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Autore: Uni    11/12/2013    1 recensioni
[RedMoon — a Luca, dato che gli piace così tanto]
Gli umani si differenziano dalle macchine per la dote nel provare emozioni. Ma quando una macchina inizia a provarle, anzi, a riscoprirle e a capirne l'importanza nel loro significato più puro ed esplicito, chi tra i due generi è il più inanimato?
— Spesso i nostri sentimenti vengono ridotti a mere parole, quindi, vorresti scoprire l'importanza dei miei?
Genere: Azione, Fantasy, Guerra | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bright, Fine, Rein, Shade
Note: AU, OOC | Avvertimenti: nessuno
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Profumo del sapone.
Abbiamo tutti le nostre macchine del tempo. Alcune ci riportano indietro, e si chiamano ricordi. Alcune ci portano avanti, e si chiamano sogni.
Jeremy Irons

“La mia ipotesi allora è fondata: ero già stato in vita una volta. Voglio sapere tutto di quel me, che ormai morto, continuava a vivere attraverso il mio corpo e attraverso me. Chi sa chi ero prima di diventare quel che sono adesso. Avevo una vita? Una famiglia? Ero innamorato? Avevo un lavoro? Una casa? Voglio sapere. La Master! Devo parlare con lei. Forse però non è una buona idea, in fondo le devo tutto. È grazie a lei se sono ancora in vita. È grazie a lei se ora so riconoscere le così dette “emozioni”, stati d’animo che prendono il sopravvento su un corpo e aiutano a migliorare o peggiorare. Adesso non sono più così anomale. Tutto grazie alla Master. Non posso abbandonarla dopo che mi ha salvato la vita e dopo che ho promesso di starle a fianco per la vita. Però forse sono un intralcio per lei, dato che si sposerà a breve. Dovrei togliermi dai piedi, ma non voglio! È un mio capriccio, non mi va di lasciarla a un uomo che non sono io. Ne sono ormai certo: la amo.“

Ne ero ormai certo. Mi alzai dal tavolo trasportando la tazza, ormai vuota, per poi portarla in cucina.
Attraversai la grande soglia e m’incamminai verso la cucina. Lì seduta sul tavolo, con lo sguardo perso nel vuoto e rivolto verso la bianca parete, c’era la donna che amavo. Mi guardò con lo sguardo ancora perso, sorrise e poi scosse la testa per tornare in se. Non capii questo suo comportamento. Mi avvicinai a lei per comunicarle ciò che sentivo, ma mi guardò strano e prima che potessi fare alcun che, prese parola «Ah, Shade! Ho notato che mi mancano alcuni ingredienti per la cena di stasera, mi accompagni fino al villaggio per aiutarmi a reggere le buste? Così ti faccio conoscere anche un po’ il villaggio e i suoi abitanti!» annuii lievemente mantenendo il volto serio e impassibile che rimaneva permanente sul mio volto. Salì al piano di sopra, lasciandomi da solo, di Nuovo! 
Evidentemente si stava preparando. Aspettai in cucina fino a quando non scese. Nella sua semplicità stava bene, aveva una gonna nera con una t-shirt rosa pallido che infilata all'interno della gonna, ne usciva lasciando il bordo all'interno e dando alla ragazza un aspetto elegante e moderno allo stesso tempo. Infilò un cappotto pesante che le arrivava fino alle ginocchia, color grigio felpato e indossò una sciarpa lunga bianca a strisce azzurre, con le frange azzurre. Mi sorrise e mi disse: «Andiamo?» annuii, ma appena arrivai alla soglia mi fermò e prese una sciarpa blu scura dall'attaccapanni di legno da cui aveva preso il suo cappotto e me la infilò e sorridendomi calorosamente, m’invitò a uscire. Mi piaceva tanto, quel sorriso! 
Chiuse la porta a chiave e facendomi cenno con il capo mi chiese di incamminarci. Ero un po’ insicuro al riguardo. La mia pelle si arrossava al freddo e i miei capelli cobalto, nascosti sotto quel cappello nero, si muovevano lentamente alla brezza invernale. La strada era delineata dalle strisce di neve depositate durante la notte. Il paesaggio era mozzafiato.
Guardai la sua figura, minuta di fronte alla mia e pensai che forse anche lei stesse pensando  a come fosse bello quel paesaggio. «Tra poco sarà Natale.» incominciò lei. «Devo comprare un regalo a Pin — si soffermò un secondo — e anche a te». 
«Na…tale?» non ricordavo quella parola ma mi sembrava familiare, in qualche modo. «beh, sì! Il Natale è una festa per chi crede nell'esistenza di Dio, e col Natale afferma la sua nascita, ma di questi tempi non significa più credere in questo: significa scambiarsi regali e passare il tempo accanto alla famiglia. È bello lo stesso.» spiegò Fine che guardandomi con dolcezza, sorrise per continuare a camminare. «Che scempiaggini. Come può esistere un Dio che da tanto dolore e sofferenza anche alle persone più buone.» commentai. «E chi lo sa! Una cosa l’ha fatta se ci pensi.» spostò il suo sguardo verso il celo, con fare riflessivo. «Ha fatto in modo che la tua vita non finisse, ti ha fatto provare tante emozioni e» interrompendola dissi: «e mi ha fatto incontrare te!» La vidi sobbalzare di colpo e girandosi imbarazzata verso di me. Lei annuì sorridendo.
Camminammo per altri due minuti parlando su quali regali fare. Parlava solo lei, io ascoltavo sforzandomi di capire. Dopo poco tempo arrivammo a un promontorio che affacciava sul piccolo paesino. Era come se la Natura amasse quel luogo, abbracciandola con le sue meravigliose e alte montagne. Di fatti la valle si trovava in mezzo delle alte montagne che era come se facessero da scudo al paesino, al quale si poteva accedere attraverso un passo tra le due montagne. Tra quelle montagne scorsi il laboratorio dal quale venivo. Vidi gli occhi di Rein: supplicanti, senza quello splendore che li vivacizzava e contagiava tutti.
Fine mi guardò mi afferrò per mano e indicò un palazzo nero che spiccava tra le case bianche. Si riusciva a notare anche da una grande distanza «Lo vedi quel palazzo?» disse. «Quella è la cava di carbone: Lì lavora Pin.» la sua voce era diventata di colpo triste e malinconica «ed è lì che è morto anche mio padre» ora la sua voce tremolava.  Aveva paura che Pin facesse la stessa fine di suo padre. Le strattonai un po’ il braccio e le feci segno di continuare a camminare.
Arrivati al villaggio, notai una scritta sul cartello di benvenuto: “Benvenuti a Risen Village” e poi scritto a pennarello da un qualche abitante “Il Villaggio Maledetto”. Lo indicai a Fine e lei sobbalzando disse di aspettare la sera. Notai che alcuni, numerosi, abitanti si fermavano a parlare con Fine che sorridendo ricambiava l’affetto che il villaggio le donava. «Mio padre è stato Sindaco per tanti anni, sono praticamente cresciuta tra questa gente». Sorrise compiaciuta della sua notorietà e continuando a passeggiare ci fermavamo in piccoli negozietti per vedere la semplice merce esposta: era bello.
A un certo punto si fermò davanti al palazzo nero, quello dove lavorava Pin e da lì ne uscì una ragazza simile a Fine. Lei la guardò con nostalgia ma anche con un pizzico odio, fino a quando la misteriosa ragazza non scomparve tra la gente per le strade. «Chi era?» chiesi e lei senza guadarmi, rispose a denti stretti un freddo “Nessuno”.
Ormai era quasi buio ed entrambi eravamo stanchi. Si fermò in un bar, Bar Di Velluto, e disse che dovevamo aspettare Pin. Mentre aspettavamo degli uomini si avvicinarono a noi con fare minaccioso. «guardate! C’è la figlia maledetta!» Lei si alzò dalla tavolo in cui era seduta e iniziò a tremare. «Io non sono Maledetta!» urlò lei. «Ah, sì? E come te lo spieghi che il corpo di tuo padre non è stato ritrovato?» Fine sbarrò gli occhi, quasi per trattenere le lacrime. «Io.- » una voce interruppe la sua giustificazione. «Lasciatela stare. Sono stato io a rubare il corpo del suo defunto padre.»
Lo sconcerto cadde tra la folla. «Che cosa stai dicendo Pinapsus John?!» lo sguardo di Fine diventò di ghiaccio. «Tu…» lui le fece un occhiolino e le si parò davanti. La prese per mano e iniziò a correre. Io senza lasciare che la spesa mi cadesse di mano seguii la mia Master: l’avrei protetta a qualunque costo. Li vidi svoltare in un vicolo e così entrai anch’io. Li sentii ridere. 
Loro… Ridevano? «Pin…! Ahah, sei uno scemo!» Prese il sedano dalla busta della spesa che portavo e lo diede in testa a Pin che bloccando il colpo, la avvicinò e la baciò. Ritornammo a casa dicendo che Pin dovesse cambiare nome, lavoro, aspetto fisico, Tutto. Fine divenne meno allegra durante la sera a casa, quando si parlava del fatto che Pin dovesse andare di nuovo a lavoro e dimettersi.
Aveva un sospetto. Forse quello che è chiamato intuito femminile, ma da quel momento Fine non fu più la stessa.
Cenammo con quello che avevamo comprato io Fine nel pomeriggio, si scherzava un po’, ma quell'aria tesa metteva i brividi. Dopo cena ognuno salì in camera propria. Io prima però lavai i piatti insieme a Pin. «Sai…» incominciò Pin. «Voglio…. No. Anzi, Pretendo che tu ti prenda cura di Fine quando non ci sarò più…» Cosa? Che voleva dire? «Oggi… sono riuscito a proteggere Fine, ma domani a lavoro, non me la faranno passare liscia «Che cosa dovrei fare?» dissi mantenendo il tono afono. «Proteggila e falle dimenticare tutto. Di me. Di suo padre. Di Tutto.» il suo tono era terribilmente triste, e il suo sguardo era perso nel vuoto: stava piangendo. «Lo farò.» anche se lo odiavo, l'amore che provavamo per Fine era l'unica cosa che ci accomunava, e che mi permetteva di rispettarlo poiché l'aveva sempre amata e onorata: ma anch’io avei dato tutto per la mia Master.
Andai a letto, controllando prima Fine che per fortuna dormiva tranquillamente. Di notte sognai una ragazza, e non era Fine. 

"Si avvicinò lentamente verso di me, e girandomi intorno mi cinse le spalle da dietro. Si mise in punta di piedi e sussurrandomi all'orecchio disse: «Shade, quando ci sposiamo? Ti sto aspettando da due mesi oramai» Aveva i capelli rosa, che sulle punte divenivano color oro, incorniciati da una coroncina di fiori. Aveva gli occhi azzurri e un lungo vestito ricamato rosa. 
Mi sembrò di amarla tanto, anche se per un solo istante. «Chi sei?» le chiesi. 
Lei, dal canto suo, rispose con una risata «ma come “Chi sei?”! Sono io: Milk!» disse come se fosse un'ovvietà.
«M-milk?» balbettai. Ma non appena mi girai per guardarla, lei non c'era più."

Mi svegliai urlando il suo nome.
 
Rein, invece, da dentro la cella capiva ben poco di quello che accadeva all'esterno. L’unica certezza era Tom: i suoi occhi sul mondo. Grazie a lui, quella cella era diventata quasi piacevole. Lo guardò mentre, come un bambino, dormiva, appoggiato alle sue gambe. Gli accarezzò i capelli pensando che Tom fosse davvero bello. Questo, al contatto, si svegliò e girò la testa e sorridendo le  accarezzò la guancia. Si avvicinò a lei, dolcemente e mantenendo il tono delicato e vibrante, disse un sensuale “Ti Amo”.
La baciò lievemente sulle labbra, come se avesse paura di romperle. Quando quella favola finì, Rein sentì un vuoto dentro, quasi lacerante. Lui è il mio ossigeno oramai, pensò. Tom indossò il cappello da militare e alzandosi, le baciò la fonte, prese il fucile e uscì dalla stanza. Rein sentì i suoi passi leggeri allontanarsi lentamente e altri, pesanti e battenti, avvicinarsi: Bright, pensò. Ma quando vide dei capelli rosa, leggermente dorati alle punte, sbucare dalla finestrella della porta, non ebbe alcun dubbio. «Milk…» sussurrò. La diretta interessata sorrise.
Che bella sensazione, pensò.

Domani mi metterò a scrivere il quinto capitolo - forse, lo spero. 
Questo luuuungo capitolo (rieditato) è dedicato a Fatima, che mi sostiene nonostante io sia molto lavativa.
   
 
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