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Autore: Longview    11/12/2013    2 recensioni
Dal primo capitolo:
"La notte non dormo, gli incubi hanno ripreso a tormentarmi e spesso piango. Mi sento in disaccordo con me stesso, la mia vita sta andando di male in peggio da quando i Giochi sono terminati.
Prima credevo di essere forte, ero sicuro che sarebbe stata dura ma che io ce l’avrei fatta comunque, ma ora… beh, ora non ho più niente."

[seguito di Hunger Games]
*Momentaneamente sospesa*
Genere: Avventura, Generale, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Billie J. Armstrong, Jason White, Mike Dirnt
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
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Ehm... s-salve a tutti.
Mi volete tipo... scannare? No? Sì? Mettete via i forconi, vi prego ^-^"" Sì, insomma... so che probabilmente avevate dato per morta questa storia dopo TRE MESI che non aggiornavo con il secondo capitolo, ma... beh, ho avuto qualche problema. Sapete, sono stata molto impegnata con la scuola, poi in più ci si metteva anche il computer che non andava (e che non va tutt'ora, visto che sono qui da un'ora a tentar di pubblicare il capitolo)... e poi, beh, nell'ultimo periodo mi ero COMPLETAMENTE DIMENTICATA dell'esistenza di questa fanfiction. Cioè, settimana scorsa per puro culo il computer mi ha letto la chiavetta usb e quando ho visto un documento nominato "Hunger Games 2" sono andata nel panico. Io? Storia nel fandom dei Green Day? Boh, continuavo a iniziare nuove storie (mai pubblicate e che non so se mai vedranno la luce del sole, ma ok), ma non mi rendevo conto di avere lì questa da finire.
Sì, sono stupida.
Vabbè, sto parlando troppo. Se siete entrati qui vorrete leggere, no? Scusate, sproloquio davvero tanto.
Mi scuso ancora tantissimo, mi spiace un casino per avervi fatto attendere così tanto... ma ora basta, vi lascio al capitolo! Spero vi piaccia, se volete lasciate una recensioncina :3
P.s. Se notate cose strane fatemelo sapere: questo capitolo l'ho iniziato qualcosa come due mesi fa e l'ho concluso oggi, quindi è probabile ci siano cambiamenti nel capitolo!





2- Can anybody help me makes things better?


Billie’s P.O.V.

La luce arancio sprigionata dai raggi del sole che comincia a calare oltre l’orizzonte mi desta, facendomi aprire le palpebre appesantite dalla stanchezza e dal sonno da poco interrotto. La vista offuscata e l’ultimo chiarore del tramonto non mi permettono di capire dove io mi trovi, ma al solo tentativo di allungare un braccio al mio fianco per stirarmi mi paralizzo.

La mia mano si scontra contro qualcosa di caldo e morbido, che in un primo momento la mia mente si figura come una coperta arruffata, o almeno spera sia così: ma la verità è un’altra, e lo so bene. So che quella che sto toccando è pelle, e non animale o sintetica, ma umana. E che la schiena che sto accarezzando è di Mike.

Le immagini di poche ore fa mi invadono il pensiero come un fiume in piena, e il tutto in modo così perfetto e nitido… ogni bacio, ogni carezza, ogni sospiro, i vestiti che velocemente finivano sul pavimento, e poi il piacere, misto a un dolore bruciante, ma mai quanto le sensazione che provavo in quel momento; i gemiti riempivano la stanza, le sue mani vogliose percorrevano il mio corpo, mentre col bacino si avvicinava, facendosi strada in me, il mio nome pronunciato come una litania struggente dalla sua voce soave… e un “ti amo” detto al momento giusto, facendomi raggiungere il culmine del piacere, ma nella circostanza più sbagliata. O forse lo sbaglio ero io, la persona a cui ha detto quel “ti amo”.

Non voglio illuderlo, non avrà niente da me, non riuscirà mai a farmi innamorare. Non posso, non lui…

Mi sento così sporco quando, senza far rumore, scosto le lenzuola e scendo dal letto per rivestirmi. Come se fosse qualcosa di imprevisto, che non avrei voluto far accadere, o come in una relazione clandestina; il ragazzo e la prostituta.

È vero, sono uno stupido. Ogni cosa che faccio mi fa pentire: proprio ora sento questa sensazione di vuoto lacerante dentro, come se mi avessero strappato lo stomaco e infilato una pallina di carta giù per la gola per evitare ogni genere di contatto con quell’organo che non c’è più, o per non farmene accorgere. È vergogna, immagino, mista a senso di colpa e… mentre raccolgo la maglietta da terra mi fermo ad osservare il viso rilassato di Mike. Pare calmo e in pace con sé stesso, tutto il contrario di me. Nel sonno si muove, e dallo spavento per un suo possibile risveglio mi fa fare un balzo all’indietro.

Cos’è invece questa strana sensazione che si sta facendo strada in me, mentre mi perdo a scrutare i lineamenti del ragazzo qui, a poca distanza, sul quale mi sto lentamente chinando? È come una scossa che mi pervade la cassa toracica partendo da un punto indefinito, riscuotendomi da capo a piedi. E delicatamente, senza forse sfiorarle realmente, poso le mie labbra sulle sue, che è ancora dormiente, spinto da una forza che non riesco a contrastare.

Tempo pochi secondi e mi stacco, confuso, e, finendo di vestirmi, corro fuori da questa casa, sapendo che ciò che sto facendo è inutile; scappare non serve a niente, soprattutto se si tratta di scappare da ciò che ti insegue da tanto tempo, quando sei ormai stanco e senza forze.

Mike’s  P.O.V.

Il primo pensiero che mi attraversa la mente una volta sveglio è rivolto alla mia finestra, ed è carico d’odio: cos’avevo per la testa quando non ho chiuso le tende? Potevo evitarmi un risveglio così fastidio e un leggero mal di testa per via dei raggi del sole diretti sugli occhi.

In fondo però, se ci penso, non ci sono solo lati negativi in questo momento… non riesco ancora a realizzare quello che è successo. Sono andato a letto con Billie. Mi sembra impossibile che dopo tutti questi mesi di contrasti e astio ai massimi livelli, lui abbia cambiato idea così velocemente. Da come si comportava fino a ieri pareva mi volesse uccidere con uno sguardo, se solo avesse potuto. Ma forse i dubbi ora non servono, l’importante è come mi sento in questo momento, e poi la voglia di osservarlo dormire è troppa per poter restare qua a rimuginare.

Mi giro lentamente tra le coperte e subito allungo timidamente un braccio verso l’altra metà del letto, che, con stupore, trovo vuota. E Billie dov’è? Che forse si sia svegliato prima di me e sia in giro qui, per casa? Ma perché mai avrebbe dovuto farlo?

Con un brutto presentimento che tento subito di scacciare, mi infilo i boxer e scendo al piano di sotto; nemmeno qui pare esserci traccia di Billie. Che se ne sia allora… andato? E a che proposito?  Davvero non riesco a capire cosa passi per la mente a quel ragazzo. Probabilmente per lui è solo un gioco, niente di serio, tutto qui. E io da bravo idiota che ho pure confessato di amarlo… cosa mi aspettavo, che mi dicesse che ricambia? Sono stato troppo affrettato, ecco tutto. Magari è rimasto spaventato da tutta questa faccenda e, pur di non doversi confrontare, è scappato.

Avrei dovuto immaginarlo. Onestamente, cosa mi aspettavo, alla fine? Non lo so, forse non una delusione del genere.

Torno in camera mia, non credo andrò da lui a chiedere spiegazioni. È tutto già abbastanza chiaro così.

Zacky’s P.O.V.

Mi accovaccio dietro ad un cespuglio, tra le foglie secche che scricchiolano sotto il mio peso, arco in mano e faretra sistemata sulle spalle: un cervo, un animale che non vedo da più di quattro mesi nella foresta, è uscito allo scoperto, e di certo non mi lascerò scappare l'occasione di ucciderlo e ricavarci qualche soldo.

Sono pronto a colpirlo, sistemo una freccia tra le dita e tendo l’arco, sicuro di riuscire a colpirlo. Ho una gran tensione addosso, ma è sempre così da quando mi tocca andare a caccia per i boschi da solo: teoricamente, sarebbe illegale. Se mi scoprono non ho idea di cosa mi potrebbe succedere, ma non ci tengo a saperlo. Prima che Billie venisse sorteggiato per gli Hunger Games eravamo in due, ognuno copriva le spalle all’altro e ci avvertivamo a vicenda se c’era qualcuno nella foresta. Ora, invece, è tutto diverso, devo sempre tenere tutti i sensi all’erta, o qui mi beccano.

-Zack…?- pronuncia una voce alle mie spalle; per lo spavento sussulto e la freccia parte da sola, finendo conficcata nel tronco di un albero e facendo scappare il cervo: con esso anche la possibilità di portare un pasto in tavola per la mia famiglia.

Scaglio l’arco a terra colto dalla rabbia e dallo sconforto, e mi volto a fronteggiare la persona che mi ha distratto.

-Billie, un momento migliore per venirmi a parlare no?! So che ormai non sono più cose che ti toccano personalmente, ma avrei una famiglia da sfamare…!-

-Scusa, non era mia intenzione spaventarti… e, comunque, te l’ho già detto mille volte, ti aiuterei io se solo me lo lasciassi fare!-
-E io ti ho già ripetuto più e più volte che non voglio la tua carità- incalzo, calmandomi un po’. Billie non risponde, si limita a scuotere il capo e dirigersi verso un’altra direzione. Lo seguo.

-Perché sei qui?-

-Non lo so, avevo voglia di venirci, anche se non dovrei… tu quand’è che capirai che a continuare a venir qui prima o poi ti scopriranno? Sai che nel 12 i Pacificatori sono cambiati: quelli di prima facevano finta di non vedere, questi non si sa come potranno prenderla a vederti scorrazzare oltre i confini del Distretto- ha ragione: i Pacificatori, una sorta di guardie a sorveglianza di ogni Distretto, sono nuovi e non li conosciamo, quindi, forse, dovrei essere un po’ più prudente.

-Sì, ma non posso fare altrimenti-

-Te l’ho detto cosa potresti fare-

Scuoto il capo in segno di diniego, non voglio aiuti. Improvvisamente Billie si ferma e, prima di invertire la rotta e dirigersi verso città, dice: -d’accordo, ma non dire che non ti avevo avvertito quando ti spareranno a vista per aver superato il confine-

Sciocchezze, non sono così incauto da farmi prendere.

Billie’s P.O.V.

-Vieni! Seguimi, subito!- mi urla Matt non appena apro la porta di casa, senza accennare al perché di tutta quell’agitazione; non ho neanche il tempo di rispondere che lui è già partito a razzo, costringendomi, quasi per inerzia, a seguirlo. Gli sono dietro, stiamo correndo a perdifiato tra le vie del Distretto, rischiando di inciampare tra i ciottoli ad ogni falcata e scontrandomi con le schiene di diverse persone che, parlando concitatamente, si dirigono nella nostra stessa direzione, seguendo la strada che, diritta, conduce in piazza.

Tutta la gente affollata piomba nel silenzio più totale, richiamata da un uomo al centro.

Matt mi esorta ad avvicinarmi e andare a vedere ciò che sta succedendo, ma indugio, ora preoccupato per quello che potrei trovare là in mezzo. Mi faccio largo tra le persone, mentre sento risuonare degli schiocchi, un qualcosa che fende l’aria in modo secco e preciso.

Quando finalmente riesco a passare davanti a tutti, vedo con i miei occhi il motivo di tale scompiglio: un uomo, forse un Pacificatore o, in ogni caso, qualcuno che ha a che fare con loro, impugna una frusta e sevizia con essa un povero ragazzo.  Anche se, ora che lo guardo meglio…

-Zack?!- forse mi sente, infatti spalanca gli occhi, fino a poco fa serrati e contratti in una smorfia di dolore, e posa lo sguardo su di me, supplicante d’aiuto. Non si può muovere, ha i polsi legati a un palo ed è inginocchiato a terra, come un animale, ma un semplice sguardo mi è bastato per comprendere come si sente: non che ci volesse un genio a capirlo.

Ogni volta che la frusta tocca la sua schiena nuda, scatta e conficca sempre di più le unghie nel legno del palo posto dinnanzi a lui, che stringe in modo quasi compulsivo. Nel frattempo la pelle viene percossa, lacerata, senza che nessuno abbia il coraggio di fermare quest’ingiustizia.

Matt mi raggiunge, e sembra pronto a scatenare una rissa, a giudicare dalla sua espressione rabbiosa.

-Tutto questo a quale proposito?!- chiedo, senza mai distogliere lo sguardo dal mio amico.

-Non ne ho idea, ma dobbiamo fare qualcosa!- ovvio che anch’io voglio intervenire, se solo conoscessi un modo per farlo senza venir freddato da un colpo di pistola. All’ennesimo colpo inflitto, più forte degli altri, tanto da farlo urlare dal dolore, faccio qualche altro passo e mi ritrovo al centro di quel cerchio formatosi.

-Fermo!-

Tutti d’improvviso tacciono, puntando gli sguardi preoccupati su di me. Il Pacificatore mi lancia un’occhiata di fuoco, e subito mi ordina di andarmene, che non è affare mio quello che sta facendo.

Invece sì che è affar mio…!

-Lascialo in pace!- ma l’uomo non pare essere un tipo disposto a ragionare né tantomeno discutere, così, ancora prima che possa concludere la frase, ancora prima che mi renda conto di quello che sta succedendo, mi ritrovo scaraventato a terra con una guancia dolorante, brucia da morire subito sotto l’occhio sinistro. Sono abbastanza rintronato quando il Pacificatore mi parla, tanto che riesco a cogliere solo poche parole di quello che mi intima con tono disprezzante.

Ma quando lo vedo alzare il braccio e sventolarmi davanti al viso la frusta, capisco che le sue intenzioni nei miei confronti non sono affatto pacifiche, e istintivamente porto in avanti un braccio.

-Via, ragazzino! Ti dovrei far giustiziare per un affronto del genere!-

-E cosa risolveresti con ciò? Pensi davvero di riuscire a fermare le rivolte in corso, uccidendomi??- sputo, infuriato. Il Pacificatore, dopo la mia domanda sprezzante, non ci vede più e estrae la pistola, togliendogli la sicura, pronto a sparare. Matt accorre all’istante in mio aiuto, ponendosi tra me e l’uomo.

-Ehi ehi, non è il caso di arrivare a tanto. Cerchiamo di risolvere le cose senza spargimenti di sangue-

-Ti metti dalla sua parte?- ora la pistola è puntata verso lui, e la cosa non mi tranquillizza. Sanders cerca di mantenere la calma, anche se lo vedo tentennare qualche secondo prima di parlare.

-Ehi, lui è il vincitore degli ultimi Hunger Games. Vuoi davvero ucciderlo? Avrai contro tutti i Distretti e l’intera Capitol City, non sono sufficienti le rivolte già in corso?- è incredibile quanto quest’uomo riesca a rivoltare le situazioni a suo favore. Ricordo, a primo impatto mi era sembrato uno di quei tipi distaccati e che non provano un briciolo di compassione verso il genere umano, o che fosse uno dei classici “tutto fumo e niente arrosto”. E invece, conoscendolo, ho capito che è tutto il contrario.

A dirla tutta non credo io sia così importante per Capitol City, ma forse se ha detto ciò ci sarà un motivo.

Vedo il Pacificatore pensarci su, abbassando l’arma, e alla fine ci fa cenno di andare, lo sguardo infastidito.

-Sparite. E portatevi via quello- conclude, indicando Zacky, che è ancora a terra; ci fissa spaventato per tutto quello che è successo e visibilmente stanco e dolorante.

Senza preoccuparmi delle persone che ci osservano parlando tra di loro, mi inginocchio vicino al mio amico e lo slego, per poi abbracciarlo: lui si lascia andare sulla mia spalla, ma non appena sfioro con le mani la schiena sanguinante, sussulta dal dolore.
Matt lo tira su di peso, e insieme lo conduciamo verso casa mia, dove mia madre forse riuscirà a medicargli le ferite.

Odio pensare che molto probabilmente questo è stato solo un assaggio di quello che succederà da qui a poco, con le rivolte ora in corso.

 
  
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