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Autore: Lilies    09/12/2013    11 recensioni
“Io conosco benissimo le sue urla e lui le mie.”
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Annie Cresta, Effie Trinket, Enobaria, Johanna Mason, Peeta Mellark
Note: Missing Moments | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!, Violenza
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«396. Johanna never really slept when she was
in the Capitol. She used to lay awake with her
ear pressed to the wall separating her and Peeta,
and she could hear him mumbling Katniss' name.»

{The Dandelion in the Spring, Tumblr}




Le scariche elettriche sembrano farsi ogni volta più potenti. Più letali.
A contatto con le luccicanti gocce d'acqua che ancora le imperlano la pelle bianca, Johanna prega che la prossima scossa sia finalmente l'ultima.
Ma non è così. Neanche stavolta.
Non saranno mai tanto clementi con una che ha osato rifiutarsi di prestare i suoi servigi a Capitol City come ringraziamento per i premi ricevuti grazie alla vittoria degli Hunger Games, una che ha sfidato le forze governative durante la Terza Edizione della Memoria, mettendole in ridicolo in diretta nazionale. Snow non può tollerare una così sfacciata mancanza di rispetto. Così Johanna viene punita. In nome della sua affiliazione con i ribelli che stanno tentando di rovesciare Capitol City. Ma, soprattutto, in nome di qualcosa di cui nessuno, all'infuori di Coriolanus Snow e Johanna Mason, sfrontata vincitrice, è a conoscenza.
Due Pacificatori la strattonano rudemente, serrando con violenza le mani attorno alle sue braccia scheletriche e trascinandola fuori dalla sala principale ribattezzata da lei stessa “stanza delle torture”. I suoi occhi scuri captano alcuni degli altri vincitori o prigionieri in lontananza, mentre vengono riportati ognuno alle propria cella; Annie Cresta sembra aver perso i sensi ed Effie Trinket zampetta instabilmente dietro un paio di uomini in divisa bianca, lo sguardo assente e la parrucca dorata tutta storta sulla testa. Ma è la vista di Enobaria, che a parte qualche chilo in meno sembra essere in perfetta salute, a far saltare i nervi a Johanna, ancora piuttosto cosciente malgrado le recenti sevizie. Distretto 2, si dice, digrignando i denti. Traditori figli di puttana. Poi Enobaria scompare dietro un portone, e viene fatto entrare un giovane mezzo svenuto il cui volto è coperto di botte violacee e sanguinolente, assolutamente fresche d'esecuzione.
Johanna è perplessa. Appena poche ore prima non era ridotto così male. Appena poche ore prima, quando stava per essere sottoposta a una nuova scarica di elettroshock, Peeta era comparso sugli enormi televisori posti in ciascuna parete della stanza delle torture. Vestito di tutto punto, il volto pulito e truccato, si era fatto intervistare da Caesar Flickerman a proposito dell'avanzata degli insorti. Johanna, messa a friggere nella sua vasca colma d'acqua in attesa della prossima ondata di elettricità, le membra ed il capo rasato rossi per le ustioni, gli occhi vitrei, aveva improvvisamente alzato gli occhi verso una delle tv, lottando contro sé stessa per riuscire ad ascoltare tutta l'intervista.
Ed ecco che la verità le si dipana davanti agli occhi, ora. Una frase di troppo è costata a Peeta tutte quelle percosse. E Johanna ha la sensazione che non sia finita qui.
Gli occhi azzurri del ragazzo vagano senza meta in giro per la sala, ma sembrano appannati, poi viene legato a delle cinghie di metallo, sbattuto sopra un tavolo di legno con violenza. Il sangue delle ferite schizza il pavimento.
Una ciclopica porta viene fatta sbattere alle spalle inermi di Johanna. L'ultima cosa che i suoi occhi riescono a mettere a fuoco è la sua sudicia cella, le robuste spranghe di ferro installate sull'unica, minuscola finestrella. Potrebbe giurare di aver udito un urlo disumano giungere proprio dalla sala che ha appena lasciato, ma poi l'oblio giunge all'improvviso, inibendole i sensi.


Quando riapre le palpebre, il pidocchioso giaciglio che dovrebbe servirle da letto emette uno squittio. Un ratto sgattaiola in giro per la cella fino a che non decide che è meglio levare le tende, infilandosi sotto le sbarre e scomparendo per sempre alla sua vista. Johanna non ha ancora mosso un muscolo, e si ripromette di non perdere mai più i sensi per così tanto tempo. Cerca di mettersi seduta contro il muro scrostato, combattendo contro le acute fitte di dolore che la perforano da parte a parte a ogni singolo movimento. Sa di avere poco tempo. Un nuovo giorno è iniziato.
Un altro urlo squarcia il silenzio, penetrando a fondo dentro la sua anima. Immagini sconclusionate di una serie di volti si susseguono velocemente sulla sua retina, impedendole qualsiasi pensiero razionale. Johanna affonda i denti nella carne, stringendo fino a sentire il sapore metallico del suo stesso sangue inondarle le gengive. Poi la serie di immagine termina, e la porta della cella viene spalancata violentemente da un possente uomo in uniforme bianca. Un Pacificatore.
Ecco, Johanna, la pacchia è finita.


Oggi l'elettroshock deve aver raggiunto un voltaggio mai visto prima. Johanna sente il corpo tendersi in incontrollati spasmi, un urlo strozzato le rimane impigliato in gola mentre cerca di non arrendersi, di non far smettere di battere il suo cuore.
A quanto pare il messaggio non è stato recepito, ragazza.
La voce arriva come un'eco smorzata, poi si sente immergere nuovamente nell'acqua gelida fino alla fronte, e immediatamente dopo la scarica elettrica la manda a fuoco. Letteralmente. Johanna stavolta strilla a pieni polmoni, un misto di grida di dolore e di bestemmie, mentre i nervi prendono fuoco. Alcuni Pacificatori scoppiano a ridere, implacabili, lasciandola cadere di nuovo nell'acqua della vasca sottostante in un turbinio di lacrime e carne bruciata e sangue. La ghiacciata superficie impatta contro il suo volto prima che se ne renda conto, poi Johanna torna nel suo mondo obliato. Ma è solo un istante. Peeta lancia un urlo belluino – identico a quelli che ha sentito durante la notte – e Johanna sgrana gli occhi.
È questo l'inferno?


Di nuovo la cella. Di nuovo le urla. Di nuovo quella sensazione di terribile intorpidimento, i sensi inibiti dal dolore. Di nuovo l'onda dei suoi incubi che la travolge, affogandola. Johanna si trascina a fatica contro la parete che collega la sua cella a qualcosa – ma non sa cosa ci sia al di là.
Nel silenzio della notte, Johanna non si rende conto dei singhiozzi che fuoriescono dalla sua trachea, smorzati da gemiti di dolore involontari. Scorge appena le piaghe che le decorano la pelle, carne viva marchiata a fuoco. Finirà mai? Forse no. Ma Johanna non ha niente da perdere. Niente che la spinga a voler sopravvivere. Niente che stia attendendo impazientemente il suo ritorno, piangendo disperatamente la sua assenza. Niente. Non ha niente. Solo un grande vuoto, un grande odio per quell'uomo dal fiato di serpente. Quell'uomo che ha posto continuamente fine alla sua vita, senza mai ucciderla veramente.
L'arena. I tributi riversi sulla schiena. L'ascia che fende l'aria con un sibilo che promette morte. Rotella e Lampadina. Il sangue che impregna ogni centimetro del suo essere. Le rassicuranti parole di Finnick. Che non rivedrà mai più. Il canto straziante delle ghiandaie chiacchierone, che per lei non hanno cantato mai un bel niente. Perché è sola.
Gli ultimi singhiozzi, le ultime urla strozzate si dissolvono nell'aria mefitica di quel luogo da incubo, lasciando spazio ad un silenzio innaturale. Johanna si libera della zuppa ammuffita che le hanno rifilato appena poche ore prima, riversandosi sul suo stesso vomito con la testa schiacciata tra il muro e qualcos'altro. Forse una sua gamba. O un topo. Poi sente qualcosa. Un suono estraneo, un fievole sussurro. Proviene da destra. Da dietro il muro contro cui si è abbandonata.
Johanna si costringe ad accostare un orecchio alla parete di pietra lercia; ascolta con attenzione quei singulti soffocati. Le palpebre minacciano di cederle, e con uno strattone e una maldestra botta al capo dovuta al lesto movimento Johanna si riscuote dal torpore in cui ha quasi rischiato di cadere. E di nuovo, si mette in ascolto. È una voce familiare.
Katniss. Sempre.
Johanna s'irrigidisce, ma non si muove di un centimetro.
Katniss. Sempre. Katniss. Sempre. Come una ninnananna, Peeta continua a strascicare quelle due uniche parole, che pian piano si fanno sempre più inudibili. Poi il silenzio. Poi un grido prorompe dalla cella a destra di Johanna, che sobbalza e sbatte di nuovo contro il muro. Sempre... sempre. Katniss. Sempre. Altre urla. Poi più niente.
Johanna stramazza sul giaciglio impregnato di vomito e polvere e sangue che si è sempre rifiutata di utilizzare alla stregua di lettiga, la testa pulsante e una sensazione di pesantezza all'altezza del cuore.
Katniss. Sempre bisbiglia, portandosi una mano tremante all'addome. Poi la rabbia divampa.
Come può, Peeta... come può Peeta non essersi ancora arreso? Johanna sa che quello che gli stanno facendo è con ogni probabilità peggiore delle torture che vengono inflitte al resto dei prigionieri. Lo sente, da come adesso urla con quanto fiato ha in gola, le lacrime che attutiscono un po' la sua voce disperata, mentre qualcosa sta cercando di strapparlo da sé stesso. Però Johanna non capisce. Non può farlo.


I giorni passano, e Peeta e Johanna convivono l'uno con le grida dell'altra, imparando a riconoscerle, familiarizzando con esse. Peeta strilla, e poi mormora quelle due parole. E lo fa ogni notte, dopo che quella cosa ha tentato di distruggerlo, di spezzarlo irrecuperabilmente in mille pezzi. Ma Peeta resta forte. Non si arrende, come è sul punto di fare Johanna. Crede ancora nell'amore. Resiste.
Poi l'entità delle sue parole bisbigliate nell'oscurità cambia. Sono sempre le stesse, ma il tono è diverso. Johanna non capisce come riesca a percepirlo, ma quel “Katniss. Sempre” ha assunto qualcosa di terribilmente spaventoso. Peeta le sussurra nel sonno, incosciente, mentre la mente di Johanna lavora frenetica. Cosa gli stanno facendo?


Peeta ha appena tentato di strangolare Katniss.
Johanna dorme, finalmente.
Dorme, e sente ancora quei sussurri. Ma sono orribilmente modificati. Poi si risveglia, in preda al panico. E si assopisce di nuovo. Poi si risveglia.
Katniss. Uccidere.






Nda: Okay, ciao a tutti. Non ho mai, mai scritto qualcosa di così.. Inquietante? Schifoso? Raccapricciante? Non riesco neanche a descrivere cosa sia questa one-shot. Il fatto è che oggi ho riletto Mockingjay, ho amato ancora di più Johanna e Peeta mi ha fatto piangere di nuovo e così ecco qua. Uno specchietto di quel periodaccio a Capitol City. Che poi, quella frase a effetto di Johanna, “Io conosco benissimo le sue urla e lui le mie”, mi ha fatta vagare con la fantasia. So che non è affatto una cosa allegra su cui fantasticare... ma a quanto pare il sadismo si sta impossessando di me :DDDD
Presumo che la mia prossima mossa sarà analizzare la pazzia di Annie, o il rapporto tra Finnick e Katniss, che pure ho amato alla follia. O magari mi concentrerò interamente su Peeta e sul depistaggio. Non so. Qualcosa scriverò. Questo è sicuro.
Sarò contenta se mi farete sapere cosa ne pensate, davvero :'3
Bacii, Lilies





  
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