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Autore: Jonathan Ferrero    09/12/2013    0 recensioni
Questo breve racconto prende spunto dalla Saga dei Mezzi-draghi, e ha come protagonista Arion, il cupo e tenebroso eroe del libro: “Arion il mezzo-drago”.
Il romanzo originale è disponibile in formato e-book, in un unico manoscritto, oppure in tre singoli volumi:
1) L’Alba del Drago
2) Un Drago per l’impero
3) Il crepuscolo del drago
Per maggiori info relative all’autore ed alle sue altre opere:
http://jonathanferrero.blogspot.it
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Spoiler!
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§ 1
 
Quella volta, Arion fu davvero prossimo a perdere il controllo e tirar fuori il peggio di sé. Già normalmente mal tollerava il trafficare imbranato dei soldati nel montare le tende. Figurarsi nel mezzo di una tormenta di neve!
Ma se ciò non accadde, non fu grazie all’intervento di chissà quale divinità misericordiosa, e tanto meno al germogliare di un’improvvisa indulgenza paterna, verso figlioli alquanto negligenti.
Bensì, più banalmente, alla stanchezza.
Erano infatti parecchi giorni che, in capo ai suoi soldati, il terribile condottiero dal sangue di drago andava marciando tra ostili montagne. Nel tentativo di preparare degnamente la sua armata, in vista della pericolosa missione che gli era stata affibbiata. Ovvero, invadere l’impero degli elfi.
Armata, che andava detto, non dava molto da sperare. Visto e con-siderato che essa era composta essenzialmente da vagabondi e reietti, raccolti in fretta e furia dalla strada ed equipaggiati alla meno peggio. Perciò, l’unica cosa da fare era propinare a quegli sventurati un’abbondante dose di addestramento. Cosa che puntualmente Arion fece, e a cui egli stesso evitò di sottrarsi.
Per questo, ora si trovava tra impervi picchi e nel mezzo di una bufera, provato e desideroso soltanto di mettere qualcosa di caldo nello stomaco, e andarsene a dormire.
Così quando gli capitò tra le mani una scodella di zuppa, non fece neanche in tempo a finirla che era già al riparo della sua tenda.
Assai semplice e spoglia, come non sarebbe dovuta essere, visto e considerato che egli era il comandante di un esercito. Ma perfetta-mente in linea con il suo semplice modo di fare. E allora, bastò la semplice vista del morbido pagliericcio a rasserenarne l’umore.
Per una notte, avrebbe potuto fare a meno delle preoccupazioni dettate dalla guerra che aveva investito il piccolo regno, sotto le cui bandiere combatteva. E forse, gli sarebbe riuscito anche di tenere distanti i terribili incubi che venivano ad assillarlo proprio quando cadeva addormentato.
Così, sospirante, afferro i legacci della nera armatura ed iniziò a scioglierli.
Quando all’improvviso, Arion avvertì provenire dal di fuori della tenda, un qualcosa che mai avrebbe creduto possibile udire in quel posto desolato.
Ovvero, il pianto di un fanciullo.
 
§ 2
 
O forse, sarebbe più corretto dire appartenente ad una fanciulla. Perché la timbrica di quei lamenti tanto gli ricordava quella di una voce femminile. E decisamente…
“Stridula! Questa è la voce di un’elfa!” – esclamò sbucando all’aperto.
Arion si guardò intorno, giovandosi della fine della nevicata. E per davvero, non ci mise molto nel rimanere impietrito. Infatti, non solo aveva davanti a sé un’elfa intenta a stropicciarsi gli occhi gonfi di lacrime. Ma dell’accampamento dei suoi soldati, non ve n’era neanche l’ombra!
Di primo acchito, ritenne plausibile l’essere improvvisamente im-pazzito. Nulla di più strano infatti, che la spossatezza, unita la ten-sione ne avesse compromesso la sanità mentale. D’altro canto, però, avvertiva la persistenza di un barlume di ragione. E per questo fu più propenso nel credersi morto, chissà come, e in procinto di incamminarsi verso gli Abissi.
Ma ad interrompere il suo districarsi in stravaganti congetture, ci pensò la giovinetta, intenta a strattonarlo per la mantella reclamandone l’attenzione.
“Ehi, tu! Dico a te! Sei sveglio?”
“Io?”
“Si, tu!”
“Certo che lo sono!”
“Bene! Chi sei?”
“Come?”
“Ho detto, chi sei?”
“Io?”
“E chi altri?”
“Ah, giusto! Dunque...io sono…”
“Un drago? Sei forse un drago?”
Arion si grattò la testa pensieroso. Cosa avrebbe dovuto risponder-le? Egli era un figlio di quegli esseri sovrannaturali e meravigliosi. Più precisamente, metà umano, metà drago, e dai poteri parzialmente soggiogati da alcune rune magiche. Incapaci però di cancellare del tutto la presenza della sua eredità ultraterrena. Ovvero, una muscolatura eccezionale, due grandi occhi color rubino e un paio di zanne animalesche. Insomma, davvero il suo aspetto poteva dar alito alle più svariate fantasie. Per cui, si decise a rispondere:
“Una sorta…diciamo un mezzo-drago!”
“Quasi drago?”
“No. Ho detto mezzo-drago!
“Mh…non ne ho mai sentito parlare!”
“Neanche io, fino a poco tempo fa!”
L’elfa sorrise. Ora dai suoi occhietti obliqui non scendevano più le lacrime. E questo già di per sé piacque ad Arion, non più costretto a sorbire i suoi assordanti piagnistei. Un po’ meno, il sentirle chiedere:
“E sei uno schiavo?”
Stavolta Arion guardò il suo avambraccio. Su di esso vi era inciso un brutto tatuaggio. Fatto dagli elfi, i quali erano soliti ridurre in schiavitù tutti gli umani su cui riuscivano a mettervi le mani.
“Non più, grazie agli dei! – ribatté allora torvo – Tu, piuttosto…fai tante domande, senza neanche presentarti!”
“Oh, hai ragione! Io mi chiamo Lavoe!”
“E cosa ci fai qui, di grazia?”
“Certo aiuto!”
“Aiuto?”
“Si, aiuto! Sei forse sordo, messer quasi drago? Perché ripeti sem-pre quello che dico!”
Nell’udire una simile affermazione, per davvero Arion avrebbe voluto far presente alla fanciulla come ci si sarebbe dovuti comportare con uno sconosciuto a cui si stava rubando del tempo. E invero, era ad un passo dal lanciarsi in uno sproloquio, quando alla fine si convinse di essere nel bel mezzo di…
“Un sogno! – esclamò battendo le mani – Ma certo! E’ un sogno!”
“Beh…puoi anche vederla così! – rispose prontamente Lavoe – Ad ogni modo devo scusarmi, perché non ti ho ancora ringraziato per aver risposto al mio richiamo!”
 
§ 3
 
“Come sarebbe a dire richiamo?” – ribatté Arion inviperito.
“Che ti ho evocato nel mezzo di un sentiero magico!”
“Tu?”
“Certo!”
“Impossibile!”
“Non mi credi? Guarda che sono capace di questo ed altro!”
“Ma davvero?”
“Sicuro! Eccoti la prova!”
Con ciò la giovinetta tese una mano chiusa verso il guerriero dagli occhi rossi. E come egli vi ebbe avvicinato il viso, la aprì, liberan-do una ranocchia con le ali, che iniziò a salterellare e svolazzare da tutte le parti.
Ovviamente, preso in contropiede, Arion piantò un discreto salto. E ciò provocò le risa di scherno dell’elfa.
“Ma guarda! Un quasi drago che ha paura di un ranocchio volan-te!”
“Piantala! Non sei per nulla divertente!”
“Neanche tu! E nemmeno forte! Mi sa che ho fatto uno sbaglio nel rivolgermi a te!”
“Oh…quanto mi spiace averti deluso! Quindi, non essendo l’impavido guerriero che andavi cercando, potresti rispedirmi indietro al mio accampamento?”
Arion aveva esclamato quelle parole alquanto bruscamente. Egli infatti, iniziava a temere che tutto quello non fosse un surreale viaggio onirico. Bensì, un sortilegio.
E se c’era una cosa al mondo che Arion odiava, era la magia. Per-ché le sue esperienze con gli stregoni erano sempre state tragiche. Erano infatti stati loro a incatenarne i poteri draconici con le rune fatate, fino a renderlo un essere deforme e patetico. Condizioni, in cui aveva vissuto, finché non era intervenuto un drago in suo soc-corso. Ma questa era davvero un’altra storia che in quel momento non voleva rivangare.
Piuttosto, doveva individuare una via di uscita da quella situazio-ne che poco lo garbava, immaginando che la risposta di Lavoe non sarebbe stata delle più gradite.
“Non posso!”
“E perché?”
“Perché prima ho bisogno del tuo aiuto! Anche se non mi ispiri molta fiducia!”
“Come sarebbe a dire?”
“Sissignore! Se scappi davanti ad una rana, certamente non potrai affrontare l’oscuro Tessitore!”
“Chi dovrei affrontare, di grazia?”
“Il Tessitore!”
“E chi sarebbe mai?”
“Cosa, al massimo. E’ un demone dell’abisso!”
“Ah, ma certo! Un demone! E chi non lo conosce?”
“Non sto scherzando! Sei un grande ignorante, messer quasi drago il fifone!”
Con ciò, Arion ritenne di aver sopportato abbastanza. Oramai era definitivamente convinto di avere a che fare con una novella fattucchiera, che lo stava tenendo in ostaggio in un sentiero magico, e chissà con quali funeste intenzioni.
Così, piantate le mani sui fianchi, si erse in tutta la sua imponente figura, sovrastando quella più esile dell’elfa, ancor più scarna nella sua candida tunica.
E socchiusi gli occhi, ringhiò minaccioso come solo un essere so-vrannaturale poteva fare:
“Stammi bene a sentire, razza di servitrice di chissà quale malevole divinità! Sono stufo non solo di farmi prendere in giro, ma anche di giocare con te! Per cui…o mi rimandi indietro, o sogno o non sogno, ti prendo, ti impacchetto a dovere e ti rispedisco nell’Abisso da dove provieni!”
L’elfa guardò Arion in silenzio, del tutto incapace di ribattere. E invero, una volta che si accorse che l’altro poteva benissimo dar seguito alle sue minacce, si inginocchiò a terra ed iniziò nuovamente a singhiozzare. Cosa che non mosse di una virgola il tenebroso guerriero dagli occhi rossi.
E allora, tra un lamento e l’altro, all’elfa non restò che sospirare affranta:
“D’accordo. Spenderò le ultime energie che mi sono rimaste, per sciogliere questo incantesimo!”
 
§ 4
 
Con ciò, Lavoe si rialzò in piedi e invitò Arion a seguirlo. Cosa che il mezzo-drago fece alquanto guardingo e titubante. Tanto che infine, l’elfa sbottò:
“Cosa c’è adesso? Sei tu che mi hai chiesto di farti tornare indie-tro!”
“Appunto! – ribatté Arion scontroso – Non di farmi condurre a spasso per la vallata!”
“Quanto sei diffidente!”
“Vorrei vedere te al mio posto! Ad ogni modo, dove stiamo andando?”
“In un luogo dove posso aprirti un portale!”
“E qui non va bene?”
“No. Ho bisogno di un punto in cui il tuo mondo e questo sentiero magico si incrociano. Come nella tua tenda!”
Arion si grattò la testa un po’ confuso. Tuttavia non era per nulla intenzionato ad ammattire riguardo a quella storia. Gli premeva solo uscirne e al più presto. Tutt’al più, forse, avrebbe chiesto qualche lume ad Elbione, il potente mago di cui ne godeva l’amicizia. Assieme, a qualche consiglio affinché ciò non succedesse più. Perciò scrollò le spalle, chiuse la bocca e continuò a procedere dietro Lavoe.
Di colpo iniziò a nevicare, e ovviamente la cosa lo incupì ulterior-mente. Alchè, Arion invitò l’elfa ad allungare il passo, e solo allora si accorse che ella era madida di sudore e con il fiato corto.
“Tu hai la febbre!” – le disse mettendole una mano sulla spalla.
“Anche…anche fosse, ti interessa?”
“In parte. Devi farmi uscire da qui, ricordi?”
“E lo farò, stanne certo…ecco, dentro quella grotta!”
Lavoe aveva indicato una fenditura nella roccia, in cui Arion non perse tempo a fiondarsi dentro. Era bagnato fradicio, e mentre aspettava la fanciulla, provò a scrollarsi la neve di dosso.
“Vuoi fermarti un attimo?” – esclamò una volta che Lavoe l’ebbe raggiunto.
“No…non importa. – ribatté l’elfa accendendo una fiammella sulla mano – Andiamo!”
“Non ho bisogno di torce.”
“Ma io si!”
Così, i due si incamminarono per quel labirinto di cunicoli intrisi di aria fetida e gelida. Tanto che Arion si strinse ancor di più nella mantella, non invidiando per nulla Lavoe, chiaramente in dif-ficoltà dalla febbre.
Infatti, proseguiva appoggiandosi alle pareti umide della caverna, e spesso incespicava nei passi, incapace di sollevare i piedi da terra. Sicché, ad un certo punto Arion sbuffò contrariato. E fermato il passo, disse:
“Qui c’è poco da fare!”
Allora, con una mossa repentina, Arion si caricò Lavoe sulle spal-le. E con un tono che non ammetteva repliche, sentenziò:
“Avanti, mi dirai tu che strada seguire.”
“Va bene! – sospirò l’altra – Ad ogni modo ti ringrazio…non sei quindi, solo un quasi drago scorbutico.”
“Mezzo-drago, non quasi drago. E non scambiare questa cortesia con un gesto di affetto.”
“Oh, no di certo! Senti…non mi hai ancora detto il tuo nome…”
“E’ importante?”
“Mi farebbe piacere conoscerlo…”
“Mi chiamo Arion.”
“E’ un….bel nome…”
Arion rispose con una smorfia, che Lavoe non poté cogliere. Egli, di suo, era allergico ai complimenti. E ancor meno, se essi provenivano da un elfo. Popolo che aveva imparato a sue spese essere particolarmente propenso alla crudeltà, al sopruso e soprattutto all’inganno.
Oltremodo, il peso di quella giovinetta gli suonava stranamente troppo leggero. E la cosa lo mise all’erta. Anche se, a dire il vero, fu un certo improvviso formicolio a renderlo ancor più guardingo.
Il condotto terminava in una cavità di grandi dimensioni. E da es-so Arion avvertiva provenire un qualcosa di…
“Magico! Cosa diamine c’è la dentro?” – sibilò a bassa voce.
“Oh…sei in grado di percepirlo?”
“Si. E’ nei miei poteri avvertire l’arcano.”
“Davvero notevole! E sei in grado anche di…volare e sputare fiamme?”
“Ovvio che no! Ad ogni modo, non stiamo parlando di me. Stiamo parlando dell’abitante di quella caverna!”
L’elfa diede da intendere di voler scendere dalle spalle del mezzo-drago.
E posato il piede a terra, soffiò infine preoccupata:
“A già…il padrone di casa…”
Con ciò, Arion avvertì alcuni passi, sottili ma allo stesso tempo sordi nei rimbombi. E se già quello gli piaceva poco, ancor meno fu il sentire l’altra esclamare:
“Arion, ho il piacere di presentarti…l’oscuro Tessitore!”
 
§ 5
 
Il mezzo-drago non ebbe modo di far presente all’elfa cosa pensasse di lei, della sua razza e di quell’impero che stava per andare a invadere, perché fu troppo impegnato nell’evitare una zampata di un enorme…
“Ragno!” – esclamò facendo un lungo balzo all’indietro.
Dinanzi a lui stava effettivamente uno spaventoso aracnide, dalle lunghe zampe e la grande testa coronata da un’infinità di occhi. Era davvero un orrore vivente, la cui vista da sola era capace di far cedere le gambe al più temerario dei guerrieri.
E invero, anche Arion era ad un passo dall’iniziare a correre in preda al panico. Non fosse che in lui, albergava anche una parte irrazionale e incontrollabile. E soprattutto propensa a cedere a certe lusinghe, che presero ad insinuarsi nella sua mente.
“Finalmente! Un degno avversario! Forza, drago…impugnami!”
Allora, ringhiando bestialmente, Arion sguainò la grande spada che portava appesa alla vita.
Essa era un oggetto di notevoli dimensioni, di colore nero e bizzarramente incapace di riflettere la luce. Una degna arma, tenebrosa e affilata, per un guerriero dalla forza sovrumana. E il coraggio radente alla pazzia.
“Avanti, orrore ambulante! – urlò infine lanciandosi all’attacco – Fammi vedere quel che vali!”
Il mostro certo non aveva bisogno di alcun incoraggiamento e al-lungò due zampe nel tentativo di afferrare il mezzo-drago, abile però nello schivarle e raggiungere il corpo del ragno, aprendogli uno squarcio con un terribile fendente.
La cosa ebbe come effetto di fare infuriare il Tessitore, che con un fulmineo attacco colpì Arion, facendolo ruzzolare a terra. Allora, si alzò poggiando sulle zampe posteriori e dalla bocca sputò un getto del suo mortale veleno. Che però, il mezzo-drago evitò con un balzo, sfruttato come spinta per rifarsi avanti.
Questa volta però passò radente a terra, e con un colpo magistrale tranciò un paio di zampe del mostro che franò su di un fianco. Arion pensò allora di approfittare della situazione per infliggergli il colpo di grazia, e si avvicinò abbassando la guardia.

E sottovalutando le capacità del demone, rapido nel girare la testa di scatto e travolgerlo con un filamento di bava appiccicosa e bol-lente.
Arion piantò un urlo, immobilizzato e ferito da quel liquido che andava solidificandosi. Cosa che fece ridacchiare, se mai era possibile, il Tessitore, incespicante nell’avvicinarsi, ma chiaramente intenzionato a porre fine al combattimento.
A cui invero, Arion parve essere più propensa Lavoe, intenta com’era a recitare una formula che tanto gli sapeva di un qualcosa che lo avrebbe polverizzato.
“Dannata strega! – urlò in preda all’ira – Mi hai attirato qui per farmi fuori, non è vero?”
L’elfa non gli badò minimamente. E terminata la litania, tese le sue mani verso il cielo e spalancò gli occhi.
Arion si strinse nelle spalle, aspettandosi di finire incenerito. Quando infine, si accorse che il destinatario delle attenzione della maga non era lui, bensì il ragno. Che in un istante si trovò investito da una frana improvvisa.
Allora, con un colpo di spada, il mezzo-drago tranciò via i filamenti di bava che lo immobilizzavano. E con uno scatto felino, si avvicinò al suo muso e gli piantò la propria tenebrosa lama nel capo.
L’agitare nervoso delle zampe del ragno, trafitto da un artefatto intriso di un potere che lo stesso detentore ignorava, travolse involontariamente il mezzo-drago.
Che in tutta onestà volse un breve pensiero di ringraziamento ai fabbri che avevano forgiato la sua robusta armatura. Assieme ad una esclamazione di stupore nel vedere il mostro dissolversi in una nuvola di fumo.
Lasciando cadere fragorosamente a terra, la tenebrosa spada.
 
§ 6
 
“Ti devo ringraziare!” – disse Arion rivolto all’elfa, rimettendo via la sua arma – Anche se dubito che sia un caso l’esserci im-battuti in quel mostro. O sbaglio?”
“In parte…  – rispose lei incamminandosi – Non ti ho mentito quando ti ho detto che qui avrei potuto aprire un portale. Anche se…”
L’elfa aveva interrotto la frase volutamente, poiché voleva che Arion potesse dare un occhiata ove si trovavano in quel momento.
Ovvero, nel mezzo di un grotta interamente occupata da ossa e bozzoli appesi alle pareti. Faceva davvero impressione, tanto che il mezzo-drago esclamò sbalordito:
“Per gli dei! Davvero un posto degno di un demone dell’abisso!”
“E per fortuna, non dei più forti.” – ribatté l’altra.
Arion avrebbe voluto dirgli cosa pensava riguardo a quel mostro contro cui aveva combattuto fino a pochi attimi prima, ma in quel momento si accorse che l’elfa stava semplicemente scomparendo.
Allora, intuì cosa avrebbe dovuto fare. E senza alcun indugio esclamò:
“Avanti, dove sei intrappolata?”
“Complimenti! – sibilò l’altra avvicinandosi ad un bozzolo – Oltreché un gran guerriero, hai anche un certo acume!”
“Non sono esperto di magie…ma so riconoscere un’anima da un corpo!”
Con ciò, Arion aprì il bozzolo con la sua grande spada, e afferrò al volo il corpo che avvertì franargli addosso.
Quello di una giovane elfa dagli occhietti pesti e i lunghi capelli biondi. Che lo abbracciò e lo strinse forte singhiozzando.
“Coraggio! – disse Arion aiutandola a riassestarsi – Sei viva e ve-geta! Ora però dovresti darmi una spiegazione!”
“Certo! Non posso negare che tu non te la sia guadagnata! – escla-mò Lavoe strappandosi di dosso i filamenti di bava del mostro – Dunque…stavo effettuando alcuni esperimenti di evocazione. E…”
“E la cosa ti è forse sfuggita di mano?”
“Si! Pensavo di essere in grado di controllare un oscuro Tessitore. Quando invece, è stato lui a…controllare me!”
“Impacchettandoti a dovere!”
“E pregustandosi il momento in cui…avrebbe banchettato con la mia anima. Così, l’unico modo che ho trovato congeniale per scamparla, è stato…allontanarla dal mio corpo!”
“Notevole! Non sapevo fosse possibile!”
“Per un breve periodo di tempo, e con la dovuta perizia, si riesce!”
“Mh…e poi?”
“Allora, ho preso a girovagare disperata per queste lande in cerca di aiuto, quando mi sono imbattuta in te! O meglio…nella tua spa-da!”
“Questa?” – esclamò Arion appoggiando una mano sull’elsa della propria arma.
“Si. Fin dal primo momento ho capito che avrebbe fatto al caso mio…caspita, un frammento di Letya in terra!”
“Di chi?”
“Di Letya! La luna tenebrosa! Mai sentito parlarne?”
Quel nome diceva nulla ad Arion. Ma francamente era fin troppo stufo di magie e farneticazioni con cui era aveva grandi difficoltà nel districarsi. Perciò si risolse a rispondere:
“Spiacente, non la conosco, e neanche mi interessa. Ora gradirei solo tornarmene tra i miei uomini! E’ troppo, forse?”
Nell’udir quelle parole l’elfa rise divertita. E tracciando due segni con le mani nell’aria, disse:
“No, non è troppo. Anzi, è il minimo che possa fare! Ti sarò sem-pre debitrice, Arion. E credimi…non tutti gli elfi sono esseri spre-gevoli o tirannici…abbi cura di te, figlio dei draghi!”
Arion non ebbe modo di replicare all’elfa, poiché in un battito di ciglio si accorse di essere solo.
E nel mezzo della sua tenda.
 
§ 7
 
“Per gli dei!” – sibilò il mezzo-drago sorpreso di essere nuovamente tra i suoi modesti alloggi.
Un po’ ingenuamente, si toccò per sincerarsi di essere sveglio, e titubante spostò un lembo della tenda.
Al di fuori un bel sole era intento a scacciare non solo le due bisbetiche lune, Chiora la candida e Mude la Rossa, ma anche le nuvole che fino a poco tempo prima non si erano risparmiate nel rovesciare una valanga di neve.
Incespicò un paio di passi, e si ritrovò piacevolmente circondato da una moltitudine di tende. Da cui, infreddoliti e mezzo assonnati, erano intenti a sbucare i suoi soldati.
Alcuni di questi erano invece già vispi e intenti a strillare ordini. E invero, forse, avrebbe dovuto farlo anche lui. Anche se, in quel momento, non gli spiacque per nulla il godersi quella vista, co-sì…terribilmente terrena!
Come la voce indisponente di un soldato, con un occhio coperto da una benda e l’aria dispettosa.
“Arion! Ben alzato! Anche se…forse dovrei dirti, bentornato nel mondo dei vivi!”
“E perché mai, Nero?”
“Hai la faccia di chi proviene dagli Abissi!”
Con ciò, il mezzo-drago, si guardò il corpo. I segni della lotta con-tro il mostro stavano lentamente scomparendo, sebbene fossero la prova inconfutabile di non aver fatto solo un sogno.
E allora, sogghignando all’amico, rispose:
“Oh, sicuro! E la prossima volta, devo ricordarmi di portarti con me! C’è da divertirsi un fracco!”
“Fossi matto! – replicò l’altro – A me basta e avanza quel postac-cio dove hai intenzione di condurmi adesso!”
“L’impero degli elfi?”
“Sissignore!”
“Sei il solito pessimista! Vedrai…oltre quei monti troveremo ban-chetti di prim’ordine e fanciulle prosperose!”
“Come no! Magari però adesso punterei a mettere qualcosa sotto i denti! Vieni anche tu?”
“Tra poco, amico mio! Inizia pure ad andare!”
“Va bene!”
Con ciò, Nero sparì dalla vista di Arion. Il quale, indugiò nel girarsi ancora attorno. Finché infine non scorse su di una parete rocciosa l’antro di una grotta.
Sorrise, pensando dove mai potesse essere in quel momento quella buffa fattucchiera, che tutto sommato non gli era poi così antipati-ca.
Anzi. A dirla tutta, aveva solo un difetto.
Quello di appartenere ad un nemico contro cui avrebbe combattuto con tutta la caparbietà e la determinazione cui era capace.
E di questo, francamente, non ne vedeva l’ora.

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