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Autore: Giiuls9    09/12/2013    2 recensioni
Come mi avrebbero accolta?
Non chiamatemi cinica, fredda o arrogante ma, a me, poco importava. O almeno era quello che continuavo a ripetermi da quando avevo preso quella decisione con la conseguente domanda, che sorgeva da sé.
«Dovevo immaginare che prima o poi saresti tornata Eileen. Speravo poi. Non potevi aspettare un paio di giorni? Così mi sarei trasferito e mi sarei potuto risparmiare due frasette preparate.» mi dissi con un sorriso acido.
Genere: Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Pierre Bouvier
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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L'orgoglio è un difetto assai comune. Da tutto quello che ho letto, sono convinta che è assai frequente; che la natura umana vi è facilmente incline e che sono pochi quelli che tra noi non provano un certo compiacimento a proposito di qualche qualità - reale o immaginaria - che suppongono di possedere. Vanità e orgoglio sono ben diversi tra loro, anche se queste due parole vengono spesso usate nello stesso senso. Una persona può essere orgogliosa senza essere vana. L'orgoglio si riferisce soprattutto a quello che pensiamo di noi stessi; la vanità a ciò che vorremmo che gli altri pensassero di noi.
- Jane Austen

 
 

Avevo lasciato la mia casa a diciassette anni anche se, sarebbe meglio dire, scappata.
Una semplice lettera ad i miei genitori, lasciata sul tavolo della cucina, era l'ultimo ricordo di me in quel luogo.
Volevo viaggiare e vedere ogni angolo del mondo, da sola.
Probabilmente, fu quello il motivo che mi spinse a non dire niente a lui, il mio migliore amico di sempre.
Ero sicura che, se glie l'avessi detto, lui mi avrebbe seguito ed io non potevo certo permetterlo.
Aveva il suo sogno da seguire, non il mio.
Ora, dieci anni dopo, ero a pochi metri da casa, con uno zaino in spalla e un paio di scarpe consumate ai piedi.
Come mi avrebbero accolta?
Non chiamatemi cinica, fredda o arrogante ma, a me, poco importava. O almeno era quello che continuavo a ripetermi da quando avevo preso quella decisione con la conseguente domanda, che sorgeva da sé.
Imboccai la strada sulla quale si trovava la casa dei miei e, dato che si trovava a sole due case di me, non potei non notare casa sua, sempre che abitasse ancora con i suoi.
Decisi di attraversare la strada, in modo da passare accanto a quella casa. Le luci erano tutte spente quindi due erano le possibili realtà: o non ci abitava più nessuno o non c'era nessuno in casa.
In pratica niente che mi potesse dire se lui era ancora lì.
Avanzai per la via e mi trovai davanti a casa mia. La osservai per un po' poi, dopo aver fatto un respiro profondo, suonai il campanello stampandomi in faccia un sorriso.
Venne ad aprirmi mio padre, in dieci anni sempre più rughe avevano iniziato a solcare il suo viso. Il tempo non aveva risparmiato nemmeno lui.
«Eileen? Oh mio dio..» mi disse semplicemente.
Va bene, non che mi aspettassi una festa di benvenuto, ma lui rimaneva lì impalato a guardarmi come fossi un alieno.
«Si papà, sono io..» risposi titubante.
Senza avere la capacità di parlare mi fece entrare e mi indicò il salotto. Io davanti e lui dietro di me, in silenzio, andammo verso il salotto.
«Mamma è in casa?» domandai ad un certo punto del corridoio.
«Sì..» rispose lui semplicemente, ancora del tutto incredulo.
«Ciao!» urlai allora verso il salotto poco prima di varcarne la soglia.
Quattro teste si voltarono verso di me: mia madre, lui ed i suoi genitori. Ma, soprattutto, lui. Era lì, allora.
«Eileen..» riuscì a dire mia madre mentre si alzava per venirmi ad abbracciare.
«Nonostante io sia una figlia pessima, mi sei mancata mamma..» le sussurrai all'orecchio provocandole una lacrima, che lei prontamente asciugò.
Ci staccammo da quell'abbraccio e salutai gli altri ospiti mentre mia madre mi toglieva lo zaino.
Non potei resistere ulteriormente e guardai verso di lui.
Mascella serrata, pugni stretti, occhi chiusi e respiro accelerato, anche se pareva me ne fossi accorta solo io. Almeno finché si alzò dal divano e con un semplice «Scusate» uscì di casa.
Rimasi interdetta per qualche secondo, non potevo prendere in giro me stessa, la sua reazione era stata come uno schiaffo in faccia dopo un'offesa, dolorosa e meritata.
Sua madre mi fece segno di seguirlo e parlarci, e così feci.
Uscii di casa e lo trovai seduto sul marciapiede con lo sguardo fisso davanti a sé.
«Dovevo immaginare che prima o poi saresti tornata Eileen. Speravo poi. Non potevi aspettare un paio di giorni? Così mi sarei trasferito e mi sarei potuto risparmiare due frasette preparate.» mi dissi con un sorriso acido.
Solo il fatto che mi avesse chiamata Eileen e non solo Leen dimostrava che la rabbia, odio forse, nei miei confronti, in dieci anni, non era scemato.
«Pierre.. Hai perfettamente ragione.» risposi prendendomi, poi, qualche secondo «Ma non sono qui per chiedere niente. Non merito nulla, nemmeno che tu ora stia qui ad ascoltarmi.. Ma tu, in cuor tuo, sai che avevo ragione. Forse avrei potuto chiamarti una volta partita o comunque fartelo sapere da me, non dai tuoi genitori.» conclusi senza arrivare a niente.
Stavo semplicemente parlando senza un fine.
«Perché sei tornata?» mi chiese, ancora rabbioso, senza mostrare di aver ascoltato le miei parole.
«Me lo sono chiesta anche io. Perché sono voluta tornare? L'unica risposta che ho trovato è: perché no.. Fa molto film melodrammatico-romantico ma è così..» dissi con un sospiro.
«Ti ho odiata Leen per avermi lasciato qui da solo. E' stata dura all'inizio. Mi chiedevo dove fossi, cosa stessi facendo. Poi ho iniziato a chiedermi se tu fossi ancora viva, sai.»
«Ma scrivevo almeno una lettera all'anno ad i miei per fargli sapere che stavo bene. Non avrei potuto permettere che vivessero con questo peso..» risposi, sorpresa che non lo sapesse.
«Ah si? Devono aver pensato che fosse meglio per me non saperlo, i miei intendo. Figuriamoci se Cécile non l'ha detto a mia madre..»
«Hai portato a termine i tuoi obiettivi Pierre?» chiesi, sapendo che quella che sarebbe stata la nostra prima ed ultima conversazione dopo dieci anni.
«Si.. Ora se dici Pierre Bouvier c'è una buona probabilità che la gente sappia di chi stai parlando..» rispose lui con un sorriso.
Il sorriso di Pierre. Avevo la mia risposta alla domanda perché tornare.
«Sono molto felice per te Pierre.. Almeno tu hai concluso qualcosa nella vita..»
«Grazie Leen. Ora devo andare. Ho una valigia che deve ancora esser finita. Ero venuto apposta a salutare i tuoi..»
«Cambi città?» chiesi solo per prolungare anche di qualche secondo la conversazione.
«Cambio stato. Vado negli Stati Uniti. E' più comodo.. Ci vediamo, se dovessi tornare, sempre che tu sia ancora qui.. Ciao Leen.»
«Ciao Pierre.» risposi pretendendo un abbraccio che lui ricambiò.
Quel saluto aveva proprio l'aria di un addio, pensai mentre lui tornava a casa sua.





Ed un addio fu. Non vidi più Pierre Bouvier, se non in televisione per qualche intervista.
Io non lo cercai, lui non mi cercò.
Ma mi piace ancora credere, dopo tanti anni, che solo per orgoglio, io e Pierre non abbiamo avuto un lieto fine.

Il dolore causato, insieme, l'avremmo potuto superare ma l'orgoglio di entrambi, messo insieme, è peggio di una montagna che è impossibile scalare.

 
   
 
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