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Autore: radioactive    11/12/2013    3 recensioni
«We can fight they cannot contain us | It’s who we are | We are undying | We are forever»
Il fuoco regnava sovrano al Distretto 8, mentre i Pacificatori tentavano di calmare persone troppo arrabbiate e deluse per fermarsi davanti ad una frusta o ad una pistola. Lyosha era lì, tra quelle persone, evitando malamente i colpi dai soldati di Capitol City.
Sfilò dalla borsa di plastica che era riuscito a recuperare la tavola di legno con sopra la spilla di Katniss, il simbolo della rivolta. Della loro rivolta.
Lo alzò al cielo, consapevole del rischio che stava correndo, dei Pacificatori che si radunavano in fila davanti a lui, delle telecamere che lo riprendevano chiuso nella sua giacca un po’ troppo gonfia, avvolto dai suoi guanti di lana.

| MJ ● Lyosha Isaacs ● 977 parole ● Red: Who we Are |
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Nuovo personaggio, Tributi edizioni passate
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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We are undying, we are forever.

 

 

 

 

 

Ogni tanto gli ricapitava di sognare l’Arena – non così spesso, a dir la verità. Si rammaricava per non essere così perseguitato dai suoi incubi come immaginava dovesse essere, come se non fosse abbastanza dispiaciuto per quello che era successo, qualche anno prima, in quella foresta tropicale.

Ma quando succedeva, quando quelle cascate limpide si mostravano dietro le sue palpebre come l’allegoria delle sue lacrime, rimanere svegli era l’unico modo per cercare di combattere quei mostri, e forse vincere. Ma in cose come quelle non si vinceva mai, né da dormienti né da vegli.

Lyosha cercava ogni volta di non spaventarsi, di non cadere nel tranello dei suoi ricordi che lo intrappolavano nell’angoscia di anni prima. Non doveva avere paura dei suoi sogni, dei suoi ricordi, di quel treno su cui era partito ogni anno con i tributi del Distretto 8, tutti morti.

Cercava di non pensare alle crepe del suo cuore, al viso di Lexi che aveva quasi amato durante quelle settimane a Capitol City, al sorriso di Ariel che aveva fatto capolino sul suo viso come un bocciolo nella neve anche dentro l’Arena, più volte, per trasmettergli quel messaggio che lo faceva andare avanti: ti voglio bene.

Cercava di non vedere la cicatrice sul braccio, le sue due dita mancanti sostituite da protesi progettate con l’aiuto di un Vincitore del Distretto 3. Quando la mattina si ritrovava davanti allo specchio, o per qualche motivo uno spezzone dei suoi Hunger Games venivano ripresi in qualche programma televisivo, quando vedeva sé stesso nei panni di un assassino innocente stringeva il pugno, e il metallo delle dita finte gli gelavano le ossa del palmo, ricordandogli la loro ingombrante presenza: guarda che cosa hai fatto per sopravvivere, cosa hai fatto per Ariel, per Capitol City. Lo aveva fatto per la Capitale, perché la Capitale voleva un Vincitore, e quel Vincitore era diventato lui.

 

We were the ones who weren’t afraid
We were the broken hearted
We were the scars that won’t fade away
How did we let go

 

Lloyd lo aveva avvisato: era diventato schiavo di Capitol City nel momento in cui era stato pronunciato il suo nome alla Mietitura. Aveva ragione. Aveva ragione a dire che aveva perso tutto – ed era così. Ariel e Janna, la madre, erano tutto quello che aveva veramente, ed ora erano morte.

E Lyosha reagiva chiudendosi in casa, sedendosi davanti al camino e cucendo su un vecchio lenzuolo i suoi mostri, l’Arena prendeva vita filo dopo filo, come un ricamo, in fondo una piccola sagoma nera rappresentava Ariel, sempre più lontana. L’unica sua foto era la stessa che aveva Capitol City, quella che sfilava su tutti i tendoni del Distretto 8 durante il Tour della Vittoria.

Voleva nascondersi, fuggire da tutto – desiderava le stesse cose di anni prima, tra le foglie verdi e l’aria umida. L’Arena non era mai stata così viva in vita sua, avrebbe potuto giurare di vederle ancora, quelle bacche sugli alberi o gli uccelli sopra la sua testa.

 

How did we forget that we don’t have to hide
We won’t believe the lies again
We won’t be paralyzed

 

I Settantaquattresimi Giochi erano stati un faro di speranza per tutti – e Lyosha aveva rivisto in Katniss Everdeen e Peeta Mellark il suo desiderio di salvare la sorella, di essere bravo e coraggioso come loro. Sentiva un fuoco nascere dentro di lui, il canto delle Ghiandaie Imitatrici urlare vita. Quello che i due del Distretto 12 pretendevano dal Primo Stratega di quei anni – quello che i due del Distretto 12 hanno ottenuto.

Uscì in strada dopo il «i Vincitori dei Settantaquattresimi Hunger Games!», aveva bussato alla porta di Lloyd più e più volte, ricevendo risposta solo un paio di minuti dopo quando la donna gli aprì scocciata l’uscio.

«Che ti prende?» l’espressione indescrivibile di Lyosha, qualcosa come una felicità smisurata mista alla tensione e alla frenesia la colpì come un treno, si appoggiò allo stipite della porta, aspettando una risposta che arrivò quasi subito.

«Hanno vinto in due. Hanno vinto Capitol City».

Lloyd afferrò il magro braccio del suo ex-tributo, trascinandolo in casa, «era ora che qualcuno iniziasse a combattere» gli aveva mormorato piano, prima di farlo sedere su un tavolo e farsi raccontare ogni cosa di quell’edizione, che aveva smesso di seguire quando i suoi tributi erano morti – come tutte le volte in cui aveva fatto da Mentore.

Non sapeva perché Katniss avesse fatto quel gesto suicida, comprendendo anche Peeta e il loro aulico amore – ma sapeva che Lyosha, come lei, come tutti i Vincitori, come tutti gli uomini e le donne di Panem avevano iniziato a pensare ad una battaglia, una rivolta.

Si doveva fare la storia. Loro erano la storia. Lloyd voleva essere la storia – immortale e fiera.

 

We can be who we are
Now we are alive
We can fight they cannot contain us
It’s who we are
We are undying
We are forever

 

Il fuoco regnava sovrano al Distretto 8, mentre i Pacificatori tentavano di calmare persone troppo arrabbiate e deluse per fermarsi davanti ad una frusta o ad una pistola. Lyosha era lì, tra quelle persone, evitando malamente i colpi dai soldati di Capitol City.

Sfilò dalla borsa di plastica che era riuscito a recuperare la tavola di legno con sopra la spilla di Katniss, il simbolo della rivolta. Della loro rivolta.

Lo alzò al cielo, consapevole del rischio che stava correndo, dei Pacificatori che si radunavano in fila davanti a lui, delle telecamere che lo riprendevano chiuso nella sua giacca un po’ troppo gonfia, avvolto dai suoi guanti di lana.

Guardami. Guardaci, Capitol.

Gli occhi blu brillavano, poi qualcosa scoppiò tra i Pacificatori e la mano di Lloyd lo portò via da lì, tra le dita Lyosha teneva ancora la Ghiandaia.

 

We won’t hide our faces from the light

Eliminate the space between us

It’s who we are

We are forever

It’s who we are

 

 

 

 

{ who we are }

 

 

 

 

 

 

 

 

NOTE D’AUTRICE «viviamo e respiriamo parole»

 

Nulla da dire! Ho detto che avrei scritto una one-shot su Lyosha e, come promesso, eccola qui.

La canzone sopracitata mi ha fatto pensare molto a Lyosha e, quando ho visto questa nella scena del film dove mostravano una telecamera sul Distretto 8, insomma, il mio cuore è esploso.  Per la cronaca, Lyosha sì, ha partecipato attivamente alla rivolta e ne è uscito vivo. Ho voluto darvi un minimo di idea di quello che potrebbe succedere, ovviamente in modo molto blando e poetico.

Die on the front page, just like the stars; ovvero la long-fic sui Giochi di Lyosha, nel caso qualcuno fosse interessato :3
E, sempre se vi interessa, guardate questo gruppo!

La fan fiction era già pubblicata, sì, ma ho dovuto toglierla e ripubblicarla causa errore di lyrics. ♥

 

Sperando vi sia piaciuta almeno un po’ ♥

radioactive,

 

   
 
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