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Autore: AxXx    08/12/2013    3 recensioni
Vi era una città, un tempo bellissima, le cui torri erano alte come mai si sarebbe visto. L’oro, il marmo, l’argento erano i materiali degli edifici. Persino le case più semplici erano adornate. Le alte mura difendevano i palazzi, un tempo potenti. Ma ora tutto era distrutto. La città era attaccata, in alto, nel cielo, un enorme edificio, completamente in pietra nera, fluttuava sopra la città. Statue di uomini dall’aspetto deforme sorreggevano la struttura
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Per me non è solo un sogno. Per me è ciò che rappresenta il mio passato. Il mio spirito passato che un tempo combatté per difendere la terra quando ogni altra razza era stata abbattuta. Solo con un patto dei draghi aveva salvato ogni cosa e ora toccava a me e ai miei amici ricreare quel patto.
[Storia scritta a quattro mani da me e Fantasiiana, siate buoni, per favore, recensite :3 ]
Genere: Avventura, Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: nessuno
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                                                 Ciao! Ho un sacco di incubi e problemi
 


 
 
 
 
 
 
Vi era una stanza dalle rosse pareti adornate di finimenti aurei e dalle alte colonne dorate con nove troni anch’essi d’oro.
Uno più alto di tutto, posto più lontano, rispetto alla porta, gli altri posta in cerchio, in modo che tutti potessero vedersi. Ma essi erano vuoti; i loro occupanti non erano lì.
Vi era una città, un tempo bellissima, le cui torri erano alte come mai si sarebbe visto. L’oro, il marmo, l’argento erano i materiali degli edifici. Persino le case più semplici erano adornate. Le alte mura difendevano i palazzi, un tempo potenti. Ma ora tutto era distrutto. La città era attaccata, in alto, nel cielo, un enorme edificio, completamente in pietra nera, fluttuava sopra la città. Statue di uomini dall’aspetto deforme sorreggevano la struttura.
Enormi creatura, alte decine di metri, simili a insetti si calavano tra gli edifici in fiamme.
Il loro acido discioglieva ogni cosa, ma poi, un fulmine calò dal cielo. E un uomo in armatura dorata, alato, piombò dal cielo, abbattendo una creatura con un solo pugno. Altri suoi compagni lo raggiunsero. I loro corpi erano avvolti tutti da armature spesse, ognuna di colore diverso, con decorazioni argentee.
Quello Dorato, calato per primo, volò diretto verso l’edificio in pietra nera, abbattendo altre creature, mentre i suoi compagni le affrontavano in città. Il cielo si dibatteva, come se combattesse con se stesso. Le nuvole si addensavano, creando immensi palazzi che si disgregavano subito, per poi ricomporsi, tra fulmini e colonne di fuoco. Un’oscurità senza fine avvolgeva le due città sovrapposte, eppure ancora vi era una luce che ancora risplendeva.
Combatterono…
Combatterono…
Ancora e ancora combatterono per giorni, ma solo uno sopravvisse.
Tutti gli altri caddero, sconfitti e abbattuti, ma quello rosso si lanciò contro il palazzo fluttuante. Altri mostri calarono dall’alto, ma il guerriero rosso sprigionò una scarica di fuoco che li incenerì tutti in un istante.
Volò all’interno, un grande spazio sferico. Al centro esatto, una sfera di pura energia bianca fluttuava sostenuta da tre cristalli appuntiti. Il loro potere lo tratteneva, sospeso in una bolla di magia.
Poi una voce.
Una voce oscura, profonda, vecchia, piena di odio e risentimento.
“Come osi? I miseri umani non possono vincere… un Dio.” 
Una lama, un misterioso guerriero dal viso cereo piombò sul cavaliere alato.
 
 
 
 
“ALEX STONES!!!”
Mi sveglia di botto.
Merda che spavento mi ero preso.
Un altro di quei dannati sogni e la professoressa Morel non era la miglior sveglia del giorno. Mi guardai intorno: ero ancora sull’aereo, ma qualcosa non mi quadrava: perché eravamo così inclinati? Stavamo precipitando?
Il mio sguardo spaventato sollevò non poche risate, oltre che l’occhiataccia che mi rifilò la professoressa. La professoressa Morel, era la nostra professoressa di inglese, sui cinquant’anni, alta e magra con pochi capelli bianchi, i lineamenti duri e spigolosi e un volto un po’ quadrato che gli dava un aspetto vagamente androgino. Non capivo perché si dovesse sempre vestire di nero.  
“Signor Stones! Mentre lei dormiva l’aereo ha iniziato le manovre d’atterraggio! Vuole mettersi la cintura? O ha bisogno di aiuto?”
Io sbuffai, ignorando il suo sarcasmo, allacciandomi la cintura come richiedeva il messaggio ufficiale, controllando, nel frattempo, l’ora. Erano le ventuno e un quarto, praticamente saremo andati subito in hotel, il che un po’ mi dispiaceva, dato che ero tornato a casa. No, non sono scemo, io studio in svizzera, ma sono italo-americano
Ovviamente ero io a fare sempre la figura dell’idiota. In Svizzera o a New York, non aveva importanza. Per tutti ero l’idiota del gruppo, quello che doveva essere preso di mira tutti. Non avevo amici, solo conoscenti che mi rivolgevano la parola solo per copiare qualche appunto e per invitarmi a cena.
La mia vita sociale da diciassettenne era morta da tempo, ormai. L’unica cosa che mi permetteva di non scappare era la quantità di libri che leggevo. Troppo per poterli elencare tutti, ma tutti bellissimi. Al diavolo gli imbecilli che dicevano che a sedici anni non so poteva più leggere un fantasy. Col cavolo che li ascoltavo.

L’aereo sobbalzò un paio di volte sulla pista sussultando paurosamente e per un attimo, ebbi l’orrida visione di me stesso spiaccicato al suolo. No, non era per niente bello. Appena atterrati ci riunimmo nella Grande stazione centrale dell’aeroporto.
“Ok, ragazzi, siamo qui per una visita didattica, quindi non facciate stupidaggini. Chi di voi farà fare brutta figura all’istituto sarà bocciato all’istante ed espulso!” Ci avvertì la professoressa con lo sguardo penetrante di chi ti sta dicendo che sei un idiota.
Tutti annuirono, mettendosi ordinatamente in fila per poter uscire dall’aereo.
Ero in fila per riprendere il mio zaino, appena uscito dal nastro trasportatore, quando sentii una voce che mi fece venire la nausea al solo sentirla.
“Ehi, Stones! Dì, hai di nuovo sognato gli unicorni?” Mi chiese George Miller, uno degli idioti della mia classe che aveva deciso di prendermi di mira per tutto l’anno.
“Sta zitto, Miller, non rompere le scatole.” Risposi stizzito, incapace di non provare rabbia, mentre mi incamminavo dietro la fila.
La neve delle settimane prima del natale ricopriva le strade con il suo candido manto. Anche se preferivo i climi caldi non potei non ammirare la bellezza di quella vista. Persino le macchine erano poche e tutte piene di neve. Uno scintillio argenteo e bellissimo.
Usciti dall’aeroporto andammo alla metro per prendere un treno e raggiungere il nostro hotel in centro. Io rimanevo sempre in disparte. Non mi piaceva parlare, soprattutto perché non sapevo di cosa. Ero sempre stato così, preferivo stare lontano dai guai.
Non che non fossi simpatico, ma ero diverso. Non capivo perché, ma sentivo di non appartenere a quel luogo e a quelle persone. Una sensazione di vuoto e disagio che provavo sempre e comunque, indipendentemente dalle situazioni. Le lezioni mi annoiavano, non riuscivo mai a concentrarmi su una cosa senza che mi venissero in mente situazioni strane o anomale, che, per di più, non mi erano mai successe.
I professori avevano provato in ogni modo a rendermi più partecipe, ma nulla sembrava rendermi più attento e i miei voti peggioravano a vista d’occhio. Se non fosse stato per i soldi di mio padre, mi avrebbero già buttato fuori.
Poi c’era il mio secondo problema: non riuscivo a controllarmi.
Da sempre, da quando ero nato, non riuscivo a controllare le mie emozioni. I medici non avevano diagnosticato nulla e gli psicologi avevano cercato in ogni modo di farmi ‘guarire’, ma nulla sembrava funzionare. Ogni volta che mi arrabbiavo, diventavo furioso e iniziavo a urlare e colpire qualsiasi cosa mi capitasse a tiro. Se mi imbarazzavo, scappavo e mi rintanavo da qualche parte. Se ero triste non riuscivo a controllarmi, fino a piangere, anche per la cosa più stupida.
Alla fine avevo perso ogni amico e tutti mi consideravano un deficiente di prima categoria, ma a me andava bene così, dopotutto poteva andarmi anche peggio.
La metro era enorme e noi ci stringemmo parecchio per entrare, dopotutto eravamo venti, tutta la terza del college De la Rue con sede in Svizzera. Ma io ero completamente escluso dai loro discorsi. Sedevo in disparte, leggendo l’ultimo numero della saga a cui mi ero appassionato, disinteressato a tutto il resto.
Carla, e il suo gruppo di amiche stavano parlando degli abiti più alla moda e di ciò che avrebbero comprato una volta arrivate in centro. Gorge e i suoi amici, invece, erano immersi in una fitta conversazione sul calcio e su quale squadra avrebbe vinto gli europei quell’anno. Non sarei riuscito ad annoiarmi di più, se fossi stato con loro. Io avevo i miei interessi e li lasciavo stare. Perché cavolo, loro dovevano darmi fastidio per ciò che mi piaceva? Io non lo capivo e non l’avrei capito mai.
Mi odiavo, odiavo mio padre per avermi mandato in quel posto odioso e odiavo me stesso per non essermi ribellato. Lui lo faceva solo per tenermi lontano dalla mia matrigna che mi vedeva come lo scarafaggio nella sua bella cucina tirata a lucido. Ero l’ostacolo, l’orrido sporco che l dava fastidio nei suoi piani. Per questo era riuscita a convincere mio padre a mandarmi via, lontano, in modo che io non potessi ricordargli la mamma.
Mia mamma…
Morì cinque anni fa e a malapena ricordavo il suo volto. Si chiamava Claire e mi voleva bene. Non avrebbe mai lasciato che papà si indebolisse. Ma io l’avevo persa. Era morta in un incendio, mentre era a fare un escursione sulle Alpi e morì soffocata dal fumo. Un idiota aveva lasciato la sigaretta accesa vicino a delle foglie secche. Era estate ed eravamo in vacanza in Italia. Il vento e le foglie secche fecero il resto. In poco tempo interi ettari di foresta bruciarono e lei non riuscì a fuggire in tempo.
Ogni giorno la ricordavo.
 
 
 
 
 
 
 
Due creature volavano l’una contro l’altra. Erano umane, ma qualcosa le differenziava. Vi era il guerriero rosso che cavalcava il vento con ali forti di un metallo così duro ma, allo stesso tempo, così leggero che sembrava un panno di seta.
Vi era il suo avversario
Armato di una spada fiammeggiante volava agile su ali di energia impalpabili. I suoi argentei capelli erano come un mantello e i suoi occhi rossi erano illuminati da una scintilla di follia.

“Tu seguirai i tuoi fratelli  morirai per mano mia!” urlò questi, lanciandosi contro l’avversario.
Ogni colpo era come se si scontrassero masse enormi, creando onde d’aria che si dipanavano in tutte le direzioni, abbattendo tutto. Eppure i due continuavano imperterriti, ignari di tutto. Ogni cosa era morta, distrutta, devastata, eppure ancora due rimasugli di quel terribile conflitto combattevano in cielo, come due angeli che si contendono il dominio sul mondo.
Poi l’argenteo aprì la mano, piegando le dita ad artiglio e dalla sua mano si sprigionò un ondata di energia che si separò in otto proiettili letali.
Il cavaliere rosso fu lesto ad evitarli, volando in più direzioni, evitando ogni proiettile che andò a schiantarsi sulla roccia viva che componeva la struttura. Varie creme si formarono su di essa, mentre le esplosioni lasciavano profondi crateri.
Poi scomparve.
Per un attimo la volta fu avvolta dal silenzio e l’oscuro imperatore fu certo di aver vinto.
Ma poi, una lama calò su di lui.
 
 
 
Mi svegliai di nuovo di colpo. La metropolitana si era fermata.
Quel sogno si era fatto così insistente che non lo sopportavo. Non capivo come mai mi ricordassi ogni cosa alla perfezione. Non era normale e ormai mi capitava ogni volta che chiudevo gli occhi. Anche senza addormentarmi, certe volte, riuscivo a percepire il freddo metallo dell’armatura, il vento tra le ali e la luce del sole, mentre volavo tra le nuvole.
Ma era un sogno.
Un bellissimo sogno che solo negli ultimi tempi si era trasformato in un incubo ricorrente.
La luce aveva lasciato il posto all’oscurità, la pace alla guerra, la vita alla morte. Tutto quello che avevo visto nelle visioni precedenti era distrutto. Rimaneva solo l’ombra di quella grande struttura di pietra che fluttuava nel cielo, distruggendo una magnifica città dorata.
Sospirai per lo sconforto, mentre seguivo silenziosamente gli altri lungo le scale che portavano fuori dalla metropolitana. Nel centro esatto di New York: Time Square. La città era un esplosione di luci e colori. I palazzi si elevavano verso il cielo, torreggiando su di noi, mentre una folla di gente ci travolgeva. Fummo costretti a stringerci l’un l’altro per non essere trascinati via dalla folla di persone.
“Molto bene, ragazzi, ricordate che siamo qui per imparare. Passeremo la notte in un Hotel vicino, ma il giorno andremo alla Saint High School di New York. Il nostro è una scambio culturale tra due istituti, quindi comportatevi in maniera educata e nessuno verrà sospeso.” Ci avvertì un ultima volta la professoressa, mettendosi alla fila conducendoci lungo la strada principale.
Il nostro Hotel sarebbe dovuto distare dieci minuti di cammino, ma io non ci badai. Camminavo come un fantasma, dietro la fila, ignorando i loro discorsi. L’unica cosa che sentivo era il peso del mio zaino e le voci nella mia testa.
Ero anche un po’ triste. Mio padre era a pochi chilometri da me, ma non potevo andarlo a trovare. Sapevo come mi avrebbe accolto e dubitavo fortemente che mi avrebbe creduto, se gli avessi detto che l’istituto mi aveva portato qui volontariamente.
Ero talmente assorto nei miei pensieri che, per un attimo, persi di vista il resto del gruppo. Mi ritrovai da solo, in mezzo a quelle strade affollatissime e rimasi paralizzato per un attimo.
‘Calmati… devi mantenere la calma, dopotutto sei stato qui più volte, saprai sicuramente orientarti.’ Pensai, prendendo un profondo respiro per tranquillizzarmi.
Ma la mia calma durò poco. N bruciore lancinante mi trafisse il petto. Presi la collana con la gemma rossa. L’unica cosa che mi rimaneva di mia madre. Era un semplice pendente d’argento con una gemma rossa all’estremità. Di solito non lo faceva ma in quel momento una fioca luce rossa lo stava illuminando, come se ne fosse l’origine.
Sentii come un sussurro nella mente.
Un sussurro che mi diceva di scappare.
 
 
 
 
 
 
 
 
 

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Angolo dell’autore
Salve gente, eccomi di nuovo, ad assillarvi con un’altra storia. Una storia a 4 mani scritta con la mia sorellina/alter ego femminile/entità da me amata Fantasiiana. Ringrazio molto lei, come amica e come compagna. Spero che la storia vi piaccia, perché ci piace a entrambi, e vorremmo che voi la seguiste. Quindi mi fareste un grossiiiiissmo favore, se lasciaste una piccola recensione per noi. A presto.
AxXx e Fantasiiana.

 
  
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