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Autore: ZoeRayne    13/12/2013    1 recensioni
[http://it.wikipedia.org/wiki/Plunkett_%26_Macleane]
[Plunkett & Macleane]Una discussione tra il Capitano James Macleane e William Plunkett – banditi e soci in affari – riguardo la domanda di Macleane:
“Sei mai stato innamorato?”
Se siete fans del bravissimo Robert Carlyle non potete non avere visto questo film!
^^
Genere: Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash
Note: Missing Moments, Movieverse, Traduzione | Avvertimenti: nessuno
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CREDIT: Questa storia appartiene a Zoe Rayne.

La versione originale potete trovarla qui:http://archiveofourown.org/works/116639
Traduzione di floflo
Nota: Non sono una traduttrice professionista, quindi chiunque lo sia – e legge questa storia – spero vorrà perdonare qualche “piccola” imprecisione.

 

Stand and Deliver

 
Il vero amore è come i fantasmi,
tutti ne parlano ma pochi li hanno visti veramente.
François, Duca de la Rochefoucauld




- Sei mai stato innamorato?-
Avevo domandato a Plunkett.
Non mi ero ancora reso conto di non esserlo mai stato, non propriamente almeno.
Rebecca non aveva resistito a lungo, l’eccitazione per la nostra vita da fuorilegge non sopperiva alla mancanza di denaro e la totale assenza, nelle Colonie, dei lussi cui era abituata.
Sarebbe dovuta rimanere a Londra assieme a Rochester, lei a trattare i pretendenti con sdegno e lui a “corrompere giovani”.
Ad ogni modo, nel lasso di nemmeno un mese, abbiamo messo assieme i nostri risparmi e le abbiamo comprato il biglietto per il viaggio di ritorno.

Il dolore per la nostra separazione era stato momentaneo.

A questo punto mi domandavo se l’emozione che mi toglieva il respiro, mi faceva salire il cuore in gola, sconquassava le mie viscere alla vista dei suoi capelli corvini e delle sue forme femminili, non era stato amore, da cosa era costituita la più inafferrabile delle emozioni?
Ci stavamo rilassando nella camera che avevamo preso in affitto, quando ho fatto quella domanda a Plunkett.
Il sole calava lentamente dietro gli alberi e la luce dorata del crepuscolo strisciava sulle assi, grossolanamente squadrate, del pavimento.
La figlia del locandiere aveva acceso il fuoco quando se ne era andata portando via i piatti della nostra cena, lasciando soltanto la luce di una piccola fiammella.
Plunkett mi lanciò una rapida occhiata, rannicchiato accanto al focolare.
Cominciò a darsi da fare per attizzare il fuoco con fiammiferi e trucioli, mantenendo l’espressione dei suoi occhi nocciola indecifrabile.
Rimase così tanto tempo a fissare le fiamme – con la fronte aggrottata – che mi convinsi di avergli fatto del male o averlo offeso in qualche modo.
- Perdonami, Will. – dissi rendendomi conto del mio errore – Non era mia intenzione richiamare ricordi dolorosi. –
Avevo quasi dimenticato la morte della sua amata Mary.
Ovviamente era questo che l’aveva turbato e io – con le mie parole impudenti – avevo aperto una ferita ancora non del tutto rimarginata.
- Non è questo. –
Scosse leggermente la testa e una ciocca di capelli bruni gli scivolò sugli occhi. Con un gesto distratto la scostò indietro e poi aggiunse:
– Cercavo le parole giuste. –
Si alzò, si avvicinò alla sedia, estrasse il coltellino e cominciò a tagliuzzare un pezzo di legno prima di sedersi.
- Amore è quando daresti la tua vita per qualcun altro, giusto? Rischiare tutto pur di rendere l’altro felice. Oppure fare le cose che avresti giurato di non fare mai, e farle volentieri… Rimanere accanto a quella persona, non importa per quale motivo. Non deve essere necessariamente come un fuoco d’artificio. L’amore può essere tranquillo e confortevole, come una coperta calda che ti avvolge le spalle, o un fuoco a cui riscaldarsi. –
Plunkett si fermò guardando imbarazzato il suo pubblico: le parole che aveva appena usato erano così diverse dalle sue solite conversazioni ruvide.
Era di certo il discorso più lungo e articolato che avessi mai sentito pronunciare da lui, inoltre fui molto sorpreso dal grado di eloquenza che aveva raggiunto, non proprio da gentiluomo, ma nemmeno da zoticone.
Accesi la pipa, assaporando il tabacco profumato, pensando alle sue parole sull’amore, a come ci si sente e a come ci si comporta.
Mi tornò in mente la sensazione nella pancia che provai quando il generale Chance aveva sollevato la sua pistola e aveva mirato… Mi sarei gettato io sulla traiettoria del proiettile. L’unica cosa che mi aveva fermato era stata l’espressione – spaventata ma di sfida – con cui Plunkett aveva guardato negli occhi quel farabutto del generale. Aveva accettato un duello onorevole nonostante l’inganno di Chance, ed era pronto ad andare fino in fondo. Che diritto avevo di impedirglielo?
Questo, per me, poteva essere amore.
Nient’altro che amore fraterno però, amicizia. E l’amore tra partner?
Di nuovo capii che non sapevo nulla sull’amore, e domandai di più a lui.
- La differenza la fa il tuo uccello, capisci? –
Prese il suo boccale di birra e bevve un sorso prima di continuare.
- Se lui è desideroso allora si tratta di amore e lussuria, amore romantico se preferisci, se non lo è, allora è amore fraterno. –
Come l’aveva fatta semplice!
- Ma il desiderio non è garanzia d’amore, – risposi deciso ad andare fino in fondo – e l’amore non è garanzia di desiderio. –
- Puoi avere lussuria senza amore, – disse semplicemente - come puoi avere amore senza concupiscenza.-
Naturalmente.
Ma ciò che mi interessava maggiormente era la combinazione delle due cose.
Avevo provato entrambi, avevo conosciuto la concupiscenza e amavo Plunkett, come avrebbe detto lui, di amore fraterno.
Avrei potuto sperimentare su di me tutti e due contemporaneamente?
Avevo già più di vent’anni e non avevo mai assaporato la completezza dell’amore romantico.
Plunkett, che aveva una manciata di anni più di me, l’aveva conosciuto sotto le spoglie della sua amata Mary.
Se il destino aveva fatto un tale dono a lui, perché non avrebbe dovuto concedere lo stesso a me?
Con questa domanda nella testa, studiai il suo profilo alla luce del fuoco, la sua familiarità stranamente confortante.
Quello che non potevo vedere nell’ombra lo conoscevo a memoria.
Non era propriamente bello, il naso aquilino sottile, la pelle chiara guastata solo da una piccola cicatrice sotto il sopraciglio destro, un difetto, di per sé, affascinante. Un po’ rozzo nei modi, ma il calore del suo sorriso era un’adeguata compensazione. Camminava con una certa grazia naturale, un passo che, per certi versi, mi ricordava un animale predatore. Il suo corpo, o almeno ciò che di esso avevo visto, non aveva difetti.
Assorto in questo lungo esame, sentii una fitta nel ventre, quella sensazione singolare che è il preludio dell’eccitazione.
Tutto ciò, significava che desideravo Plunkett?
Sembrava di sì, anche se, prima d’ora, non avevo mai avuto pensieri lascivi riguardo gli appartenenti al mio stesso sesso.
Turbato, ma ancora incerto sui miei sentimenti in materia, posi un’altra domanda:
- E con quelli come Rochester, quelli che “navigano su ogni sponda”, come la mettiamo? –
Si strinse le spalle con un gesto eloquente, anche se la sua espressione rimaneva sempre avvolta nelle ombre.
- Amano. – rispose – Travolti dalla lussuria. Come noi, del resto. –
- Così, secondo te, non c’è nulla di male in quello? – insistetti.
- E’ solo il modo migliore per beccarsi la sifilide. – disse divertito.
- Gli prescriveresti il “rimedio Plunkett” per la sifilide? -
Evidentemente la mia battuta lo divertì parecchio perchè irruppe in una risata.
Era un suono che piaceva alle mie orecchie e rimasi sorpreso del fatto che desiderai essere ulteriore fonte di allegria per lui.
Quando Plunkett era diventato così importante per me, al centro delle mie attenzioni e desideri?
A proposito di desideri, cominciai a vagare con la mente su ogni sorta di possibilità.
Per esempio, quanto sarebbe stata diversa la sensazione della bocca di un uomo contro la mia?
Le labbra di Plunkett erano meno piene di quelle di Rebecca, sarebbero state forti e salde, piuttosto che morbide e flessibili.
E lo sfregamento dei suoi baffi, sarebbe stato sgradevole, o soltanto un’altra sensazione da aggiungere al nostro accoppiamento?
Inoltre c’era la questione fondamentale di cosa fare e del come farlo.
Rochester una volta aveva insistito per spiegarmi cosa due uomini possono fare con i loro corpi, ma io avevo rifiutato con convinzione.
Imperterrito lui mi aveva intrattenuto con i suoi racconti degli uomini e dei ragazzi che aveva avuto.
Anche se dubitavo in parte dei racconti di Rochester (il povero Plunkett aveva passato un brutto momento a causa di un piccolo rubino), questi avrebbero potuto compensare la mia mancanza di esperienza in materia.
E che dire poi della parte più dolce del corteggiamento?
Un uomo sarebbe stato sensibile alle parole poetiche che gocciolano da una lingua di miele?
No, è talmente ovvia la differenza di temperamento tra un uomo e una donna, che le parole dolci e i complimenti esagerati con cui ho corteggiato molte donne, sarebbero stati senz’altro sgraditi ad un uomo.
Senza contare che potrebbe essere rischioso avvicinarsi a un uomo con intenzioni amorose. Se l’oggetto delle mie attenzioni non avesse avuto le mie stesse inclinazioni, probabilmente mi sarei ritrovato vittima di scherno e ingiurie…
Plunkett, però, non sembrava il tipo che ricorrere alla violenza in simili circostanze.
Non aveva mai dato peso alle avances di Rochester, come se, per lui, non avessero avuto nessuna importanza.
No, peggio della minaccia dei suoi pugni sarebbe stato il suo disprezzo, o ancora la sua pietà.
Rochester, nei suoi aneddoti, faceva sembrare tutto così semplice, ma più ci pensavo, e più la prospettiva mi sembrava scoraggiante.
Come io non mi sentivo attratto da Rochester, nonostante ne avessi apprezzato l’ avvenenza esteriore, probabilmente anche Plunkett non si sentiva attratto da me.
Ero convinto di essere attraente e me ne compiacevo anche ogni volta che mi apprestavo a fare una nuova conquista.
Per supportare questo concetto, pensavo che non mi ero mai trovato privo di compagnia femminile: anche rinchiuso in prigione, ero regolarmente obbligato a scopare la figlia del guardiano.
Ma come mi avrebbe trovato un altro uomo?
Rochester mi trovava interessante, sufficientemente per lo meno, ma Plunkett?
Cercai di immaginare come lui mi vedesse: capelli cortissimi, troppo scuri per essere biondi e troppo chiari per essere castani, fattezze non abbastanza fini da passare per aristocratico (anche se adeguatamente truccato, con il belletto, le ciglia scurite e le labbra dipinte mi avrebbero senz'altro scambiato per uno di loro), gli occhi né verdi né marroni, piuttosto una strana combinazione dei due colori.
Ero del tutto sicuro del mio fascino quando si trattava di donne. Probabilmente, ciò era dovuto alla mia prestanza fisica o forse all’uso che sapevo fare del mio corpo. Se non altro il mio aspetto, pur non essendo di una bellezza travolgente, era almeno piacevole.
Giunto a questa conclusione, mi misi di nuovo a guardare Plunkett mentre la luce del fuoco lanciava riflessi danzanti sul suo viso.
- Cosa c’è nella tua mente adesso, Jamie? – domandò senza distogliere gli occhi dalla sua lavorazione di legno.
Stupito delle mie stesse parole, gli ho risposto onestamente:
- Osservo il tuo fascino e valuto le probabilità di avere il permesso di avvalermi delle tue grazie. –
Capii di avere sbagliato, nel momento stesso in cui le parole uscirono dalle mie labbra.
Il silenzio era immobile, come noi due seduti; io, terrorizzato, non riuscivo nemmeno a guardare nella direzione di Plunkett nel timore di scorgere i suoi pensieri.
Proprio quando il silenzio stava diventando più di quanto potessi sopportare, lui si alzò e si congedò senza alcuna parola, lo scatto di chiusura della porta l’unico suono.
Mi maledissi per la mia sfacciataggine, cercando invano un modo per ricacciare indietro il mio sconsiderato discorso.
Ora mi rimanevano soltanto due alternative a cui pensare, o uscire a cercarlo nella buia notte della Virginia, oppure rimanere ad aspettarlo senza far niente, con la speranza che i suoi sentimenti camerateschi verso di me lo avrebbero riportato indietro.
Se lo avessi inseguito, invece della sua attenzione avrei trovato piuttosto la sua rabbia.
Decisi di dargli il tempo di cui aveva bisogno per riflettere.
Soprattutto pensai che qualsiasi cosa avessi potuto fare o dire, Plunkett sarebbe rimasto il mio migliore amico.
Per dimostrare la mia tesi mi è bastò ricordare il suo audace salvataggio mentre penzolavo sulla forca di Tyburn. E se ciò non fosse ancora stato sufficiente, lui aveva rischiato anche la vita e la sua stessa incolumità tornando sul luogo di un agguato a soccorrermi, tra raffiche di proiettili, e trascinandomi poi attraverso le fogne di Londra pur di salvarmi.
Fiducioso della mia scelta d’azione (o meglio d’inazione), presi un mazzo di carte e cominciai a provare alcuni trucchi che avevo visto fare da alcuni miei colleghi giocatori.
Invidiavo l’abilità con cui uno di loro riusciva a stabilire come venivano distribuite le carte – senza vederle -, capacità di cui si serviva a scopo di lucro.
Praticare questi giochetti di destrezza, non mi distrasse, però, quanto speravo.
Di sua spontanea volontà, la mia mente continuava a tornare alla rivelazione istintiva che avevo fatto a Plunkett.
Si era sentito veramente offeso dalle mie parole, come la sua reazione lasciava intendere?
Eppure durante la nostra conversazione sui gusti “flessibili” di Rochester mi era sembrato piuttosto tollerante… Naturalmente una perversione praticata da qualcun altro è completamente differente dalla perversione dell’uomo con cui condividi la camera e che dovrebbe meritare la tutta tua stima…
Ero certo che quando Plunkett sarebbe tornato, avrebbe evitato di sollevare di nuovo la questione.
Io avrei fatto altrettanto, era il minimo che potessi fare per lui considerando la profondità del mio affetto.


Il fuoco stava lentamente morendo, e l’ora tarda mi dissuase dall’aggiungere altra legna; se l’avesse desiderato Plunkett avrebbe potuto attizzare il fuoco se… e quando… sarebbe tornato.
Mi preparai per la notte, stavo quasi per mettermi a letto, quando un suono attirò la mia attenzione.
Plunkett era scivolato dentro la stanza, richiudendosi la porta dietro le spalle, ma era rimasto sulla soglia.
- Sei ancora qui, - disse semplicemente – ho pensato che te ne fossi andato. –
La sua voce era dolce, morbida, come la sua sagoma avvolta nella luce del fuoco morente.
- Vuoi che me ne vada? – domandai cercando di raccattare i miei vestiti sparpagliati in giro, pronto a lasciare la stanza se me lo avesse chiesto.
- No, no. – disse frettolosamente – Temevo ti fossi fatto un’idea sbagliata per come… beh … me ne ero andato. –
- Che cosa avrei dovuto pensare? –
Improvvisamente ero divenuto titubante.
Avrei voluto vedere la sua espressione, ma del fuoco erano rimaste solamente le braci, e l’unica luce rimasta era quella della luna, che filtrava attraverso le feritoie delle persiane.
- Non ero arrabbiato. Ho avuto bisogno di riflettere. –
Il suo tono era esitante. Tacque e rimase così a lungo e alla fine sentii crescere in me l’ansia.
Diverse volte fui sul punto di parlare, ma ogni volta mi tirai indietro.
Se avessi avuto coraggio, sarei potuto essere al suo fianco con due passi, toccarlo e tirarlo tra le mie braccia. Invece rimanevo fermo e silenzioso, esteriormente sereno, ma dentro di me pieno di paura e di attesa in egual misura.
Avrei voluto, disperatamente, domandargli a quale conclusione fosse arrivato al termine dei suoi pensieri solitari… Ma non potevo affrettare la sua risposta, sapevo che avrebbe parlato a suo tempo, e così mi sforzai di tenere la lingua e la mia impazienza al loro posto.
Ci fu un sommesso fruscio, un impercettibile movimento nel silenzio dell’oscurità.
Lo sforzo di vedere i particolari della figura di Plunkett non faceva nulla per aiutarmi a mantenere la calma, così chiusi gli occhi, concentrandomi sul mio respiro.
Ero talmente concentrato su di me che solo quando riaprii gli occhi, mi resi conto che la sua mano si era posata sul mio braccio.
Si sedette accanto a me sul letto, a tentoni nel buio.
Il mio cuore era colmo di felicità silenziosa, non poteva odiarmi o disprezzarmi se mi stava così vicino!
- Ti ricordi – le sue parole erano un sussurro vicino – quando mi domandasti se ero mai stato innamorato? –
- Sì. Hai negato. Anche se poi mi hai parlato di Mary. –
Il silenzio tra noi aveva una qualità tutta sua, che avevo il timore di interrompere con parole o gesti.
- Non era una bugia, non proprio, ma nemmeno la verità. – disse.
- Che bugia? Quale verità? – lo interruppi cercando di dare un senso alle sue parole.
Premette brevemente le sue dita callose sulle mie labbra, il loro calore su di me rimase anche dopo che furono rimosse.
- Ascoltami Jamie. Io ho amato Mary, ma non romanticamente. Lei era mia sorella. -
Questa volta aspettai che fosse lui a parlare, trattenevo il respiro in attesa delle sue parole.
La nostra conversazione non stava procedendo nella direzione che avevo sperato, mi sentivo a disagio.
- Quando l’ho capito? Quando giacevi a terra per strada e ti ho teso la mia mano? O forse mentre curavo la tua gamba ferita?–
Sembrava quasi parlasse a sé stesso. Scosse la testa con un movimento lento, come volesse dissipare i suoi pensieri.
– Quando in realtà non è importante, o no? Ciò che conta è quello che hai detto. La tua “contemplazione” del mio “fascino”, giusto? –
A questo punto non potevo più rimanere in silenzio.
- Non c’è bisogno di aggiungere altro, Will. – dissi – Ciò che provi per me è ovviamente un sentimento d’amicizia, e anche di questo ti sarò grato. Prometto di non parlarne più, se questo ti sarà di conforto. Inoltre, - aggiunsi contrito – possiamo fare accordi per due camere separate, anche per questa notte, se lo desideri. –
Le mie parole caddero nel silenzio assoluto; desiderai disperatamente un po’ di luce, anche di una sola candela, con la quale vedere l’espressione del suo viso.
Nonostante l’apparente serenità della sua vicinanza, ancora una volta temetti potesse rispondermi con disgusto.
- Jamie… -
Una sola parola, piena di un’emozione che non potevo identificare, e poi ho sentito le sue labbra sulle mie, un bacio sperimentale finito troppo presto.
Mi stupii di come un bacio potesse essere al contempo così estraneo e famigliare.
Le sue labbra erano forti e calde contro le mie, proprio come avevo immaginato. Solamente il lieve graffio della barba sulle sue guance mi ha ricordato il suo vero sesso.
Ancora una volta mi anticipò prima che potessi parlare:
- Non mi ero mai sentito così prima di conoscerti. Ma eri talmente preso da Rebecca, che mi sono accontentato della tua amicizia. Adesso dici che mi vuoi. Jamie, io non potrei stare con te e poi rischiare di perderti per un’altra Rebecca, un’altra donna di cui ti innamorerai. –
Rimasi in silenzio, sbalordito dalle sue parole.
Poteva veramente pensare che io avessi amato Rebecca? Beh, perché no, riflettei: del resto io stesso avevo creduto di amarla.
Più sorprendente era stata però l’altra implicazione delle sue parole.
Ma io non potevo accettare mere implicazioni.
Egli avrebbe dovuto persuadersi a dirmi la verità, senza giri di parole.
La notte rendeva la nostra conversazione quasi onirica, inducendoci, forse, a dire parole che non avrebbero mai attraversato le nostre labbra nella luce inelegante del giorno.
- Parla chiaramente, Will, ti prego. Questa questione è troppo importante per essere oscurata da parole cavillose. –
Allungai la mano per toccare qualsiasi parte di lui – una coscia, calda e ferma – e lui non si ritrasse come avevo temuto. La sua voce, quando finalmente parlò, era tranquilla ma ferma.
- Chiaramente, allora, io ti amo. Ti voglio in modi che farebbero arrossire Rochester. Ma non voglio il tuo corpo senza il tuo amore. –
Le sue parole, e l’intensità con cui erano state pronunciate, mi avevano stordito.
Il mio silenzio doveva essere fastidioso per lui quanto lo era per me, ma io, semplicemente, non riuscivo a pensare a cosa dire.
Ero certo che la mia visione della mia espressione sarebbe stata inutile ma, in quel momento, avrei dato il mio bene più prezioso per la luce di una sola candela.
Purtroppo invece, non avevo nulla, il fuoco bruciava in pallide braci, quindi le parole e il tatto dovevano trasmettere tutto.
Spostai la mia mano dalla sua coscia al suo braccio, invitandolo dolcemente a sdraiarsi sul letto.
- Possiedi già il mio amore, è il mio desiderio per te che ho tardato a scoprire. – dissi tra i baci, godendomi la sensazione del suo corpo premuto contro il mio.
Una mano mi accarezzava più intimamente e intanto mi sentivo travolto da una vertigine improvvisa, come se, per la prima volta in vita mia fossi stato veramente libero e felice.
Mi resi conto che potevo ancora parlare, nonostante tutto.
- State certo, mister Plunkett, che rimarrete il titolare del mio cuore – e, soffocando la voglia di ridere forte, ho semplicemente aggiunto – e del mio uccello! -













 
   
 
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