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Autore: Tears990    14/12/2013    0 recensioni
Questa che leggerete oggi è una pagina del diario di Gilgamesh, il quale scrive dei suoi tentativi di di guidare l'umanità dopo essere divenuto un dio. Si tratta di una profonda riflessione del protagonista che lo porta a prendere una drastica decisione su ciò che sarà del mondo.
"E poi mi guardo attorno, punto lo sguardo su di lei, la studio, cerco di comprendere la sua psiche e i suoi traumi interiori e scopro che è soltanto un lupo vestito da pecora, un traditore che mi attende con un pugnale nascosto dietro la schiena.
Non appena distolgo lo sguardo però si allontana e se ne va, come se il suo desiderio di sangue sia fomentato solo dall'attenzione che riceve e non da una brama inconscia di morte e insoddisfazione."
Genere: Guerra, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Diario di Gilgamesh – Anno 2013 D.C.
 
“E adesso?” Pensai “cosa farò adesso? Ares e Apollo sono morti, divorati da me, la mia fame insaziabile li ha assorbiti e mi ha reso forte del loro immenso potere. Ma io cosa sono? Sono forse diventato come loro? Sono un assassino, un cannibale?”
Tratto dal Diario di Gilgamesh – Anno 6630 A.C.
 
Allora quei pensieri cupi e deliranti mi ronzavano in testa forti e persistenti, battevano come un ariete alle porte della città assediata ed era orribile.
Pensavo che fosse quella la mia pena, ma non era così, non lo è, ma come al solito l’esperienza fa maturare tutti, uomini, dei, mostri… sebbene non appartenessi a nessuna di quelle categorie, o magari a tutte quante. Non lo so.
Non è questo che mi preme ora, ma ricordare quella sensazione, quando le mie dita affondavano nella carne di Ares ne strappavano lentamente un pezzetto alla volta. Le mie mani erano sporche di un sangue rosso e denso come il cemento e le mie fauci grondavano come una cascata cremisi che pareva infinita.
Quando le mani non furono più sufficienti iniziai a strappare la carne dalle sue ossa a morsi, come usano fare le bestie selvagge a ritmare il mio pasto le sue urla di dolore infinito. Dopo di lui toccò ad Apollo, impazzito realizzando ciò che aveva creato, poi Zeus, Ade, Poseidone e tutti gli altri insulsi e stupidi dei, da Loki e Odino fino a Quetzalcóatl e Shiva. Ma io ormai non ero più un uomo e non lo sono neanche ora che sono passati 8643 anni da allora.
A quel tempo ero furioso, una forza inarrestabile che piegava il cielo con la sua ira e distruggeva ogni essere sul suo cammino, ero affamato, talmente tanto da divorare l’intero olimpo con tutti gli dei.
A dire la verità ne ho risparmiati veramente pochi. Gli unici ancora in vita credo che siano il dio dei cristiani, quello arabo e la mia più vecchia amica, la morte. Ma non li risparmiai per pietà, anzi, li condannai a fuggire da me in eterno, come sarebbe dovuto essere per gli altri, poi con l’umanità nelle mie mani decisi di salvare quei piccoli esseri, deboli, intelligenti e capaci… umani.
La nuova civiltà però nacque nel sangue di quella precedente, una nascita brusca, battezzata dall’orrore di una guerra infinita e guidata dalla brama di potere che gli dei avevano impresso sulla terra come un marchio di fabbrica, come una maledizione.
Fu così che dopo il massacro dei cieli ne presi il controllo cercando di guidare l’umanità al meglio delle mie possibilità, ma fallii miseramente. L’uomo era stato creato dagli dei a loro immagine e somiglianza non solo nella carne, ma anche nello spirito. E furono le guerre puniche, gli stermini dei romani e i barbari, le crociate della fede e gli stermini degli Incas e i Conquistadores, le rivoluzioni, le guerre per l’indipendenza e la libertà, seguite da quelle per la supremazia e la razza fino alle guerre per gli interessi economici.
Ebbene sì, a quanto pare come dio ho fallito esattamente allo stesso modo in cui fallii come uomo.
Un’amara verità che si è trasformata in realtà purtroppo, diventando consistente ogni giorno di più per quasi nove millenni, diventando pesante ed opprimente come una colata di cemento sul petto.
Certo sarei potuto intervenire, avrei potuto sbaragliare gli eserciti, uccidere i cospiratori, dissipare il malcontento e le religioni, ma a quel punto che sarebbe stato del libero arbitrio?
Ho perso ogni cosa, anche la mia umanità, per liberare il mondo dal giogo degli dei e non potevo porre il mondo sotto una nuova gogna.
Ho deciso di stare a guardare, ma non come facevano i miei predecessori, bensì come uomo, mischiandomi fra la folla, cercando di sconvolgere gli animi della gente con dei buoni pensieri, ma da un carnefice non si impara la carità, tantomeno la bontà o le buone maniere.
Il risultato di ciò è la società odierna, scandita dalle scadenze e gli impegni, tartassata dalle guerre fatte in nome della giustizia e combattute per gli interessi e le crisi economiche indotte dalla brama di potere di pochi.
Le democrazie alla fin fine non sono altro che dittature mascherate da buoni propositi, come quelli che si espongono durante le campagne elettorali.
Gli uomini di potere danno alle masse l’illusione di votare per scegliere i loro rappresentanti mentre in realtà si insinuano nelle loro menti con i mezzi più subdoli che esistano, bombardando i loro simili con messaggi subliminali, spingendoli ad amare una cosa ed odiarne un’altra, creando una moralità di massa e una coscienza collettiva che però risponde ai desideri di uno solo.
Forse gli umani sono talmente simili ai loro creatori che non riescono a fare a meno di essere governati, lo vogliono, lo desiderano inconsciamente e lo ottengono.
Ma se volessero essere dominati perché non dovrei farlo io?
No, non voglio. Non ne vale la pena, non ne valgono più la pena e non mi batterò ancora per loro, mi hanno deluso.
Mi godrò lo spettacolo, lo stesso di cui fui l’artefice quando distrussi il mio popolo in nome di una donna morta, in nome dei miei aguzzini.
E tutto si ripeterà: le guerre, la distruzione e i genocidi, così che la mia vecchia amica, così macabra e gobba possa condurre le vite degli uomini fra le sue mani adunche per poi togliersi la vita da sola liberando il mondo dal suo fardello e lasciandomi solo, unico ed ultimo fra gli immortali.
Ma ora sono ancora nel presente, su questo marciapiede e guardo questa donna.
Non è bella né brutta, ha i capelli pettinati come altre mille e veste allo stesso modo di altrettante. La pelle scoperta racconta più di quanto dovrebbe: un succhiotto qui, un livido li, un tatuaggio che sbuca a malapena dall’orlo dei pantaloni ed una scollatura che tenta gli animi più docili.
Sembra fatta quasi con lo stampino, l’ennesima troietta assetata di sesso e soldi, cerca solo la goduria di una notte di sesso, si veste come il diavolo per tentare gli altri diavoli che le camminano attorno ed improvvisamente il mondo diventa una perversa orgia di manichini vestiti allo stesso modo, con gli stessi pensieri e gli stessi interessi imposti loro da altri manichini schiavi del Dio Potere, miei schiavi.
Ma io non sono come quella puttana, non mi concedo loro e non lo farò mai, così continuo a guardarla e cerco di capirla, ma è difficile persino per me capire una cosa tanto stupida.
Spesso mi sento esplodere pensando a queste stronzate e mi guardo allo specchio, scoprendo che anche io ormai sono simile a loro. Sono mimetizzato a tal punto che mi stupisco dei miei capelli legati in una coda di cavallo, il mio abito bianco e costoso e le mie scarpe lucide.
Forse sono io il padre di questa follia, anzi ne sono senza alcun dubbio il fautore e mi ritrovo ancora di fronte a lei, ma stavolta i nostri sguardi si incrociano, si infiammano e mi si avvicina, quasi al rallentatore, avvinghiandosi a me e contorcendosi sperando di estorcermi un complimento o una scopata.
Ma i miei occhi di ghiaccio sembrano coltelli pronti a trafiggerla mentre resisto a quella danza diabolica.
E poi mi guardo attorno, punto lo sguardo su di lei, la studio, cerco di comprendere la sua psiche e i suoi traumi interiori e scopro che è soltanto un lupo vestito da pecora, un traditore che mi attende con un pugnale nascosto dietro la schiena.
Non appena distolgo lo sguardo però si allontana e se ne va, come se il suo desiderio di sangue sia fomentato solo dall'attenzione che riceve e non da una brama inconscia di morte e insoddisfazione.
Così ho deciso che è meglio guardare all'orizzonte e distogliere lo sguardo dalla gente sciocca e paranoica, persone che si spiano a vicenda per capire chi le fotterà e come verranno fottute a loro volta, e solo allora mi rendo conto che il panorama davanti ai miei occhi è qualcosa di stupendo, cristallino, come il riflesso di un eden ultraterreno che ormai posso solo sognare, eppure è lì e una tale bellezza appartiene solo a madre natura.
Ecco perché vi ho abbandonati, figli miei. Non mi piacete più dal momento in cui mi avete tramutato in uno degli insulsi dei che ho combattuto. Torno nel mio mondo e torno a cibarmi dei miei nemici, attendendo il giorno in cui mi ciberò di voi.
 
Un tempo vi ho amati veramente, ma ormai per me siete solo una vergogna.
Addio piccoli, sciocchi e deboli umani.
   
 
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