblicare! Pronta a premere shift e 1 contemporaneamente per donarvi tanta esclamazione, gioia e simboli simpatici.
Vabè niente ciao.
  
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