«396.
Johanna never really slept when she was
in
the Capitol. She used to lay awake with her
ear
pressed to the wall separating her and Peeta,
and
she could hear him mumbling Katniss' name.»
{The Dandelion in the Spring, Tumblr}
Le
scariche elettriche sembrano farsi ogni volta più potenti.
Più
letali.
A
contatto con le luccicanti gocce d'acqua che ancora le imperlano la
pelle bianca, Johanna prega che la prossima scossa sia finalmente
l'ultima.
Ma
non è così. Neanche stavolta.
Non
saranno mai tanto clementi con una che ha osato rifiutarsi di
prestare i suoi servigi a Capitol City come ringraziamento per i
premi ricevuti grazie alla vittoria degli Hunger Games, una che ha
sfidato le forze governative durante la Terza Edizione della Memoria,
mettendole in ridicolo in diretta nazionale. Snow non può
tollerare
una così sfacciata mancanza di rispetto. Così
Johanna viene punita.
In nome della sua affiliazione con i ribelli che stanno
tentando di rovesciare Capitol City. Ma, soprattutto, in nome di
qualcosa di cui nessuno, all'infuori di Coriolanus
Snow e
Johanna Mason, sfrontata vincitrice, è a conoscenza.
Due
Pacificatori la strattonano rudemente, serrando con violenza le mani
attorno alle sue braccia scheletriche e trascinandola fuori dalla sala
principale ribattezzata da lei stessa “stanza delle
torture”. I
suoi occhi scuri captano alcuni degli altri vincitori o prigionieri
in lontananza, mentre vengono riportati ognuno alle propria cella;
Annie Cresta sembra aver perso i sensi ed Effie Trinket zampetta
instabilmente dietro un paio di uomini in divisa bianca, lo sguardo
assente e la parrucca dorata tutta storta sulla testa. Ma è
la vista
di Enobaria, che a parte qualche chilo in meno sembra essere in
perfetta salute, a far saltare i nervi a Johanna, ancora piuttosto
cosciente malgrado le recenti sevizie. Distretto 2,
si dice,
digrignando i denti. Traditori figli di puttana.
Poi Enobaria
scompare dietro un portone, e viene fatto entrare un giovane mezzo
svenuto il cui volto è coperto di botte violacee e
sanguinolente,
assolutamente fresche d'esecuzione.
Johanna
è perplessa. Appena poche ore prima non era ridotto
così male.
Appena poche ore prima, quando stava per essere sottoposta a una
nuova scarica di elettroshock, Peeta era comparso sugli enormi
televisori posti in ciascuna parete della stanza delle torture.
Vestito di tutto punto, il volto pulito e truccato, si era fatto
intervistare da Caesar Flickerman a proposito dell'avanzata degli
insorti. Johanna, messa a friggere nella sua vasca colma d'acqua in
attesa della prossima ondata di elettricità, le membra ed il
capo
rasato rossi per le ustioni, gli occhi vitrei, aveva improvvisamente
alzato gli occhi verso una delle tv, lottando contro sé
stessa per
riuscire ad ascoltare tutta l'intervista.
Ed
ecco che la verità le si dipana davanti agli occhi, ora. Una
frase
di troppo è costata a Peeta tutte quelle percosse. E Johanna
ha la
sensazione che non sia finita qui.
Gli
occhi azzurri del ragazzo vagano senza meta in giro per la sala, ma
sembrano appannati, poi viene legato a delle cinghie di metallo,
sbattuto sopra un tavolo di legno con violenza. Il sangue delle
ferite schizza il pavimento.
Una
ciclopica porta viene fatta sbattere alle spalle inermi di Johanna.
L'ultima cosa che i suoi occhi riescono a mettere a fuoco è
la sua
sudicia cella, le robuste spranghe di ferro installate sull'unica,
minuscola finestrella. Potrebbe giurare di aver udito un urlo
disumano giungere proprio dalla sala che ha appena lasciato, ma poi
l'oblio giunge all'improvviso, inibendole i sensi.
Quando
riapre le palpebre, il pidocchioso giaciglio che dovrebbe servirle da
letto emette uno squittio. Un ratto sgattaiola in giro per la cella
fino a che non decide che è meglio levare le tende,
infilandosi
sotto le sbarre e scomparendo per sempre alla sua vista. Johanna non
ha ancora mosso un muscolo, e si ripromette di non perdere mai
più i
sensi per così tanto tempo. Cerca di mettersi seduta contro
il muro
scrostato, combattendo contro le acute fitte di dolore che la
perforano da parte a parte a ogni singolo movimento. Sa di avere poco
tempo. Un nuovo giorno è iniziato.
Un
altro urlo squarcia il silenzio, penetrando a fondo dentro la sua
anima. Immagini sconclusionate di una serie di volti si susseguono
velocemente sulla sua retina, impedendole qualsiasi pensiero
razionale. Johanna affonda i denti nella carne, stringendo fino a
sentire il sapore metallico del suo stesso sangue inondarle le
gengive. Poi la serie di immagine termina, e la porta della cella
viene spalancata violentemente da un possente uomo in uniforme
bianca. Un Pacificatore.
Ecco,
Johanna, la pacchia è finita.
Oggi
l'elettroshock deve aver raggiunto un voltaggio mai visto prima.
Johanna sente il corpo tendersi in incontrollati spasmi, un urlo
strozzato le rimane impigliato in gola mentre cerca di non
arrendersi, di non far smettere di battere il suo cuore.
― A
quanto pare il messaggio non è stato recepito, ragazza.
La
voce arriva come un'eco smorzata, poi si sente immergere nuovamente
nell'acqua gelida fino alla fronte, e immediatamente dopo la scarica
elettrica la manda a fuoco. Letteralmente. Johanna stavolta strilla a
pieni polmoni, un misto di grida di dolore e di bestemmie, mentre i
nervi prendono fuoco. Alcuni Pacificatori scoppiano a ridere,
implacabili, lasciandola cadere di nuovo nell'acqua della vasca
sottostante in un turbinio di lacrime e carne bruciata e sangue. La
ghiacciata superficie impatta contro il suo volto prima che se ne
renda conto, poi Johanna torna nel suo mondo obliato. Ma è
solo un
istante. Peeta lancia un urlo belluino – identico a
quelli che
ha sentito durante la notte – e Johanna sgrana gli
occhi.
È
questo l'inferno?
Di
nuovo la cella. Di nuovo le urla. Di nuovo quella sensazione di
terribile intorpidimento, i sensi inibiti dal dolore. Di nuovo l'onda
dei suoi incubi che la travolge, affogandola. Johanna si trascina a
fatica contro la parete che collega la sua cella a qualcosa –
ma
non sa cosa ci sia al di là.
Nel
silenzio della notte, Johanna non si rende conto dei singhiozzi che
fuoriescono dalla sua trachea, smorzati da gemiti di dolore
involontari. Scorge appena le piaghe che le decorano la pelle, carne
viva marchiata a fuoco. Finirà mai? Forse no. Ma Johanna non
ha
niente da perdere. Niente che la spinga a voler sopravvivere. Niente
che stia attendendo impazientemente il suo ritorno, piangendo
disperatamente la sua assenza. Niente. Non ha niente. Solo un grande
vuoto, un grande odio per quell'uomo dal fiato di serpente.
Quell'uomo che ha posto continuamente fine alla sua vita, senza mai
ucciderla veramente.
L'arena.
I tributi riversi sulla schiena. L'ascia che fende l'aria con un
sibilo che promette morte. Rotella e Lampadina. Il sangue che
impregna ogni centimetro del suo essere. Le rassicuranti parole di
Finnick. Che non rivedrà mai più. Il canto
straziante delle
ghiandaie chiacchierone, che per lei non hanno cantato mai un bel
niente. Perché è sola.
Gli
ultimi singhiozzi, le ultime urla strozzate si dissolvono nell'aria
mefitica di quel luogo da incubo, lasciando spazio ad un silenzio
innaturale. Johanna si libera della zuppa ammuffita che le hanno
rifilato appena poche ore prima, riversandosi sul suo stesso vomito
con la testa schiacciata tra il muro e qualcos'altro. Forse una sua
gamba. O un topo. Poi sente qualcosa. Un suono estraneo, un fievole
sussurro. Proviene da destra. Da dietro il muro contro cui si
è
abbandonata.
Johanna
si costringe ad accostare un orecchio alla parete di pietra lercia;
ascolta con attenzione quei singulti soffocati. Le palpebre
minacciano di cederle, e con uno strattone e una maldestra botta al
capo dovuta al lesto movimento Johanna si riscuote dal torpore in cui
ha quasi rischiato di cadere. E di nuovo, si mette in ascolto.
È una
voce familiare.
― Katniss.
Sempre.
Johanna
s'irrigidisce, ma non si muove di un centimetro.
―
Katniss.
Sempre. Katniss. Sempre. ― Come
una ninnananna, Peeta continua
a strascicare quelle due uniche parole, che pian piano si fanno
sempre più inudibili. Poi il silenzio. Poi un grido prorompe
dalla
cella a destra di Johanna, che sobbalza e sbatte di nuovo contro il
muro. ―
Sempre... sempre. Katniss. Sempre. ―
Altre
urla. Poi più
niente.
Johanna
stramazza sul giaciglio impregnato di vomito e polvere e sangue che
si è sempre rifiutata di utilizzare alla stregua di lettiga,
la
testa pulsante e una sensazione di pesantezza all'altezza del cuore.
― Katniss.
Sempre ―
bisbiglia, portandosi una mano tremante all'addome. Poi la
rabbia divampa.
Come
può, Peeta... come può Peeta non
essersi ancora arreso? Johanna
sa che quello che gli stanno facendo è con ogni
probabilità
peggiore delle torture che vengono inflitte al resto dei prigionieri.
Lo sente, da come adesso urla con quanto fiato ha in gola, le lacrime
che attutiscono un po' la sua voce disperata, mentre qualcosa
sta cercando di strapparlo da sé stesso. Però
Johanna non capisce.
Non può farlo.
I
giorni passano, e Peeta e Johanna convivono l'uno con le grida
dell'altra, imparando a riconoscerle, familiarizzando con esse. Peeta
strilla, e poi mormora quelle due parole. E lo fa ogni notte, dopo
che quella cosa ha tentato di distruggerlo, di
spezzarlo
irrecuperabilmente in mille pezzi. Ma Peeta resta forte. Non si
arrende, come è sul punto di fare Johanna. Crede ancora
nell'amore.
Resiste.
Poi
l'entità delle sue parole bisbigliate
nell'oscurità cambia. Sono
sempre le stesse, ma il tono è diverso. Johanna non capisce
come
riesca a percepirlo, ma quel “Katniss. Sempre”
ha assunto
qualcosa di terribilmente spaventoso. Peeta le sussurra nel sonno,
incosciente, mentre la mente di Johanna lavora frenetica. Cosa gli
stanno facendo?
Peeta
ha appena tentato di strangolare Katniss.
Johanna
dorme, finalmente.
Dorme,
e sente ancora quei sussurri. Ma sono orribilmente modificati. Poi si
risveglia, in preda al panico. E si assopisce di nuovo. Poi si
risveglia.
―
Katniss.
Uccidere.
Presumo che la mia prossima mossa sarà analizzare la pazzia di Annie, o il rapporto tra Finnick e Katniss, che pure ho amato alla follia. O magari mi concentrerò interamente su Peeta e sul depistaggio. Non so. Qualcosa scriverò. Questo è sicuro.
Sarò contenta se mi farete sapere cosa ne pensate, davvero :'3
Bacii, Lilies