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Autore: ChildrenOfTheBarricade    12/12/2013    5 recensioni
Parigi, Modern AU
Tra chi non sa chi è, chi non sa cosa vuole e chi non sa come ottenerlo. Tra non riesce a far pace col passato, chi fatica a fermarsi a vivere il presente e chi non riesce a prospettarsi un futuro. Tra i Les Amis, l'Università, e le domande senza risposta.
- E/R- Eponine/Combeferre -Courfeyrac/Jehan -Joly/Musichetta/Bossuet -Marius/Cosette
(Per la serie "le storie non finiscono mai com'erano iniziate" : iniziata come raccolta di shot)
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Enjolras, Eponine, Grantaire, Marius Pontmercy
Note: AU, Movieverse | Avvertimenti: nessuno
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N’est- ce pas?

 

Enjolras dovette radunare tutto il suo autocontrollo per impedirsi di sbattere la porta della presidenza alle sue spalle. Maledetti pezzi grossi, così orgogliosi del proprio posto di lavoro da passare la vita sprofondati nelle loro poltrone imbottite a sbraitare ordini solo perché hanno il potere di farlo. Insopportabili, tronfi, deprecabili, ignoranti... 
E sarebbe andato avanti se non fosse stato per Courfeyrac, che lo osservava interrogativo dalla poltroncina su cui era stravaccato, con la schiena e le gambe appoggiate sui braccioli.
“Beh, che ti hanno detto?” domandò, scendendo con poca grazia dalla sedia e stiracchiandosi.
Enjolras aveva una tremenda voglia di prendere a pugni qualcosa, ma probabilmente aggiungere la voce “danni a strutture scolastiche” non avrebbe giovato alla sua posizione, perciò si limitò a camminare nervosamente lungo il corridoio, costringendo Courfeyrac ad affrettarsi dietro di lui.
“Allora?”
“Niente Courf, le stesse identiche cose che mi hanno detto durante le altre due convocazioni.”
“Veramente erano tre. Questo è il tuo quarto richiamo.”
“Sì bene, quello che è. Dicono che non ho rispetto per l’ambiente scolastico e per l’autorità dei professori, che ho un comportamento inaccettabile, che se non fosse per i miei voti mi avrebbero già cacciato... Ma come si può essere tanto ottusi? Come?”

Quella mattina aveva avuto un piccolo scambio di vedute con il professore -indegno di questo nome- di Diritto Commerciale, che aveva, esplicitamente e senza vergogna, dichiarato che avrebbero potuto passare il suo esame soltanto coloro che avrebbero acquistato e studiato lo schifosissimo e costosissimo libro di testo scritto da lui

Ora, poteva anche darsi che apostrofarlo come “subdolo despota corrotto” fosse un poco esagerato, ma, accidenti, aveva tutte le ragioni di questo mondo per indignarsi. E arrabbiarsi. E urlare. E augurargli di finire all’inferno. No, questo non l’aveva detto... o sì?
“Beh, per me sei stato grande. Mio Dio, la sua faccia era epica! Sembrava quella di un bambino che becca i genitori mentre scopano lo stesso giorno in cui scopre che Babbo Natale non esiste e qualcuno gli spoilera il finale dei Puffi. 
Troppo impegnato a dare un senso alle incredibili stupidaggini che uscivano dalla bocca di Courfeyrac, Enjolras ci mise un po’ a metabolizzare il vero senso della frase.
Si fermò di colpo nel bel mezzo di un corridoio del tutto sconosciuto -seriamente, dov’erano finiti?- mentre il moro lo guardava sbattendo le palpebre, perplesso.
“Beh?”
“Tu non c’eri quando è successo, come fai a sapere che faccia ha fatt...”
“E questo...” lo interruppe Courfeyrac con tono soddisfatto “ questo è il motivo per cui ti dico sempre che dovresti uscire dalla preistoria, comprarti un cellulare come si deve, e accettare l’esistenza dei social network.”
Detto questo gli passò il proprio smartphone, e rimase ad osservarlo sogghignante mentre Enjolras scorreva il numero spropositato di foto e commenti riguardanti la sua disputa col professore.
“Mon Dieu” sussurrò, mentre il suo viso diventava ancora più pallido di quanto non fosse per natura “questa roba ha l’aria di essere incredibilmente illegale e... un momento, non l’ho mai accusato di avvantaggiare le ragazze poco vestite!”
Courfeyrac si affrettò a riprendersi il cellulare e a riporlo al sicuro: “D’accordo, la gente a volte reinterpreta liberamente gli eventi, ma non è questo il punto. Il punto è: dove diavolo siamo?”
Ancora scosso dalla recente scoperta sull’inutilità della parola “privacy”, Enjolras si costrinse a guardarsi intorno: il corridoio gli era estraneo, le porte erano diverse da quelle delle aule e degli uffici, il colore delle pareti faceva schifo come nel resto dell’ateneo, ma questo non era d’aiuto.
“Non ne ho idea.”


Ci vollero dieci minuti ai due ragazzi per tornare indietro. Periodo di tempo in cui Couferyrac sciorinò un numero inaccettabile di descrizioni di film horror con scene ambientate in oscuri ed inquietanti corridoi, tutte terminanti con qualche morte violenta, e Enjolras era indeciso se concentrare il suo astio sull’amico o sul progettista che aveva reso quel maledetto edificio intricato come un labirinto.
Il moro stava per gettarsi in un appassionato racconto di Shining, ma arrivarono davanti alla porta della sua stanza prima che potesse anche solo iniziare: il rammarico era chiaramente leggibile sul volto di Enjolras. 
“Sicuro che non vuoi che venga a darti manforte per quando Combeferre ti rinfaccerà il tuo comportamento estremamente irresponsabile?”
Ma il ragazzo si stava già allontanando, scosse i ricci e agitò una mano in segno di ringraziamento, poi sparì dietro l’angolo.
Courfeyrac lo osservò accigliato per un attimo: Enjolras era sempre stato strano da quando lo conosceva, cioè un’infinità di tempo, ma ora era persino più strano del solito. Alla fine decise che si trattava soltanto dell’inevitabile peggioramento di un caso senza speranza, e spostò la sua attenzione su cose più importanti, come ad esempio ricordarsi dove aveva messo le chiavi.
Entrando, trovò Jehan rannicchiato sul divano con le ginocchia strette al petto e in mano -meraviglia delle meraviglie- un libro. Come da copione, il ragazzo non registrò nemmeno la sua presenza (probabilmente non si sarebbe accorto neanche dell’entrata di un’orda di barbari accompagnata da una banda trombettisti), perciò Courfeyrac decise di annunciarsi gettandosi a peso morto sdraiato sul divano, con la testa che sfiorava la gamba sinistra di Jehan. 
“Hey Prouvaire!”
“Ciao Courf” ribatté ’altro, sorridendogli dall’alto e chiudendo il piccolo libro consunto che teneva in mano, fermando le pagine con le dita per non perdere il segno. “Bella giornata?”
“Estenuante. E devo ancora studiare. Anche se in realtà avevo una mezza idea di uscire con Cecile stasera, quindi è probabile che non studierò. Anche se dovrei. Maledizione, perché mi riduco sempre alle ultime settimane? Lo sapevo io che sarebbe finita così. Però esco, dai. Il tempo per studiare lo troverò. Giusto?” 
Alzò gli occhi, cercando uno sguardo d’approvazione da parte del compagno di stanza, ma Jehan aveva riportato l’attenzione sul suo libro, sfogliandolo a caso.
“Credevo si chiamasse Valèrie.”
“Cosa? No! Valèrie era della settimana scorsa, ma si è rivelata una troia, quindi...” 
Lasciò cadere il discorso, sistemandosi più comodamente tra i cuscini del divano.

Jehan pensò alla ragazza che aveva fatto irruzione un paio di volte nella loro camera: di lei riusciva solo a ricordare gli occhi spenti e le labbra dipinte di colori accesi, il resto doveva essere abbastanza insignificante da non essere rimasto impresso nella sua memoria, oppure si era confuso coi ricordi delle altre ragazze della “settimana scorsa”. 
C’era stata Aurore, poi Damienne e Sylvie e Nathalie. C’erano stati anche ragazzi, ma Jehan non si era sprecato a memorizzarne i nomi, forse perché sperava che sarebbero spariti abbastanza in fretta da non renderlo necessario, e così era stato. 
Ad ogni modo, c’era Cecile adesso.
“Cosa leggevi?” Si interessò Courfeyrac, che come al solito era completamente incapace di gestire il silenzio.
“Poesie di Verlaine, vuoi sentirle?”
“Purché non siano in spagnolo come le ultime.”
“A parte che quello era italiano, e seriamente, non puoi non conoscere Dante, e poi, uno che di cognome fa Verlaine potrebbe mai essere spagnolo?”
Courfeyrac rise piano contro lo schienale del divano, mormorando un attutito “non ascoltavo mai durante le ore di Francese”.
“Ma che sorpresa.” 
Il moro si distese nuovamente sulla schiena, fissandolo con aria di sfida: “Dai, leggi.” Poi, quando vide che Jehan stava sfogliando le pagine, probabilmente alla ricerca di qualcosa di adatto, aggiunse: “Quello che stavi leggendo tu prima.” 
Il ragazzo arrossì impercettibilmente, ma riprese la pagina che aveva abbandonato e lesse:

*N'est-ce pas ? en dépit des sots et des méchants 
Qui ne manqueront pas d'envier notre joie, 
Nous serons fiers parfois et toujours indulgents 

N'est-ce pas ? nous irons, gais et lents, dans la voie 
Modeste que nous montre en souriant l'Espoir, 
Peu soucieux qu'on nous ignore ou qu'on nous voie. 

Isolés dans l'amour ainsi qu'en un bois noir, 
Nos deux cœurs, exhalant leur tendresse paisible, 
Seront deux rossignols qui chantent dans le soir. 

Quant au Monde, qu'il soit envers nous irascible 
Ou doux, que nous feront ses gestes ? Il peut bien, 
S'il veut, nous caresser ou nous prendre pour cible. 

Unis par le plus fort et le plus cher lien, 
Et d'ailleurs, possédant l'armure adamantine, 
Nous sourirons à tous et n'aurons peur de rien.

Sans nous préoccuper de ce que nous destine 
Le Sort, nous marcherons pourtant du même pas, 
Et la main dans la main, avec l'âme enfantine 
De ceux qui s'aiment sans mélange, n'est-ce pas? 


Courfeyrac stette miracolosamente in silenzio per qualche secondo, fissando il soffitto accigliato e impensierito. Poi si sollevò di scatto, posando un braccio sulla spalla di Jehan e appoggiandoci sopra la testa, così da poter sbirciare la pagina ingiallita su cui stava la poesia. In quel momento, il cuore di Jehan iniziò ad accelerare, senza nessuna, nessunissima motivazione, e lui iniziò a chiedersi se l’altro ragazzo si sarebbe accorto del fatto che ogni suo muscolo si era irrigidito, che aveva praticamente smesso di respirare e, Diorespiraperchéfacciocosìperchéperchéperché...
“Questo Violaine era un tipo felice?”
“Verlaine...” la voce gli uscì in un sussurro roco. Merda. Courfeyrac, comunque, non se ne accorse.
“Verlaine era felice? Voglio dire, aveva una vita accettabile almeno?”
“Era un alcolizzato, è finito in prigione due volte ed è morto solo.”
Il moro sbuffò, tornando drammaticamente a sdraiarsi. Questa volta però, posò la testa sulle gambe di Jehan.
“Lo sapevo, la poesia è una fregatura.”
“L’essere infelice non gli ha impedito di scrivere poesie bellissime, anzi.”
“Infatti, ha scritto poesie. Ma la sua vita? Non poteva impiegare energie per metterla a posto invece che scrivere le cose che avrebbe voluto? Voglio dire... io farei così.”
“Ci sono cose che non puoi avere e basta. Ma sulla carta... puoi essere e fare qualunque cosa desideri. Sei libero, capisci?”
“No.”
Jehan non poté fare a meno di ridere davanti alla sua espressione corrucciata. Courfeyrac sembrava un bambino per la maggior parte del tempo, ma la piega infastidita che prendevano le sue labbra quando non era soddisfatto di qualcosa, lo faceva sembrare davvero più piccolo dei suoi ventidue anni. 
“Non fa niente, parliamo d’altro.”
“Benissimo. Hai sentito del casino che ha fatto Enjolras con quello di Diritto?
“Oh, sì! L’ho sentito raccontare... ma ora che succederà? Ci saranno conseguenze?”
Questa volta fu il turno di Courfeyrac di scoppiare a ridere: “Non espellerebbero Enjolras nemmeno sotto ordine della Santa Inquisizione, è tra i migliori studenti dell’università, ha il massimo dei voti in ogni corso che segue.”
“Oh. Wow.”
“Sì, sai, succede quando non hai una vita sociale e spendi tutto il tuo tempo in compagnia di libri e montagne di polvere. Infatti io credo che dovrebbe prendersi un gatto: gli si addice e poi...”
“Lui e Grantaire non stanno più insieme?”
“...poi almeno avrebbe qualcuno con cui parlare, anche se probabilmente lo lascerebbe morire di fame come fa con sé stess... COSA HAI DETTO?” e si alzò nuovamente con uno scatto, solo che questa volta l’equilibrio lo tradì, facendolo rovinare miseramente a terra.
“Oh Dio, ti sei fatto male?” esclamò Jehan, cercando di aiutarlo a rimettersi in piedi.
“Sì! Cosa? No! Voglio dire... cosa hai detto?”
Jehan ora non ci capiva assolutamente niente: cosa poteva aver detto di così sbagliato? 
“Io... ho chiesto se per caso avesse lasciato Grantaire. Sai, tu ha detto che non ha una vita sociale, quindi ho pensato che...”
“Nononono. Perché dici che Enjolras e Grantaire stavano insieme?”
“Non è così?”
“No! No, certo che no! Enjolras non potrebbe mai avere una relazione con un essere umano, andiamo, e se proprio fosse obbligato, l’ultima persona che sceglierebbe sarebbe proprio Grantaire! Loro... loro non possono nemmeno stare nella stessa stanza senza urlarsi addosso, Santo Cielo!”
“Scusa, è solo... mi era sembrato... beh, si comportavano come se lo fossero, voglio dire... tutti quei battibecchi per nulla, e poi sono sempre vicini e parlano tra loro... ho pensato... ops.”
Per un po’ di tempo Courfeyrac si limitò a camminare avanti e indietro per la stanza, con tutta l’aria di star meditando sul senso della vita o sul funzionamento dei droidi, la qual cosa spaventava un po’ Jehan. Quel ragazzo sapeva essere tanto geniale quanto spregiudicato, quando ci si metteva d’impegno.
“Okay senti, fa come se non avessi detto niente, mi sono sbagliato.”
“No, aspetta. Potresti aver ragione. Lo sapevo che c’era qualcosa di strano. Mi pare di aver visto Enjolras ridere troppe volte nell’ultimo periodo, non poteva essere normale. E ha pure saltato alcune lezioni, che decisamente non è normale. E poi... e poi basta. Da settimana scorsa è scorbutico e invasato come al solito, e oggi lo sclero contro il professore di Diritto... Oh mio Dio, Prouvaire, hai ragione!”
“Io... non so... cosa succederebbe nell’ipotetico caso che fosse come io ho con ogni probabilità erroneamente, pensato?
Coufeyrac lo osservò con un’espressione inquietantemente seria, mentre si arrotolava le maniche della felpa fin sopra i gomiti.
“Succede che lo ammazzo.”


Già dopo aver compiuto pochi passi lungo il corridoio, Enjolras si era pentito di non aver accettato quell’aiuto da Courfeyac. Se non altro, la sua presenza avrebbe reso meno tesa l’atmosfera che si stava formando tra lui e Combeferre. Distanza, era il termine corretto, probabilmente. E allontanarsi dal proprio migliore amico era semplicemente impensabile. Litigare con lui era una delle poche cose in grado di ferirlo davvero: il tormento che ne derivava non colpiva la figura dell’uomo immateriale che si batteva per i diritti e la giustizia, ma si abbatteva sul ragazzo che era in realtà, lasciandolo senza energie. E solo. 
Perché senza Combeferre, senza la sua guida, era semplicemente solo. 
Istintivamente i suoi pensieri -che ultimamente sfuggivano sempre più dal suo controllo- volarono a Grantaire, che inspiegabilmente continuava a tornare da lui, nonostante tutto. Ora pensare al pittore faceva male: il senso di colpa rievocato da quegli occhi feriti, eppure non accusatori, gli pesava sullo stomaco come un macigno. 
Sospirò angosciato: la sua vita gli stava decisamente sfuggendo di mano.

Sul letto di Combeferre era sparso un numero spropositato di libri e appunti ed evidenziatori, e i rumori provenienti dal cucinino lasciavano intendere che lo studente stava armeggiando con qualcosa -la caffettiera probabilmente.
“Ferre?” chiamò, togliendosi scarpe e cappotto e dirigendosi in cucina, giusto in tempo per godersi lo spettacolo di Combeferre che litigava con un pezzo di caffettiera che non voleva fare il suo dovere, e nella foga urtava accidentalmente una tazza sul bordo del tavolo.
“Okay” dichiarò il medico, esasperato “io non ho idea del perché quella tazza sia finita lì”.
Enjolras ridacchiò, mentre raccoglieva i pochi cocci da terra: “Nervoso?” domandò. Come se non fosse ovvio. Però in fondo ci sperava, di poter evitare quest’ennesima discussione improduttiva.
Combeferre però non sembrava del suo stesso avviso. Gli prese i cocci dalle mani e li riappoggiò malamente sul tavolo. Evidentemente non erano una priorità. 
“Enjolras, senti, io...”
Ma lui non lo lasciò continuare: “D’accordo, lo so che è la terza convocazione in pochi mesi, ma davvero, non c’era possibilità che io stessi zitto a guardare quell’insulso finto professore che favoreggia spudoratamente chi è abbastanza ricco e stupido da comprare il suo libro di testo. Ho fatto solo quello che dovevo fare e se...”
“No, no, frena. Che stai dicendo? Io sono d’accordo con quello che hai fatto.”
Perfetto. Questo era un altro punto in favore della tesi secondo cui lui e la comprensione della sfera emotiva umana non andassero d’accordo. 
“Sei...davvero? Non pensi che sia stato un gesto irresponsabile ed esagerato?”
“Se tu avessi fatto qualcosa di responsabile, allora sì che mi sarei dovuto preoccupare, non credi?” spiegò Combeferre con un sorriso.
“Touchè” sospirò, sollevato, lasciandosi cadere su una delle sedie.
“E comunque questa è la quarta convocazione.”
“Bene, okay, due a zero per te. Ma allora cosa dovevi dirmi?”
L’espressione di Combeferre ritornò seria, mentre tirava fuori dalla tasca quello che era il suo cellulare e glielo porgeva.
“L’avevi dimenticato al bar, volevo riportartelo ma poi... non c’è stato tempo e... insomma, mentre l’avevo io ha chiamato tuo padre.”
Se dentro il mondo gli cadde addosso, dall’esterno nulla lo lasciava intendere: la sua espressione rimase neutra, e la voce ferma.
“Credi che l’Università l’abbia avvertito?”
“Non so, non mi ha detto nulla, solo di richiamarlo.”
Visto il silenzio che seguì, si affrettò ad aggiungere “Non deve per forza essere così, sai, forse era solo una chiamata di... non so, cortesia?”
Cortesia? Sono due anni che le sue chiamate riguardano unicamente la mia tragica condotta e il mio pessimo comportamento, seguiti da interminabili minacce economiche. Non chiama neanche a Natale, solo per cortesia.”
Spesso Enjolras si era chiesto se odiasse suo padre. Di sicuro lo avrebbe voluto: sarebbe stato più facile se, una volta capito di non poterlo compiacere, si fosse limitato a detestare lui e il suo dispotismo. Eppure una parte di lui desiderava ancora poterlo rendere orgoglioso, una parte di lui gli era ancora affezionata, in un certo senso. Più facile era invece rispondere alla domanda se suo padre odiasse lui: sì, sicuramente.
“Lo richiamerai?”
“Non oggi. Ho ancora troppe cose da organizzare e non posso distrarmi.”
E avrebbe davvero voluto lavorare. Ci sarebbe stata una protesta di lì a poche settimane, e c’era abbastanza lavoro da fare per tenergli occupata la mente durante tutta la sera e probabilmente anche tutta la notte. Tuttavia, il rumorosissimo arrivo di un arrabbiato Courfeyrac rese ovvio che quel lavoro sarebbe stato rimandato. Probabilmente di molto.

 

 


 

**Noi saremo
Noi saremo, a dispetto di stolti e di cattivi 
che certo guarderanno male la nostra gioia,
talvolta, fieri e sempre indulgenti, è vero? 

Andremo allegri e lenti sulla strada modesta
che la speranza addita, senza badare affatto 
che qualcuno ci ignori o ci veda, è vero?

Nell'amore isolati come in un bosco nero, 
i nostri cuori insieme, con quieta tenerezza,
saranno due usignoli che cantan nella sera.

Quanto al mondo, che sia con noi dolce o irascibile,
non ha molta importanza. Se vuole, esso può bene 
accarezzarci o prenderci di mira a suo bersaglio.

Uniti dal più forte, dal più caro legame, 
e inoltre ricoperti di una dura corazza,
sorrideremo a tutti senza paura alcuna.

Noi ci preoccuperemo di quello che il destino 
per noi ha stabilito, cammineremo insieme 
la mano nella mano, con l'anima infantile 
di quelli che si amano in modo puro, vero?

 

 

 

 

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Scusatemi tantissimo il ritardo: gli esami, gli esami e gli esami!
Allora, alla fine è diventata una long, ma non ho troppa voglia di cambiare i capitoli già scritti.... mi piacciono così ;)
Però ho tanto tanto bisogno della vostra opinione, perché le storie a capitoli non sono proprio la mia specialità :S
Spero che vi piaccia, ciao a tutti :)

E scusate ancora il ritardo :(

  
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