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Autore: Spiretta97    08/12/2013    0 recensioni
Cosa succede se un giovane riccio senza aculei incontra per la prima volta una bella rosa bianca e se ne innamora?
Genere: Fluff, Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Come i ricci ottennero gli aculei
Pochi sanno, o a pochi interessa, che i ricci anticamente non possedevano gli aculei.
Essi infatti erano semplicemente una minoranza più povera all’interno di una comunità di ratti. Quest’ultimi, essendo in maggioranza, decisero di sfruttare la minoranza per raccogliere cibo o per riparare le loro lussuose tane in cambio di una “pacifica” convivenza nel sottobosco. I ratti decisero anche di affibbiare un nome a questa minoranza che, con l’avanzare degli anni, venne adottato come nome specifico della razza: Ricci. L’intelligenza dei ratti non diede questo nome a caso; erano una minoranza perché erano poveri, giusto? Allora perché non privare dell’acca la parola “ricchi”, così, per simboleggiare appunto la mancanza di qualche cosa?
I ratti si vantarono per anni e anni della loro “grande” trovata, i ricci, più saggi, dopo essersi adirati per qualche tempo a causa del pessimo scherzo, decisero di accettare questo nome e, perché no, riderci su.
 
Un giorno, un giovane riccio si svegliò la mattina e, come di consueto, uscì dalla sua tana nascosta tra i rovi. Stese in avanti le zampe anteriori e contemporaneamente alzò verso l’alto il posteriore irrigidendo la lunga coda. Spalancò la bocca come per mostrare i lunghi incisivi e chiuse gli occhi emettendo un lungo sbadiglio.
Si sedette sulle lunghe zampe posteriori e cominciò a lisciarsi le orecchie, arrivando poi alla conclusione che era meglio andare al  ruscello per inumidirsi le zampe.
Lungo il sentiero che portava dritto al ruscello rimase incantato da un essere che mai aveva visto prima.
Era alto una ventina di centimetri ed aveva un corpo verde slanciato in verticale molto sottile. Di quando in quando, sul suo corpo, comparivano leggere protuberanze appuntite anch’esse verdi. La sua testa sembrava composta da una giravolta di foglie bianche.
L’essere se ne stava immobile sul suo posto, quasi fosse una guardia.
Il riccio gli si catapultò davanti con occhi sognanti, non aveva mai visto niente di più bello. Voleva assolutamente sapere che cos’era.
-Ohè!- fece, dimenticandosi per un momento le buone maniere –Volevo dire, scusa, ma di che razza sei?-
L’essere dischiuse leggermente il vortice di foglie e fece far capolino a due piccoli granellini gialli, simili a degli occhi.
-Io non ho una razza, ho una specie.- disse con una voce delicata e armoniosa.
Il giovane riccio sorrise facendo fremere i baffi. Si sedette nuovamente sulle lunghe zampe posteriori e prese a lisciarsi la coda.
-Dimmi allora che specie sei. Non ti ho mai visto prima.-
L’essere scrutò la palla di pelo che aveva davanti ai suoi puntini gialli. Il vento fece fremere per qualche secondo le foglie che aveva per volto  poi rispose.
- Sono una rosa. Tu devi essere un riccio -
Gli occhietti neri e vispi del giovanotto s’illuminarono di curiosità. Si passò le zampette più volte sopra al nasetto umido e si avvicinò alla rosa annusandola.
-Hai un buon odore, rosa!-
La rosa si inclinò leggermente da una parte ringraziando e cercando di nascondere la sua candida corolla che si stava facendo d’un colore più roseo.
-Vuoi venire con me al ruscello? Ho una sete!- Disse il riccio avvicinandosi a lei. Questa scosse la sua corolla in segno di dissenso.
-Non posso muovermi.-
Il riccio chinò il piccolo capo verso sinistra con sguardo dispiaciuto.
-Oh. Peccato! Aspettami qui, io torno subito!- Detto ciò corse via lungo il sentiero.
Ritornò un’ oretta dopo con mezzo guscio di noce in bocca. Dentro c’era dell’acqua.
-Pensavo che avessi caldo, perciò di ho portato dell’acqua!- Disse l’animaletto prendendo il guscio con le zampe anteriori cercando di stare in equilibrio su quelle posteriori.
A quel gesto la rosa avvampò assumendo un colore ancora più rossiccio di prima.
-Grazie riccio, non c’era bisogno che ti disturbassi!-
Quello sorrise rovesciandole sulla testa la mezza noce d’acqua.
-Ora dovresti avere meno caldo-
 
Da quel giorno il riccio andò sempre a trovare la rosa, spesso anche più di una volta al giorno, riservandole sempre dei complimenti. La rosa ogni giorno si faceva sempre più rossa fino a raggiungere un sano color scarlatto.
Col passare del tempo il riccio si accorse di non poter fare più a meno della sua amica e pensando a lei il suo cuore mancava un battito per poi riprendere a pulsare più velocemente, come se prendesse la rincorsa.
Un giorno, preso il coraggio a due zampe, il giovane riccio si presentò alla rosa, deciso a dichiararsi.
-Rosa… io devo dirti una cosa molto importante.-
La rosa l’osservo da capo a zampe e fece un cenno sorpreso.
-Oh, riccio! Ti sei pettinato, quale onore! Stai bene così.-
La sua voce melodica entrò da un orecchio del piccolo animaletto e uscì dall’altro facendolo fremere fino alla coda.
-Ecco… Non è da molto che ci conosciamo, ma quando ti vedo io sento qualcosa qui- disse toccandosi la parte sinistra del petto.
-Insomma rosa, credo di essermi innamorato di te- aggiunse poi tutto d’un fiato stringendo forte gli occhietti neri.
La rosa lo guardò tristemente con i suoi piccoli puntini gialli.
-Questo è un bel guaio. Non possiamo amarci, siamo troppo diversi!-
Il riccio scosse la testa confuso. Diversi? E perché?
-Non è vero!- rispose facendo un passo avanti – Io ho un corpo e tu hai un corpo, io respiro e tu respiri, io parlo e tu parli. Dove le vedi tutte queste differenze?-
-Ma io ho le spine e tu no! Se ci abbracciassimo ti farei male! Non posso amarti!-
Il riccio la osservò tristemente e scappò via senza dirle niente. La rosa gli aveva mentito. Lui, così preso dalla bellezza del fiore, non si era accorto che stava lentamente appassendo. Così il loro amore sarebbe appassito ancor prima di sbocciare, e  la rosa non se lo sarebbe mai permesso.
 
Il giorno dopo il riccio decise di tornare dalla rosa pronto a conquistarla. Prima di raggiungerla andò dalle sue amiche api e si fece prestare del miele che si spalmò sul dorso. Dopo di che si diresse nel sotto bosco e si fece aiutare da degli amici ad attaccarsi alla schiena degli aghi di pino, così l’avrebbe conquistata sicuro! Così conciato si diresse dalla rosa, ma non la trovò come a suo solito alta, snella e piena di vita, no. La trovò accasciata a terra senza più un petalo e rigida come un bastone.
-No!- gridò il riccio correndole incontro –No no! Non puoi morire!-
Con voce disperata pregava la rosa di tornare in vita, di spiegargli di nuovo quella difficile faccenda delle radici, le disse che questa volta avrebbe ascoltato tutto il discorso, fino alla fine.
Teneva il freddo stelo dell’amata stretto al suo corpo, procurandosi così delle lievi ferite. Continuava a ripeterle tenendola stretta: -Vedi? Non mi fai del male, le spine le ho anche io-
Restò con lei per ore e ore fino a che, esausto non svenne.  Si risvegliò qualche ora dopo e vide che intorno a lui si era riunita l’intera comunità dei ricci. Tutti si erano cosparsi il dorso di miele e si erano attaccati degli aghi di pino, così facendo volevano dare anche loro l’ultimo saluto all’amata di un loro amico.
 
L’anima della rosa, divenuta ninfa dei fiori, percepì che i cuori di tutti i ricci erano puri e traboccavano di amore sincero, così decise di far loro un incantesimo per ringraziarli di tutta quella bontà: tramutò gli aghi di pino che avevano sul dorso in acuminati aculei. Quelle spine, simbolo di tutti i soprusi che i ricci avevano dovuto subire dai ratti, diventarono la miglior arma per difendersi dai prepotenti. Inoltre, la ninfa accorciò la loro coda e accrebbe i loro corpi, cosicché il peso di portare un cuore grosso come la corolla di un fiore non fu più così grave.
  
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