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Autore: nightswimming    14/12/2013    4 recensioni
Allargò le braccia e chiuse gli occhi.
“Pietre nelle tasche. Che cosa digustosamente letteraria.”
Magdalena sobbalzò e per poco non perse l’equilibrio. Mulinò le braccia, cercando disperatamete di ribilanciarsi, il cuore che le batteva a mille nelle tempie.
“Chi è lei?” urlò, la paura che le sfondava il petto. Non si fidava a sufficienza delle proprie capacità motorie per provare a girarsi e fronteggiare lo sconosciuto.
Cristo, doveva darsi una calmata. Stava per uccidersi – che senso aveva agitarsi così?
“Sherlock Holmes,” rispose la voce, in tono monotono e indifferente. Come se parlare con un’aspirante suicida in bilico sul muro di protezione di un ponte fosse ordinaria routine per lui.
Genere: Generale, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: John Watson, Nuovo personaggio, Quasi tutti, Sherlock Holmes
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note: menzione di un tentativo di suicidio, contenuti deprimenti, e Sherlock che fa il brillante filosofeggiando su morte e cadaveri.
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Humber Bridge
Kingston upon Hull, North Lincolnshire, Inghilterra
 
 
 
 
 
Rabbrividì mentre si toglieva il cappotto. Faceva freddo, molto freddo.
Meglio. L’acqua gelida, sommata alla caduta da quell’altezza, avrebbe contribuito a renderla del tutto incosciente. Con un po’ di fortuna non avrebbe sentito nulla.
Si chinò ad aprire la zip dello zaino che aveva portato con sé e tirò fuori il necessario. Indossò sopra ai vestiti che già aveva una dolcevita, un maglia di cotone, un golf di lana e una felpa di pile. Passò una pesante sciarpa intorno al collo e si mise i guanti.
Tirò su col naso: il suo corpo non sentiva più la temperatura esterna. Era una notte nevosa di dicembre e lei si sentiva al caldo.
Sono i nervi, pensò. L’adrenalina. Incredibile.
Considerò con sguardo spento il panorama di fronte a lei. Diverse macchie di vegetazione ricoprivano le basi fangose del ponte; l’acqua sembrava un’immota lastra di marmo nero. Non c’era un filo di vento a incresparne la superficie. In lontananza, all’orizzonte, le luci della cittadina di Burton-upon-Humber rilucevano fisse e sfocate.
Che squallore, pensò. Una sensazione di soffocamento le si fece strada in gola.
Basta. Basta con tutto questo vuoto. Basta con il senso di disorientamento. Basta con la piattezza, l’inevitabilità triste di quel che sentiva da sedici anni. Basta.
Rovistò nello zaino e ne tirò fuori una decina di grosse pietre piatte, che aveva raccolto lungo la sponda del fiume il giorno prima. Se le ficcò in tasca, prese un lungo respiro, lasciò che il silenzio del ponte deserto le rimbombasse un’ultima volta nelle orecchie e si arrampicò sul muretto di protezione.
Una volta in piedi la sensazione di potere e libertà le diede le vertigini. Si sentiva il mondo in mano, si sentiva pienamente in controllo della propria libertà decisionale. Dio, si sentiva bene.
Sorrise amara. Chi amministrava la vita e la morte in terra aveva un pessimo senso dell’umorismo.
Allargò le braccia e chiuse gli occhi.
“Pietre nelle tasche. Che cosa digustosamente letteraria.”
Magdalena sobbalzò e per poco non perse l’equilibrio. Mulinò le braccia, cercando disperatamete di ribilanciarsi, il cuore che le batteva a mille nelle tempie.
“Chi è lei?” urlò, la paura che le sfondava il petto. Non si fidava a sufficienza delle proprie capacità motorie per provare a girarsi e fronteggiare lo sconosciuto.
Cristo, doveva darsi una calmata. Stava per uccidersi – che senso aveva agitarsi così?
“Sherlock Holmes,” rispose la voce, in tono monotono e indifferente. Come se parlare con un’aspirante suicida in bilico sul muro di protezione di un ponte fosse ordinaria routine per lui.
“Che cosa vuole?” urlò, sperando di suonare sufficientemente minacciosa anche con la voce che le tremava.
Questo non ci voleva. Gradiva solo consumare il proprio suicidio in perfetta solitudine, era chiedere troppo? Non aveva forse diritto a un ultimo desiderio o stronzate del genere?
“I soldi che tua madre ha promesso a chiunque ti riporti a casa. Perciò smettila con questa pagliacciata e scendi di lì.”
Magdalena rise secca, sentendo un’ondata di isteria invaderla tutta. Tutto il suo corpo tremava per la tensione nervosa. Non era possibile.
“Se li ficchi nel culo quei soldi! E ora se ne vada, mi sta distraendo!” ringhiò.
Sentì una risatina supponente risuonare dietro di sé.
“Se davvero volessi ucciderti, niente ti potrebbe distrarre; per cui, come ti dicevo prima, piantala di essere sciocca e scendi di lì. Hai decisamente più talento in altre cose che nel recitare la parte dell’eroina romantica distrutta dalla vita”.
“E lei che diavolo ne sa?” urlò Magdalena, tentando di sovrastare il boato del vento che aveva preso a soffiare fortissimo. I suoi denti battevano. Il rush di adrenalina era scomparso, sostituito da un senso di confusione mista a panico per come il suo piano era stato compromesso da quell’arrogante sconosciuto, e lei aveva di nuovo freddo.
“So molte cose di te.” Una pausa. “Per cominciare, rischi davvero di cadere ora che il vento si è alzato. Intendi andartene da questo mondo scivolando  giù per cento metri di altezza come un equilibrista goffo e ridicolo che abbia fatto male i suoi calcoli? Io non credo. Volevi una fine in grande stile. Una morte fuori dall’ordinario. Sarebbe stato così semplice soffocarti col gas o ingurgitare una dose eccessiva di anti-depressivi (so che il tuo medico te li ha prescritti: è un idiota, tu non sei depressa, e infatti non hai provato la tentazione di assumerli), ma no, trovavi questi metodi così disperatamente noiosi, banali, vuoti di senso. Meglio qualcosa di eclatante, in grado di strappare un applauso al tuo pubblico immaginario. Un salto. Un balzo ferino. Un gesto d’azione. Ma non da uno stupido palazzo: dal ponte più alto del Regno Unito. Aggiungiamo pure il fatto che il tuo amatissimo, defunto padre è nato qui vicino, a Kingston upon Hull, e non a Londra, come tua madre, cui sei molto meno legata. Ti sei scelta il palcoscenico più funzionale e maestoso a un tempo per celebrare la tua dipartita intrisa di simbolicità. Ben architettato. Torna tutto.”
Magdalena batté le palpebre. Quel monologo dai toni freddi e sentenziosi sembrava averle impedito di fare qualsiasi altro movimento. Era come se, con le sue parole, questo Sherlock Holmes le avesse sparato un narcotico. La sua mente sembrava barcollare come un ubriaco.
Non era possibile. Era rimasta stupita dal solo fatto che lui fosse riuscito a trovarla, a seguirla fin lì attraverso un percorso volutamente labirintico che lei aveva ideato per seminare le sue tracce, ma perfino quella sua abilità, che già le sembrava incredibile, non era nemmeno lontanamente paragonabile alla stupefacente esattezza di quelle deduzioni. Quel suo discorso era un’opera di genio e astrazione. Sembrava conoscerla intimamente e non erano mai entrati in contatto prima di quel momento.
“Chi è lei?” ripetè, e stavolta, non riuscì a impedire che la sua voce tremasse.
Udì un sospiro che sembrava trattenere a stento tutta l’impazienza del suo interlocutore.
“Girati. Lentamente,” ammonì in tono duro, “stai perdendo sensibilità al piede sinistro per il gelo. Tenere le scarpe e le calze ti avrebbe aiutato ad andare a fondo esattamente quanto le pietre nelle tasche, sai?” Si schiarì la voce. Il vento si era fatto fortissimo. “Ora, movimenti piccoli e misurati. Segui i miei esatti ordini e girati.”
Magdalena non riuscì a fare altro che obbedire. Non intendeva in ogni caso andare fino in fondo al suo piano in presenza di un estraneo. Tanto valeva assecondarlo e tentare di persuaderlo ad andarsene.
Compì con estrema cautela una rotazione di centottanta gradi. Nel suo campo visivo comparve prima la fila di pinnacoli di cemento che tenevano su il ponte, poi l’asfalto della strada, puntellato di segnali di lavori in corso, e, infine, un uomo alto e pallido avvolto in un pesante cappotto.
Magdalena sentì i meccanismi del suo cervello ricominciare lentamente a girare. Lo shock era passato: ora, i suoi neuroni dovevano assolutamente tornare a funzionare a pieno regime, o il suo obiettivo sarebbe andato in fumo.
L’uomo aveva un viso bianco e incavato che sembrava scolpito nel gesso. La pelle doveva essere estremamente sensibile alle temperature estreme perchè le labbra erano spaccate dal freddo, il naso e le guance erano rossi come se qualcuno li avesse violentemente sfregati con un straccio e il resto del colorito era livido. Nonostante il cappotto fosse ampio e tagliato su una persona di un’altezza superiore alla media, Magdalena riusciva a intuire un’estrema magrezza sotto i vestiti. Fisicamente debole? Atleticamente impreparato? Forse, ma se i suoi muscoli avevano la metà dei riflessi del suo cervello, allora era comunque fregata.
L’uomo aveva un’apparenza aliena. I lineamenti erano nel complesso piacevoli e i fitti ricci neri lo facevano sembrare un cherubino, ma vi era un che di tagliente, di inquietante nel modo in cui i suoi occhi azzurri la guardavano tale da non riuscire comunicarle un’impressione generale di bellezza.
Si sentiva una ferita aperta sotto l’occhio impietoso di un medico. Un medico interessato unicamente alla malattia e non alla persona.
“Bene,” fece l’uomo una volta che lei si fu completamente girata verso di lui, “ora scendi dal muro.”
“No,” ribattè decisa. Sherlock Holmes arricciò un labbro in un moto di fastidio e alzò gli occhi al cielo.
“Allora perlomeno siediti. Piedi per terra, in modo da non perdere l’equilibrio” sbottò.
Aveva senso. Magdalena ubbidì.
L’uomo incrociò le mani dietro la schiena e si mise a passeggiare per il ponte fissando il cielo sopra di lui con aria soddisfatta, come se quella situazione fosse del tutto normale e loro due stessero amabilmente discorrendo del tempo. Era snervante.
“Dunque, veniamo a noi. Sei una persona di un certo intelletto. Sono sicuro che il tutto si possa risolvere senza riprovevoli sbavature,” disse, tornando a rivolgere lo sguardo su di lei con un sorriso per niente amichevole.
Magdalena inarcò un sopracciglio.
“Definisca sbavature,” replicò diffidente.
“Tu ti ostini a non collaborare e io mi vedo costretto a usare le maniere forti,” rispose subito l’uomo, impassibile. Magdalena rise secca.
“Al suo minimo movimento superfluo io sbilancio il peso all’indietro e lei si può scordare i suoi soldi. Non è nella posizione di dare ordini.”
“Eppure poco fa ti ho ordinato di girarti e tu hai obbedito.”
“Trovavo maleducato darle le spalle. Tutto qui.”
L’uomo si lasciò sfuggire una breve risata.
“Capisco.” Frugò in una tasca senza distogliere lo sguardo dal suo. Magdalena seguì il movimento delle sue mani con occhi diffidenti.
“Cosa sta cercando?”
“Sigarette.”
“Fumare fa male,” disse in automatico. Per dargli fastidio – certamente non perché era preoccupata per il suo benessere.
Sherlock Holmes si accese una sigaretta con irritante flemma.
“Morire nel modo che ti sei scelta fa più male. Te lo assicuro.” Tirò una lunga boccata. “Immagino che fra le tue preoccupazioni vi fosse anche quella di venirne fuori come un cadavere dall’aspetto decente. Tu non vuoi morire, vuoi solo un sontuoso funerale pieno di persone che si strappino i capelli in lacrime rimpiangendo la tua indispensabile, preziosa, svalutata presenza su questa terra. Com’è ovvio, vuoi fare bella figura nella tua bara di legno di noce, sobria ma elegante. Beh, ti consiglio vivamente di rivedere i tuoi piani, perché i morti affogati sono gonfi e lividi e dall’aspetto repellente. Specie se il corpo viene tolto dall’acqua dopo un lasso di tempo prolungato  - e data l’efficienza pressochè nulla della polizia inglese, questo è altamente probabile.” Un breve, freddo sorriso. “La corrente in questo punto del fiume è molto forte. Verrai trascinata sul fondo, morta, se ti va bene, altrimenti è plausibile che tu riesca ad avvertire il dolore insopportabile di un qualche tuo osso che si frattura contro il pietrame prima che il tuo cuore si fermi per sempre. Perché fai quella faccia? I sassi che ricoprono i basamenti dei piloni per tenerli ancorati a terra non sono sott’acqua da abbastanza tempo per essersi smussati. Se le mie previsioni sono corrette, sbatterai a più riprese contro ogni superficie contundente e ne uscirai perlomeno sfregiata. Niente bel visino etereo da esibire nella tua comoda bara. La gente ti passerà accanto con una smorfia di ipocrita, pio rammarico in volto, mormorando afflitta “così intelligente, così giovane, tutta la vita davanti, perché perché perché”, ma dentro di sé tratterrà i conati di vomito davanti a quel pasticcio di sangue rappreso che sarà diventata la tua faccia.”
Magdalena sentì qualcosa di fastidiosamente appiccicoso pizzicarle le guance. Alzò una mano per controllare che cosa fosse: lacrime. Stava piangendo.
Sherlock Holmes sembrava trovarlo un ottimo segno, perché ora le stava apertamente sorridendo con quella che sembrava un’aria soddisfatta.
“La morte di cui si fa esperienza nella vita reale non è quella dei libri. Sai cosa succede quando un essere umano smette di vivere? Il cadavere entra in rigor mortis; il corpo assume posizioni grottesche e ridicole. La vescica si svuota. Ti ritrovi a riposare nel sonno eterno in un bagno di escrementi. Dopo appena pochi giorni cominci a emanare un fetore disgustoso. Se non viene scelta l’opzione della cremazione, finisci sottoterra, banchetto per i vermi. Piangi, piangi pure quanto vuoi: significa che finalmente ragioni, che hai smesso di trovare questa prospettiva così allettante. È positivo. Non c’è niente di peggio del morire nell’illusione che dopo si possa diventare qualcosa di migliore-”
“Basta,” gemette lei, la voce che l’aveva definitivamente tradita. La gola le sembrava un denso nodo di lacrime e dolore: non riusciva a deglutire. Aveva la vista appannata. Voleva soltanto che tutto finisse. Voleva smettere di respirare, di ascoltare, di pensare, maledizione!
“Basta, stia zitto, non mi importa! Se ne vada di qui e la smetta- io… Voglio solo stare da sola.” Si odiò per come stava piagnucolando, per come stava stringendo le proprie mani in una morsa, come una bambina piccola. “Voglio solo… Trovare un… Un termine, un punto d’ arrivo, qualcosa che abbia un senso, una… una conclusione, qualcosa che mi faccia sentire-”
“Non esiste,” la interruppe gelido lui. I suoi occhi erano diventati enormi, e sembravano incolori: la mano che reggeva la sigaretta tremava. “Si spende un’esistenza intera a cercare di crearsi questo qualcosa da soli e non ci si resce quasi mai. Ora scendi di lì e seguimi in macchina.”
Nella nebbia di sconforto e panico che riempiva la sua mente, Magdalena recuperò un brandello di lucidità.
“Lei…” Fissò le sue labbra: erano spaccate perché lui continuava a leccarsele. E il naso non era tutto rosso allo stesso modo. Le narici, in particolare, erano irritate al punto da sanguinare. “Lei… È in crisi d’astinenza-”
“Giù di lì e in macchina, ho detto!” urlò l’uomo. Sotto un’apparenza controllata si doveva effettivamente trovare al limite. Le pupille erano enormi, e lo facevano sembrare pazzo.
“Ecco perché vuole così tanto quei soldi. Ne ha bisogno… Per comprarsi la dose,” mormorò Magdalena fra sé e sé. Un moto violentissimo di rabbia la scosse da capo a piedi al punto da farla tremare. “Lei ha il coraggio di venire qui a seviziarmi e a farmi la sua lezioncina del cazzo quando non è altro che un tossico! È questo il senso che ha cercato di costruirsi da solo?! Ma si è guardato allo specchio? Io sarò una debole,” sibilò, il volto congestionato, la voce carica di disprezzo puro, “ma lei mi fa più pena di quanto me ne faccia io a me stessa. Chissà da quanto tempo lei non vive più. Chissà da quanto tempo sarebbe stato meglio che lei fosse morto. Le piace giocare a fare Dio con quelli che considera messi peggio di lei, vero? Quanta soddisfazione ne trae? Un inutile parassita, ecco quello che è! Sciacallo! Mi fa schifo!”
Urlò, urlò così tanto che le lacrime le bagnarono di nuovo le guance e la gola prese a bruciarle come se fosse arroventata, e dopo pochi secondi era tutto di nuovo silenzio e il suo cuore batteva forte e il suo respiro non era più sotto controllo.
Non si era nemmeno accorta di aver chiuso gli occhi nel tentativo di tornare in sé stessa. Quando li riaprì, Sherlock Holmes stava guardando di nuovo il cielo, e sembrava più magro e spettrale che mai.
“Sai, ragazzina,” disse in un sussurro basso, roco, gli angoli della bocca piegati in un sorriso amaro, “l’irrazionalità di questo mondo è insopportabile. So che la avverti in ogni cosa, come me. Ma il fatto che a uccidersi siano solo le persone che ne sono consapevoli, le uniche che potrebbero tentare di impostare le cose in una giusta direzione e magari riuscirvi, e che a restare in vita siano gli stupidi e quelli senza morale né emozioni, solo perché questi ultimi non soffrono e i primi sì…” Abbassò lo sguardo su di lei. Magdalena avvertì un colpo al cuore. I suoi occhi non erano più freddi e vuoti: sembravano contenere qualcosa di dolorosamente vivo, pulsante, che inglobava tutto, da quell’iride chiarissima alla pupilla alla lacrime mai piante. Dubitava che un uomo del genere fosse mai riuscito a piangere: era una sorta di lacrimazione asciutta, cerebrale ed efficiente, come lo era lui. “Beh, è ancora più irrazionale, no? Non ha senso. E andrà avanti così per sempre.”
Magdalena chiuse nuovamente gli occhi e abbassò la testa. Si sentiva molto stanca.
“Senta,” disse infine trascinando le parole, dopo che un silenzio pesante come un incudine fu calato fra di loro, “ho molti soldi con me.” Si frugò nelle tasche e tirò fuori un portafogli ben imbottito. “Sono tutti i miei risparmi. Le propongo un patto.”
Gli lanciò uno sguardo per vedere se la stesse seguendo. Sherlock Holmes annuì.
“Sto ascoltando.”
“Sono abbastanza, credo, per comprare una quantità sufficiente di qualsiasi droga lei stia assumendo. Quelli che mia madre le avrebbe dato non sono molti di più. La mia famiglia non è ricca. Li prenda.” Tirò fuori le banconote e le arrotolò in un fascio ordinato. Lui non reagì in alcun modo visibile. “Li prenda e mi lasci proseguire quello che stavo facendo, la prego.”
Sherlock Holmes la considerò con una lunga occhiata penetrante. Magdalena rabbrividì: non sentiva più le dita dei piedi.
“D’accordo. Ma li voglio controllare da vicino.”
“Non si fida?”
“No.”
Magdalena fece spallucce. L’uomo occhieggiava il denaro con occhi famelici: era uno spettacolo degradante. Era davvero stanca dello squallore di questa vita.
Sollevò un braccio e gli allungò le banconote.
Sherlock Holmes si avvicinò a passi lenti. Aveva gambe lunghissime, per cui in quattro falcate era già arrivato sinoda lei. Le sfilò il denaro di mano stando attento a non toccarle le dita.
Magdalena si lasciò sfuggire un singhiozzo e non osò guardarlo negli occhi. Aspettò immobile, paralizzata, esausta. Si sentiva così pesante da avere l’impressione di non aver più bisogno delle pietre nelle sue tasche per andare a fondo.
“Non sono falsi,” lo sentì dire in un sussurro. Era strano: per lui era evidentemente una buona notizia, ma il suo tono di voce era grave. Sembrava quasi rammaricato.
“No.”
Fu questione di un secondo. Non ebbe nemmeno il tempo di registrare il suo movimento fulmineo. Un attimo prima stava respirando l’aria gelida di quella notte di dicembre e l’attimo dopo qualcosa di morbido le veniva premuto sulla bocca. L’ultima cosa che fu in grado di ricordare fu un intenso odore dolciastro, come di zucchero a velo.
 
*
 
Si svegliò quando la macchina prese una curva in maniera particolarmente brusca e lei sbattè la testa contro la maniglia della portiera.
Gemette. Si sentiva confusa e una vaga sensazione di nausea le stringeva la bocca dello stomaco. Le ci volle qualche minuto per ricordare, per disporre nel giusto ordine i pensieri.
Tentò di mettersi seduta dalla posizione sdraiata, ma quando cercò di sostenersi al finestrino, scoprì che non poteva farlo. Aveva le mani legate con un una corda.
“Bentornata fra noi,” disse una voce sarcastica.
Magdalena battè piano le palpebre. Gli occhi di Sherlock Holmes la fissavano dallo specchietto retrovisore.
“Tu mi hai-” cominciò, senza fiato per la rabbia e l’umiliazione. “Tu mi hai drogata, figlio di puttana! Slegami subito!”
Sherlock accese il riscaldamento e girò a destra a un incrocio con malagrazia. Magdalena riconobbe il paesaggio notturno circostante: erano a pochi chilometri a nord di Londra.
“Così che tu possa saltarmi al collo e mandarci a sbattere contro un albero? Non credo proprio.”
Magdalena si divincolò con violenza, calciando con i piedi contro il sedile del guidatore. Sherlock strinse gli occhi, infastidito.
“Ferma. Questa macchina non è al titanio. Può essere danneggiata,” la ammonì minaccioso.
“Dirò a mia madre come mi hai trattato. Lo racconterò alla polizia. Finirai a marcire in galera, bastardo!”
“E io riferirò di averti trattenuto in extremis dal fare una scelta estremamente stupida. Sono certo che saranno d’accordo con la mia decisione di averti immobilizzato in modo da non permetterti di fare  ulteriori danni a te stessa.” Inserì la quarta. Il motore rombò. “I suicidi falliti possono essere molto inaffidabili e per nulla riconoscenti.” Incontrò nuovamente i suoi occhi nello specchietto. “Non è vero, ragazzina? Dovresti essermi grata. Ti ho salvato la vita.”
Magdalena tirò un altro calcio, furiosa.
“Vaffanculo! Vaffanculo, lasciami andare! Lasciami, ho detto!”
“Che linguaggio. Credi che il turpiloquio sia in grado di intimidirmi?”
“Beh, sai come si dice, pezzo di merda, “tentare non nuoce”. Ora fammi scendere da questa macchina del cazzo e-”
Si interruppe, esterrefatta.
Stava ridendo. Sherlock Holmes stava ridendo.
“Non rientri nel profilo psicologico della depressione. Decisamente no. Sei, come immaginavo, soltanto una adolescente vanitosa e annoiata, troppo intelligente per il tuo stesso bene, in disperata ricerca di attenzioni.”
Magdalena raggelò.
“Tu non sai un cazzo di me,” sibilò con voce collerica e tremante. “Nulla. Sei solo un tossico fallito e mentalmente disturbato. Dovrebbero legare te per impedirti di fare del male a te stesso, e soprattutto per impedirti di farne ad altri!”
“Mi sono sempre chiesto come non ci abbiano pensato prima, in effetti,” rispose mellifluo Sherlock Holmes.
Magdalena tirò l’ennesimo calcio e riprese ad agitarsi sul sedile posteriore, gemendo per la frustrazione.
“Sta’ ferma immobile, e zitta, possibilmente. Non costringermi a sedarti di nuovo.”
“Che cosa mi hai somministrato? Che razza di schifezza mi hai fatto inalare? Ha effetti a lungo termine?” chiese con improvviso spavento la ragazza, smettendo di colpo di muoversi.
“Un preparato chimico di mia invenzione, molto meno dannoso del cloroformio, ma estremamente più efficace. Non ti preoccupare: hai già espulso le tossine respirando. E insultandomi.”
Le sue parole le arrivavano lontanissime e confuse. Gli occhi le bruciavano.
Si rilassò contro il finestrino, abbandonando la testa contro il vetro. Pianse, il più silenziosamente possibile. Pianse e desiderò di essere morta come non l’aveva mai desiderato prima d’ora.
 
*
 
Si svegliò mezz’ora dopo, sentendo il morso delle corde sui suoi polsi farsi meno intenso.
Sherlock Holmes, ai suoi piedi, la guardava impassibile, un  ginocchio sul sedile posteriore. Fuori dal finestrino si scorgeva il panorama famigliare della strada di casa sua.
“Spero che lei muoia solo” mormorò in tono spento.
Sherlock Holmes ghignò, le labbra spaccate, gli occhi vuoti. Non le era mai sembrato più simile a un fantasma come in quel momento.
“E’ molto probabile che accadrà.”
 
 
 
 
 
 
 
 
 
 
Note dell’autrice: sì, avete visto bene. Ho aggiornato. Dopo… *controlla* più di un anno. Dio mio, faccio schifo.
Non ho idea di quando posterò il prossimo capitolo, sarò sincera. Questo qui era quasi pronto da un bel po’ e… ma vi giuro che farò del mio meglio. Sono molto affezionata a questa storia, anche se a rileggere certi punti mi si accappona la pelle. Ero così gggiovane e inesperta quando ho cominciato a scriverla XDDD
Spero vi piaccia :***
 

 

   
 
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