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Autore: aelfgifu    08/12/2013    4 recensioni
Un party di Natale. Una sedicenne che si sente fuori posto. Un "cavaliere" che va in suo soccorso.
[Breve one shot natalizia, visto che ormai ci siamo quasi, con due dei personaggi che amo di più].
Genere: Introspettivo, Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Marie Schneider, Stefan Levin
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Stefan e io

 

Era il 20 dicembre del 20** e la società, come ogni anno, aveva organizzato il solito party di Natale. Io non ci volevo andare, ma Lisa e Charlotte mi avevano preso per sfinimento: “E dai! E dai! Io pagherei per andarci! Tutti quei calciatori fighi tutti insieme!” A me non me ne importava niente di vedere tutti quei calciatori fighi tutti insieme, anche perché li conoscevo già. “E dai! Fallo per noi! Ci devi raccontare tutto, come saranno vestiti, chi porteranno alla festa, se sanno ballare, se bevono troppo...” A Charlotte specialmente, che è appassionata di gossip, non pareva vero di poter sentire un po’ di pettegolezzi esclusivi.

Poi ci si misero anche mia madre: “Sarà bello uscire tutti insieme per una volta” (e io pensavo: quale tutti insieme? Karl andrà per conto suo!) e Frank: “Non vedo l’ora di fare il mio ingresso al braccio di queste due bellissime donne! Mi invidieranno tutti!” (e io pensavo: papà, a sedici anni una figlia è troppo cresciuta per credere a queste bugie...)

Insomma, io non ci volevo andare perché non c’era nessuno della mia età. I ragazzi, anche quelli più giovani, erano tutti più grandi di me; molti di loro – compreso il mio detestabile fratello – sarebbero di certo arrivati in compagnia, ma anche quelli che erano da soli difficilmente avrebbero sprecato il loro tempo con me. Qualcuno portava i figli, ma erano bambini più o meno piccoli, sotto i dieci anni, tanto che normalmente veniva chiamato un gruppo di animatori apposta per loro; i dirigenti, gli allenatori & degne consorti erano ben oltre la quarantina. Dopo il primo quarto d’ora dei saluti e delle presentazioni, con buffetti sulle guance da parte degli uomini e carezze sui capelli da parte delle signore, due erano i modi in cui avrei potuto passare il tempo: o unendomi agli animatori per far divertire i bambini, o trovandomi un posticino tranquillo dove stare per i fatti miei. E siccome non mi andava di passare tre, quattro ore insieme a una masnada di piccole belve urlanti, mi ero premunita infilando il mio iPod nella borsetta. Così, quando tutti mi avrebbero mollato, avrei potuto scegliermi un angoletto tranquillo, avviare l’iPod e ascoltarmi la mia musica, senza avere l’aria di un cane senza padrone che si aggira in territorio sconosciuto.

La mamma mi prese un magnifico vestito, con orecchini e pochette abbinata e un paio di scarpe che fecero girare la testa anche a me che porto sempre le Converse. Erano di velluto nero, con un cinturino che si allacciava alla caviglia, spruzzate di brillantini sul cinturino e all’altezza del tallone e con un tacco di otto centimetri sul quale perfino io sarei riuscita a camminare.

“Il tuo primo vero vestito elegante, che emozione!” andava ripetendo la mamma una volta uscite dalla boutique. Passammo il resto del pomeriggio in giro, a curiosare nei mercatini di Natale, mangiando Stollen e bevendo Glühwein. Io ero contenta per la mamma, ma avevo già delineato il mio piano: iPod carico nella borsetta e Converse d’emergenza nel bagagliaio della macchina!

 

***

 

In effetti, la festa prese subito la direzione che avevo preventivato: dopo i saluti e le presentazioni, i buffetti e le carezze, tutti si dimenticarono di me. Papà si era infognato nelle solite discussioni senza fine con gli altri dirigenti, la mamma stava parlando animatamente con alcune donne sue coetanee della difficoltà di gestire insieme famiglia e lavoro, Karl era arrivato senza nessuna accompagnatrice ma nel giro di mezzo secondo una frotta di bonazze gli si era raccolta attorno (ma chi erano? Non le fidanzate e le mogli dei suoi colleghi, era sperabile; allora chi?) e non mi aveva degnato di un’occhiata. Il piccolo Paul Drener aveva cercato di trascinarmi nei giochi che gli animatori stavano preparando, ma io gli avevo detto che non mi sentivo bene. E, adocchiato un divanetto nell’angolo più lontano della sala, mi ci ero fiondata di corsa. Avevo preso l’iPod, avevo srotolato le cuffie, me le ero messe alle orecchie, avevo premuto il tasto start e mi ero tuffata a occhi chiusi nella mia musica preferita.

La verità è che a nessuno piace andare a una festa dove nessuno fa caso a te; avrei dovuto essere più decisa e non farmi convincere, ma ormai la frittata era fatta e non mi restava che salvare onorevolmente la faccia.

Non so quanto tempo avevo trascorso così, a occhi chiusi; certamente più di mezz’ora, perché avevo ascoltato e riascoltato almeno cinque-sei canzoni. Ricordo che stavano partendo le battute iniziali di With or without you, quando qualcuno bussò sulla mia spalla facendomi saltare per aria dallo spavento.

Mi girai di scatto e mi trovai davanti il viso bello e dolce di Levin.

Mi parve di sentire un botto – o erano solo le batterie di Larry Mullen che facevano tanto rumore?

Lui mormorò qualcosa; io gli fissavo la bocca, ma non riuscii a capire quello che aveva detto perché la musica che mi riempiva le orecchie era a volume troppo alto; allora lui, a gesti, mi fece capire che forse era meglio togliere le cuffie.

Obbedii arrossendo.

“Ciao” disse Stefan sorridendo nel suo solito modo – solo con gli occhi.

“Ciao” risposi.

“Che fai qui?”

Gli mostrai l’iPod:

“Sento un po’ di musica...”

“Marie... c’è la musica dal vivo, di là, perché ascoltarla dall'iPod?”

“Tu che altro faresti a una festa dove nessuno ti calcola?”

“Io personalmente uscirei fuori a guardare le stelle”.

“Ma adesso fa freddo e il cielo è coperto”.

“Anche questo è vero...”

“E poi figuriamoci se a te è mai capitato di trovarti a una festa dove nessuno ti calcola”.

“Non lo puoi sapere... sono gli U2?” Non avevo spento l’iPod e le note della canzone uscivano smorzate dalle cuffie.

“Hm...”

“Posso?”

Esitando, gli porsi le cuffie. Mentre le prendeva, le sue mani s’incontrarono con le mie.

“Grazie” mormorò, sistemandosi le cuffie. Improvvisamente, un lampo – forse erano lacrime – gli passò sugli occhi, e la bocca gli tremò per un secondo. Rimase così per un minuto buono, poi, con la sua solita calma e pacatezza, si staccò le cuffie e mi restituì l’iPod:

“Ora puoi spegnere questo coso...”

“Perché?”

“Perché ora andiamo di là e balliamo”.

“Te lo ha ordinato Karl?”

“Karl? Se non sono riuscito neanche a salutarlo”.

“Allora papà?”

“Tuo padre” con la mano indicò il gruppetto di dirigenti impegnato a discutere “sta parlando da mezz’ora col boss e gli altri...”

“Allora mamma?...”

“Tua madre non mi conosce...”

“E allora chi?”

Stefan scosse la testa un paio di volte, poi mi guardò con una tenerezza che sentii bruciarmi sulla pelle come acido, e mi prese le mani. Ci alzammo insieme, mentre protestavo:

“Io non so ballare...”

“Tu fidati di me e seguimi”.

Così, le mie mani nelle sue, Stefan mi portò sulla pista da ballo, si mise davanti a me, diritto come un fuso, mi passò il braccio sinistro sul fianco:

“Posa la sinistra sulla mia spalla” mormorò “prendimi la destra con la tua e seguimi”.

“E se ti pesto un piede?”

“Ho sopportato di peggio” rispose lui socchiudendo gli occhi con l’aria di un ragazzino terribile.

E così ballammo. Quel ballo e qualche altro ancora, non troppo veloce o difficile, dopo di quello.

 

***

 

Quando ne avemmo abbastanza di ballare, strizzandomi l’occhio, mi chiese:

“Che ne diresti di tornare al nostro angoletto da misantropi?”

A me venne da ridere, ma quando sentii la sua bella voce un po’ cantilenante dire “il nostro angoletto” un brivido mi attraversò la schiena.

Cretina, pensai, che razza di idee ti vengono? È solo un ragazzo molto, molto gentile che sta cercando di farti passare una bella serata. Che glielabbia detto papà, o Karl, o il diavolo.

Mentre tornavo al divanetto, Stefan si era fermato a prendere qualcosa al buffet. Me lo vidi arrivare con un piatto in una mano e due bicchieri pieni di punch tra le dita dell’altra mano. Posò il piatto e i bicchieri sul divano, tra me e lui, e sorrise:

“Non so se ti piacciono queste cose, ho scelto secondo i miei gusti...”

“Oh, no, no, va benissimo, grazie!” dissi, e per l’imbarazzo mi ficcai un bignè in bocca a tutta velocità, rischiando di strozzarmi.

Lui scoppiò a ridere. Io strabuzzai gli occhi, non tanto per la difficoltà di ingoiare il bignè, quanto per la sorpresa di sentirlo ridere.

Stefan ha una risata bellissima.

“Ohi ohi” sospirai, battendomi il petto “stavo per morire...”

Fu a quel punto che lui si sporse verso di me, e con due dita mi sistemò una ciocca che mi era caduta sugli occhi mentre tossivo come una cretina. Poi avvicinò il viso al mio e, mentre mi baciava su una guancia, disse:

“Buon Natale”.

Io non lo so se fu a causa della morbidezza della sua bocca o del suo respiro che si rompeva contro la mia guancia mentre parlava, ma mi parve di battere la testa contro qualcosa di estremamente duro e di perdere conoscenza per qualche secondo.

 

***

 

Al ritorno dalla festa, mi aspettavo che qualcuno mi dicesse qualcosa a proposito del tempo che avevo passato con Levin. Mi aspettavo che la mamma e Frank ci scherzassero sopra, dicendo le solite scemenze tipo “la nostra piccolina ormai fa girare la testa ai giovanotti”, e ancora di più mi aspettavo che arrivasse Karl sparato come una palla di cannone e infuriato come un bufalo a farmi il terzo grado: “Che avete fatto tu e Levin? Che hai fatto con Levin? Che ti ha fatto Levin? Io gli faccio passare la voglia a quello lì!”, come suo solito quando mi vedeva con un ragazzo, nonostante Stefan fosse un suo compagno di squadra e una delle persone che stimava di più al mondo.

Invece niente: nessuno si era accorto di niente. Il tempo che avevamo passato a parlare, i nostri balli, perfino il suo bacio: nessuno aveva notato niente.

E allora decisi di tenermi quello che era successo solo per me. A Lisa e Charlotte raccontai tutte le sciocchezze che avevo visto e sentito, ma su Levin tacqui accuratamente. E così anche con la mamma. Avevo l’impressione, siccome mi era stato fatto il dono che quello che era successo dovesse rimanere solo per me, avevo il dovere di custodirlo gelosamente.

Stefan è stato il primo ragazzo che abbia ballato con me e il primo che mi abbia dato un bacio. È un ricordo così bello che ancora adesso non saprei come condividerlo senza che perda parte della sua bellezza.

***

 

Note al testo. Lo Stollen è un dolce natalizio tedesco che somiglia al nostro panettone, il Glühwein è il vin brûlé, che scorre a fiumi durante il periodo natalizio nei mercatini e nelle bancarelle dei paesi di lingua tedesca!

 

Note dell’autore. Marie Schneider è una sagoma. Fisicamente è la copia sputata di suo padre, come carattere però – rispetto agli Schneider standard, che sono introversi, orgogliosi, chiusi e tendono a prendere tutto troppo sul serio – a me è sempre sembrata più allegra, ottimista ed estroversa. Qui ha sedici anni e la troviamo in un’occasione poco piacevole in cui chiunque si è trovato almeno una volta nella vita. E meno male che c’era quel tesoruccio di Levin... il nostro adorabile "cavaliere del sole di mezzanotte"... Ultima cosa: Marie chiama sempre suo padre per nome ;-)

 
  
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